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BALLA COI LUPI - romanzo completo

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2008 18:13
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31/10/2007 09:52

(segue)

Arrivarono tenendosi sottovento, ogni singolo uomo della tribù in grado di cacciare,
avvicinandosi a cavallo in un'enorme formazione a mezzaluna, una mezzaluna in
movimento larga mezzo miglio. Avanzarono lentamente, facendo attenzione a non
spaventare i bisonti fino all'ultimo minuto, fino a che non fosse stato il momento di
lanciarsi avanti.
Come un profano fra degli esperti, il tenente Dunbar era completamente assorbito
dal tentativo di collegare fra loro le fasi strategiche della caccia a mano a mano che
questa si svolgeva. Dalla sua posizione vicino al centro della formazione poteva
vedere che si stavano muovendo per isolare una piccola parte della gigantesca mandria.
Gli uomini che componevano il lato destro della mezzaluna erano quasi riusciti a chiudere
fuori il gruppo di animali dal resto della mandria, mentre il centro premeva alle spalle.
Lontano, alla sua sinistra, la formazione di caccia stava ruotando per formare una linea
perpendicolare.
Era un accerchiamento.
Dunbar si trovava abbastanza vicino da udire dei suoni: il pianto di qualche piccolo, il
muggito delle madri e l'occasionale sbuffare di uno dei maschi dalle proporzioni
massicce. Davanti a lui vi erano migliaia di animali.
Il tenente gettò uno sguardo di fianco. Vento-nei-capelli era il secondo alla sua destra
ed era tutt'occhi, mentre avanzavano da ogni lato verso la mandria. I suoi occhi acuti
erano dappertutto allo stesso tempo: sui cacciatori, sulla preda e sul terreno che andava
diminuendo fra di loro. Se fosse stato possibile vedere l'aria, ne avrebbe notato anche il
più impercettibile mutamento di direzione. Era come un uomo che stesse ascoltando il
ticchettio del conteggio alla rovescia di un invisibile orologio.
Persino il tenente Dunbar, così inesperto di quel genere di cose, riusciva a sentire la
tensione crescere attorno a lui. L'aria era diventata completamente inerte. Non arrivava
nessun suono. Non udiva più il rumore degli zoccoli dei pony dei cacciatori. Persino la
mandria era diventata improvvisamente silenziosa. La morte stava calando sulla prateria
con la certezza di una nube discendente.
Quando Dunbar fu a un centinaio di metri, quattro o cinque delle bestie si girarono tutte
insieme verso di lui. Sollevarono le loro grosse teste, annusando l'aria immobile in cerca
di una traccia di ciò che le loro orecchie avevano sentito, ma i loro occhi deboli non
riuscivano ancora a distinguere. Rizzarono le code, arrotolandole al disopra dei posteriori
come delle bandierine. L'animale più grosso raspò l'erba con le zampe, scrollò la testa
e sbuffò minacciosamente, sfidando l'intrusione degli uomini a cavallo che si stavano
avvicinando.
Dunbar comprese che per ogni cacciatore l'uccisione che stava per avere luogo non
sarebbe stato un fatto scontato, che non si trattava semplicemente di tendere un'imboscata,
che per infliggere la morte a quegli animali ciascun uomo stava rischiando la propria vita.
Lungo il fianco destro, alla punta della mezzaluna, scoppiò un'agitazione improvvisa.
I cacciatori avevano attaccato.
Con stupefacente velocità il primo attacco diede il via a una reazione a catena che sorprese
Dunbar allo stesso modo in cui un'ondata oceanica si abbatte sull'ignaro bagnante che
sguazza a riva.
I bisonti maschi che erano rivolti verso di lui si girarono e fuggirono. Nello stesso momento,
i pony indiani balzarono in avanti. Accadde così velocemente che Cisco quasi corse via
da sotto di lui. Dunbar gettò una mano all'indietro per afferrare il berretto che stava schizzando
via, ma gli sfuggì dalle dita. Non importava. Non c'era modo di fermarsi, adesso, neanche
se avesse fatto ricorso a tutta la sua forza. Il piccolo cavallo dal manto bruno fulvo era
lanciato in avanti, divorando il terreno come se delle fiamme gli solleticassero le calcagna,
come se dovesse correre o morire.
Dunbar guardò la fila di uomini a cavallo alla sua destra e alla sua sinistra e fu inorridito di
vedere che non c'era nessuno. Gettò uno sguardo da sopra la spalla e li vide, chini sulle
schiene dei loro pony tesi sotto lo sforzo dell'andatura. Correvano quanto più velocemente
potevano, ma in confronto a Cisco erano dei ronzini e lottavano disperatamente per non
rimanere indietro. A ogni secondo che passava perdevano terreno e d'improvviso il
tenente si trovò a occupare uno spazio tutto per lui. Era fra i cacciatori che lo seguivano e i
bisonti in fuga.
Diede uno strattone alle redini ma, se Cisco lo avvertì, non vi fece caso. Il collo era proiettato
completamente in avanti, le orecchie erano appiattite, le narici dilatate al massimo che
ingollavano il vento che dava ai suoi polmoni l'elemento indispensabile per avvicinarsi
sempre di più alla mandria.
Il tenente Dunbar non aveva tempo per pensare. La prateria scorreva velocemente sotto
di lui, il cielo sembrava rotolasse sopra la sua testa e fra questi, sparsi su una lunga linea
di fronte a lui, vi era un muro di bisonti spaventati in fuga.
Ora era abbastanza vicino da vedere i muscoli dei loro quarti posteriori. Poteva vedere i
loro zoccoli. Fra qualche secondo sarebbe stato abbastanza vicino da poterli toccare.
Stava correndo verso un incubo mortale, un uomo in una barca trascinato inesorabilmente
verso il bordo di una cascata. Il tenente non gridò, non disse una preghiera né si fece il
segno della croce. Ma chiuse gli occhi. Gli apparvero di colpo i volti di sua madre e di
suo padre. Stavano facendo qualcosa che non li aveva mai visti fare. Si baciavano
appassionatamente. Tutto intorno a loro vi era un enorme fragore, un sordo e intenso
rullare di un migliaio di tamburi. Il tenente aprì gli occhi e si ritrovò in un paesaggio quasi
da sogno, una vallata piena di giganteschi macigni marrone e neri che si precipitavano
con assordante rumore in un'unica direzione.
Lui e Cisco stavano correndo con la mandria.
Lo spaventoso rombo di decine di migliaia di zoccoli fessi aveva il curioso silenzio di
un diluvio e per alcuni momenti Dunbar andò serenamente alla deriva nella folle quiete
della massa di animali in fuga.
Tenendosi saldamente in groppa a Cisco guardò intorno a sé quell'imponente tappeto in
movimento di cui ora faceva parte e immaginò che, se avesse voluto, avrebbe potuto
scivolare giù per la schiena del suo cavallo e raggiungere la salvezza del terreno sgombro
saltando da una gobba all'altra, come un ragazzo che attraversi un ruscello rimbalzando sui
sassi.
Il fucile scivolò e quasi gli cadde dalle mani sudate, e in quel mentre il bisonte maschio che
correva alla sua sinistra a meno di un passo virò bruscamente verso di lui. Con un colpo
della testa pelosa cercò di incornare Cisco. Ma il cavallo era troppo svelto. Scartò di lato
con un balzo e il corno gli sfiorò soltanto il collo. Nella mossa repentina, il tenente Dunbar
venne quasi disarcionato. Sarebbe stata la sua morte, ma i bisonti erano talmente ammassati
intorno a lui che rimbalzò contro la schiena di un bisonte che correva sull'altro lato di Cisco
e in qualche modo riuscì a raddrizzarsi.
Terrorizzato, il tenente abbassò la canna del fucile e sparò al bisonte che aveva cercato di
incornare Cisco. Non fu un buon tiro, ma la pallottola frantumò una delle zampe anteriori
dell'animale. Le ginocchia si piegarono di colpo e Dunbar sentì lo schiocco secco del collo
che si spezzava mentre la bestia rotolava su di sé.
D'improvviso, intorno a lui si fece il vuoto. Alla detonazione i bisonti avevano scartato
bruscamente e si erano allontanati. Tirò con forza le redini e il cavallo rispose al comando.
Di lì a un momento si fermarono. Il rombo della mandria stava diminuendo.
Mentre guardava la mandria ritirarsi davanti a lui, vide che i cacciatori l'avevano raggiunta.
La vista degli uomini nudi in groppa ai loro cavalli che correvano con tutti quegli animali,
sobbalzando in quella marea come dei turaccioli sulla cresta delle onde, lo lasciò
affascinato per alcuni minuti. Riusciva a vedere i loro archi che si tendevano e nugoli di
polvere che si sollevavano dal terreno a mano a mano che i bisonti l'uno dopo l'altro venivano
abbattuti.
Ma non passarono molti minuti prima che si voltasse a guardare dietro di sé. Voleva vedere
con i suoi occhi l'animale che aveva ucciso. Voleva la conferma di ciò che sembrava troppo
fantastico per essere vero.
Tutto era accaduto in minor tempo di quanto occorresse per radersi la barba.



(continua)


_________Aurora Ageno___________
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01/11/2007 04:28

(segue)


Era un animale di grosse proporzioni, ma nella morte, immobile e da solo in mezzo
all'erba bassa, sembrava ancora più grande.
Come un visitatore a una esposizione, Dunbar camminò lentamente in cerchio attorno
al corpo. Si fermò accanto alla mostruosa testa del bisonte, prese in mano uno dei
corni e gli diede uno strattone. La testa pesava parecchio. Fece scorrere il palmo
della mano lungo tutto il corpo della bestia: dalla gobba coperta di fitto pelo lanuginoso
fino al posteriore nettamente inclinato. Tenne fra le dita la coda con dei corti ciuffi di pelo.
Sembrava ridicolmente piccola.
Tornando sui suoi passi, il tenente si accovacciò di fronte alla testa del bisonte e strinse
fra le dita la lunga barba nera che pendeva dalla mascella della bestia. Gli ricordava il
pizzetto di un generale e si domandò se anche quel bisonte era stato un membro di alto
rango della mandria.
Poi si alzò in piedi e arretrò di un passo o due, sempre attratto dalla vista del bisonte
morto. Come potesse semplicemente esistere una di queste straordinarie creature era
un meraviglioso mistero. E ve ne erano migliaia.
Forse ve ne sono milioni, pensò.
Non sentiva alcun orgoglio per averlo privato della vita, ma non provava nemmeno alcun
rimorso. A parte un forte senso di rispetto, non provava alcun sentimento. Sentiva, però,
qualcosa di fisico. Poteva sentire il suo stomaco che si torceva. Lo sentiva brontolare.
La bocca aveva cominciato a riempirsi di saliva. Da giorni i suoi pasti erano magri e
ora, guardando questa massa di carne, era acutamente consapevole della sua fame.
Erano passati non più di dieci minuti dalla furiosa carica e già la caccia era finita. La
mandria era svanita, lasciando i suoi morti dietro di sé. I cacciatori attorniavano le bestie
che avevano ucciso, in attesa, mentre le donne e gli anziani si riversavano nella pianura
trascinandosi dietro i loro arnesi per la macellazione. Le loro voci risuonavano eccitate
e a Dunbar venne fatto di pensare che fosse iniziata una specie di festa.
Vento-nei-capelli si avvicinò al galoppo con due guerrieri suoi amici. Eccitato per il
successo, fece un largo sorriso mentre balzava agilmente a terra dal suo ansimante pony.
Il tenente notò un brutto sfregio proprio al disotto del ginocchio del guerriero.
Ma Vento-nei-capelli non vi fece caso. Sorrideva ancora di soddisfazione quando si
affiancò al tenente, dandogli una possente pacca sulla schiena a mo' di ben intenzionato
saluto che lo mandò per terra a gambe levate.
Ridendo spontaneamente, Vento-nei-capelli lo aiutò a rimettersi in piedi e gli ficcò in mano
un coltello dalla spessa lama. Disse qualcosa in comanci e indicò il bisonte morto.
Dunbar esitò con aria goffa, fissando impacciato il coltello che aveva in mano. Sorrise con
aria sperduta e scosse la testa. Non sapeva che cosa fare.
Vento-nei-capelli borbottò qualcosa che fece ridere i suoi amici, battè una mano sulla spalla
del tenente e riprese il coltello. Poi si piegò su un ginocchio accanto al ventre del bisonte
di Dunbar.
Con la disinvoltura di un esperto intagliatore, affondò il coltello nel torace dell'animale e,
impugnandolo con entrambe le mani, praticò un taglio per tutta la lunghezza, aprendogli
il ventre. Mentre le interiora fuoriuscivano, Vento-nei-capelli infilò una mano all'interno
della cavità, tastando come qualcuno che stia cercando qualcosa nell'oscurità.
Trovò ciò che voleva, diede un paio di energici strattoni e si rialzò in piedi con un fegato
talmente grosso che debordava da entrambe le mani mentre lo reggeva. Imitando il ben
noto inchino del soldato bianco, offrì quel premio all'ammutolito tenente. Con circospezione,
Dunbar accettò l'organo ancora fumante, ma non avendo idea di che cosa fare, ricorse al
suo fidato inchino e, il più cortesemente possibile, glielo restituì.
Di norma, Vento-nei-capelli avrebbe interpretato il gesto come un'offesa, ma si ricordò che
<< Jun >> era un bianco e quindi inesperto. Fece un altro inchino, si ficcò in bocca una delle
estremità del fegato ancora caldo e ne staccò un grosso pezzo.
Il tenente restò a guardare incredulo, mentre il guerriero passava il fegato ai suoi amici. Anche
loro affondarono i denti nella carne cruda. La mangiavano avidamente, come se si trattasse
di una torta di mele appena tolta dal forno.
Nel frattempo una piccola folla, alcuni a cavallo, altri a piedi, si era riunita attorno al bisonte
di Dunbar. C'erano anche Uccello Saltellante e Mano Alzata. Lei e alcune altre donne avevano
già iniziato a scuoiare l'animale.
Ancora una volta Vento-nei-capelli gli offrì il fegato e ancora una volta Dunbar lo prese, reggendolo
in silenzio mentre si guardava intorno in cerca di un'indicazione o di un segno da parte di
qualcuno lì attorno che lo tirasse fuori dai guai.
Non gli venne alcun aiuto. Lo osservavano in silenzio, in attesa, e lui si rese conto che sarebbe
stato di una stupidità lampante cercare di ripassarlo nuovamente. Anche Uccello Saltellante
stava aspettando.
Allora, Dunbar portò il fegato alla bocca, dicendosi che dopotutto era facile, non più difficile
che buttar giù una cucchiaiata di qualcosa che detestava, come un certo tipo di fagioli, per esempio.
Sperando che non gli venisse un conato di vomito, affondò i denti nel fegato.
La carne era incredibilmente tenera. Gli si scioglieva in bocca. Masticò con gli occhi fissi verso
l'orizzonte e per un momento il tenente Dunbar si dimenticò del suo silenzioso pubblico, mentre
le sue papille gustative inviavano un sorprendente messaggio al suo cervello.
La carne era deliziosa.
Senza pensarci, ne morse un altro pezzo. Un sorriso spontaneo gli attraversò il volto e sollevò
in alto, al disopra della testa, ciò che restava della carne.
I suoi compagni di caccia salutarono quel gesto con un coro di grida entusiastiche.



(continua)



_________Aurora Ageno___________
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01/11/2007 17:27

(segue)

19



Come molte altre persone, il tenente Dunbar aveva passato gran parte della sua vita
a far da spettatore, osservando anziché partecipare. Le volte in cui aveva partecipato,
lo aveva fatto agendo in maniera nettamente indipendente e molto simile al suo
comportamento durante la guerra.
Rimanere sempre da parte era frustrante.
Qualcosa, di questa sua inveterata abitudine di tutta una vita, cambiò quando sollevò
entusiasticamente in aria il fegato del bisonte, il simbolo dell'animale che aveva ucciso,
e udì le grida di incitamento dei suoi compagni.
Allora, provò la soddisfazione di appartenere a qualcosa il cui tutto era più importante
di ogni sua singola parte. Fu una sensazione che lo colpì profondamente sin dall'inizio.
E nei giorni che passò sulla pianura di caccia e nelle notti che trascorse nell'accampamento
provvisorio, la sensazione si rinsaldò.
L'esercito aveva incessantemente esaltato le virtù della dedizione, del sacrificio individuale
nel nome di Dio o della patria o di entrambi. Il tenente aveva fatto del proprio meglio per
accettare questo credo, ma il senso della dedizione all'esercito era rimasto perlopiù
confinato nella sua mente. Non era penetrato nel suo animo. Non era mai andato al di là
della fievole, vuota retorica del patriottismo.
I comanci erano differenti.
Erano un popolo primitivo. Vivevano in un mondo vasto, solitario ed estraneo che la sua
stessa gente liquidava come niente di più di centinaia di inutili miglia da attraversare.
Ma gli aspetti della loro vita erano diventati sempre più importanti per lui. Erano un popolo
che viveva e prosperava tramite la dedizione. Era in questo modo che controllavano il
fragile destino delle loro vite. Prestare aiuto, lealmente e senza lagnarsi, era una semplice,
bellissima essenza del modo in cui vivevano e il tenente Dunbar trovava in questo una pace
che era di suo gradimento.
Non si illudeva. Non pensava di diventare un indiano. Ma sapeva che fintanto che fosse
rimasto con loro, avrebbe agito con lo stesso spirito.
Fu una rivelazione che lo rese un uomo più felice.


Scuoiare e macellare le bestie fu un'impresa di proporzioni colossali.
Vi erano forse settanta bisonti abbattuti, sparsi come delle gocce di cioccolato su una vasta
area di terreno, e accanto a ogni corpo le famiglie impiantarono delle fabbriche portatili che
lavoravano a una velocità sorprendente, trasformando gli animali in prodotti utilizzabili.
Il tenente non riusciva a credere a tutto il sangue che vedeva. Colava impregnando il terreno
di caccia come della salsa versata su una tovaglia. Copriva le braccia, le facce e gli indumenti
di chi lavorava. Gocciolava dai pony e dalle slitte al traino che trasportavano la carne verso
l'accampamento.
Presero tutto: pelli, carne, interiora, zoccoli, code, teste. Nello spazio di poche ore era tutto
finito, lasciando la prateria con l'aspetto di una gigantesca tavola da banchetto appena
sparecchiata.
Mentre gli animali venivano macellati, il tenente Dunbar indugiò nei dintorni con gli altri
guerrieri. Erano tutti di ottimo umore. Solo due uomini avevano riportato delle ferite, nessuno
dei due in modo grave. Un pony veterano della caccia al bisonte si era spezzato una zampa,
ma era una piccola perdita in confronto all'abbondanza che i cacciatori avevano procurato.
Erano allegri e soddisfatti e questo stato d'animo traspariva chiaramente dai loro volti mentre
chiacchieravano amichevolmente fra loro, fumando e mangiando e scambiandosi delle
storielle. Dunbar non capiva le parole ma le storielle erano abbastanza facili da afferrare.
Erano racconti di avventure scampate per un pelo e di archi che si erano spezzati e di quelli
che si erano dati alla fuga.
Quando il tenente fu invitato a raccontare la sua storia, mimò con i gesti la sua avventura con
una teatralità che fece sbellicare i guerrieri dalle risate. Diventò il personaggio più ricercato
del giorno e fu obbligato a ripetere la scena una mezza dozzina di volte. Ogni volta, il risultato
era lo stesso. Non appena arrivava a metà della storia i suoi ascoltatori si congratulavano,
cercando a fatica di trattenersi dallo scoppiare in matte risate.
Al tenente Dunbar non dispiaceva. Anche lui rideva. E non gli dispiaceva la parte giocata
dalla fortuna nella sua impresa, perché sapeva che era autentica. E sapeva che tramite questa
aveva realizzato qualcosa di meraviglioso.
Era diventato << uno di loro >>.


La prima cosa che vide quando ritornarono all'accampamento, quella sera, fu il suo berretto.
Era piazzato sulla testa di un uomo di mezza età che non conosceva.
Vi fu un breve momento di tensione quando il tenente si diresse a grandi passi verso di lui,
indicò con un dito il berretto, che all'uomo in questione fra l'altro non calzava bene, e disse
in tono pratico: <<Quello è mio >>.
Il guerriero lo guardò con curiosità e si tolse il berretto. Lo rigirò fra le mani e se lo piazzò
nuovamente in testa. Poi sfilò il coltello dalla cintura, lo porse al tenente e proseguì per la
sua strada senza proferire parola.
Dunbar guardò il suo berretto scomparire dalla vista e abbassò gli occhi sul coltello che
aveva in mano. Il fodero ornato di perline aveva l'aspetto di un tesoro. Si incamminò per
rintracciare Uccello Saltellante, convinto che il baratto fosse stato esageratamente a suo
favore.
Si muoveva liberamente per l'accampamento e dovunque andasse, si trovava a essere
oggetto di allegri segni di saluto.
Gli uomini facevano dei cenni con il capo in segno di riconoscimento, le donne gli sorridevano
e frotte di bambini schiamazzanti e ridenti trotterellavano dietro di lui. La tribù era in grande
eccitazione per la prospettiva della grande festa che stava per avere luogo e la presenza
del tenente era un motivo in più per essere lieti. Senza una proclamazione formale o un
consenso generale erano giunti a considerarlo come un talismano portafortuna vivente.
Uccello Saltellante lo portò subito alla tenda di Dieci Orsi, dove si stava tenendo una piccola
cerimonia di ringraziamento. Il vecchio era ancora notevolmente in forma ed era la gobba
del bisonte che aveva ucciso quella che stavano arrostendo per prima. Quando fu pronta,
Dieci Orsi stesso ne tagliò via un pezzo. Rivolse qualche parola al Grande Spirito e onorò
il tenente porgendogli il primo pezzo.
Dunbar fece il suo breve inchino, diede un morso e galantemente restituì il pezzo di carne
a Dieci Orsi, un gesto che impressionò notevolmente il vecchio. Accese la sua pipa e onorò
nuovamente il tenente offrendogli la prima boccata di fumo.
La pipa fumata davanti alla tenda di Dieci Orsi segnò l'inizio di una folle notte. Tutti avevano
un fuoco acceso e sopra ogni fuoco arrostiva della carne fresca: gobbe, costolette e tutta
una serie di altri tagli di carne scelta.


(continua)

_________Aurora Ageno___________
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01/11/2007 17:30

(segue)

Illuminato come una piccola città, il villaggio provvisorio baluginò a lungo nella notte,
con il fumo dei suoi fuochi che saliva verso il cielo buio portando con sé un aroma
che poteva essere sentito per delle miglia.
La gente mangiò come se non ci fosse un domani. Quando erano completamente
sazi facevano delle brevi pause, riunendosi in piccoli gruppi per chiacchierare o per
divertirsi con dei giochi d'azzardo. Ma non appena lo stomaco si era un po' alleggerito
dell'ultimo pasto, tornavano di nuovo ai fuochi a ingozzarsi.
Molto prima che fosse notte inoltrata il tenente Dunbar si sentiva già come se avesse
mangiato un bisonte intero. Aveva fatto il giro dell'accampamento con Vento-nei-capelli
e a ogni fuoco i due venivano trattati in modo regale.
Erano diretti verso un altro gruppo di festeggiatori, quando il tenente si fermò al buio dietro
una tenda e disse a gesti a Vento-nei-capelli che lo stomaco gli doleva e che voleva
andare a dormire.
Ma in quel momento Vento-nei-capelli lo ascoltava distrattamente. La sua attenzione era
attirata dalla giubba del tenente. Dunbar abbassò lo sguardo sul petto e sulla fila di
bottoni di bronzo, poi guardò nuovamente il suo compagno di caccia. Gli occhi del
guerriero erano lievemente appannati mentre sporgeva un dito e lo appoggiava su uno
dei bottoni.
<< Vuoi questa? >> chiese il tenente, e al suono della sua voce gli occhi di Vento-nei-
capelli tornarono normali.
Il guerriero non disse nulla. Si guardò il polpastrello per vedere se dai bottoni fosse venuto
via qualcosa.
<< Se la vuoi >>, disse il tenente, << puoi prenderla. >>
Slacciò i bottoni, si tolse la giubba e la porse al guerriero.
Vento-nei-capelli capì che gliela stava offrendo, ma non la prese subito. Cominciò invece
a slacciare il magnifico pettorale fatto di sottili ossa che portava legato attorno al collo
e alla vita. Con una mano lo tese a Dunbar e con l'altra prese la giubba.
Il tenente lo aiutò ad allacciare i bottoni della giubba e quando l'ebbe indosso, vide che
Vento-nei-capelli era felice come un bambino la mattina del giorno di Natale.
Dunbar fece il gesto di restituirgli lo splendido pettorale, ma incontrò un rifiuto. Vento-nei-
capelli scosse violentemente la testa e agitò le mani. Con i gesti, disse all'uomo bianco di
indossarlo.
<< Non posso prenderlo >>, balbettò il tenente. << Questo non è... non è uno scambio equo...
Mi capisci? >>
Ma Vento-nei-capelli non ne voleva sapere. Per lui, lo scambio era più che giusto. I pettorali
di ossa avevano un grande potere e farli richiedeva del tempo. Ma la giubba era una cosa
assolutamente unica.
Fece voltare Dunbar di schiena, gli sistemò il pettorale e allacciò saldamente i legacci.
Così venne fatto lo scambio e ciascuno dei due uomini fu contento. Vento-nei-capelli
grugnì un saluto e si avviò verso il fuoco più vicino. Il nuovo acquisto gli stava stretto e gli
pizzicava la pelle. Ma questo era di scarsa importanza. Era sicuro che la giubba si sarebbe
rivelata un'ottima aggiunta alla sua riserva di amuleti. Con il tempo avrebbe potuto dimostrare
di possedere dei forti poteri magici, soprattutto i bottoni di bronzo e le insegne dorate sulle
spalle.

Ansioso di evitare il cibo che sapeva gli sarebbe stato appioppato se fosse passato attraverso
l'accampamento, il tenente Dunbar uscì di soppiatto dall'accampamento e lo aggirò per intero
camminando ai margini della prateria, sperando di riuscire a individuare la tenda di Uccello
Saltellante e di andarsene subito a dormire.
Al secondo giro che compì intravide la tenda contraddistinta dalla figura di un orso e sapendo
che il tepee di Uccello Saltellante era piazzato nelle vicinanze, rientrò all'interno dell'accampamento.
Non aveva fatto molta strada quando un suono lo fece esitare. Si fermò dietro una tenda non meglio
identificata. Un fuoco spandeva della luce intorno al terreno proprio di fronte a lui ed era da
quel fuoco che giungeva il suono. Era un canto, alto e ripetitivo e le voci erano chiaramente
femminili.
Rimanendo accostato alle pareti della tenda il tenente Dunbar sbirciò davanti a lui alla maniera
di un guardone.
Una dozzina di giovani donne, lasciati da parte per il momento i doveri domestici, danzavano
e cantavano in un cerchio irregolare vicino al fuoco. Da quanto poteva giudicare, non si trattava
di alcunché di rituale. Il canto era sottolineato da leggere risate e lui concluse che la danza
era improvvisata, intesa esclusivamente come divertimento.
Lo sguardo gli cadde per caso sul pettorale. Adesso era illuminato dal riverbero arancione
del fuoco e non riuscì a trattenersi dal passare una mano sulla doppia fila di ossa tubolari
che ora gli ricopriva interamente il petto e lo stomaco. Che cosa straordinaria era vedere
una tale bellezza e una tale forza riunite nello stesso luogo e allo stesso tempo. Lo faceva
sentire speciale.
Lo terrò per sempre, pensò con aria sognante.
Quando sollevò nuovamente lo sguardo, alcune delle giovani danzatrici si erano staccate
dal cerchio per formare un piccolo crocchio di donne sorridenti e che mormoravano fra di
loro, il cui oggetto di conversazione del momento era evidentemente l'uomo bianco con
indosso il pettorale di ossa. Lo guardavano in modo diretto e, anche se lui non lo notò, vi
era una punta di malizia nei loro occhi.
Poiché il tenente da molte settimane rappresentava un perenne argomento di conversazione,
le donne lo conoscevano molto bene: come un possibile dio, come un tipo buffo che faceva
ridere, come un eroe e come uno che era causa di mistero. A sua insaputa, il tenente aveva
assunto una posizione rara nella cultura comanci, che forse veniva maggiormente apprezzata
dalle donne.
Era una celebrità.
E ora, agli occhi delle donne la sua celebrità e il suo aspetto decisamente attraente venivano
intensificati dall'aggiunta del fantastico pettorale di ossa.
Dunbar accennò un inchino e, con fare un po' impacciato, uscì da dietro la tenda alla luce del
fuoco, con l'intenzione di passare oltre senza interrompere ulteriormente il loro divertimento.
Ma mentre stava passando, una delle donne allungò un braccio e gli prese delicatamente
una mano fra le sue. Al contatto, Dunbar si fermò di botto. Guardò le donne che ora stavano
ridacchiando nervosamente, e si chiese se per caso non stessero per giocargli qualche scherzo.
Due o tre di loro cominciarono a cantare e, mentre la danza riprendeva, alcune donne lo
tirarono per le braccia. Lo stavano invitando a unirsi a loro.
Non c'era molta gente nelle vicinanze. Non avrebbe avuto degli spettatori curiosi dietro alle
spalle.
E inoltre, si disse, un po' di moto lo avrebbe aiutato a digerire.
La danza era lenta e semplice. Alzare un piede, tenerlo sospeso, rimetterlo giù. Alzare l'altro
piede, tenerlo sospeso, rimetterlo giù. Si unì al cerchio e provò i passi. Li afferrò rapidamente
e in men che non si dica era perfettamente sincronizzato con le donne che danzavano con
lui, ricambiando cordialmente i loro sorrisi e divertendosi moltissimo.
Non aveva mai avuto difficoltà con il ballo. Era uno dei suoi sfoghi preferiti. A mano a mano
che la musica delle voci femminili lo trasportava, sollevò i piedi ancora più in alto, alzandoli
e lasciandoli ricadere con un nuovo stile inventato lì per lì. Cominciò a far volteggiare le braccia
come delle ruote lasciandosi trascinare sempre più dal ritmo. Alla fine, quando stava andando
veramente bene, il tenente chiuse gli occhi, perdendosi nell'estasi dei movimenti.
Questo gli impedì di accorgersi che il cerchio aveva cominciato a restringersi. Fu soltranto
quando urtò le natiche di una donna davanti a lui che il tenente si rese conto di come si
trovassero a distanza ravvicinata. Gettò un'occhiata preoccupata alle donne nel cerchio, ma
queste lo rassicurarono con dei larghi sorrisi. Dunbar continuò a danzare.
Adesso sentiva dei seni, inconfondibilmente morbidi, toccargli ogni tanto la schiena. Il suo
stomaco incontrava regolarmente il sedere della donna davanti a lui. Quando cercava di
tirarsi indietro i seni lo sospingevano nuovamente.
Niente di tutto questo era provocante, quanto era sorprendente. Non sentiva il tocco di un
corpo femminile da così tanto tempo che sembrava qualcosa di assolutamente nuovo,
troppo nuovo per sapere che cosa fare.
Non vi era nulla di manifesto sui volti delle donne a mano a mano che il cerchio si faceva
più stretto. Continuavano a sorridere allo stesso modo. E allo stesso modo continuava la
pressione delle natiche e dei seni.
Dunbar adesso non sollevava più i piedi. Lui e le donne erano talmente pigiati che non poteva
fare altro che saltellare a piedi uniti.
Il cerchio si ruppe e le donne si buttarono su di lui. Le loro mani lo toccarono gioiosamente,
giocavano con la sua schiena, il suo stomaco e le sue natiche. Tutt'a un tratto, stavano
sfiorando il suo punto più privato, sul davanti dei pantaloni.
Ancora un secondo e il tenente se la sarebbe data a gambe, ma prima che potesse fare
una mossa, le donne si erano dileguate.
Le vide scappare nell'oscurità come delle scolarette colte in fallo. Allora si girò a guardare
che cosa le avesse spaventate.
Era ritto in piedi, da solo, al margine del fuoco, splendente e minaccioso con una testa di gufo
come copricapo. Uccello Saltellante gli grugnì qualcosa, ma il tenente non avrebbe saputo dire
se fosse contrariato o no.
Lo stregone voltò le spalle al fuoco e, come un cucciolo che non credeva di fare niente di male
ma pensa che verrà comunque punito, il tenente Dunbar lo seguì.


(continua)

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01/11/2007 17:32

(segue)

Per come andarono le cose, il suo incontro con le donne che danzavano non ebbe
alcuna ripercussione. Ma, con suo sgomento, Dunbar trovò il fuoco davanti alla
tenda di Uccello Saltellante attorniato di gente che stava ancora festeggiando.
Insistettero perché assaggiasse per primo le costolette arrostite appena tolte dal
fuoco.
Così il tenente rimase seduto con loro per un po', crogiolandosi nel buonumore della
gente attorno a lui mentre rimpinzava con dell'altra carne il suo stomaco già gonfio.
Un'ora dopo riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti e, quando incontrò lo
sguardo di Uccello Saltellante, lo stregone si alzò da dove si trovava. Portò il soldato
bianco dentro la tenda e lo condusse a un giaciglio che era stato appositamente
preparato per lui contro una parete.
Il tenente Dunbar si lasciò cadere sulle pelli e cominciò a sfilarsi gli stivali. Era così
assonnato che non pensò di dire buonanotte e riuscì soltanto a intravedere la schiena
dello stregone mentre questo stava già uscendo dalla tenda.
Dunbar lasciò cadere con noncuranza gli stivali sul terreno e si sistemò sul giaciglio.
Si coprì gli occhi con un braccio e fluttuò verso il sonno. Nei momenti indistinti che
precedono lo stato d'incoscienza, la sua mente cominciò a riempirsi di un flusso
continuo di immagini piacevoli, sfocate e vagamente sessuali. Delle donne si muovevano
intorno a lui. Non riusciva a distinguere i volti, ma sentiva il mormorio delle loro morbide
voci. Vedeva le loro figure passare vicino a lui e turbinare come le pieghe di un vestito
che danzava nel vento.
Poteva sentire che lo toccavano leggermente e mentre si lasciava trasportare, sentì la
pressione della carne nuda sulla sua pelle.

Udì qualcuno ridergli sommessamente nell'orecchio, ma non riusciva ad aprire gli occhi.
Erano troppo pesanti. Ma le risatine continuavano e a un certo punto il suo naso percepì
un odore. La pelle di bisonte. Adesso riusciva a sentire che il riso sommesso non era
nel suo orecchio. Ma era lì vicino. Era nella tenda.
Con uno sforzo aprì gli occhi e girò la testa nella direzione del suono. Non riusciva a vedere
nulla e si sollevò leggermente. La tenda era silenziosa, le sagome indistinte dei famigliari
di Uccello Saltellante erano immobili. Sembrava che tutti stessero dormendo.
Poi, udì nuovamente ridere. Il tono era acuto e dolce, sicuramente la risata di una donna,
e veniva da un punto della parte opposta del pavimento. Il tenente si sollevò ancora un poco,
abbastanza da riuscire a vedere oltre il fuoco quasi spento al centro della stanza.
La donna rise nuovamente e la voce di un uomo, bassa e mite, arrivò fino a lui. Poteva
vedere lo strano fagotto che pendeva sempre al disopra del giaciglio di Uccello Saltellante.
I suoni provenivano da lì.
Dunbar non riusciva a capire che cosa stesse succedendo e, strofinandosi velocemente gli
occhi, si tirò ancora più su.
Adesso distingueva le sagome di due persone, le teste e le spalle sporgevano dal giaciglio
e i loro vivaci movimenti sembravano fuori posto a quell'ora così tarda. Il tenente restrinse
gli occhi, cercando di penetrare l'oscurità.
I loro corpi cambiarono all'improvviso posizione. Uno salì sopra all'altro, formandone uno
solo. Vi fu un momento di silenzio assoluto prima che un gemito lungo e sommesso, come
se qualcuno avesse espirato, gli riempisse le orecchie, e Dunbar capì che stavano facendo
l'amore.
Sentendosi ridicolo, si lasciò ricadere velocemente sul giaciglio, sperando che nessuno dei
due avesse visto la sua faccia guardarli con aria stupita dall'altra parte del pavimento.
Ora più sveglio che addormentato, rimase sdraiato sulla pelle di bisonte, ascoltando i suoni
regolari e insistenti che provenivano da loro. I suoi occhi si erano abituati al buio e riuscì a
distinguere la forma della persona addormentata più vicina a lui.
La coperta che si alzava e si abbassava con movimenti regolari gli diceva che si trattava di
un sonno profondo. Giaceva sdraiata su un fianco, con la schiena girata verso di lui. Ma
Dunbar riconobbe la forma della testa e i capelli arruffati color ciliegia.
Mano Alzata dormiva da sola e lui cominciò a pensare a lei. Poteva anche avere il sangue
di una bianca nelle vene, ma per tutto il resto apparteneva a quella gente. Parlava il loro
linguaggio come se fosse la sua lingua madre. L'inglese le era estraneo. Non si comportava
come se fosse sottoposta a qualche coercizione. Non vi era nulla in lei che facesse pensare
a una prigioniera. Sembrava essere in tutto e per tutto uguale a qualsiasi altro appartenente
alla tribù. Dedusse, correttamente, che fosse stata presa quando era ancora giovanissima.
Mentre cercava di riaddormentarsi, i fili degli interrogativi sulla donna che era due persone
gradualmente assunsero una trama ben definita, fino a che non ne rimase uno soltanto.
Chissà se questa vita la rende felice, si chiese.
La domanda rimase sospesa nella sua mente, mescolandosi pigramente con i suoni di
Uccello Saltellante e della moglie che facevano l'amore.
Poi, senza alcuno sforzo, la domanda cominciò a vorticare, dapprima lentamente per acquistare
poi velocità a ogni giro che compiva. Girò sempre più velocemente fino a che, alla fine, non
riuscì più a vederla, e il tenente Dunbar si addormentò nuovamente.




(continua)

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05/11/2007 20:44

(segue)


20




Passarono meno di tre mesi interi all'accampamento temporaneo, e tre giorni sono
un tempo breve per subire dei cambiamenti su vasta scala.
Ma è ciò che accadde.
Il corso della vita del tenente Dunbar mutò.
Non avvenne a causa di un unico, altisonante evento. Non ebbe delle visioni mistiche.
Dio non gli apparve. Non lo nominarono guerriero comanci.
Non vi fu un momento preciso, nessuna traccia di evidenza alla quale qualcuno
potesse fare riferimento per dire che era successo qui oppure là, in questo o in quel
momento.
Fu come se qualche bellissimo, misterioso virus del risveglio, rimasto a lungo in
incubazione, prendesse finalmente il sopravvento nella sua vita.
Il mattino dopo la caccia si svegliò con la mente perfettamente lucida. Non si sentiva
intorpidito dal sonno e il tenente pensò a quanto tempo era passato da quando gli
era successo di svegliarsi così. Non gli capitava da quando era ragazzo.
Si sentiva i piedi umidicci, così raccolse i suoi stivali e passò cautamente accanto
alle persone addormentate nella tenda, sperando di trovare un posto all'esterno dove
poterseli sciacquare. Lo trovò non appena si trovò fuori del tepee. La prateria ricoperta
di erba era bagnata di rugiada per miglia e miglia.
Lasciò gli stivali vicino alla tenda e si incamminò verso Est, sapendo che il branco dei
pony era là fuori da qualche parte. Voleva dare un'occhiata a Cisco.
Le prime strisce di rosa dell'alba che sorgeva avevano cominciato ad apparire e il
tenente camminò nell'erba osservando stupito quei colori, dimentico della rugiada
che gli stava già inzuppando il fondo dei calzoni.
Ogni giorno inizia con un miracolo, pensò d'improvviso.
Le strisce stavano diventando più grandi, cambiando colore a ogni secondo che
passava.
Qualunque cosa Dio possa essere, ringrazio Dio per questo giorno.
Le parole gli piacquero talmente che le disse a voce alta.
<< Qualunque cosa Dio possa essere, ringrazio Dio per questo giorno. >>
In lontananza apparvero le prime teste dei cavalli, le orecchie ritte che si profilavano
sullo sfondo della luce dell'alba. Riusciva a scorgere anche la testa di un indiano.
Probabilmente era quel ragazzo che sorrideva sempre.
Individuò Cisco senza difficoltà. Il piccolo cavallo nitrì, sentendolo arrivare, e il cuore
del tenente si allargò un poco. Cisco appoggiò il soffice muso contro il petto del
tenente e i due restarono così per qualche momento, lasciando che la frescura del
mattino incombesse su di loro. Dolcemente, il tenente sollevò con le mani la mascella
di Cisco e gli alitò sulle narici.
Mossi dalla curiosità, gli altri cavalli cominciarono ad accalcarsi attorno a loro e, prima
che potessero diventare fastidiosi, il tenente Dunbar infilò una briglia sulla testa di Cisco
e si avviò con lui verso l'accampamento.
Il cammino di ritorno offriva uno spettacolo altrettanto impressionante di quello dell'andata.
Il villaggio provvisorio era perfettamente sintonizzato sull'orologio della natura e, come
il giorno, stava lentamente nascendo.
Erano già stati accesi alcuni fuochi e nel breve tempo in cui era stato assente sembrava
quasi che tutti si fossero alzati. A mano a mano che la luce aumentava d'intensità, come
se venisse gradualmente accesa una lampada, anche le figure che si muovevano
nell'accampamento acquistavano luminosità.
<< Quale armonia >> disse piano il tenente, camminando con un braccio appoggiato di
traverso sui garresi di Cisco.
Poi si immerse in una profonda e complessa linea di pensiero astratto sulle virtù
dell'armonia che non lo abbandonò fin dopo che ebbe fatto colazione.



(continua)


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06/11/2007 09:55

(segue)


Quella mattina uscirono nuovamente, e Dunbar uccise un altro bisonte. Questa volta
tenne saldamente Cisco sotto controllo durante la carica e invece di piombare in
mezzo alla mandria, controllò ai lati di questa per individuare un probabile animale
e puntò su di lui. Sebbene mirasse con molta cura, il primo colpo fu alto e dovette
spararne un secondo per finire il lavoro.
La femmina di bisonte che aveva abbattuto era grossa e venne complimentato per
la buona scelta da un gruppo di guerrieri che lo avevano raggiunto per vedere la sua
preda. Non vi fu lo stesso senso di eccitazione che aveva contraddistinto il primo
giorno di caccia. Quel giorno non mangiò del fegato fresco ma, sotto ogni aspetto,
si sentì più esperto.
Ancora una volta, le donne e i bambini si riversarono nella pianura per macellare le
bestie e nel tardo pomeriggio l'accampamento temporaneo traboccava di carne.
Come dei grossi funghi dopo un'acquazzone, per tutto l'accampamento spuntarono
innumerevoli cavalletti costruiti con rami d'albero, piegati sotto il peso della carne
appesa ad essiccare, e vi furono altri festeggiamenti a base di ghiottonerie arrostite
sul fuoco.
Poco dopo il loro rientro all'accampamento, i guerrieri più giovani e un gruppo di ragazzi
non ancora pronti per scendere sul sentiero di guerra organizzarono una gara di corsa
con i cavalli. Faccia Sorridente ci teneva molto a gareggiare con Cisco. Avanzò la sua
richiesta con una tale deferenza che il tenente non poté rifiutare ed erano già state
corse parecchie gare prima che si rendesse conto, con orrore, che ai vincitori venivano
dati in premio i cavalli dei perdenti. Tenendo le dita incrociate, riuscì a scovare Faccia
Sorridente. Fortunatamente per il tenente, il ragazzo aveva vinto tutt'e tre le sue corse.
Più tardi ci furono i giochi d'azzardo e Vento-nei-capelli invitò il tenente a unirsi a uno di
questi. A parte il fatto che veniva giocato con dei dadi, il gioco non li era familiare e
impararne i segreti gli costò l'intera provvista di tabacco. Alcuni dei giocatori erano
interessati ai calzoni con le strisce gialle ai lati, ma avendo già barattato il berretto e la
giubba il tenente pensò di dover almeno mantenere qualche parvenza di essere in
uniforme.
Inoltre, a giudicare da come stavano andando le cose, avrebbe perso i pantaloni e non
avrebbe avuto niente da mettersi addosso.
Erano molto interessati anche al pettorale di ossa, ma anche quello era fuori questione.
Dunbar offrì loro il vecchio paio di stivali che portava, ma per gli indiani non avevano
alcun pregio. Alla fine, il tenente mostrò loro il suo fucile, e i giocatori lo accettarono
all'unanimità.
Scommettere il fucile aveva creato una grossa agitazione e il gioco divenne subito una
faccenda seria: la posta era decisamente alta e questo richiamò numerosi osservatori.
Adesso, il tenente sapeva che cosa stava facendo e a mano a mano che il gioco andava
avanti, i dadi lo presero in simpatia. Infilò una sequenza di tiri fortunati e al termine della
sua volata non solo continuava a conservare il fucile, ma adesso era il nuovo padrone di
tre ottimi pony.
I perdenti gli consegnarono i loro tesori con tale garbo e buonumore che Dunbar si sentì
indotto a a rispondere nello stesso modo. Fece immediatamente dono delle sue vincite.
Diede a Vento-nei-capelli il più alto e più robusto dei tre pony. Poi, con un codazzo di
curiosi dietro di lui, condusse gli altri due pony attraverso l'accampamento e, arrivato
alla tenda di Uccello Saltellante, porse le redini allo stregone.
Uccello Saltellante era compiaciuto ma sconcertato. Quando qualcuno gli spiegò da dove
erano venuti i cavalli, si guardò intorno, intravide Mano Alzata e la chiamò, facendole
cenno che voleva che parlasse per lui.
Lei si avvicinò. Era una vista raccapricciante, con il volto, le braccia e il grembiule cosparsi
del sangue dei bisonti uccisi.
Dapprima, addusse a pretesto l'ignoranza, scuotendo la testa in segno di diniego, ma
Uccello Saltellante insistette e la piccola adunanza davanti alla tenda si fece silenziosa,
in attesa di vedere se sarebbe stata in grado di dire nella lingua dell'uomo bianco ciò
che Uccello Saltellante aveva chiesto.
Mano Alzata abbassò lo sguardo sui propri piedi e mosse alcune volte le labbra.
<< Ghe-zia >>, disse.
<< Come? >> rispose lui, sforzandosi di sorridere.
<< Ga-zi. >>
Puntò un dito contro il braccio del tenente e con l'altra mano fece un ampio gesto in
direzione dei pony.
<< Ca-val-lo. >>
<< Grazie? >> indovinò il tenente. << A me? >>
Mano alzata fece cenno di sì con la testa.
<< Sì >>, disse chiaramente.
Il tenente Dunbar allungò la mano per stringere quella di Uccello Saltellante ma lei lo
fermò. Non aveva finito. Tenendo un dito della mano sollevato, si piazzò fra i due pony.
<< Ca-val-lo >>, disse, indicando il tenente con l'altra mano. Ripeté la parola e quindi
indicò Uccello Saltellante.
<< Uno per me? >> chiese il tenente, usando gli stessi gesti della mano, << e uno per
lui? >>
Mano Alzata emise un sospiro di contentezza e, rendendosi conto che lui capiva, sorrise
debolmente.
<< Sì >>, disse, e senza pensare un'altra vecchia parola, pronunciata perfettamente,
le uscì dalle labbra. << Esatto. >>
Quella parola, austera e appropriata, suonò così strana che il tenente Dunbar scoppiò
in una sonora risata. Come una scolara che abbia detto qualcosa di sciocco, Mano
Alzata si coprì la bocca con la mano.
Stavano scherzando fra loro. Lei sapeva che la parola le era sfuggita di bocca come
un involontario singhiozzo e anche il tenente lo sapeva. Per azione riflessa, guardarono
entrambi Uccello Saltellante e gli altri. I volti degli indiani erano però privi di espressione
e quando gli occhi dell'ufficiale di cavalleria e della donna che era due persone tornarono
nuovamente a incontrarsi, esprimevano il riso per qualcosa di intimo che soltanto loro
potevano condividere. Non vi era modo di spiegarlo adeguatamente agli altri. Non era
abbastanza buffo perché si dessero la pena di farlo.
Il tenente Dunbar non tenne l'altro pony. Lo condusse invece alla tenda di Dieci Orsi e,
senza saperlo, con questo gesto elevò ulteriormente il suo rango. La tradizione comanci
richiedeva che i ricchi distribuissero la loro ricchezza fra coloro che erano meno fortunati.
Ma Dunbar invertiva quel principio e il vecchio pensò che quell'uomo bianco era
veramente straordinario.
Quella notte, mentre sedeva attorno al fuoco di Uccello Saltellante e ascoltava una
conversazione che non capiva, vide per caso Mano Alzata. Era accovacciata non molto
distante da loro e lo guardava. Teneva la testa inclinata e i suoi occhi sembravano pieni
di curiosità. Prima che lei potesse distogliere lo sguardo, Dunbar fece un breve cenno
del capo in direzione del guerriero e del suo monologo, atteggiò la faccia a un'espressione
seria e appoggiò una mano a lato della bocca.
<< Esatto >>, sussurrò a voce alta.
Lei volse rapidamente lo sguardo dall'altra parte. ma mentre lo faceva, il tenente udì
distintamente il suono di una risatina.




(continua)

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06/11/2007 18:05

(segue)


Rimanere per dell'altro tempo sarebbe stato inutile. Avevano tutta la carne che erano
in grado di trasportare. Subito dopo l'alba, l'accampamento provvisorio era stato
completamente smontato e tutto era stato caricato. A metà mattino, la colonna era
in marcia. Con il peso del carico, il viaggio di ritorno richiese il doppio del tempo
e quando raggiunsero Fort Sedgewick stava già facendo buio.
Una portantina carica di parecchie centinaia di chili di strisce di carne essiccate al
sole venne portata all'interno e scaricata nel deposito dei rifornimenti. Seguì un
fermento di saluti. Dalla soglia della sua baracca di terriccio, il tenente Dunbar rimase
a osservare la carovana mentre questa riprendeva la sua marcia diretta all'accampamento
permanente a monte del fiume.
Senza premeditazione, i suoi occhi scrutarono nella semioscurità che circondava la
lunga e rumorosa colonna cercando di scorgere Mano Alzata.
Non riuscì a vederla.

Trovarsi di nuovo al forte gli suscitava dei sentimenti contrastanti.
Riconosceva il forte come la sua casa e questo era rassicurante. Era bello sfilarsi gli
stivali, sdraiarsi sul giaciglio e stiracchiarsi inosservato. Con gli occhi semichiusi
osservò lo stoppino che tremolava nella lampada e si lasciò pigramente trasportare
dalla quiete che circondava la baracca. Ogni cosa era al suo posto, e anche lui lo era.
Non erano passati molti minuti, però, quando si accorse che il suo piede destro si
stava agitando di qua e di là con un'energia immotivata.
Che cosa stai facendo? si chiese, e immobilizzò il piede. Non sei nervoso.
Non passò un minuto e si ritrovò con le dita della mano destra che tamburellavano
impazienti sul petto.
Non era nervoso. Era annoiato. Annoiato e solo.
In passato avrebbe allungato la mano per prendere la borsa del tabacco, avrebbe
arrotolato una sigaretta e si sarebbe tenuto occupato fumandola. Ma non c'era più
tabacco.
Potrei andare a dare un'occhiata al fiume, pensò, e con questo si infilò nuovamente
gli stivali e uscì all'aperto.
Si fermò, pensando al pettorale che per lui era così prezioso. Era appoggiato sopra
la sella regolamentare dell'esrcito che aveva portato dal deposito dei rifornimenti.
Tornò dentro, con l'intenzione di guardarlo soltanto.
Persino alla debole luce della lampada, risplendeva vivacemente. Il tenente Dunbar
vi fece scorrere sopra la mano. Il pettorale sembrava di vetro. Lo raccolse e,
sfiorandosi fra loro, le ossa che lo componevano fecero udire un secco tintinnio. Gli
piaceva il loro freddo, duro contatto sul petto nudo.
L' << occhiata al fiume >> si trasformò in una lunga camminata. Era di nuovo quasi
plenilunio e non aveva bisogno della lanterna mentre camminava con passo leggero
lungo il promontorio che dava sul fiume.
Fece le cose con calma e sostò spesse volte a guardare il fiume, oppure un ramo che
si piegava nella brezza notturna, o un coniglio che rosicchiava un arbusto. Ogni cosa
era indifferente alla sua presenza.
Si sentiva invisibile. Era una sensazione che gli piaceva.
Dopo circa un'ora cambiò direzione e si incamminò verso la baracca. Se qualcuno
fosse stato lì a guardarlo mentre passava, avrebbe visto che nonostante la leggerezza
della sua andatura e l'attenzione concentrata su tutto fuorché se stesso, il tenente non
era per nulla invisibile.
Resistendo alla tentazione, si fermava a guardare verso la luna. Poi sollevava la testa,
si girava in modo che il suo corpo venisse a trovarsi nel pieno del suo magico chiarore,
e il pettorale brillava di una luce bianchissima, come una stella che stesse avvicinandosi
alla Terra.

Il giorno seguente accadde una cosa strana.
Dunbar passò il mattino e parte del pomeriggio cercando di fare qualche lavoro lì intorno:
smistare nuovamente ciò che era rimasto delle provviste, bruciare qualcosa che non serviva,
trovare un modo per conservare al sicuro la carne e fare qualche annotazione sul diario.
Fece tutto di malavoglia. Pensò di puntellare nuovamente il recinto ma concluse che non
sarebbe stato altro che inventarsi del lavoro per conto proprio. Aveva già fatto troppi
lavori da sé. Lo faceva sentire senza guida.
Quando il sole stava ormai calando, si trovò a desiderare di fare un'altra passeggiata
nella prateria. Era stata una giornata rovente. Lavorando, aveva sudato copiosamente
e il sudore era filtrato attraverso i pantaloni e gli provocava un fastidioso pizzicore alle
cosce. Non c'era alcun motivo perché questa sensazione sgradevole lo accompagnasse
nella sua passeggiata. Così, Dunbar si diresse verso la prateria senza nulla indosso,
sperando di poter magari incontrare Due Calzini.
Allontanandosi dal fiume, cominciò a camminare verso l'immensa distesa erbosa che
ondeggiava lievemente in ogni direzione, animata da una propria forza vitale.
L'erba aveva ormai raggiunto l'apice della crescita e in alcuni punti arrivava a sfiorargli
i fianchi. Sopra di lui, il cielo era pieno di bianche nuvole fioccose che spiccavano
contro l'azzurro puro come delle figure ritagliate.
Su una piccola altura a un miglio dal forte, Dunbar si sdraiò nell'erba. Con una protezione
frangivento su tutti i lati, restò ad assorbire l'ultimo calore del sole, fissando vagamente
le nuvole che lentamente si spostavano nel cielo.
Il tenente si girò sul ventre per esporre la schiena al sole e quando si mosse nell'erba,
fu inondato da una sensazione improvvisa, una sensazione che non conosceva da così
tanto tempo che, dapprima, non fu sicuro di ciò che stava provando.
Attorno a lui l'erba frusciava, mossa dalla brezza. Il sole si posava sulla sua schiena
come un manto di calore asciutto. La sensazione divenne sempre più intensa e Dunbar
vi si arrese.
La sua mano scivolò verso il basso e, in quel momento, il tenente smise di pensare.
Non vi era niente a guidare il suo atto: nessuna visione, o parole, o ricordi. Solo la
sensazione, e nient'altro.
Quando tornò di nuovo in sé, guardò il cielo e vide la terra girare allo stesso modo delle
nuvole. Si girò sulla schiena, allungò le braccia lungo i fianchi alla maniera di un cadavere
e galleggiò ancora un po' sul suo letto di erba e di terra.
Poi chiuse gli occhi e sonnecchiò per mezz'ora.



(continua)

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07/11/2007 15:31

(segue)

Quella notte si agitò e si rigirò sul suo giaciglio, con la mente che si spostava velocemente
da un soggetto all'altro come se stesse ispezionando una lunga sequela di stanze
per trovare un luogo per riposare.
Ogni stanza era chiusa oppure inospitale, finché alla fine arrivò dove, in fondo alla sua
mente, aveva sempre saputo di essere diretto.
La stanza era piena di indiani.
L'idea gli parve così giusta che pensò di mettersi in viaggio verso l'accampamento di
Dieci Orsi, all'istante. Ma gli sembrò troppo impulsivo.
Mi sveglierò presto, pensò. Forse, questa volta rimarrò un paio di giorni.
Si svegliò prima dell'alba. Non vedeva l'ora di partire, ma si costrinse a non alzarsi,
resistendo all'idea di correre a precipizio al villaggio. Voleva andarci senza delle
aspettative avventate e restò a letto fino a quando spuntò l'alba.
Quando ebbe indosso tutto tranne la camicia, la raccolse e infilò il braccio in una delle
maniche. Si fermò e guardò attraverso la finestra della baracca per controllare il tempo.
Nella stanza faceva già caldo e fuori, probabilmente, era ancora più caldo.
Sarà una giornata torrida, pensò, mentre liberava il braccio dalla manica della camicia.
Il pettorale adesso era appeso a un piolo e, mentre allungava la mano per prenderlo,
il tenente si rese conto che era quello che aveva voluto indossare dall'inizio,
indipendentemente dal tempo.
Infilò dunque la camicia in una bisaccia, per ogni evenienza.

Due Calzini stava aspettando all'esterno.
Quando vide il tenente Dunbar avvicinarsi alla porta, fece due rapidi passi indietro,
compì una specie di giravolta su se stesso, si spostò leggermente di lato e si accucciò,
ansimando come un cucciolo.
Dunbar piegò la testa di lato, con fare interrogativo.
<< Che cosa ti prende? >>
Alla voce del tenente, il lupo sollevò la testa. Aveva uno sguardo così penetrante che
Dunbar si mise a ridere fra sé.
<< Vuoi venire con me? >>
Due Calzini saltò su ritto sulle zampe e fissò il tenente senza muovere un muscolo.
<< Bene, allora andiamo. >>

Uccello Saltellante si svegliò pensando a << Jun >>, laggiù al forte dell'uomo bianco.
<< Jun. >> Che nome strano. Cercò di pensare a che cosa potesse significare. Giovane
Cavaliere, forse. O Cavaliere Veloce. Probabilmente aveva qualcosa a che fare con
l'andare a cavallo.
Era bello sapere che la prima caccia della stagione era stata portata a termine. Con
l'arrivo dei bisonti il problema del cibo era stato finalmente risolto e questo significava
che lui poteva ritornare al suo piccolo progetto con una certa regolarità. Lo avrebbe
ripreso quel giorno stesso.
Lo stregone andò alle tende di due dei suoi consiglieri più fidati e chiese loro se volevano
recarsi al forte con lui. Fu sorpreso di constatare quanto fossero desiderosi di andarci,
ma lo interpretò comunque come un buon segno. Nessuno aveva più paura. In effetti,
la gente sembrava a suo agio con il soldato bianco. Nei discorsi che aveva udito negli
ultimi giorni vi erano persino delle espressioni di amabilità nei suoi confronti.
Uccello Saltellante lasciò l'accampamento sentendosi molto bendisposto verso il giorno
che stava per cominciare.
Per quanto riguardava le prime fasi del suo piano, tutto era andato bene. Il terreno era
stato ormai preparato. Adesso, poteva passare alla vera questione: indagare sulla
razza bianca.



(continua)

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07/11/2007 19:33

(segue)

Il tenente Dunbar calcolò che doveva aver percorso circa quattro miglia. Aveva pensato
che, dopo le prime due, il lupo se ne sarebbe già andato. Al terzo miglio aveva cominciato
a meravigliarsi. Adesso, dopo quattro miglia, era decisamente perplesso.
Erano entrati in un basso avvallamento erboso incuneato fra due alture e il lupo era
sempre dietro di lui. Non lo aveva mai seguito fino a quella distanza.
Il tenente smontò agilmente da cavallo e restò a guardare Due Calzini: come era sua
abitudine, anche il lupo si era fermato. Mentre Cisco si metteva tranquillamente a
mangiare l'erba lì intorno, Dunbar si avviò in direzione di Due Calzini, pensando che,
vedendolo arrivare, il lupo sarebbe scappato. Ma la testa e le orecchie che sopravanzavano
l'erba non si mossero e quando il tenente si fermò, il lupo era a meno di un metro da lui.
Due Calzini inclinò leggermente la testa, in attesa, ma per il resto rimase immobile
quando Dunbar si acquattò davanti a lui.
<< Non credo che sarai il benvenuto, là dove sto andando >>, disse il tenente a voce
alta, come se stesse chiacchierando confidenzialmente con un suo simile.
Gettò una rapida occhiata in direzione del sole. << Farà parecchio caldo. Perché non
te ne torni a casa? >>
Il lupo ascoltava con attenzione, ma ancora non si muoveva.
<< Forza, Due Calzini >>, disse con tono irritato, << tornatene a casa. >>
Fece un gesto brusco con le mani per cacciarlo via e Due Calzini si scostò velocemente
di lato.
Dunbar fece di nuovo sciò per allontanarlo e il lupo spiccò un breve balzo, ma era
evidente che Due Calzini non aveva intenzione di tornarsene a casa.
<< D'accordo, allora >>, disse Dunbar con tono enfatico, << non tornare indietro. Però
resta. Restatene qui. >>
Sottolineò le parole puntando decisamente un dito in direzione del terreno e fece
dietrofront. Si era appena girato quando udì l'ululato. Non a gola spiegata, ma sommesso,
lamentoso e ben definito.
Un ululato.
Il tenente voltò di colpo la testa ed ecco Due Calzini con il muso rivolto verso l'alto, gli
occhi puntati sul tenente Dunbar, che gemeva come un bambino che mette il broncio.
A un osservatore imparziale sarebbe sembrata un'esibizione straordinaria, ma per il tenente,
che lo conosceva molto bene, si trattava semplicemente dell'ultima goccia.
<< Tornatene a casa! >> ruggì Dunbar, avventandosi verso di lui. Come un figlio che abbia
abusato della pazienza di suo padre, il lupo appiattì le orecchie e batté in ritirata,
filando via di corsa con la coda fra le zampe.
Allo stesso tempo, Dunbar si mise a correre nella direzione opposta, pensando di
saltare in groppa a Cisco, partire al galoppo e seminare Due Calzini.
Stava correndo in mezzo all'erba pensando al suo piano, quando apparve Due Calzini,
saltellando gioiosamente al suo fianco.
<< Tornatene a casa >>, ringhiò il tenente, e virò di colpo verso il suo inseguitore. Due
Calzini spiccò un balzo come un coniglio spaventato, annaspando con le zampe sul terreno
nella fretta di scappare. Quando riuscì a raddrizzarsi, il tenente era a un passo dietro di lui.
Dunbar allungò una mano, lo afferrò per la base della coda e strinse. Il lupo schizzò in
avanti come se sotto di lui fosse scoppiato un mortaretto e Dunbar scoppiò a ridere
così sonoramente che dovette smettere di correre.
Due Calzini corse via per un po' e poi si fermò, girando la testa a guardare il tenente
dietro di lui con un'espressione talmente sconcertata che il tenente non poté fare a meno
di sentirsi dispiaciuto per lui.
Dunbar gli fece un cenno di saluto e, sempre ridacchiando, si voltò e vide che Cisco stava
girovagando nella direzione da cui erano venuti, in cerca dell'erba migliore.
Il tenente montò in groppa e si avviò a un leggero trotto, incapace di trattenere le risate
rivedendo la scena di Due Calzini che scappava al contatto della sua mano.
Ebbe un sobbalzo quando qualcosa gli afferrò la caviglia e poi la lasciò andare. Si girò
di colpo, pronto ad affrontare lo sconosciuto assalitore.
Due Calzini era lì, ansimante come un pugile fra un round e l'altro dell'incontro.
Il tenente Dunbar lo fissò per alcuni secondi.
Due Calzini gettò uno sguardo indifferente in direzione di casa, come se pensasse che
il gioco stesse per arrivare a una conclusione.
<< D'accordo, allora >>, disse a bassa voce il tenente. << Puoi venire, oppure puoi
restare. Ho già perso abbastanza tempo con questa faccenda. >>
Forse si trattò di un piccolo rumore o di qualcosa portato dal vento. Qualunque cosa fosse,
Due Calzini l'avvertì. Si voltò di scatto e fissò su per la pista con il pelo ritto.
Dunbar guardò anche lui e subito vide Uccello Saltellante con altri due uomini. Erano lì
vicino, sul fianco di un'altura, che osservavano.
Il tenente agitò con foga una mano e gridò un << salve >>, mentre Due Calzini se la filava
di soppiatto.

Uccello Saltellante e i suoi amici erano rimasti a osservare per un po' di tempo, abbastanza
a lungo da vedere tutta la scena. Si erano divertiti moltissimo. Uccello Saltellante sapeva
anche di aver assistito a qualcosa di prezioso, qualcosa che aveva fornito la soluzione
a una delle perplessità che riguardavano l'uomo bianco... il problema di quale nome dargli.
Un uomo dovrebbe avere un vero nome, pensò, mentre scendevano lungo il pendio per
andare incontro al tenente Dunbar, soprattutto quando si tratta di un uomo bianco che si
comporta come fa lui.
Si ricordò dei vecchi nomi, come Uomo-che-brilla-come-la-neve, e qualcuno dei nuovi
nomi di cui aveva sentito parlare al villaggio, come Colui-che-trova-i-bisonti. Nessuno
gli si adattava veramente. Sicuramente, non Jun.
Era sicuro che si trattasse del nome giusto. Era appropriato alla personalità del soldato
bianco. La gente lo avrebbe ricordato per questo. E lo stesso Uccello Saltellante, con
due testimoni a sostenerlo, era presente nel momento in cui il Grande Spirito lo aveva
rivelato.
Lo disse tra sé alcune volte mentre scendeva lungo il pendio. Era un buon nome e anche
il suo suono era gradevole.
Danza-con-i-lupi.




(continua)


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(segue)

21



In un modo tranquillo, fu uno dei giorni più appaganti della vita del tenente Dunbar.
La famiglia di Uccello Saltellante lo accolse con un calore e un rispetto che lo fecero
sentire qualcosa di più di un ospite. Erano sinceramente felici di vederlo.
Lui e Uccello Saltellante si dedicarono a una buona fumata di pipa che, a causa delle
continue ma piacevoli interruzioni, andò avanti fino a pomeriggio inoltrato.
La notizia del nome del tenente Dunbar e di come lo avesse avuto si sparse per il campo
con la solita, sorprendente velocità, e a questa notizia illuminante ogni persistente
sospetto che la gente avrebbe potuto nutrire nei confronti del soldato bianco svanì.
Non era un dio, ma era diverso da qualsiasi altro uomo con la faccia coperta di peli
che avevano incontrato. Era uno stregone. Vi era un andirivieni di guerrieri alla tenda di
Uccello Saltellante, alcuni con l'intenzione di salutarlo, altri semplicemente per mettere
gli occhi addosso a Danza-con-i-lupi.
Ora il tenente riconosceva la maggior parte di loro. A ogni arrivo si alzava e faceva il suo
breve inchino. Alcuni di loro lo ricambiavano. Qualcuno tese la mano come avevano visto
fare lui.
Non vi era molto di cui potessero discutere, ma il tenente cominciava a cavarsela bene
con i segni, abbastanza bene da commentare nuovamente alcuni dei momenti più salienti
della caccia. E la maggior parte delle visite si basarono su quest'argomento.
Dopo un paio d'ore l'afflusso dei visitatori cominciò a diminuire fino a cessare del tutto e
Dunbar si stava chiedendo perché non avesse visto Mano Alzata e se tale incontro fosse
previsto, quando Vento-nei-capelli entrò improvvisamente nella tenda.
Mentre si stringevano la mano, il tenente Dunbar pensò che quell'uomo gli piaceva. Era
bello rivederlo.
Gli stessi sentimenti furono il primo pensiero di Vento-nei-capelli ed entrambi si sedettero
per discorrere amichevolmente, sebbene nessuno dei due riuscisse a capire che cosa
dicesse l'altro.
Uccello Saltellante chiamò la moglie perché portasse del cibo e poco dopo i tre uomini
mangiarono voracemente un pasto a base di carne essiccata e di bacche. Mangiarono
senza dire una parola.
Dopo il pasto venne riempita un'altra pipa e i due indiani si immersero in una conversazione
di cui il tenente non riusciva a intuire l'argomento. Dai loro gesti e dal tono, però, immaginò
che si trattasse di qualcosa di più delle normali quattro chiacchiere.
Sembrava che stessero facendo dei piani per qualche azione o iniziativa e Dunbar non fu
sorpreso quando, terminati i loro discorsi, entrambi gli uomini si alzarono, chiedendogli
di seguirli mentre lasciavano la tenda.
Il tenente andò con loro fino alla tenda di Uccello Saltellante. Dietro la tenda, ad attenderli,
vi era depositato del materiale. Una catasta di pertiche flessibili di legno di salice accanto
a un grosso mucchio di ramaglia secca.
I due uomini tennero un altro, più breve, conciliabolo, poi si misero al lavoro. Quando il tenente
capì che cosa stava prendendo forma, cercò di dare loro una mano, ma prima che potesse
contribuire gran che, il materiale era stato trasformato in una specie di pergola ombrosa
alta circa un metro e mezzo.
Una piccola parte era stata lasciata libera in modo da formare un'entrata e Dunbar fu invitato
ad accedervi per primo. Non vi era abbastanza spazio per poter stare in piedi ma, una volta
che si fu seduto, trovò che il posto era spazioso e tranquillo. La ramaglia proteggeva molto
bene dal sole ed era abbastanza da consentire che l'aria circolasse liberamente.
Fu soltanto quando ebbe terminato la sua rapida ispezione che si accorse che Uccello
Saltellante e Vento-nei-capelli erano spariti. Una settimana prima la loro repentina scomparsa
avrebbe causato in lui una certa inquietudine, ma, come gli indiani, non era più sospettoso.
Il tenente era soddisfatto di starsene tranquillamente seduto contro la parete sorprendentemente
robusta, ascoltando i suoni ora familiari dell'accampamento di Dieci Orsi mentre attendeva
gli sviluppi della situazione.
Non tardarono molto ad arrivare.
Erano passati soltanto pochi minuti quando udì un rumore di passi avvicinarsi. Uccello
Saltellante entrò dalla piccola apertura e andò a sedersi abbastanza distante da lasciare
un posto per un'altra persona fra loro due.
Un'ombra che si profilava attraverso l'apertura disse a Dunbar che qualcun altro stava aspettando
di entrare. Senza pensare, dedusse che si trattava di Vento-nei-capelli.
Uccello Saltellante chiamò a voce bassa. L'ombra si mosse, accompagnata da un tintinnio
di campanellini, e Mano Alzata entrò, chinandosi attraverso l'apertura.
Dunbar si scostò di lato per farle posto mentre lei si accoccolava fra lui e Uccello Saltellante
e in quei pochi secondi Dunbar vide che in lei vi era molto di nuovo.
I campanellini erano cuciti sui lati di un paio di mocassini finemente orlati di perline. Il vestito
di pelle di daino aveva l'aspetto di un cimelio di famiglia, qualcosa di prezioso che veniva tenuto
con molta cura e non per tutti i giorni. Il corpetto era cosparso di piccole ossa compatte disposte
a righe. Erano denti di alce.
Attorno al polso che era di fianco a lui portava uno spesso braccialetto di bronzo. Al collo aveva
una stretta collana fatta con lo stesso tipo di ossa del pettorale che Dunbar indossava. I suoi
capelli, puliti e fragranti, erano raccolti in una treccia che le ricadeva lungo la schiena, rivelando
così molto di più del viso dagli zigomi alti e dalle sopracciglia ben delineate di quanto lui
avesse visto finora. Adesso, gli sembrava più delicata e femminile. E ancora di più una bianca.
Gli venne in mente, allora, che la pergola fosse stata costruita come un posto dove potessero
incontrarsi. E nel tempo che lei impiegò a sedersi, il tenente si rese conto di quanto avesse
desiderato di vederla nuovamente.
Lei non lo aveva ancora guardato e, mentre Uccello Saltellante le borbottava qualcosa, Dunbar
decise di prendere l'iniziativa e di salutarla.
Accadde così che voltarono la testa, aprirono la boca e dissero la parola << Hello >> esattamente
nello stesso momento. I due saluti si scontrarono nello spazio fra di loro, e i due si ritrassero
impacciati per questo inizio imprevisto.
Uccello Saltellante vide nell'incidente un'auspicio favorevole. Vide due persone che avevano
gli stessi pensieri. Poiché questo era esattamente ciò in cui aveva sperato, gli sembrò ironico.
Lo stregone rise fra sé. Poi additò il tenente Dunbar e grugnì come se dicesse: << Continuate...
comincia tu per primo >>.
<< Hello >>, disse lui amabilmente.
Lei sollevò il capo. Il suo viso aveva un'espressione seria, ma Dunbar notò che non vi era nulla
dell'ostilità che aveva visto in precedenza.
<< Hulo >>, rispose lei.



(continua)


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08/11/2007 15:05

(segue)

Quel giorno rimasero a lungo all'interno della pergola e la maggior parte del tempo
venne spesa ripassando le poche, semplici parole che si erano scambiati durante
la loro prima, formale seduta.
Verso il tramonto, quando tutti e tre si furono stancati delle continue, stentate ripetizioni,
a Mano Alzata venne improvvisamente in mente di tradurre il suo nome indiano.
L'idea la eccitò talmente che cominciò subito a insegnarglielo. Prima, doveva far
capire ciò che voleva. Puntò un dito verso di lui e disse: << Jun >>. Poi, additò se stessa
e non disse nulla. Proseguendo nella stessa azione, sollevò un dito per indicare:
<< Aspetta. Ora ti farò vedere >>.
Lo schema era che lui compisse quegli atti che lei chiedeva per immaginare poi il
relativo termine in inglese. Lei voleva che lui stesse in piedi, ma dentro alla pergola era
impossibile. Lei allora sospinse i due uomini all'esterno, dove avrebbero avuto piena
libertà di movimento.
<< Mano >> non fu difficile da capire e ci riuscì subito. Poi indovinò << sollevare >>,
<< alzare >>, << alzato >>. Dopo che lui ebbe il significato del nome in inglese, lei gli
insegnò le parole in comanci.
Da lì, imparò in rapida successione le parole in comanci per Vento-nei-capelli, Dieci
Orsi e Uccello Saltellante.
Il tenente Dunbar era eccitato. Chiese loro qualcosa con cui poter tracciare dei segni e,
usando un pezzetto di carbone di legna, fece una trascrizione fonetica dei quattro nomi
su una sottile striscia di pelle.
Mano Alzata continuava a mantenere il proprio riserbo, ma dentro di sé era elettrizzata.
Le parole inglesi si stavano riversando nella sua testa come una pioggia di scintille a
mano a mano che migliaia di porte, sbarrate per così tanto tempo, si spalancavano.
L'eccitazione di imparare la esaltava.
Ogni volta che il tenente rileggeva la lista scritta sul pezzetto di pelle e ogni volta che
arrivava a pronunciare i nomi quasi correttamente, lei lo incoraggiava con la sfumatura
di un sorriso e diceva la parola << sì >>.
Da parte sua, il tenente Dunbar non aveva bisogno di vedere il suo sorriso appena
accennato per capire che l'incoraggiamento era sincero. Poteva sentirlo nel suono
delle parole e vederlo nella forza che esprimevano i suoi occhi castano chiaro. Per lei,
sentir dire quelle parole in inglese e in comanci significava qualcosa di speciale.
L'eccitazione che provava dentro di sé era palpabile tutt'intorno a loro. Il tenente poteva
sentirla.
Non era la stessa donna, triste e sperduta, che aveva trovato nella prateria. Quel momento,
ora, era dimenticato, qualcosa lasciato dietro di sé. Dunbar era felice di vedere quanto
fosse cambiata da allora.
La cosa più preziosa era quel piccolo pezzo di pelle che teneva fra le mani. Lo reggeva
saldamente, fermamente intenzionato a non lasciarselo sfuggire. Era la prima parte di
una mappa che lo avrebbe guidato verso qualsiasi futuro lui avesse con quella gente.
Da quel momento in poi, molte cose sarebbero state possibili.
Era Uccello Saltellante, tuttavia, a essere maggiormente impressionato dal nuovo corso
degli eventi. Per lui, si trattava di un miracolo di straordinaria importanza, allo stesso
livello dell'assistere a qualcosa di totale e definitivo come la nascita o la morte.
Il suo sogno era diventato realtà.
Quando aveva udito il tenente dire il proprio nome in comanci, era stato come se un muro
impenetrabile si fosse improvvisamente trasformato in fumo, e loro lo stavano attraversando,
stavano comunicando.
Con pari intensità, anche la sua opinione su Mano Alzata era cambiata. Nel fungere da
ponte per le parole, lei era diventata qualcosa di più. Come il tenente, lo udiva nel suono
delle parole inglesi che diceva e lo vedeva nella nuova forza dei suoi occhi. Era stato
aggiunto qualcosa, qualcosa che prima mancava, e Uccello Saltellante sapeva di che
cosa si trattava.
Il suo sangue, per lungo tempo rimasto sepolto, stava di nuovo fluendo. Il suo sangue puro
di donna bianca.
L'impatto di quegli eventi era più di quanto Uccello Saltellante potesse sopportare e, come
un professore che sa quando è il momento di far riposare i propri alunni, disse a Mano
Alzata che, per un giorno solo, era abbastanza.
Una punta di delusione apparve sul suo volto. Poi, remissivamente, chinò il mento e fece
un cenno di assenso con il capo.
In quel momento, però, un pensiero meraviglioso si affacciò nella sua mente. Incontrò gli
occhi di Uccello Saltellante e rispettosamente gli chiese se avrebbero potuto fare una cosa
ancora.
Voleva insegnare all'uomo bianco il nome che gli era stato dato.
Era una buona idea, talmente buona che Uccello Saltellante non poté opporre un rifiuto
alla figlia che aveva adottato. Le disse di continuare.
Lei ricordò subito la parola. La vedeva, ma non riusciva a dirla. E non riusciva a ricordare
in che modo lo aveva fatto da ragazza. Gli uomini attendevano, mentre lei cercava di
ricordare.
Involontariamente, il tenente Dunbar sollevò una mano per scacciare una zanzara che gli
infastidiva un orecchio, e lei vide di nuovo tutto quanto.
Afferrò la mano del tenente a mezz'aria e se l'appoggiò cautamente su un fianco. E prima
che uno dei due uomini potesse reagire, guidò Dunbar in quello che era un arrugginito, ma
inconfondibile, ricordo di un valzer.
Dopo alcuni secondi, lei si tirò pudicamente indietro, lasciando il tenente Dunbar in uno stato
di choc. Dovette lottare per ricordare qual era l'argomento della lezione.
Nella testa gli esplose una luce. Poi, la cosa gli saltò agli occhi. Come l'unico scolaro in
tutta la classe che conosca la risposta, sorrise alla sua insegnante.

Da lì, fu facile arrivare al resto.
Il tenente Dunbar piegò a terra un ginocchio e scrisse il nome in fondo al suo sillabario di
pelle. I suoi occhi indugiarono a guardare il modo in cui il suo nome appariva, scritto in
inglese. Sembrava più grande di un semplice nome. Più lo osservava e più gli piaceva.
Lo disse fra sé: Danza-con-i-lupi.
Il tenente si risollevò da terra, fece un breve inchino in direzione di Uccello Saltellante e
nello stesso modo in cui un maggiordomo annuncerebbe l'arrivo di un ospite per la cena,
modestamente e senza ostentazione disse ancora una volta il suo nome.
Questa volta, lo disse in comanci.
<< Danza-con-i-lupi. >>




(continua)

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(segue)


22



Quella notte Danza-con-i-lupi restò nella tenda di Uccello Saltellante. Era esausto ma, come
talvolta accade, era troppo stanco per dormire. Gli avvenimenti della giornata continuavano
a rimbalzargli nella mente come popcorn in una padella per friggere.
Quando alla fine il sonno lo colse, scivolò nelle immagini confuse di un sogno che non
faceva da quando era giovanissimo. Circondato dalle stelle, galleggiava nel freddo,
silenzioso vuoto dello spazio, un ragazzo senza peso e solo in un mondo di argento e
di nero.
Ma non aveva paura. Era al sicuro e al caldo sotto le coperte di un letto a colonne, a
galleggiare come un unico seme in tutto l'universo, anche se per l'eternità, non era una
pena, era una gioia.
Fu in questo modo che si addormentò per la sua prima notte all'ancestrale accampamento
estivo dei comanci.

Nei mesi che seguirono il tenente Dunbar si addormentò spesso nella tenda di Uccello
Saltellante.
Ritornava spesso a Fort Sedgewick, ma le visite erano principalmente motivate dal senso
di colpa, non da un desiderio reale. Persino mentre si trovava al forte sapeva che stava
mantenendo la più sottile delle apparenze. Tuttavia si sentiva costretto a farlo.
Sapeva che non vi era alcuna ragione logica per rimanervi. Ormai certo che l'esercito
avesse abbandonato l'avamposto e lui con questo, pensò di rientrare a Fort Hays.
Aveva già compiuto il suo dovere. In effetti, il suo attaccamento all'avamposto e all'esercito
degli Stati Uniti erano stati esemplari. Poteva andarsene a testa alta.
Ciò che lo tratteneva era il richiamo di un altro mondo, un mondo che aveva appena iniziato
a esplorare. Non sapeva esattamente quando fosse successo, ma si rendeva conto che il
sogno di essere assegnato ai territori dell'Ovest, un sogno che aveva architettato per
allargare i ristretti confini del servizio militare, fin dall'inizio era rivolto all'infinita avventura
in cui ora si trovava coinvolto. Le nazioni, gli eserciti, le razze apparivano scialbi al
confronto. Aveva portato alla luce una grande sete e non poteva respingerla più di quanto
un uomo morente poteva rifiutare l'acqua.
Voleva vedere che cosa sarebbe accaduto e, per questo motivo, rinunciò all'idea di
ritornare nell'esercito. Ma non rinunciò interamente all'idea che l'esercito tornasse da lui.
Prima o poi, doveva farlo.
Così, durante le sue visite al forte, lavoricchiava a cose senza importanza come riparare
un eventuale strappo nella tela del riparo a tenda, spazzare le ragnatele dagli angoli della
baracca, fare delle annotazioni nel diario.
Si imponeva di fare questi lavori come un modo stiracchiato e forzato di restare in contatto
con la sua vecchia vita. Sebbene si sentisse profondamente coinvolto nei riguardi dei
comanci, non aveva il coraggio di abbandonare tutto quanto, e i vuoti movimenti che
compiva gli consentivano di rimanere aggrappato ai brandelli del suo passato.
Visitando il forte con una certa regolarità, manteneva in vita la disciplina dove non ve ne
era più bisogno e, in tal modo, manteneva in vita anche il concetto del tenente John J.
Dunbar, USA.
Le annotazioni nel diario non contenevano più le descrizioni delle sue giornate. Per la
maggior parte non erano altro che una stima della data, un breve commento sul tempo
e sulla sua salute e una firma. Anche se lo avesse voluto, descrivere la nuova vita che
stava vivendo sarebbe stato un compito troppo vasto. Inoltre, si trattava di una faccenda
personale.
Si recava immancabilmente giù al fiume, di solito con Due Calzini al seguito. Il lupo era
stato il suo primo, vero contatto e il tenente era sempre lieto di vederlo. I silenziosi
momenti che passavano insieme erano qualcosa a cui teneva molto.
Sostava per qualche minuto sulla sponda del fiume, guardando l'acqua scorrere. Se vi era
la giusta luce, poteva vedersi con la stessa chiarezza di uno specchio. I capelli gli erano
cresciuti oltre le spalle. L'azione costante del sole e del vento avevano scurito la pelle
del viso. Si girava da un lato all'altro, come uomo di mondo, ammirando il pettorale che
ora indossava come un uniforme. A eccezione di Cisco, niente di ciò che poteva definire suo
aveva maggior valore.
Talvolta la vista che l'acqua gli rimandava lo faceva fremere. Era talmente simile a uno di loro,
adesso. Quando questo succedeva, si teneva precariamente in equilibrio su un piede,
sollevando l'altro abbastanza in alto perché l'acqua rimandasse l'immagine dei calzoni
con le strisce gialle e degli alti stivali neri.
Ogni tanto prendeva in considerazione l'idea di eliminarli a favore dei gambali di cuoio e
dei mocassini ma, riflettendoci, concludeva che avevano un loro ruolo. In qualche modo,
anche loro facevano parte della disciplina. Avrebbe indossato i calzoni e gli stivali fino
a che non si sarebbero disintegrati. Poi, si diceva, vedremo.
Certi giorni, quanto si sentiva più indiano che bianco, faceva una lunga camminata lungo
il promontorio e il forte gli appariva come un luogo antico, uno spettrale residuo di un
passato ormai così lontano che era difficile credere che lui vi avesse mai avuto a che
fare.
A mano a mano che il tempo passava, recarsi a Fort Sedgewick diventò un lavoro ingrato.
Le sue visite diventarono più rare e sempre più distanti fra loro. Ma continuò comunque
a ritornare nel luogo frequentato nel passato.



(continua)

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09/11/2007 07:49

(segue)


Il villaggio di Dieci Orsi diventò il centro della sua vita, ma per quanto si fosse inserito
e adattato con facilità, il tenente Dunbar viveva come una persona a parte. La sua pelle,
il suo accento, i suoi calzoni e i suoi stivali lo marchiavano come un visitatore da un
altro mondo e, come Mano Alzata, presto diventò un uomo che era due persone.
La sua integrazione nel modo di vivere dei comanci era costantemente mitigata dalle
tracce del mondo che si era lasciato alle spalle e quando Dunbar cercava di pensare
a quale fosse il suo vero posto nella vita, il suo sguardo diventava improvvisamente
assente. Una nebbia, vuota e inconcludente, gli riempiva la mente, come se tutte le sue
normali funzioni fossero state sospese. Dopo qualche istante la nebbia si sollevava
e lui tornava a occuparsi delle sue faccende, senza sapere esattamente che cosa gli
fosse successo.
Fortunatamente, questi strani momenti divennero sempre meno frequenti a mano a mano
che il tempo passava.
Le prime sei settimane del tempo che trascorse all'accampamento di Dieci Orsi
ruotarono intorno a un luogo preciso: la piccola pergola di ramaglia dietro la tenda
di Uccello Saltellante.
Fu lì, nel corso di lezioni mattutine e pomeridiane che duravano alcune ore, che il tenente
Dunbar per la prima volta conversò liberamente con lo stregone. Mano Alzata faceva
dei costanti progressi e cominciava a esprimersi con scioltezza, e alla fine della settimana
i tre cominciarono a parlare scorrevolmente.
Il tenente aveva pensato sin dall'inizio che Uccello Saltellante fosse una persona dotata,
ma quando Mano Alzata cominciò a tradurre delle frasi complete che esprimevano i suoi
concetti, Dunbar si rese conto che aveva a che fare con un livello di intelligenza superiore
a qualsiasi media che conoscesse.
All'inizio vi furono soprattutto domande e risposte. Il tenente Dunbar raccontò la storia di
come fosse arrivato a Fort Sedgewick e del suo inspiegabile isolamento. Per quanto
interessante, la storia fu una delusione per Uccello Saltellante. Danza-con-i-.lupi non
sapeva quasi niente. Non conosceva nemmeno quale fosse la missione dell'esercito,
tanto meno i suoi piani precisi. Per quanto riguardava le questioni militari, c'era poco
da imparare. Danza-con-i-lupi era stato un semplice soldato.
La razza bianca era una faccenda diversa.
<< Perché i bianchi vengono nella nostra terra? >> chiedeva.
E Dunbar rispondeva: << Non credo che vogliano venire nella vostra terra. Penso che
vogliano soltanto attraversarla >>.
Uccello Saltellante replicava: << I texani sono già nella nostra terra. Abbattono gli alberi
e strappano la terra. Uccidono i bisonti e li lasciano a marcire nell'erba. E' ciò che sta
accadendo. Ve ne sono già troppe di queste persone. Quante altre ne arriveranno? >>
A questa domanda il tenente torceva la bocca, rispondendo: << Non lo so >>.
<< Ho sentito dire >>, continuava lo stregone, << che i bianchi vogliono soltanto la pace.
Perché vengono sempre con i soldati dalla faccia coperta di peli? Perché questi ranger
del Texas vengono qui per noi, quando noi non vogliamo altro che di essere lasciati
in pace? Mi è stato detto che i capi bianchi hanno avuto dei colloqui di pace con i miei
fratelli. Mi è stato detto che vengono fatte delle promesse. Ma mi viene detto che le
promesse non vengono mai rispettate. Se i capi bianchi verranno a parlare con noi,
come potremo sapere quali sono le loro vere intenzioni? Dovremmo accettare i loro doni?
Dovremmo firmare le loro carte per dimostrare che fra noi vi sarà la pace? Quando ero
ragazzo, molti comanci andarono a una casa della legge nel Texas per incontrare i
capi bianchi e vennero uccisi. >>
Il tenente cercava di fornire delle risposte plausibili alle domande di Uccello Saltellante,
ma nella migliore delle ipotesi non erano che delle deboli teorie e, quando veniva
sollecitato, finiva inevitabilmente per rispondere: << A dire il vero, non lo so >>.
Cercava di essere cauto, perché si rendeva conto che dietro le domande di Uccello
Saltellante si celava una profonda preoccupazione e non riusciva a dirgli ciò che
pensava veramente. Se i bianchi fossero venuti in quella terra in forze, il popolo indiano,
per quanto avesse combattuto strenuamente, sarebbe stato inesorabilmente sopraffatto.
Sarebbero stati sconfitti dalla sola superiorità degli armamenti.
Allo stesso tempo non poteva dire a Uccello Saltellante di lasciare da parte le sue
preoccupazioni. Era necessario che si preoccupasse. Il tenente semplicemente non
poteva dirgli la verità. Né poteva dire delle menzogne allo stregone. Era una situazione
senza vie d'uscita e, trovandosi alle strette, Dunbar si trincerava dietro un muro d'ignoranza,
sperando che intervenissero dei nuovi argomenti meno sgraditi.
Ma ogni giorno, come una macchia che resista a ogni tentativo di lavaggio, rimaneva sempre
una domanda cruciale.
<< Quanti altri uomini bianchi stanno arrivando? >>



(continua)

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09/11/2007 14:23

(segue)

Gradatamente Mano Alzata cominciò ad attendere con piacere le ore che passava
nella pergola di ramaglia.
Ora che era stato accettato dalla tribù, Danza-con-i-lupi non rappresentava più il
grosso problema che era stato una volta. Il suo legame con la società dei bianchi
si era indebolito e mentre ciò che lui rappresentava continuava ad incutere paura,
il soldato bianco in se stesso non suscitava alcun timore.
Non aveva nemmeno più l'aspetto di un soldato.
Dapprima, la notorietà che circondava le attività che si svolgevano nella pergola
infastidirono Mano Alzata. Il fatto che facesse scuola a Danza-con-i-lupi, la sua
presenza all'accampamento e il suo ruolo determinante di intermediaria costituivano
dei perenni argomenti di conversazione in tutto il villaggio. La notorietà che questo
le procurava la faceva sentire a disagio, come se venisse costantemente osservata.
Era particolarmente sensibile al fatto che potesse essere criticata perché in questo
modo scansava i normali lavori pretesi da ogni donna comanci. Era vero che lo stesso
Uccello Saltellante l'aveva dispensata, ma lei si preoccupava comunque.
Dopo due settimane, però, nessuno di questi timori si era materializzato e il nuovo
rispetto di cui godeva stava avendo un benefico effetto sulla sua personalità. Ora,
sorrideva più prontamente e le sue spalle erano più diritte. L'importanza del suo
nuovo ruolo conferiva al suo portamento un senso di autorevolezza che tutti potevano
notare. La sua vita stava assumendo una nuova dimensione e dentro di sé Mano
Alzata sapeva che questo era una buona cosa.
Anche altra gente lo sapeva.
Stava raccogliendo della legna, una sera, quando una delle donne sue amiche, chinata
accanto a lei, disse improvvisamente con una punta di orgoglio: << La gente parla
di te. >>
Mano Alzata si era raddrizzata, incerta su come interpretare l'osservazione.
<< Che cosa dicono? >> chiese in tono indifferente.
<< Dicono che tu faccia dei riti magici. Dicono che forse dovresti cambiare il tuo nome. >>
<< Cambiarlo in che cosa? >>
<< Oh, non so >>, rispose l'amica. << Forse Lingua-che-ha-poteri-magici, o qualcosa
del genere. Sono soltanto chiacchiere. >>
Mentre ritornavano insieme al villaggio nella luce del crepuscolo, Mano Alzata rimuginò
su quanto le aveva riferito l'amica. Erano arrivate al limitare dell'accampamento quando
parlò nuovamente.
<< Il mio nome mi piace >>, disse, sapendo che l'accampamento sarebbe venuto
velocemente a conoscenza della sua opinione. << Non lo cambierò. >>
Alcune sere dopo stava tornando al tepee di Uccello Saltellante dopo aver fatto i propri
bisogni, quando udì qualcuno cantare in una tenda lì accanto. Si fermò ad ascoltare e
rimase stupita di ciò che udì.

I comanci hanno un ponte
che conduce verso un altro mondo
il ponte si chiama Mano Alzata.


Troppo confusa per sentire altro, si affrettò verso la sua tenda e il suo giaciglio. Ma mentre
si tirava le coperte sotto il mento non aveva dei cattivi pensieri riguardo alla canzone.
Pensava solamente alle parole che aveva udito e, riflettendoci, sembravano molto belle.
Quella notte dormì profondamente. Quando si svegliò la mattina dopo, era già l'alba.
Affannandosi per recuperare il ritardo, uscì in gran fretta dalla tenda e si fermò bruscamente.
Danza-con-i-lupi si stava allontanando dall'accampamento in groppa al piccolo cavallo
dal manto bruno fulvo. Si sentì mancare il cuore a quella vista, e più intensamente di
quanto avrebbe potuto immaginare. Il pensiero che lui se ne andasse non la turbava
più di tanto, ma il pensiero che lui non tornasse la deprimeva al punto che questa sua
emozione le traspariva chiaramente dal viso.
Mano Alzata arrossì all'idea che qualcuno potesse vederla in quel modo. Si guardò
rapidamente intorno e il suo viso si fece di porpora.
Uccello Saltellante la stava osservando.
Il cuore le batteva furiosamente mentre cercava di ricomporsi. Lo stregone si stava
avvicinando.
<< Oggi non parleremo >>, le disse, studiando il suo viso con un'attenzione che le fece
contorcere gli intestini.
<< Ho capito >>, commentò lei, cercando di dare un tono neutro alla sua voce.
Ma poteva leggere la curiosità negli occhi dello stregone, una curiosità che richiedeva
una spiegazione.
<< Mi piace parlare >>, continuò. << Sono felice di riuscire a dire le parole degli uomini
bianchi. >>
<< Lui vuole vedere il forte degli uomini bianchi. Ritornerà al tramonto. >>
Lo stregone la guardò di nuovo attentamente e aggiunse: << Domani parleremo ancora >>.


(continua)

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09/11/2007 14:24

(segue)

La sua giornata trascorse lentissima.
Osservando il sole come un impiegato annoiato osserva ogni scatto della lancetta
dell'orologio. Nulla avanza più lentamente del tempo quando si aspetta che passi.
E a causa di questo le riusciva difficile concentrarsi sui lavori che doveva fare.
Quando non controllava il sole, sognava a occhi aperti.
Ora che lui era apparso come una persona reale, vi erano delle cose in lui che si
ritrovava ad ammirare. Alcune di queste potevano essere fatte risalire alla loro razza
bianca. Alcune riguardavano lui solo. Tutte loro suscitavano il suo interesse.
Sentiva un misterioso senso di orgoglio quando pensava a ciò che aveva compiuto
e al fatto che tutta la sua gente ne fosse a conoscenza.
Rideva, quando ricordava il suo modo teatrale di comportarsi. A volte era molto buffo.
Buffo ma non sciocco. Sotto tutti gli aspetti sembrava sincero, aperto, riguardoso
e pieno di buonumore. Era convinta che queste qualità fossero autentiche.
Dapprima, quando lo aveva visto con indosso il pettorale, le era apparso fuori posto,
esattamente come sarebbe stato fuori posto un comanci con in testa un cappello a
cilindro. Ma lui lo indossava continuamente, senza prestargli la minima attenzione.
E non se lo toglieva mai. Era ovvio che gli piaceva moltissimo.
I capelli di lui erano sottili e ricciuti come i suoi, non folti e diritti come quelli degli altri.
E non aveva cercato di cambiarli.
E non aveva nemmeno cambiato per quanto riguardava i suoi calzoni e i suoi stivali:
continuava a portarli nello stesso modo naturale in cui aveva preso gusto al pettorale.
Tutto questo la induceva a concludere che Danza-con-i-lupi era una persona onesta.
Ogni essere umano apprezza certe caratteristiche più di ogni altra, e per Mano Alzata
una di queste era l'onestà.
La sua mente non riusciva a distogliersi da lui e a mano a mano che il pomeriggio
passava, dei pensieri più arditi le si formarono nella mente. Si immaginò di vederlo
ritornare al tramonto. Si immaginò loro due, insieme, il giorno dopo.
E mentre si inginocchiava sulla riva del fiume per riempire un orcio, a pomeriggio
inoltrato, un'altra immagine attraversò la sua mente. Erano insieme, all'interno della
pergola. Lui stava parlando di sé e lei stava ascoltando. Ma vi erano soltanto loro
due.
Uccello Saltellante non c'era più.

I suoi sogni ad occhi aperti divennero realtà il giorno seguente.
Tutti e tre si erano appena sistemati e avevano cominciato a parlare, quando qualcuno
venne a riferire che un gruppo di guerrieri aveva dichiarato la propria intenzione di
scendere sul sentiero di guerra contro i pawnee. Poiché la cosa non era stata discussa
in precedenza e dato che i giovani guerrieri in questione erano inesperti, Dieci Orsi
aveva radunato in tutta fretta il consiglio della tribù.
Uccello Saltellante venne chiamato a partecipare e improvvisamente si ritrovarono da
soli.
Il presente silenzio che si era venuto a creare li rendeva entrambi nervosi. Entrambi volevano
parlare, ma il pensiero di che cosa dire e di come dirlo li faceva esitare. Erano senza
parola.
Finalmente, Mano Alzata prese la sua decisione, ma arrivò troppo tardi.
Lui stava già voltandosi verso di lei, pronunciando le parole in modo schivo ma deciso.
<< Voglio sapere di te >>, disse.
Lei girò il capo dall'altra parte, cercando di pensare. Formulare le parole in inglese era
ancora difficile per lei. Frammentando le parole nello sforzo di pensare, la frase le uscì
dalle labbra come un balbettio ma chiara.
<< Cheee... che cosa sapere... che cosa vuoi sapere? >> chiese.


(continua)

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09/11/2007 14:27

(segue)

Per il resto della mattina lei gli parlò di sé, e il tenente ascoltò avidamente mentre lei
raccontava di quando era una ragazzina bianca, di quando era stata presa dai comanci
e della sua lunga vita come una di loro.
Quando lei cercava di terminare il racconto, lui le poneva delle altre domande. Per quanto
lo volesse, non riusciva ad abbandonare l'argomento di se stessa.
Lui le chiese come mai le avessero dato il nome di Mano Alzata e lei gli raccontò la storia
del suo arrivo all'accampamento, molti anni prima. Aveva dei ricordi confusi dei suoi primi
mesi, ma ricordava molto bene il giorno in cui aveva avuto quel nome.
Nessuno l'aveva ancora ufficialmnente adottata, né era stata accettata come un componente
della tribù. Lavorava solamente. A mano a mano che eseguiva con buoni risultati i compiti
che le venivano assegnati, il lavoro era diventato meno manuale e le avevano fornito
maggiori insegnamenti sui vari modi di vivere nel mezzo della prateria. Ma più lavorava
e più si risentiva per la sua umile condizione. E alcune donne dell'accampamento la
molestavano senza pietà.
Un mattino, al di fuori di una tenda, tirò una sventola alla peggiore tra di loro. Giovane e
inesperta com'era, non aveva alcuna speranza di riuscire a vincere uno scontro, ma il
colpo che le appioppò a braccio teso e con le dita chiuse a pugno fu duro e ben calcolato.
La prese in pieno alla mascella e la mise fuori combattimento. Per buona misura, diede
un calcio alla sua tormentatrice mentre questa era a terra intontita e fronteggiò le altre
donne con le mani chiuse a pugno, una ragazzina bianca pronta a sfidare chiunque si fosse
fatto avanti.
Nessuno raccolse la sua sfida. Rimasero soltanto a guardarla. In pochi minuti tutte erano ritornate
a quello che stavano facendo, lasciando la donna meschina dove era caduta.
Dopo di allora, nessuno l'aveva più punzecchiata. La famiglia che si era presa cura di lei divenne
molto gentile nei suoi confronti e le venne appianata la strada perché diventasse una vera
comanci. Da quel giorno, lei fu Mano Alzata.
A mano a mano che raccontava la storia, la pergola si permeava di un calore particolare.
Il tenente Dunbar volle sapere in quale punto della mascella lei avesse colpito la donna
e Mano Alzata, senza esitazioni, gli sfiorò la guancia con le nocche.
Dopo, il tenente restò a guardarla.
Roteò gli occhi verso l'alto e cadde svenuto.
Era uno scherzo piacevole e lei stette al gioco, scuotendolo leggermente per un braccio
per farlo rinvenire.
Questo piccolo scambio creò fra loro una nuova naturalezza ma, per quanto piacevole,
l'improvvisa familiarità provocava a Mano Alzata una certa preoccupazione. Non voleva
che lui le ponesse delle domande personali, delle domande sulla sua condizione di donna.
Intuiva che le domande stavano arrivando e questo spettro le toglieva la capacità di concentrarsi.
La rendeva nervosa e meno comunicativa.
Il tenente percepì che lei si stava tirando indietro e questo rendeva nervoso e meno comunicativo
anche lui.
Prima che se ne rendessero conto, fra di loro cadde nuovamente il silenzio.
Ma il tenente lo disse comunque. Non sapeva esattamente perché, ma era qualcosa che doveva
chiedere. Se non lo avesse fatto ora, non glielo avrebbe chiesto mai più. Così, glielo chiese.
Nel modo più noncurante possibile, stiracchiò una gamba e sbadigliò.
<< Sei sposata? >> chiese.
Mano Alzata abbassò il capo e tenne gli occhi fissi sul suo grembo. Scosse brevemente
la testa, a disagio, e disse: << No >>.
Il tenente era sul punto di chiederle perché, quando notò che lei stava lentamente abbassando
la testa fino a toccare il palmo delle mani. Aspettò un momento, chiedendosi se ci fosse
qualcosa che non andava.
Lei era assolutamente immobile.
Proprio mentre lui stava per parlare nuovamente, improvvisamente Mano Alzata si alzò
faticosamente in piedi e uscì dalla pergola.
Prima che Dunbar potesse chiamarla, lei se ne era già andata.
Sconvolto, rimase seduto dov'era, maledicendo se stesso per averle fatto la domanda e
sperando fino all'ultimo che qualunque cosa fosse andata nel modo sbagliato, potesse
essere rimediata. Ma non vi era nulla che lui potesse fare per questo. Non poteva chiedere
consiglio a Uccello Saltellante. Non poteva neppure parlargliene.
Per dieci, frustranti minuti restò seduto da solo nella pergola. Poi s'incamminò in direzione
del branco dei pony. Aveva bisogno di una passeggiata e di una cavalcata.
Anche Mano Alzata uscì a cavallo dal villaggio. Attraversò il fiume e si inoltrò per un sentiero
lungo la sponda, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri.
Non aveva molta fortuna.
I suoi sentimenti nei confronti di Danza-con-i-lupi erano tremendamente confusi. Fino a non
molto tempo prima aveva odiato il solo pensiero di lui. Negli ultimi giorni non aveva pensato
a nient'altro che lui. E vi erano tante altre contraddizioni.
Con un sussulto si rese conto che non aveva avuto alcun pensiero per il marito. Solo poco
tempo fa lui era stato il centro della sua vita e ora lei lo aveva dimenticato. Il senso di colpa
la opprimeva.
Girò il cavallo e si avviò verso l'accampamento, scacciando Danza-con-i-lupi dalla sua
mente con una lunga serie di preghiere per il marito morto.
Non era ancora giunta in vista del villaggio, quando il suo pony sollevò la testa, sbuffando
come fanno i cavalli quando sono spaventati.
Udì il rumore di qualcosa di grosso che si spezzava nella boscaglia dietro di lei e sapendo
che un rumore di quel genere non poteva significare altro che un orso, Mano Alzata spronò
il suo pony.
Stava riattraversando il fiume quando il pensiero ozioso le attraversò la mente.
Chissà se Danza-con-i-lupi ha mai visto un orso, disse tra sé.
Allora, Mano Alzata si costrinse a fermarsi. Non poteva lasciare che questo accadesse,
questo pensare continuamente a lui. Era intollerabile.
Quando ebbe raggiunto la sponda opposta, la donna che era due persone aveva deciso
che il ruolo di traduttrice d'ora in avanti sarebbe stato soltanto una questione pratica,
come un commercio. Non sarebbe andata oltre questo. Neppure nella sua mente.
Lei lo avrebbe fatto cessare.



(continua)

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10/11/2007 12:02

(segue)

23



Nella sua solitaria cavalcata, anche il tenente Dunbar aveva raggiunto il fiume. Ma
mentre Mano Alzata si era diretta a sud lui aveva puntato verso nord.
Malgrado l'intensa calura del giorno, dopo un miglio o due si allontanò dal fiume.
Si inoltrò nella prateria con l'idea che con dello spazio aperto davanti a lui avrebbe
potuto sentirsi meglio.
Il morale del tenente era a terra.
Ripassò più volte mentalmente il momento in cui lei se ne era andata dalla pergola,
cercando di trovarvi un possibile appiglio. Ma la sua fuga aveva l'apparenza di un gesto
così definitivo, da dargli la spaventosa sensazione di essersi lasciato sfuggire dalle
mani qualcosa di meraviglioso proprio mentre lo stava raccogliendo.
Il tenente si maledì impietosamente per non averla seguita. Se lo avesse fatto, in quel
momento sarebbero stati felicemente intenti a parlare, la scabrosa questione ormai
risolta e dimenticata.
Aveva desiderato dirle qualcosa di sé. Ora questo avrebbe potuto non accadere mai
più. Voleva essere di nuovo con lei nella pergola. Invece era là fuori a dibattersi nel dubbio,
vagando come un'anima perduta sotto un sole cocente.
Non si era mai spinto così a nord dell'accampamento e fu sorpreso di notare la rapidità
con cui il paesaggio intorno a lui stava cambiando. Davanti a lui si elevavano delle vere
colline, non delle semplici protuberanze del terreno erboso, e nei fianchi di queste si
aprivano dei canyon profondi e frastagliati.
Il caldo gli faceva ribollire la mente, già in fermento per le continue recriminazioni. Si sentì
improvvisamente stordito e in preda alle vertigini. Diede un leggero colpo di ginocchia
a Cisco. A mezzo miglio davanti a lui aveva scorto l'imbocco di uno scuro canyon che
si estendeva nella prateria.
Le pareti ai lati del canyon erano alte una trentina di metri e l'oscurità in cui si trovarono
avvolti diede loro un immediato senso di frescura. Ma a mano a mano che procedevano
cautamente sul terreno disseminato di rocce, il luogo assumeva un aspetto sinistro. Il
canyon era andato via via restringendosi e le pareti incombevano su di loro fin quasi a
sfiorarli. Dunbar poteva sentire i muscoli di Cisco contrarsi nervosamente e nel silenzio
assoluto del pomeriggio era sempre più consapevole dei sordi battiti del proprio cuore.
Aveva la certezza di essersi inoltrato all'interno di qualcosa di antico. Forse di perverso.
Stava pensando di ritornare indietro quando il fondo del canyon improvvisamente
cominciò ad allargarsi. In lontananza, nello spazio fra le pareti, riuscì a vedere una macchia
di alberi, con la sommità che scintillava alla vivida luce del sole.
Dopo aver avanzato a fatica per gli ultimi metri dello stretto budello, lui e Cisco tutt'a un
tratto sbucarono nell'ampia radura dove si trovavano gli alberi. Persino nel pieno dell'estate
il luogo era eccezionalmente verde e sebbene non riuscisse a vedere nessun ruscello,
capì che doveva esserci dell'acqua.
Cisco inarcò il collo e annusò l'aria. Anche lui doveva aver sete, e Dunbar allentò le redini.
Il cavallo girò intorno al gruppo di alberi e proseguì per un altro centinaio di metri fino alla
base di una nuda parete di roccia, dove terminava il canyon. Lì si fermò.
Vicino alle sue zampe, ricoperta da uno strato di foglie e di alghe, vi era una piccola
sorgente larga circa un paio di metri. Prima che il tenente potesse balzare a terra, Cisco
aveva già immerso il muso attraverso lo strato in superficie e stava bevendo l'acqua a
lunghe sorsate.
Si era inginocchiato accanto al cavallo e stava appoggiandosi sulle mani vicino al bordo
della sorgente, quando qualcosa richiamò la sua attenzione. Alla base della parete rocciosa
vi era una fenditura. Si inoltrava dentro la roccia e l'ingresso era abbastanza alto perché
un uomo potesse entrarvi senza doversi curvare.
Il tenente Dunbar immerse la faccia nell'acqua e bevve rapidamente. Sfilò la briglia dalla
testa di Cisco, la lasciò cadere vicino alla sorgente ed entrò nell'oscurità della fenditura.
Dentro, era meravigliosamente fresco. Il terreno sotto i suoi piedi era soffice e, per quello
che riusciva a vedere, il luogo era vuoto. Ma scrutando il pavimento, capì che lì l'uomo
era cosa fissa. I resti di un migliaio di fuochi erano sparpagliati dappertutto come delle
piume di uccelli spennati.
Il soffitto cominciò ad abbassarsi e quando il tenente lo toccò, sui polpastrelli gli rimase
la fuliggine di quel migliaio di fuochi.
Sentendosi ancora stordito, si lasciò cadere seduto sul pavimento, urtando il terreno così
pesantemente da emettere un gemito.
Era rivolto verso la direzione da cui era venuto e l'entrata, a un centinaio di metri da lui,
adesso faceva da finestra al pomeriggio. Cisco pascolava soddisfatto in mezzo ai ciuffi
di erba accanto alla sorgente. Dietro di lui, gli alberi brillavano come degli specchi. A
mano a mano che la frescura lo avvolgeva, il tenente Dunbar si sentì colto da un senso
di spossatezza totale. Piegò le braccia dietro la testa a mo' di cuscino, si sdraiò sul terreno
liscio e sabbioso e rimase a osservare il soffitto sopra di lui.
La volta di solida roccia era annerita dal fumo e al disotto vi erano dei segni ben distinti.
Nella pietra vi erano delle profonde incisioni e, studiandole, Dunbar si rese conto che
erano state esguite da delle mani umane.
Il sonno stava per sopraffarlo, ma era affascinato dai disegni. Si sforzò di trovarvi un senso,
come qualcuno che osservi le stelle cercando di delineare la sagoma della costellazione
del Toro.
I disegni subito al disopra di lui improvvisamente presero forma. Vi era un bisonte, disegnato
rozzamente ma con tutti i dettagli essenziali, persino la piccola coda ritta.
Accanto al bisonte vi era un cacciatore. Aveva in mano un bastone, molto probabilmente una
lancia. Era puntata contro il bisonte.
Il sonno adesso era inarrestabile. Il pensiero che la sorgente potesse essere inquinata gli
attraversò la mente proprio mentre gli occhi gravati da un invisibile peso cominciavano a
chiudersi.
Anche a occhi chiusi continuava a vedere il bisonte e il cacciatore. Il cacciatore gli sembrava
familiare. Non era una copia esatta, ma nel suo volto vi era qualcosa di Uccello Saltellante,
qualcosa tramandato nel corso di centinaia di anni.
Poi, il cacciatore fu lui.
In quel momento perse conoscenza.



(continua)

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10/11/2007 12:04

(segue)

Gli alberi erano spogli.
Sul terreno vi erano dei cumuli di neve.
Faceva molto freddo.
Un enorme cerchio composto da innumerevoli soldati semplici, con a fianco i propri
fucili, attendeva immoto.
Lui passò dall'uno all'altro, fissando i loro volti bluastri e irrigiditi, cercando qualche segno
di vita. Nessuno mostrò di riconoscerlo.
Fra di loro trovò suo padre, con la valigetta da medico appesa a una mano come
un'aggiunta naturale al suo corpo. Vide un suo amico d'infanzia che era morto annegato.
Vide l'uomo che possedeva una stalla nella sua vecchia città e che picchiava i cavalli
quando non stavano allineati. Vide il generale Grant, immobile come una sfinge, con un
berretto da soldato piazzato in cima alla testa. Vide un uomo dagli occhi lacrimosi con un
colletto da prete. Vide la donna dall'enorme seno che era stata la sua maestra alla scuola
elementare. Vide il dolce viso di sua madre, con le guance rigate di lacrime ghiacciate.
L'imponente esercito della sua vita si spiegava davanti ai suoi occhi come se non avesse
mai fine.
Vi erano dei cannoni, dei grossi mortai del colore del bronzo montati su ruote.
Qualcuno si stava avvicinando al cerchio dei soldati in attesa.
Era Dieci Orsi. Camminava agilmente nel freddo pungente, con una coperta avvolta intorno
alle spalle. Con l'aria di un turista, andò a piazzarsi davanti a uno dei mortai. Una mano
ramata sporse dalla coperta per sentire la canna al tatto.
Il grosso mortaio sparò e Dieci Orsi scomparve in una nuvola di fumo. La parte superiore
del suo corpo volteggiò lentamente nell'immoto cielo invernale. Là dove prima vi era il suo
addome, il sangue zampillava come dell'acqua da una manichetta.
Altri mortai spararono e, come Dieci Orsi, le tende del suo villaggio volarono in aria.
Rotearono nello spazio come dei pesanti coni di carta e quando ritornarono a terra, i tepee
si infilzarono con le punte nel terreno duro come l'acciaio.
Adesso, l'esercito era privo di volto. Come un'orda di festosi bagnanti che si affrettino verso
la spiaggia in una giornata afosa, calò sulla gente che le tende spazzate via dai mortai
avevano lasciato allo scoperto.
I primi a essere falciati furono i bambini e i neonati. Volarono in aria. I loro piccoli corpi si
infilzarono nei rami dei nudi alberi e rimasero là a contorcersi, con il sangue che colava
giù per i tronchi mentre l'esercito continuava il proprio lavoro.
Aprirono gli uomini e le donne come se fossero dei regali di Natale: sparando loro alla testa
e togliendo la calotta del cranio come un coperchio, squarciando i ventri con le baionette
e aprendo i lembi della pelle con mani impazienti; recidendo gli arti e scrollandoli.
Dentro a ogni indiano vi era del denaro. Dai loro arti sgorgava dell'argento. Dai loro ventri
scaturivano delle banconote. I loro crani contenevano dell'oro come delle caramelle in un
barattolo.
L'enorme esercito si stava ritirando su dei carri stracarichi di ricchezze. Alcuni soldati
correvano di lato ai carri, raccattando dal terreno quello che traboccava.
Fra i ranghi dell'esercito scoppiarono delle zuffe violente e il clamore dei loro scontri
continuò a risuonare dietro le montagne come degli improvvisi scoppi di tuoni per molto
tempo dopo che erano scomparsi.
Un soldato era rimasto indietro. Si muoveva triste e stordito in mezzo alla massa di cadaveri.
Era lui stesso.
I cuori delle persone fatte a pezzi battevano ancora, palpitando all'unisono come dei tamburi
in una cadenza che risuonava come della musica.
Infilò una mano sotto la giubba e la guardò sollevarsi e abbassarsi al battito del proprio cuore.
Vide il suo alito gelare nell'aria pungente. Presto, anche lui sarebbe gelato.
Si sdraiò sul terreno in mezzo ai cadaveri e mentre si distendeva, un lungo, lugubre sospiro
gli sfuggì dalle labbra. Invece di affievolirsi, il sospiro diventò più forte. Si sparse in cerchio
sopra il terreno della carneficina, allontanandosi velocemente dalle sue orecchie, gemendo
un messaggio che non riusciva a comprendere.

Il tenente Dunbar sentì il freddo penetrargli nelle ossa.
Era buio.
Il vento entrava fischiando dalla fenditura.
Balzò in piedi, sbatté la testa contro il soffitto di solida roccia e ricadde sulle ginocchia.
Attraverso l'intontimento del colpo poteva vedere una luce argentea brillare dalla fenditura.
Il chiarore della luna.
Preso dal panico, Dunbar si mosse in fretta verso la luce, curvo sulla schiena come una scimmia
e con una mano sollevata sopra la testa per tastare il soffitto. Quando riuscì a stare diritto,
corse verso l'uscita e non rallentò fino a che non si trovò fuori nella radura illuminata dalla luna.
Cisco non c'era.
Il tenente emise un fischio alto e acuto.
Niente.
Si inoltrò nella radura e fischiò nuovamente. Sentì qualcosa muoversi in mezzo agli alberi.
Poi sentì un leggero nitrito e il manto bruno fulvo di Cisco balenò come dell'ombra alla
luce della luna, mentre emergeva dal folto degli alberi.
Dunbar si stava dirigendo verso la sorgente dove aveva lasciato la briglia, quando avvertì
il rumore di qualcosa che svolazzava nell'aria. Si girò in tempo per scorgere la sagoma
di un grosso gufo selvatico passare rapido oltre la testa di Cisco e salire bruscamente,
per poi scomparire fra i rami dell'albero più alto.
Il volo del gufo gli parve paurosamente sinistro e doveva aver avuto lo stesso effetto su
Cisco, perché quando lo raggiunse, il piccolo cavallo stava ancora tremando dallo spavento.



(continua)

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10/11/2007 12:06

(segue)

Tornarono indietro attraverso il canyon e quando furono nuovamente all'aperto nella prateria,
fu con lo stesso senso di sollievo di un nuotatore che risalga in superficie dopo una lunga
e profonda immersione.
Il tenente Dunbar spostò il peso leggermente in avanti e Cisco partì al leggero galoppo
sull'argentea distesa erbosa.
Mentre cavalcava, il tenente si sentiva rinfrancato, eccitato al pensiero di essere sveglio
e vivo e di mettere della distanza fra lui e lo strano, inquietante sogno. Non importava
da dove fosse venuto il sogno e non importava che cosa significasse. Le immagini erano
troppo fresche e troppo intense per rimuginarvi sopra in quel momento. Respinse
l'allucinazione a favore di altri pensieri, mentre ascoltava il tonfo soffocato degli zoccoli
di Cisco.
Sentiva una sensazione di forza impossessarsi di lui e aumentare a ogni miglio che
percorreva. Poteva avvertirla nei movimenti sciolti del galoppo di Cisco e sentirsi
tutt'uno con il suo cavallo e la prateria e la prospettiva di tornare intero al villaggio che
adesso era la sua casa. In fondo alla mente sapeva che vi sarebbe stata una resa dei conti
con Mano Alzata e che il grottesco sogno avrebbe dovuto essere assimilato da qualche
parte lungo la linea del suo futuro.
Per il momento, però, erano cose di scarsa importanza. Non si sentiva per nulla intimorito
o minacciato, perché era dominato dal pensiero che la sua vita come essere umano
improvvisamente era uno spazio vuoto e che dalla lavagna della sua storia era stato
cancellato tutto. Il futuro era aperto come il giorno in cui era nato e questo gli dava un senso
di euforia. Era il solo uomo sulla terra, un re senza sudditi che errava attraverso l'infinito
territorio della sua vita.
Era felice che fossero comanci e non kiowa, perché adesso ricordava il loro soprannome,
udito o letto da qualche parte nel passato.
I Signori delle Pianure: era così che venivano chiamati. E lui era uno di loro.
In un accesso di fantasticheria lasciò andare le redini e incrociò le braccia, appoggiando i
palmi delle mani sul pettorale che gli ricopriva il torace.
<< Io sono Danza-con-i-lupi >>, gridò ad alta voce. << Io sono Danza-con-i-lupi. >>


Uccello Saltellante, Vento-nei-capelli e alcuni altri uomini erano seduti attorno al fuoco,
quando lui arrivò all'accampamento quella sera.
Lo stregone si era abbastanza preoccupato da mandare un piccolo gruppo di uomini a
cavallo a perlustrare in ogni direzione in cerca dell'uomo bianco. Ma non vi fu nessun
allarme generale. Tutto venne fatto sommessamente. Gli uomini ritornarono senza nulla
da riferire e Uccello Saltellante accantonò la faccenda dalla sua mente. Quando si trattava
di questioni che andavano oltre la sua sfera d'influenza, faceva sempre affidamento sulla
saggezza del Grande Spirito. Più che dalla scomparsa di Danza-con-i-lupi era rimasto
impressionato da ciò che aveva visto sul viso e nell'atteggiamento di Mano Alzata.
Quando lo aveva nominato, aveva percepito in lei un vago disagio, come se avesse
qualcosa da nascondere.
Ma anche questo, concluse, era qualcosa che non dipendeva dalla sua volontà. Se fra di
loro era successo qualcosa di importante, sarebbe stato rivelato al momento adatto.
Fu sollevato di vedere il cavallo dal manto bruno fulvo e il suo cavaliere profilarsi nella
luce del fuoco.
Il tenente smontò agilmente e salutò gli uomini seduti attorno al fuoco in comanci. Questi
restituirono il saluto, in attesa di vedere se avrebbe detto qualche cosa di rilevante a
proposito della sua scomparsa.
Dunbar rimase in piedi di fronte a loro come un ospite non invitato, rigirandosi fra le mani
le redini di Cisco mentre li osservava. Appariva evidente a tutti che aveva qualcosa per
la mente. Dopo alcuni secondi il suo sguardo si puntò direttamente su Uccello Saltellante.
Lo stregone pensò che non aveva mai visto il tenente con quell'aria così calma e decisa.
Poi, Dunbar sorrise. Era un sorriso appena accennato, pieno di sicurezza.
In perfetto comanci disse: << Io sono Danza-con-i-lupi >>.
Quindi voltò le spalle al fuoco e condusse Cisco giù al fiume per una lunga abbeverata.



(continua)

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(segue)

24



Il consiglio riunito da Dieci Orsi non arrivò ad alcuna conclusione, ma il giorno dopo
il ritorno del tenente Dunbar ne venne tenuto un altro e questa volta venne raggiunto
un valido compromesso.
Invece di partire immediatamente, come avevano voluto i giovani guerrieri, il gruppo
che sarebbe sceso sul sentiero di guerra contro i pawnee avrebbe atteso una settimana
per fare i necessari preparativi. Venne anche deciso che dei guerrieri esperti li avrebbero
accompagnati.
Alla loro guida vi sarebbe stato Vento-nei-capelli e anche Uccello Saltellante si sarebbe
unito al gruppo, per fornire gli indispensabili consigli consultando gli spiriti su questioni
pratiche come la scelta dei luoghi in cui accamparsi e dei tempi per sferrare l'attacco,
nonché per le sue doti di divinazione nei riguardi di eventi inattesi di buon o di cattivo
auspicio che non avrebbero mancato di manifestarsi. Si sarebbe trattato di un gruppo
di circa venti guerrieri, con lo scopo di andare in cerca di un bottino di guerra, anziché
di vendetta.
Il gruppo era al centro dell'interesse generale perché molti dei giovani guerrieri ne avrebbero
fatto parte per la prima volta in qualità di guerrieri a pieno titolo, e il fatto che a guidarli
vi fossero degli uomini così prestigiosi provocava abbastanza eccitazione da sconvolgere
la normale routine, solitamente placida e tranquilla, del villaggio di Dieci Orsi.
Anche la routine del tenente Dunbar, già scossa dallo strano giorno e dalla strana notte
passati nell'antico canyon, venne sconvolta. Con tutto quello che stava succedendo, gli
incontri all'ombra della pergola venivano continuamente interrotti e dopo due giorni
vennero sospesi del tutto.
Assediato com'era, Uccello Saltellante fu felice di rivolgere tutta la sua attenzione alla
preparazione dei piani per l'incursione contro i pawnee. Mano Alzata fu lieta di questo
periodo di pausa e anche il tenente Dunbar lo accolse con piacere. Gli appariva chiaro
che lei stava facendo uno sforzo supplementare per mantenersi a distanza e fu sollevato
di veder porre fine alle lezioni se non altro per quel motivo.
I preparativi per il gruppo che sarebbe sceso sul sentiero di guerra lo incuriosivano e cercò
di seguire Uccello Saltellante come un'ombra.
Lo stregone sembrava essere in contatto con l'intero accampamento e Danza-con-i-lupi
fu lietissimo di poter partecipare ai preparativi, anche se soltanto come osservatore.
Sebbene la sua padronanza del dialetto comanci fosse ancora scarsa, adesso arrivava
ad afferrare il nocciolo dei discorsi ed era diventato così abile con il linguaggio dei segni
che Mano Alzata venne di rado chiamata a intervenire durante gli ultimi giorni prima della
partenza del gruppo.
Per il tenente Dunbar si trattò di un'istruzione di primo grado. Presenziò a numerose riunioni
durante le quali a ogni componente del gruppo vennero assegnati i rispettivi compiti con
una cura e con un tatto eccezionali. Leggendo fra le righe, poté notare che fra le molte,
straordinarie qualità di Uccello Saltellante, nessuna contava maggiormente della sua
abilità di far sì che ogni uomo si sentisse importante e indispensabile per la missione
che stava per aver luogo.
Danza-con-i-lupi passò anche del tempo con Vento-nei-capelli. Dato che Vento-nei-capelli
aveva combattuto i pawnee in molte occasioni, i suoi resoconti di questi scontri erano
molto richiesti. In effetti, erano di vitale importanza per la preparazione dei guerrieri più
giovani del gruppo. Nella tenda di Vento-nei-capelli e attorno a questa vennero tenuti dei
corsi informali di tattica di guerra e a mano a mano che i giorni passavano veloci, Danza-
con-i-lupi ne fu contagiato.
Si trattò dapprima di una cosa blanda, niente di più che delle semplici considerazioni su
come avrebbe potuto essere il sentiero di guerra. Ma alla fine venne colto da un forte
desiderio di andare ad affrontare i nemici dei comanci.
Aspettò pazientemente che si presentasse il momento opportuno per poter chiedere di
unirsi al gruppo. Ebbe varie occasioni, ma i momenti arrivarono e passarono senza che lui
riuscisse a ritrovare la parola. Era intimidito dalla paura che qualcuno gli dicesse di no.
Due giorni prima della prevista partenza del gruppo, nelle vicinanze dell'accampamento
venne avvistato un grosso branco di antilocapre e un gruppo di guerrieri, compreso Danza-
con-i-lupi, lasciò il villaggio a caccia di carne.
Adottando la stessa tecnica dell'accerchiamento usata con i bisonti, gli uomini riuscirono
a uccidere un gran numero di animali, circa una sessantina di capi.
La carne fresca era sempre la benvenuta, ma ancora più importante era il fatto che la
comparsa delle antilocapre e l'esito favorevole della caccia venivano interpretati come
un segno che la piccola guerra contro i pawnee avrebbe avuto successo.
Gli uomini della spedizione si sarebbero sentiti rassicurati al pensiero che loro famiglie
non avrebbero avuto problemi di cibo, anche se avessero dovuto rimanere assenti dal
villaggio per parecchie settimane.
La stessa sera ebbe luogo una danza di ringraziamento e il morale di tutti era altissimo.
A eccezione di quello di Danza-con-i-lupi. A mano a mano che le ore della notte trascorrevano,
rimase a osservare a distanza, diventando sempre più immusonito. Pensava unicamente
che lui veniva escluso, e adesso questo pensiero gli riusciva insopportabile.
Cercò di avvicinarsi a Mano Alzata e quando la danza si interruppe, si ritrovò al suo fianco.
<< Voglio parlare con Uccello Saltellante >>, disse.
Qualcosa non va, pensò lei. Lo guardò negli occhi cercando di leggervi qualcosa, ma non
vide nulla.
<< Quando? >>
<< Adesso. >>


(continua)

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(segue)


Per qualche motivo non riusciva a mantenersi calmo. Era insolitamente nervoso e
irrequieto e mentre si dirigevano verso la tenda, sia Mano Alzata sia Uccello Saltellante
potevano rendersene conto.
Il suo nervosismo era ancora evidente, dopo che si furono messi a sedere nel tepee di
Uccello Saltellante. Lo stregone saltò le consuete formalità e venne rapidamente
al punto.
<< Parla pure >>, disse, rivolgendosi a lui per il tramite di Mano Alzata.
<< Voglio andare anch'io. >>
<< Andare dove? >> chiese lei.
Danza- con-i-lupi si agitò inquieto, facendo appello a tutto il suo coraggio.
<< Contro i pawnee. >>
La frase venne trasmessa a Uccello Saltellante.
Gli occhi dello stregone si allargarono leggermente, ma per il resto Uccello Saltellante non
sembrò turbato.
<< Perché vuoi combattere i pawnee? >> fu la sua domanda logica. << Loro non ti hanno
fatto nulla. >>
Danza-con-i-lupi pensò per un momento.
<< Sono nemici dei comanci. >>
A Uccello Saltellante la faccenda non piaceva. C'era qualcosa di forzato nella richiesta.
Danza-con-i-lupi aveva troppa fretta.
<< Solo i guerrieri comanci possono partecipare a questa spedizione >>, disse con tono
asciutto.
<< Sono un guerriero dell'esercito dell'uomo bianco da molto più tempo di quanto alcuni
dei giovani che vi prendono parte abbiano fatto addestramento. Alcuni di loro fanno la
guerra per la prima volta. >>
<< Sono stati preparati alla maniera comanci >>, disse lo stregone a bassa voce. << Tu non
lo sei stato. La maniera dell'uomo bianco non è la maniera comanci. >>
Danza-con-i-lupi perse un po' della sua risolutezza. Capì che stava perdendo. La sua voce
calò di tono.
<< Non posso imparare la maniera comanci di fare la guerra se resto all'accampamento >>,
replicò sottovoce.
Per Uccello Saltellante era difficile. Desiderava che la cosa non stesse succedendo.
Nutriva un profondo affetto per Danza-con-i-lupi. Lui era stato responsabile del soldato
bianco e il soldato bianco aveva dimostrato di essere degno dei rischi che Uccello Saltellante
si era assunto. Più che degno.
D'altro canto, lo stregone aveva raggiunto una posizione importante e di grande rispetto
dedicandosi con impegno alla ricerca della saggezza. Adesso era saggio ed era in grado
di capire il mondo abbastanza bene da essere di grande servigio al suo popolo.
Uccello Saltellante era diviso fra l'affetto per un uomo e la dedizione verso la sua gente.
Ma sapeva che non vi erano dubbi. Tutta la sua saggezza gli diceva che sarebbe stato
sbagliato portare Danza-con-i-lupi con loro.
Mentre lottava per venire a capo della faccenda, lo sentì dire qualcosa a Mano Alzata.
<< Chiede che tu parli della sua richiesta con Dieci Orsi >>, disse lei.
Uccello Saltellante guardò fissamente gli occhi speranzosi del suo protetto ed esitò.
<< Lo farò >>, disse.

Quella notte Danza-con-i-lupi dormì pochissimo, maledicendosi perché era troppo eccitato
per riuscire a riposare. Sapeva che non sarebbe stata presa alcuna decisione fino al
giorno seguente, e domani gli sembrava troppo lontano. Dormiva per dieci minuti restando
sveglio per altri venti, e così per l'intera notte. Mezz'ora prima dell'alba rinunciò definitivamente
e si avviò al fiume per fare un bagno.
Il pensiero di girare per l'accampamento in attesa di sapere qualcosa gli era intollerabile
e prese al volo l'occasione quando Vento-nei-capelli gli chiese se volesse andare a fare
una cavalcata di perlustrazione in cerca di bisonti. Si spinsero parecchio a est ed era
pomeriggio inoltrato quando rientrarono all'accampamento.
Lasciò che Faccia Sorridente riportasse Cisco nel branco dei pony e, con il cuore che gli
batteva furiosamente, entrò nella tenda di Uccello Saltellante.
La tenda era vuota.
Aveva deciso di aspettare fino a che qualcuno non fosse tornato, ma attraverso la parete
posteriore sentiva delle voci di donna mescolate con dei rumori che indicavano che
stavano lavorando a qualcosa, e più ascoltava e meno riusciva a immaginare che cosa
stesse succedendo. Non passarono molti minuti prima che la curiosità avesse il
sopravvento. Uscì all'esterno.
Subito dietro la tenda di Uccello Saltellante, a pochi metri dalla pergola, trovò Mano Alzata
e le mogli dello stregone che davano gli ultimi tocchi a una tenda appena innalzata.
Stavano finendo di cucire l'ultima giuntura delle pelli e lui rimase a vederle lavorare per
alcuni momenti prima di parlare.
<< Dov'è Uccello Saltellante? >>
<< Con Dieci Orsi >>, rispose Mano Alzata.
<< Lo aspetterò >>, disse Danza-con-i-lupi, voltandosi per andarsene.
<< Se vuoi >>, disse lei senza curarsi di sollevare gli occhi dal suo lavoro, << puoi aspettare
qui dentro. >>
Si fermò per asciugare con il dorso della mano le gocce di sudore che le colavano lungo la
tempia e si girò a guardarlo.
<< La stiamo facendo per te. >>




(continua)

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12/11/2007 14:53

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Il colloquio con Dieci Orsi non durò a lungo o, perlomeno, la sostanza del discorso non
durò a lungo.
Il vecchio era di buonumore. Le sue ossa da tempo doloranti traevano giovamento da
quelle calde giornate estive e, anche se lui non vi avrebbe partecipato, la prospettiva
di una spedizione contro gli odiati pawnee coronata dal successo lo rallegrava notevolmente.
I suoi nipoti erano rotondi come delle palle di burro grazie all'abbondante cibo procurato
dalle cacce estive e ultimamente le sue tre mogli erano state particolarmente premurose
nei suoi confronti.
Uccello Saltellante non avrebbe potuto scegliere un momento migliore per conferire con
lui a proposito di una faccenda delicata.
Dieci Orsi ascoltò impassibile mentre Uccello Saltellante gli riferiva della richiesta di
Danza-con-i-lupi. Prima di rispondere, riempì nuovamente la pipa.
<< Mi hai detto che cosa c'è nel suo cuore >>, ansimò il vecchio. << Che cosa c'è nel tuo? >>
Offrì la pipa a Uccello Saltellante.
<< Il mio cuore dice che ha troppa fretta. Vuole troppo, e troppo presto. E' un guerriero, ma
non è un comanci. E non sarà un comanci per un po' di tempo. >>
Dieci Orsi sorrise.
<< Tu parli sempre bene, Uccello Saltellante. E vedi nel modo giusto. >>
Il vecchio accese la pipa e gliela passò.
<< Ora, dimmi >>, continuò, << su che cosa vorresti avere il mio consiglio? >>


Dapprima, fu una terribile delusione. L'unico confronto che potesse fare era quello di essere
stato degradato. Ma era ancora più deludente. Non era mai stato così deluso.
Tuttavia, era colpito dal fatto che il dolore della delusione fosse passato rapidamente. Era
sparito subito dopo che Uccello Saltellante e Mano Alzata se ne erano andati dalla tenda.
Si sdraiò sul giaciglio della sua nuova casa e pensò a questo cambiamento. Erano passati
soltanto dieci minuti da quando gli era stata comunicata la notizia, ma ora non era per niente
sconvolto. Adesso, era una piccola delusione.
E' qualcosa che ha a che fare con il fatto di essere qui, di stare con questa gente. E' qualcosa
che ha a che fare con il fatto di essere intatti e incontaminati.
Uccello Saltellante aveva fatto tutto con estrema precisione. Era arrivato seguito da due donne
che portavano delle pelli, Mano Alzata e una delle sue mogli. Dopo aver preparato il giaciglio,
la moglie se ne era andata e loro tre, Uccello Saltellante, Mano Alzata e Danza-con-i-lupi
erano rimasti l'uno di fronte all'altro al centro del tepee.
Uccello Saltellante non accennò alla spedizione o alla decisione in suo sfavore. Cominciò
semplicemente a parlare.
<< Sarebbe una buona cosa se tu e Mano Alzata continuaste a parlare durante la mia assenza.
Dovreste farlo nella mia tenda in modo che la mia famiglia possa vedere. Voglio che ti
conoscano mentre sono via e voglio che tu conosca loro. Mi sentirò meglio sapendo che ti stai
prendendo cura della mia famiglia mentre io non ci sono. Vieni a sederti accanto al mio fuoco
e a mangiare se hai fame.>>
Dopo aver fatto il suo invito a cena, lo stregone si voltò bruscamente e uscì, seguito da Mano
Alzata.
Guardandoli mentre lasciavano la tenda, Danza-con-i-lupi fu sorpreso di sentire il suo avvilimento
svanire del tutto. Al suo posto vi era una sensazione di euforia. Non si sentiva per niente piccolo.
Si sentiva ancora più grande.
La famiglia di Uccello Saltellante sarebbe stata sotto la sua protezione e provò un immediato
piacere all'idea di poter essere loro di aiuto in quel ruolo. Sarebbe stato nuovamente con Mano
Alzata e anche quel pensiero lo rincuorava.
Il gruppo che stava per scendere sul sentiero di guerra sarebbe rimasto assente per qualche
tempo, dandogli così l'opportunità di imparare parecchio del dialetto comanci. E, apprendendo,
sapeva che avrebbe imparato molto di più del solo linguaggio. Se avesse lavorato sodo, sarebbe
saltato a un livello completamente nuovo per quando i suoi mentori fossero ritornati.
Nel villaggio i tamburi avevano cominciato a rullare. La grande danza di commiato stava iniziando
e lui voleva parteciparvi. Gli piaceva moltissimo danzare.
Danza-con-i-lupi scivolò fuori del giaciglio e si guardò intorno. La sua tenda era vuota, ma entro
breve tempo avrebbe contenuto gli esigui ornamenti della sua vita, ed era piacevole pensare
di avere nuovamente qualcosa che potesse definire suo.
Uscì dalla tenda e si fermò nella luce del crepuscolo. Immerso nelle sue fantasticherie si era
dimenticato della cena, ma il fumo dei fuochi per cuocere il cibo riempiva ancora l'aria e si
sentì appagato dal suo odore.
Allora, un pensiero gli attraversò la mente.
Dovrei rimanere qui, disse a se stesso. E' senz'altro l'idea migliore.
Quando raggiunse il sentiero principale dell'accampamento, si imbatté in un paio di guerrieri
che conosceva. A gesti gli chiesero se quella sera avrebbe danzato. La risposta di Danza-con-i-
lupi fu talmente convinta che gli uomini scoppiarono a ridere.






(continua)


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13/11/2007 09:53

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25



Dopo la partenza del gruppo della spedizione contro i pawnee il villaggio si adagiò
in un ritmo di vita pastorale, una rotazione senza tempo dall'alba al giorno, al tramonto
e alla sera che faceva sembrare la prateria come l'unico luogo del mondo.
Danza-con-i-lupi si uniformò rapidamente a questo ciclo, vivendo il suo tempo in un
modo piacevole e quasi irreale. Una vita fatta di cavalcate, di caccia e di esplorazioni
era fisicamente impegnativa, ma il suo corpo vi si era ben adattato e una volta stabilito
il ritmo delle sue giornate, trovò agevoli e poco gravose la maggior parte di queste
attività.
La famiglia di Uccello Saltellante occupava molto del suo tempo. Le donne svolgevano
in pratica tutti i loro lavori all'interno dell'accampamento, ma lui si sentiva obbligato
a sorvegliare la loro vita giornaliera e quella dei bambini, con il risultato che non stava
certamente con le mani in mano.
Alla danza di commiato Vento-nei-capelli gli aveva fatto dono di un buon arco e di una
faretra di frecce. Il dono lo aveva entusiasmato ed era andato a cercare un guerriero
chiamato Coscia-di-pietra, che gli aveva insegnato come usarlo fin nei più sottili dettagli.
Nello spazio di una settimana fra i due si era instaurata una solida amicizia e Danza-con-i-
lupi si recava regolarmente alla tenda di Coscia-di-pietra.
Imparò come aver cura delle armi e ripararle rapidamente. Imparò le parole di numerosi
canti e come cantarli. Osservò Coscia-di-pietra ottenere il fuoco usando dei bastoncini
di legno e lo vide preparare i suoi amuleti personali.
Era un allievo volonteroso e imparava con rapidità, così rapidamente che Coscia-di-pietra
gli diede il soprannome di Veloce.
Come la maggior parte degli altri uomini, ogni giorno usciva in esplorazione per alcune
ore. Lasciavano il villaggio in un gruppo di tre o quattro uomini e in breve tempo Danza-con-
i-lupi arrivò ad avere una conoscenza rudimentale delle cose necessarie, come leggere
le tracce e capire da quanto tempo erano state lasciate e stabilire le condizioni del tempo
e gli eventuali cambiamenti.
I bisonti arrivavano e se ne andavano nel loro modo misterioso. In alcuni giorni non ne
avvistavano del tutto, in altri ne avvistavano in così gran numero che la cosa diventò uno
scherzo.
Per quanto riguardava i due aspetti che contavano, le esplorazioni giornaliere davano ottimi
risultati. Vi era carne fresca da cacciare e il territorio era libero da nemici.
Dopo soltanto pochi giorni si chiedeva perché tutti non vivessero in una tenda. Quando
pensava ai posti in cui aveva vissuto prima, non riusciva a figurarsi che un insieme di camere
banali.
Per lui, la tenda era una vera casa. Era fresca nei giorni più caldi e indipendentemente dal
trambusto che poteva esserci nell'accampamento, il cerchio di spazio all'interno sembrava
pieno di pace.
Arrivò ad assaporare con piacere il tempo che vi passava da solo.
La parte del giorno che preferiva era il tardo pomeriggio e il più delle volte lo si poteva
trovare seduto davanti all'entrata della tenda mentre eseguiva qualche lavoretto come
pulire i suoi stivali e osservava le nubi che cambiavano forma, o ascoltava il leggero
fischiare del vento.
Senza alcuno sforzo da parte sua, questo tempo passato da solo arrestava il meccanismo
dei suoi pensieri, lasciando riposare la sua mente in modo gradevole e ristoratore.

Non ci volle molto tempo, però, perché un aspetto della sua vita predominasse su tutti
gli altri.
Si trattava di Mano Alzata.
Avevano ripreso le loro conversazioni, questa volta sotto gli occhi noncuranti, ma sempre
presenti, della famiglia di Uccello Saltellante.
Lo stregone aveva dato disposizioni perché gli incontri continuassero, ma senza Uccello
Saltellante a fare da guida non vi erano dei precisi argomenti sui quali orientare le lezioni.
Per i primi giorni si dedicarono a un meccanico, monotono ripasso.
Sotto un certo aspetto, non faceva alcuna differenza. Lei era ancora confusa e impacciata.
La monotonia dei loro primi incontri a due rendeva più facile riprendere il filo del passato.
Le consentiva la necessaria distanza per abituarsi di nuovo a lui.
Danza-con-i-lupi era disposto ad assecondarla. La noia dei loro scambi verbali era
contrappesata dal suo sincero desiderio di riparare alla meglio qualunque cosa avesse
compromesso il legame fra di loro, e aspettò pazientemente durante i primi giorni,
sperando che la situazione diventasse meno tesa.
Il suo apprendimento del comanci procedeva bene, ma presto diventò evidente che il
restare seduti nella tenda tutta la mattina poneva delle limitazioni alla rapidità con la
quale poteva impararlo. Molte delle cose che doveva imparare a conoscere si trovavano
all'esterno. Le interruzioni da parte della famiglia erano incessanti.
Ma lui continuò ad attendere senza lamentarsi, lasciando che Mano Alzata tralasciasse
le parole che non era in grado di spiegare.
Un pomeriggio, subito dopo il pasto di metà giornata, quando non riuscì a spiegargli
la parola << erba >>, Mano Alzata finalmente lo portò fuori della tenda. Una parola tirò
l'altra e quel giorno rimasero all'esterno per più di un'ora. Girovagarono per l'accampamento
talmente assorti nei loro studi che il tempo passò senza che se ne rendessero conto.
La cosa si ripeté e con sempre maggiore frequenza nei giorni successivi. Divenne
un'abitudine vederli girare per il villaggio, ignari di tutto al di fuori delle cose che riguardavano
il loro lavoro: osso, pelle, sole, zoccolo, cane, bastone, cielo, bambino, capelli, pelle di
bisonte, faccia, lontano, vicino, qui, là, brillante, scialbo e via di seguito.
Ogni giorno il linguaggio attecchiva sempre più profondamente in lui e presto Danza-con-
i-lupi fu in grado di dire qualcosa di più delle sole parole. Le frasi cominciarono a prendere
forma e lui iniziò a metterle insieme con un ardore che gli faceva commettere parecchi
errori.
<< Il fuoco cresce nella prateria. >>
<< Mangiare l'acqua mi fa bene. >>
<< Quell'uomo è un osso? >>
Era come un buon podista che faccia una caduta ogni tre falcate, ma continuò caparbiamente
ad aprirsi un varco nel groviglio della nuova lingua e con la sola forza di volontà fece dei
notevoli progressi.
Nessun errore o fallimento riusciva a fiaccargli il morale e affrontava ogni ostacolo con quel
buonumore e quella determinazione che rendono spassosa una persona.
Passavano sempre meno tempo nella tenda. L'esterno era libero da ogni impedimento e
nel villaggio regnava ora una calma straordinaria. Era diventato insolitamente tranquillo.
Tutti stavano pensando agli uomini che erano partiti per affrontare degli eventi incerti nella
terra dei pawnee. A mano a mano che i giorni senza tempo passavano, i parenti e gli
amici degli uomini scesi sul sentiero di guerra pregavano sempre più devotamente per la loro
incolumità. Sembrava che improvvisamente le preghiere fossero diventate la caratteristica
più evidente della vita dell'accampamento, trovando il modo di infilarsi in ogni pasto, in
ogni incontro e in qualsiasi lavoro, per quanto piccolo o di breve durata che fosse.
La sacralità che avvolgeva l'accampamento forniva a Danza-con-i-lupi e a Mano Alzata
un ambiente perfetto in cui operare. Immersi com'erano in questo tempo di attesa e di
preghiera, gli altri prestavano scarsa attenzione alla coppia di bianchi. Mano Alzata e
Danza-con-i-lupi andavano in giro per il villaggio come se fossero racchiusi in una bolla
ben protetta, un'entità a sé.
Ogni giorno trascorrevano insieme tre o quattro ore, senza sfiorarsi e senza parlare di
loro. In apparenza veniva rispettata un'attenta formalità. Ridevano insieme e parlavano
di normali eventi come il tempo. Ma ogni sentimento che li riguardasse rimaneva sempre
occultato. Mano Alzata era molto cauta per quanto riguardava i suoi sentimenti e Danza-
con-i-lupi rispettava questo suo atteggiamento.



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14/11/2007 06:33

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Due settimane dopo che il gruppo di guerrieri aveva lasciato l'accampamento, avvenne
un profondo cambiamento.
Sul finire di un pomeriggio, al rientro di un lungo giro di esplorazione sotto un sole cocente,
Danza-con-i-lupi si diresse alla tenda di Uccello Saltellante. Tovandola vuota e pensando
che la famiglia si fosse recata al fiume, si incamminò per raggiungerli.
Le mogli di Uccello Saltellante erano nell'acqua intente a strofinare energicamente i
bambini. Mano Alzata non c'era. Restò lì quanto bastava perché i bambini lo spruzzassero
con l'acqua, poi si avviò nuovamente su per il sentiero che portava al villaggio.
Il sole era ancora forte e quando vide la pergola il pensiero della sua ombra lo attrasse
irresistibilmente..
Era ormai entrato, quando si accorse che lei era là. Le normali lezioni avevano già avuto
luogo ed entrambi rimasero sconcertati.
Danza-con-i-lupi si sedette a ragionevole distanza da lei e la salutò.
<< Fa... fa molto caldo >>, rispose lei, come se volesse fornire una scusa per la sua
presenza.
<< Sì >>, convenne lui, << fa davvero molto caldo. >>
Anche se non ne aveva bisogno, si portò una mano alla fronte. Era un modo stupido per
assicurarsi che lei capisse che lui era lì per la stessa ragione.
Ma mentre compiva quel gesto simulato, Danza-con-i-lupi si arrestò bruscamente.
All'improvviso, aveva sentito l'impulso di parlare, di dire ciò che provava.
Cominciò semplicemente a parlare. Le disse che era disorientato. Le disse quanto fosse
piacevole per lui trovarsi lì. Le disse della tenda e di quanto fosse contento di averla. Prese
il pettorale di ossa con entrambe le mani e le disse che cosa ne pensava, che per lui
rappresentava qualcosa di speciale. Lo portò alla guancia e disse: << Mi piace immensamente >>.
Poi aggiunse: << Ma io sono un bianco... e sono un soldato. E' giusto che io sia qui o è
una cosa insensata? Mi sto comportando in modo assurdo? >>
Lesse nei suoi occhi che lo stava ascoltando con attenzione.
<< Non è... non lo so >>, rispose Mano Alzata.
Vi fu un attimo di silenzio. Comprese che lei stava aspettando.
<< Non so dove andare >>, continuò lui sommessamente. << Non so dove stare. >>
Lei voltò lentamente il capo e fissò oltre l'entrata della pergola.
<< Lo so >>, disse.
Era ancora immersa nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso al pomeriggio là fuori, quando
lui disse: << Voglio restare qui >>.
Lei si voltò a guardarlo. Il suo viso sembrava immenso. Il sole che stava calando gli aveva
conferito una tenue luminosità. E i suoi occhi, colmi di comprensione, avevano la stessa
luce.
<< Sì >>, disse, intuendo esattamente ciò che lui provava.
Mano Alzata chinò il capo. Quando tornò a guardarlo, Danza-con-i-lupi si sentì inghiottito,
la medesima sensazione che aveva provato nella prateria con Timmons la prima volta.
I suoi occhi erano gli occhi di una persona piena di sentimento, colmi di una bellezza che
pochi uomini potevano comprendere. Erano eterni.
Quando vide tutto questo, Danza-con-i-lupi si innamorò.
Mano Alzata si era già innamorata. Accadde nel momento in cui lui cominciò a parlare,
non all'improvviso ma gradatamente fino a quando, alla fine, non poté negarlo. Vide se
stessa in lui. Vide che potevano essere una persona sola.
Parlarono ancora un poco, poi tacquero. Per alcuni minuti rimasero a fissare la luce del
pomeriggio oltre la soglia della pergola, ciascuno di loro sapendo che cosa sentisse
l'altro ma non osando parlare.
L'incanto venne rotto quando uno dei bambini di Uccello Saltellante passò lì vicino,
guardò dentro e chiese loro che cosa stessero facendo.
Mano Alzata sorrise di questa innocente intrusione e disse al bambino in comanci:
<< Fa molto caldo. Stiamo seduti all'ombra >>.
Al bambino la cosa parve talmente logica che entrò nella pergola e andò ad accoccolarsi
in grembo a Danza-con-i-lupi. Lottarono scherzosamente per alcuni minuti, ma il gioco
non durò a lungo.
Il bambino improvvisamente si alzò e disse a Mano Alzata che aveva fame.
<< D'accordo >>, disse lei in comanci, e lo prese per mano.
Poi rivolse uno sguardo a Danza-con-i-lupi.
<< Mangiare? >>
<< Sì, ho fame. >>
Uscirono dalla pergola e si avviarono verso la tenda di Uccello Saltellante per cominciare
ad accendere il fuoco.



(continua)

_________Aurora Ageno___________
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