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IL MESSAGGIO 2 - Parole di luce - Il Vangelo commentato della Domenica

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2013 17:11
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Il Vangelo della prossima Domenica

Incontrare Gesù rende libero l'uomo

XXXI Domenica Tempo ordinario-Anno C


Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».


C'è un Rabbi che riempie di gente le strade. Tanta gente, al punto che Zacchèo, piccolo di statura, ha davanti a sé un muro. Ma questo piccolo-grande uomo non ha complessi, ha un obiettivo: vuole vedere Gesù, di parlargli non spera, e invece di nascondersi dietro l'alibi dei suoi limiti, cerca la soluzione: l'albero. Zacchèo agisce in nome non della paura ma del desiderio, e così diventa creativo, inventa, va' controcorrente, respira un'energia che lo fa correre avanti e salire in alto. Gesù passando alzò lo sguardo: guarda quell'uomo dal basso verso l'alto, come quando si inginocchia e lava i piedi ai discepoli. Dio non ci guarda mai dall'alto in basso, ma sempre dal basso verso l'alto, con infinito rispetto, annullando ogni distanza. Lo sguardo di Gesù: il solo sguardo che non giudica, non condanna, non umilia, e perciò libera; che va diritto al cuore e interpella la parte migliore di ciascuno, quel frammento puro che nessun peccato arriverà mai a cancellare. Zacchèo vuol dire «Dio si ricorda». Ma non del tuo peccato, bensì del tuo tesoro si ricorda. Zacchèo cerca di vedere Gesù e scopre che Gesù cerca di vedere lui. Il cercatore si accorge di essere cercato, l'amante scopre di essere amato: Zacchèo, scendi, oggi devo fermarmi a casa tua. «Devo» dice Gesù, devo fermarmi! Dio deve cercarmi, deve farlo per un suo intimo bisogno: a Dio manca qualcosa, manca Zacchèo, manca l'ultima pecora, manco io. Se Gesù avesse detto: Zacchèo, io ti conosco bene, so che sei un ladro, se restituisci ciò che hai rubato verrò a casa tua. Credetemi: Zacchèo sarebbe rimasto sull'albero. Zacchèo prima incontra, poi si converte: incontrare uno come Gesù fa credere nell'uomo; incontrare un uomo così rende liberi; incontrare questo amore fa amare; incontrare un Dio che non fa prediche e non condanna ma che si fa amico moltiplica l'amicizia. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Poche parole: fretta, accogliere, gioia, che dicono sulla conversione più di tanti trattati. Apro la casa del cuore a Dio, con fiducia, e la gioia e la vita si rimettono in moto. Infatti vediamo la casa di Zacchèo riempirsi di amici, il ricco diventare amico dei poveri: «Metà di tutto ciò che ho è per loro» Come se i poveri fossero la metà di se stesso. Oggi a casa tua. Dio alla portata di ognuno. Dio nella casa: alla mia tavola, come un familiare, intimo come una persona cara. Perché Gerico è su ogni strada del mondo: per ogni piccolo c'è un albero, per ognuno uno sguardo. La casa di Zacchèo è la mia. Sulla soglia attendo: La mia casa è aperta, vieni!


(Letture: Sapienza 11,22-12,2; Salmo 144; 2 Tessalonicesi 1,11-2,2; Luca 19,1-10).

padre Ermes Ronchi



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Il Vangelo della prossima Domenica

Non Dio dei morti ma dei viventi

XXXII Domenica Tempo ordinario - Anno C


In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi - i quali dicono che non c'è risurrezione - e gli posero questa domanda: “Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per lui».


I sadducei propongono a Gesù una storia paradossale per mettere in ridicolo l'ipotesi stessa della risurrezione. Ci sono molti cristiani come sadducei: l'eternità appare loro poco attraente, forse perché percepita più come durata che come intensità; come prolungamento del presente, mentre in primo luogo è il modo di esistere di Dio. C'erano sette fratelli, e quella donna mai madre e vedova sette volte, di chi sarà nell'ultimo giorno? Non sarà di nessuno. Perché nessuno sarà più possesso di nessuno. All'inizio, nei sette fratelli preme un'ansia di dare la vita, un bisogno di fecondità. Alla fine, l'ansia umana diventa ansia divina quando Gesù afferma: e saranno figli di Dio, perché sono figli della risurrezione. In Dio e nell'uomo urge lo stesso bisogno di dare la vita, a figli da amare. La fede nella risurrezione non è frutto del mio bisogno di esistere oltre la morte, ma racconta il bisogno di Dio di dare vita, di custodire vite all'ombra delle sue ali. Quelli che risorgono non prendono moglie né marito, dice Gesù. In quel tempo sarà inutile il matrimonio, ma non inutile l'amore. Perché amare è la pienezza dell'uomo e la pienezza di Dio. Saranno come angeli. Gli angeli non sono le creature gentili e un po' evanescenti del nostro immaginario. Nella Bibbia gli angeli hanno la potenza di Dio, un dinamismo che trapassa, sale, penetra, che vola nella luce, nell'ardore, nella bellezza. Il loro compito sarà custodire, illuminare, reggere, rendere bello l'amore. Ogni amore vero che abbiamo vissuto si sommerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, donerà non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità. «Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi». Dio «di»: in questo «di» ripetuto cinque volte è contenuto il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell'eternità. Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio appartiene a loro, loro appartengono a Dio. Così totale è il legame, che il Signore giunge a qualificarsi non con un nome proprio, ma con il nome di quanti ha amato. Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte integrante di sé. Dio di Abramo, di Isacco, di Gesù, Dio di mio padre, di mia madre- Se quei nomi, quelle persone non esistono più è Dio stesso che non esiste. Se quel legame si dissolve è il nome stesso di Dio che si spezza. Per questo li farà risorgere: solo la nostra risurrezione farà di Dio il Padre per sempre.


(Letture: 2 Maccabei 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2 Tessalonicesi 2,16-3,5; Luca 20, 27-38).

padre Ermes Ronchi


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12/11/2010 09:25


Il Vangelo della prossima Domenica

Viene un Dio esperto d'amore

XXXIII Domenica Tempo Ordinario-Anno C



In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: -Sono io-, e: -Il tempo è vicino-. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine.» Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di render testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime.»


Verranno giorni in cui di tutto quello che vedete non sarà lasciata pietra su pietra. Niente è eterno sulla terra, eccetto l'uomo. Non resterà pietra su pietra, ma l'uomo resterà, frammento su frammento. Questo Vangelo ci fa camminare sul crinale stretto della storia: da un lato il versante oscuro della violenza che distrugge: guerre, terremoti, menzogne; dall'altro il versante pacificato da una immagine minima e fortissima: neppure un capello del vostro capo andrà perduto. Il crinale della violenza che distrugge, il versante della tenerezza che salva. E noi in mezzo, mantenendo chiaro il confine. Quando avverrà tutto questo? Gesù non risponde al quando, perché il quando è adesso. Adesso il mondo è fragile, fragili la natura e l'amore. Ogni giorno un mondo muore e un mondo nuovo nasce, con lacerazioni e germogli. Invece del quando, Gesù indica come camminare: con perseveranza. Il cristiano non evade, non si toglie, sta in mezzo al mondo e alle sue piaghe, e se ne prende cura. Sta vicino alle croci di oggi, ma non per caso, se capita, fortuitamente, non occasionalmente, ma come progetto, con perseveranza: nella perseveranza salverete la vostra vita. Ogni volta che perseveri e vai fino in fondo a un'idea, a una intuizione, a un servizio sfoci nella verità della vita. Ogni atto umano perseverante nel tempo si avvicina all'assoluto di Dio. Salverete la vita significa la renderete libera da inganno e da violenza, i due elementi distruttori del mondo, i due nomi che il Vangelo dà al nemico dell'uomo: Padre della menzogna e omicida fin dal principio. Quello di oggi non è un Vangelo sulla fine, ma un testo «apocalittico», cioè rivelatore del senso della storia e delle forze che la guidano. I giorni dell'uomo sono pena e affanno, dice il salmista, ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Al di là di guerre, di odio e cataclismi, oltre la stessa morte, viene un Dio esperto d'amore. Per Lui nulla è insignificante di ciò che appartiene all'amato. È l'infinita cura di Dio per l'infinitamente piccolo: un solo capello del capo interessa al Signore. Cosa c'è più affidabile di un Dio che si perde a contarti i capelli in capo? Che ama come innamorato ogni fibra dell'amato, l'uomo nella sua interezza, uno solo dei capelli e tutto il mio mistero? Mi colpisce una parola: sarete odiati da tutti. Discepoli odiati: perché contestano la logica del mondo, smascherano l'inganno del denaro e del potere, l'inganno del mondo che ama la morte dicendo di amare la vita. Ci sono due mondi, loro sono dell'altro.


(Letture: Malachia 3,19-20; Salmo 97; 2 Tessalonicesi 3,7-12; Luca 21,5-19)

Padre Ermes Ronchi



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Solennità di Cristo Re

Il Vangelo della prossima Domenica

Un Dio che si sacrifica per l'uomo

XXXIV Domenica- Anno C Solennità di Cristo Re


In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto». (...). Sopra di lui c'era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».


Cristo re dell'universo, proclama la liturgia. Ma dov'è il suo regno, dov'è mai la terra come Lui la sogna, la nuova architettura del mondo e dei rapporti umani? Lui, venuto come se non fosse venuto...Il Vangelo di oggi ci aiuta a delineare alcuni tratti del Regno. Il primo è rivelato dalle parole dei capi del popolo: ha salvato gli altri, salvi se stesso. Riconoscono in Gesù una storia di uomini e donne salvati, guariti, rimessi in piedi, trasfigurati. Riconoscono che Gesù salva altri e non pensa a salvare se stesso. Qui è posta l'immagine nuova di Dio, l'assoluta novità cristiana: un Dio che non chiede sacrifici all'uomo, ma che si sacrifica lui per l'uomo. Che al centro dell'universo non pone se stesso, ma l'uomo salvato e guarito; che come obiettivo della storia non mette la propria gloria o l'adorazione, ma la vita piena dell'uomo. Regale è davvero questo amore che si inabissa, dimenticandosi, nell'amato. Il secondo tratto del volto del re è rivelato dalle parole del malfattore appeso alla croce: egli invece non ha fatto nulla di male. Una frase sola, di semplicità sublime: non ha fatto nulla di male. In queste parole è racchiuso il segreto della regalità vera: niente di male, in quell'uomo; innocenza mai vista ancora, nessun seme di odio, il solo che non ha nulla a che fare con la violenza e con l'inganno. Questo è bastato ad aprirgli il cuore: il ladro intravede in quell'uomo non solo buono, ma esclusivamente buono, un possibile futuro diverso, l'inizio di una umanità nuova. Intuisce che quel cuore pulito è il primo passo di una storia diversa, l'annuncio di un regno di bontà e di perdono, di giustizia e di pace. Ed è in questo regno che domanda di entrare. Ricordati di me - prega il ladro morente. Sarai con me - risponde l'Amore. Sintesi ultima di tutte le possibili preghiere. Ricordati - prega la paura. Ti terrò con me - risponde l'Amore. Solo ricordati e mi basta - prega l'ultimo respiro di vita. Sarai con me, risponde l'immortale. Non solo nel ricordo, ma in un abbraccio forte. Ecco il nostro Re: uno che ha la forza regale e divina di dimenticare se stesso dentro la paura e la speranza dell'altro; il cuore di chi rivolge le sue ultime parole per gli uomini a un assassino e, in lui, a tutti noi che nascondiamo in fondo all'anima la tentazione o la capacità di una cultura di morte. È lì, nel ladro ucciso, la consacrazione suprema della dignità dell'uomo: nel suo limite più basso l'uomo è sempre e ancora amabile per Dio, basta solo la sincerità del cuore. Non c'è nulla e nessuno di definitivamente perduto, nessuno che non possa sperare, per oggi e per domani.


(Letture: 2 Samuele 5,1-3; Salmo 121; Colossesi 1,12-20; Luca 23, 35-43).

padre Ermes Ronchi



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Il Vangelo della prossima Domenica

È Avvento, il tempo dell'ascolto

I Domenica di Avvento Anno A


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà».


Avvento è il tempo magnifico che sta tra il gemito delle creature e la venuta di Signore, lunga ora tra le doglie e il parto. Tempo per guardare in alto e più lontano, per essere attenti a ciò che sta accadendo. Noi siamo così distratti, che non riusciamo a gustare i giorni e i mille doni. Per questo non siamo felici, perché siamo distratti. I giorni di Noè: mangiavano e bevevano gli uomini in quei giorni, prendevano moglie e marito. Ma che facevano di male? Niente, erano solo impegnati a vivere. Ma a vivere senza mistero, in una quotidianità opaca: e non si accorsero di nulla. È possibile vivere così, senza sapere perché, senza accorgersi neppure di chi ti sfiora nella tua casa, di chi ti rivolge la parola; senza accorgersi di cento naufraghi a Lampedusa, di questo pianeta depredato, dei germogli che nascono. Non ci accorgiamo che questa affannosa ricerca di sempre più benessere sta generando un rischio di morte per l'intero pianeta. Un altro diluvio. Il tempo dell'Avvento è un tempo per svegliarci, per accorgerci. Il tempo dell'attenzione. Attenzione è rendere profondo ogni momento. Due uomini saranno nel campo, uno verrà portato via e uno lasciato. Non è dell'angelo della morte che parla il Vangelo, ma di due modi diversi di vivere nel campo della vita: uno vive in modo adulto, uno infantile; uno vive affacciandosi sull'infinito, uno è chiuso solo dentro la sua pelle; uno è chino solo sul suo piatto, uno è generoso con gli altri di pane e di amore. Tra questi due uno è pronto all'incontro con il Signore, quello che vive attento, l'altro non si accorge di nulla. Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro... Mi ha sempre inquietato l'immagine del Signore che viene di soppiatto come un ladro nella notte. Cerco di capire: Dio non è un ladro di vita, e infatti non è la morte che viene adombrata in questa piccola parabola, ma l'incontro. Il Signore è un ladro ben strano, non ruba niente, dona tutto, viene con le mani piene. Ma l'incontro con Lui è rapinoso, ti obbliga a fare il vuoto in te di cento cose inutili, altrimenti ciò che porta non ci sta. Mette a soqquadro la tua casa, ti cambia la vita, la fa ricca di volti, di luce, di orizzonti. Io ho qualcosa di prezioso che attira il Signore, come la ricchezza attira il ladro: è la mia persona, il fiume della mia vita che mescola insieme fango e pagliuzze d'oro, questo nulla fragile e glorioso cui però Lui stesso ha donato un cuore. Vieni pure come un ladro, Signore, prendi quello che è prezioso per te, questo povero cuore. Prendilo, e ridonamelo poi, armato di luce.


(Letture: Isaia 2,1-5; Salmo 121; Romani 13,11-14a; Matteo 24,37-44)

padre Ermes Ronchi



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03/12/2010 07:47


Il Vangelo della prossima Domenica

La buona notizia del Dio vicino

II Domenica di Avvento Anno A


In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. (...)


La frase centrale dell'annuncio del Battista suona così: il regno dei cieli è vicino, convertitevi. Sono le stesse parole con cui inizierà la predicazione di Gesù. Dio è vicino, prima buona notizia. Il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze. Per ora, solo il profeta vede i passi di Dio. Ma «non è la Rivelazione che s'attarda / sono i nostri occhi non ancora pronti» (E. Dickinson). Avvento è l'annuncio che Dio è vicino, vicino a tutti, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l'agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani. Il Regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è il nostro futuro che ci chiama. Noi andiamo chiamati dal futuro. La seconda buona notizia: allora la mia vita cambia. Ciò che converte il freddo in calore è la vicinanza del fuoco. «Stare vicino a me è stare vicino al fuoco» (Vangelo apocrifo di Tommaso), non si torna indenni dall'incontro col fuoco. La forza che cambia le persone è una forza non umana, una forza im-mane, il divino in noi, Dio che viene, entra e cresce dentro. Ciò che mi converte è un pezzetto di Cristo in me. Convertitevi! Più che un ordine è una opportunità: cambiate strada, azioni, pensieri; con me il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi forti, e miele. Con me vivrai solo inizi. Vivrai vento e fuoco. E frutti buoni. Rivelazione che nella vita il cambiamento è possibile sempre, che nessuna situazione è senza uscita, per grazia. Il terzo centro dell'annuncio di Giovanni: portate frutti degni di conversione. Scrive Alda Merini: la fede è una mano / che ti prende le viscere/ la fede è una mano / che ti fa partorire. Partorire un frutto buono! Quando Dio si avvicina la vita diventa feconda e nessuno è più sterile. Dio viene al centro della vita non ai margini di essa (Bonhoeffer). Raggiunge e tocca quella misteriosa radice del vivere che ci mantiene diritti come alberi forti, che permette speranze nonostante le macerie, frumento buono nonostante la erbe cattive del nostro campo. Viene nel cuore della vita, nella passione e nella fedeltà d'amore, nella fame di giustizia, nella tenacia dell'onestà, quando mi impegno a ridurre la distanza tra il sogno grande dei profeti e il poco che abbiamo fra le mani. Perché il peccato non è trasgredire delle regole, ma trasgredire un sogno. Un sogno grande come quello di Gesù, bello come quello di Isaia, al centro della vita come quello di Giovanni.


(Letture: Isaia 11,1-10; Salmo 71; Matteo 3,1-12; Romani 15, 4-9).

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Il Vangelo della prossima Domenica

Il vero miracolo, un piccolo seme

III Domenica di Avvento Anno A


In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».


«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». Grande domanda che permane intatta: perseveriamo dietro il Vangelo o cerchiamo altrove? Giovanni è colto dal dubbio, eppure Gesù non perde niente della stima immensa che nutre per lui: «È il più grande!» I dubbi non diminuiscono la statura di questo gigante dello spirito. Ed è di conforto per tutti i nostri dubbi: io dubito, e Dio continua a volermi bene. Io dubito, e la fiducia di Dio resta intatta. Sei tu? Gesù non risponde con argomentazioni, ma con un elenco di fatti: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi, guariscono, si rimettono in cammino hanno una seconda opportunità, la loro vita cambia. Dove il Signore tocca, porta vita, guarisce, fa fiorire. La risposta ai nostri dubbi è semplicemente questa: se l'incontro con Lui ha prodotto in me frutti buoni (gioia, coraggio, fiducia nella vita, apertura agli altri, speranza, altruismo). Se invece non sono cambiato, se sono sempre quello di prima, vuol dire che sto sbagliando qualcosa nel mio rapporto con il Signore. I fatti che Gesù elenca non hanno trasformato il mondo, eppure quei piccoli segni sono sufficienti perché noi non consideriamo più il mondo come un malato inguaribile. Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della storia con i miracoli. Ha promesso qualcosa di più forte ancora: il miracolo del seme, la laboriosa costanza del seme. Con Cristo è già iniziato, ma come seme che diventerà albero, un tutt'altro modo di essere uomini. Un seme di fuoco è sceso dentro di noi e non si spegne. Sta a noi ora moltiplicare quei segni (voi farete segni ancora più grandi dei miei), mettendo tempo e cuore nell'aiutare chi soffre, nel curare ogni germoglio che spunta, come il contadino: Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra (Giacomo, II lettura). La fede è fatta di due cose: occhi che sanno vedere oltre l'inverno del presente, e la speranza laboriosa del contadino. Fino a che c'è fatica c'è speranza. Beato chi non trova in me motivo di scandalo. Gesù portava scandalo e lo porta oggi, a meno che non ci facciamo un Cristo a nostra misura e addomestichiamo il suo messaggio: non stava con la maggioranza, ha cambiato il volto di Dio e le regole del potere, ha messo la persona prima della legge e il prossimo al mio pari. E tutto con i mezzi poveri, e il più scandalosamente povero è stata la croce. Gesù: un uomo solo, con un pugno di amici, di fronte a tutti i mali del mondo. Beato chi lo sente come piccolo e fortissimo seme di luce, goccia di fuoco che vive e geme nel cuore dell'uomo. Unico miracolo di cui abbiamo bisogno.


(Letture: Isaia 35,1-6a.8a.10; Salmo 145; Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11)

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Il Vangelo della prossima Domenica

Il sogno di Giuseppe, gesto d'amore

IV Domenica di Avvento Anno A


Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (...).


Secondo il Vangelo di Luca l'Annunciazione è fatta a Maria, secondo Matteo l'angelo parla a Giuseppe. Chi ha ragione? Sovrapponiamo i due Vangeli e scopriamo che l'annuncio è fatto alla coppia, allo sposo e alla sposa insieme, al giusto e alla vergine innamorati. Dio non ruba spazio alla famiglia, la coinvolge tutta; non ferisce l'armonia, cerca invece un sì plurale, che diventa creativo perché è la somma di due cuori, di molti sogni e moltissima fede. Dio è all'opera nelle nostre relazioni, parla dentro le famiglie, dentro le nostre case, nel dialogo, nel dramma, nella crisi, nei dubbi, negli slanci, nelle oasi di verità e di amore che sottraggono il cuore al deserto. Maria si trovò incinta, dice Matteo. Sorpresa assoluta della creatura che arriva a concepire l'inconcepibile, il proprio Creatore. Qualcosa che però strazia il cuore di Giuseppe: non volendo accusarla pubblicamente pensò di ripudiarla in segreto. Ma è insoddisfatto della decisione presa, perché è innamorato di Maria, e continua a pensare a lei, presente fin dentro i suoi sogni. Giuseppe, l'uomo dei sogni, non parla mai, ma sa ascoltare il proprio profondo, i sogni che lo abitano: anzi, l'uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio. Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Non temere, non avere paura, sono le prime parole con cui nella Bibbia Dio apre il dialogo con gli uomini: la paura è il contrario della fede, della paternità, del futuro, della libertà. Perché Dio non fa paura; se hai paura, non è da Dio. Giuseppe prende con sé la madre e il bambino, preferisce l'amore per Maria, e per Dio, al suo amor proprio. La sua grandezza è amare qualcuno più di se stesso, il primato dell'amore. Per amore di Maria, scava spazio nel suo cuore e accoglie quel bambino non suo. E diventa vero padre di Gesù, anche se non è il genitore. Generare un figlio è facile, ma essergli padre e madre, amarlo, farlo crescere, farlo felice, insegnargli il mestiere di uomo, è tutta un'altra avventura. Padri e madri si diventa nel corso di tutta la vita. L'annunciazione ha luogo nelle case. Al tempio Dio preferisce la casa, perché lì si gioca la buona battaglia della vita. Ogni giorno di vita offerto è una annunciazione quotidiana. Ogni figlio che nasce ci guarda con uno sguardo in cui ci attende tutta l'eternità. Dio ci benedice ponendoci accanto persone come angeli, annunciatori dell'infinito, e talvolta - per i più forti tra noi - ponendoci accanto persone che hanno bisogno, un enorme bisogno di noi. Ed è così che non ci lascia vivere senza mistero.


(Letture: Isaia 7,10-14; Salmo 23; Romani 1,1-7; Matteo 1,18-24)

padre Ermes Ronchi




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Il Vangelo della prossima Domenica

Giuseppe, modello di ogni credente


Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - Anno A


I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall'Egitto ho chiamato mio figlio». Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».


Il Natale non è sentimentale ma drammatico: è l'inizio di un nuovo ordinamento di tutte le cose. Non una festa di buoni sentimenti, ma il giudizio sul mondo, la conversione della storia. La grande ruota del mondo aveva sempre girato in un unico senso: dal basso verso l'alto, dal piccolo verso il grande, dal debole verso il forte. Quando Gesù nasce, anzi quando il Figlio di Dio è partorito da una donna, il movimento della storia per un istante si inceppa e poi prende a scorrere nel senso opposto: l'onnipotente si fa debole, l'eterno si fa mortale, l'infinito è nel frammento. Le sorti del mondo si decidono dentro una famiglia: un padre, una madre, un figlio, il nodo della vita, il perno del futuro. Le cose decisive - oggi come allora - accadono dentro le relazioni, cuore a cuore, nel quotidiano coraggio di una, di tante, di infinite creature innamorate e generose che sanno "prendere con sé" la vita d'altri. Giuseppe è il modello di ogni credente, in cui la fede e affetti sono forza l'uno per l'altro. Erode invia soldati, Dio manda un sogno. Un granello di sogno caduto dentro gli ingranaggi duri della storia basta a modificarne il corso. «Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto». Un Dio che fugge nella notte! Perché l'angelo comanda di fuggire, senza garantire un futuro, senza segnare la strada e la data del ritorno? Perché Dio non salva dall'esilio, ma nell'esilio; non ti evita il deserto ma è forza dentro il deserto, non protegge dalla notte ma nella notte. Per tre volte Giuseppe sogna. Ogni volta un annuncio parziale, una profezia di breve respiro. Eppure per partire non chiede di aver tutto chiaro, di vedere l'orizzonte completo, ma solo «tanta luce quanto basta al primo passo» (H. Newman), tanta forza quanta ne serve per la prima notte. A Giuseppe basta un Dio che intreccia il suo respiro con quello dei tre fuggiaschi per sapere che il viaggio va verso casa, anche se passa per il lontano Egitto; che è un'avventura di pericoli, di strade, di rifugi e di sogni, ma che c'è un filo rosso il cui capo è saldo nella mano di Dio. Giuseppe rappresenta tutti i giusti della terra, uomini e donne che, prendendo su di sé vite d'altri, vivono l'amore senza contare fatiche e paure; tutti quelli che senza proclami e senza ricompense, in silenzio, fanno ciò che devono fare; tutti coloro il cui «compito supremo nel mondo è custodire delle vite con la propria vita» (E. Canetti). E così fanno: concreti e insieme sognatori, inermi eppure più forti di ogni faraone.

(Letture: Siracide 3, 3-7.14-17a; Salmo 127; Colossesi 3, 12-21; Matteo 2, 13-15. 19-23)


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31/12/2010 09:52


Il Vangelo della prossima Domenica

In ogni uomo un frammento di Dio

II Domenica dopo Natale


In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. (...).



In principio era il Verbo e il Verbo era Dio. Giovanni inizia il suo Vangelo con una poesia, con un canto, con un volo d'aquila che proietta subito Gesù di Nazaret verso l'in principio e verso il divino. Nessun altro canto, nessun'altra storia può risalire più indietro, volare più in alto di questa che contiene l'inizio di tutte le cose: tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Nulla di nulla senza di lui. In principio, tutto, nulla, sono parole che ci mettono in rapporto con l'assoluto e con l'eterno. La mano di Dio su tutte le creature del cosmo e «il divino traspare dal fondo di ogni essere» (Tehilard de Chardin). Non solo degli esseri umani ma perfino della pietra. «Nel cuore della pietra Dio sogna il suo sogno e di vita la pietra si riveste» (Vannucci). Un racconto grandioso che ci da un senso di vertigine, ma che poi si acquieta dentro una parola semplice e bella: accogliere. Ma i suoi non l'hanno accolto, a quanti invece l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli. Accogliere: parola bella che sa di porte che si aprono, di mani che accettano doni, di cuori che fanno spazio alla vita. Parola semplice come la mia libertà, parola vertice di ogni agire di donna, di ogni maternità. Dio non si merita, si accoglie. «Accogliere» verbo che genera vita, perché l'uomo diventa ciò che accoglie in sé. Se accogli vanità diventerai vuoto; se accogli disordine creerai disordine attorno a te, se accogli luce darai luce. Dopo il suo Natale è ora il tempo del mio Natale: Cristo è venuto ed è in noi come una forza di nascite. Cristo nasce perché io nasca. Nasca nuovo e diverso: nasca figlio! Il Verbo di Dio è come un seme che genera secondo la propria specie, Dio non può che generare figli di Dio. Perché Dio si è fatto uomo? Perché Dio nasca nell'anima, perchè l'anima nasca in Dio (M. Eckart). E il Verbo si è fatto carne. Non solo si è fatto Gesù, non solo uomo, ma di più: carne, esistenza umana, mortale, fragile ma solidale. Bambino a Betlemme e carne universale. Dio non plasma più l'uomo con polvere del suolo, come fu in principio, ma si fa lui stesso polvere plasmata. Il vasaio si fa argilla di un piccolo vaso. E se tu devi piangere, anche lui imparerà a piangere. E se tu devi morire anche lui conoscerà la morte. Da allora c'è un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo. C'è santità e luce in ogni vita. Il Verbo entra nel mondo e porta la vita di Dio in noi. Ecco la vertigine: la vita stessa di Dio in noi. La profondità ultima del Natale: Dio nella mia carne. E destino di ogni creatura è diventare carne intrisa di cielo.


(Letture: Siracide 24,1-4.8-12; Salmo 147; Efesini 1,3-6.15-18; Giovanni 1,1-18)

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07/01/2011 09:45



Il Vangelo della prossima Domenica

Spirito e acqua per la vita che sorge

Battesimo del Signore Anno A


In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento». Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli, e vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba sopra di lui.


Lo Spirito e l'acqua sono le più antiche presenze della Bibbia, entrano in scena già dal secondo versetto della Genesi: la terra era informe e deserta, ma «lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Il primo movimento della vita nella Bibbia è una danza dello Spirito sulle acque. Come una colomba che cerca il suo nido, che cova la vita che sta per nascere. Da allora sempre lo Spirito e l'acqua sono legati al sorgere della vita. Per questo sono presenti nel Battesimo di Gesù e nel nostro Battesimo: come vita sorgente. Di quale vita si tratta? Lo spiega la Voce dal cielo: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. «Figlio» è la prima parola. Ogni figlio vive della vita del padre, non ha in sé stesso la propria sorgente, viene da un altro. Quella stessa voce è scesa sul nostro Battesimo e ci ha dichiarati figli, i quali non da carne né da volere d'uomo ma da Dio sono stati generati (Gv 1,13). Battesimo significa immersione: siamo stati immersi dentro la Sorgente, ma non come due cose separate ed in fondo estranee, come il vestito e il corpo, ma per diventare un'unica cosa, come l'acqua e la Sorgente, come il tralcio e la Vite: la nostra carne in Dio in risposta a Dio nella nostra carne, il farsi uomo di Dio che genera "l'indiarsi" (Dante) dell'uomo. Il nostro abitare in Dio dopo che Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14), il mio Natale dopo il suo Natale. Amato è la seconda parola. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ogni giorno appena ti svegli, il tuo nome per Dio è «amato». Immeritato amore, che precede ogni risposta, lucente pregiudizio di Dio su ogni creatura. Mio compiacimento è la terza parola. Termine raro e prezioso che significa: tu - figlio - mi piaci. C'è dentro una gioia, un'esultanza, una soddisfazione, c'è un Dio che trova piacere a stare con me e mi dice: tu, gioia mia! E mi domando quale gioia posso regalare al Padre, io che l'ho ascoltato e non mi sono mosso, che non l'ho mai raggiunto e già perduto, e qualche volta l'ho perfino tradito. Solo un amore immotivato spiega queste parole. Amore puro: avere un motivo per amare non è amore vero. E un giorno quando arriverò davanti a Dio ed Egli mi guarderà, so che vedrà un pover'uomo, nient'altro che una canna incrinata, il fumo di uno stoppino smorto. Eppure so che ripeterà proprio a me quelle tre parole: Figlio mio, amore mio, gioia mia. Entra nell'abbraccio di tuo padre!


(Letture: Isaia 42, 1-4. 6-7; Atti 10, 34-38; Matteo 3, 13-17)

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14/01/2011 10:41


Il Vangelo della prossima settimana

Dio sacrifica se stesso per l'uomo

II Domenica Tempo ordinario Anno A

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: -Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me-. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: -Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo-. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».


Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Ecco l'agnello, ecco il piccolo animale sacrificato, il sangue sparso, la vittima innocente. Ma di che cosa è vittima Gesù? Forse dell'ira di Dio per i nostri peccati, che si placa solo con il sangue dei sacrifici? Della giustizia di Dio che come risarcimento esige la morte dell'unico innocente? No, Dio aveva già detto per bocca di Isaia: sono stanco dei tuoi sacrifici senza numero. Io non bevo il sangue dei tuoi agnelli, io non mangio la loro carne (cf. Isaia 1, 11). Appare invece il capovolgimento totale portato da Gesù: in tutte le religioni l'uomo sacrifica qualcosa per Dio, ora è Dio che sacrifica se stesso per l'uomo. Dio non esige la vita del peccatore, dà la sua vita anche a coloro che gliela tolgono. E dal suo costato aperto sulla croce non esce vendetta o rabbia, ma sangue e acqua, sangue d'amore, acqua di vita, la capacità di amare sempre e comunque. Di che cosa è vittima allora l'Agnello di Dio? Gesù è vittima d'amore. Scrive Origene: «Dio prima ha sofferto, poi si è incarnato. Ha sofferto perché caritas est passio», la sofferenza di Dio è figlia della sua passione d'amore; ha sofferto vedendo il male che l'uomo ha e fa, sentendolo far piaga nel suo cuore; ha sofferto per amore. Gesù è vittima della violenza. Ha sfidato e smascherato la violenza, padrona e signora della terra, con l'amore. E la violenza non ha potuto sopportare l'unico uomo che ne era totalmente libero. E ha convocato i suoi adepti e ha ucciso l'agnello, il mite, l'uomo della tenerezza. Gesù è l'ultima vittima della violenza, perché non ci siano più vittime. Doveva essere l'ultimo ucciso, perché nessuno fosse più ucciso. Giovanni diceva parole folgoranti: «Ecco la morte di Dio perché non ci sia più morte», e la nostra mente può solo affacciarsi ai bordi di questo abisso. Ecco colui che toglie il peccato; non un verbo al futuro, nell'attesa; non al passato, come un fatto concluso, ma al presente: ecco colui che instancabilmente continua a togliere, a raschiare via il mio peccato di adesso. E come? Con il castigo? No, con il bene. Per vincere la notte incomincia a soffiare la luce del giorno, per vincere la steppa sterile semina milioni di semi, per disarmare la vendetta porge l'altra guancia, per vincere la zizzania del campo si prende cura del buon grano. Noi siamo inviati per essere breccia di questo amore, braccia aperte donate da Dio al mondo, piccolo segno che ogni creatura sotto il sole è amata teneramente dal nostro Dio, agnello mite e forte che dona se stesso.


(Letture: Isaia 49, 3.5-6; Salmo 39; 1 Corinzi 1, 1-3; Giovanni 1, 29-34)

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21/01/2011 12:06

Il Vangelo della prossima Domenica

Si converte l'uomo che scopre di essere amato da Dio

III domenica Tempo ordinario Anno A


Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, (...) Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.



La parola inaugurale di Gesù, premessa a tutto il Vangelo è: convertitevi. E subito il «perché» della conversione: perché il regno si è fatto vicino. Ovvero: Dio si è fatto vicino, vicinissimo a te, ti avvolge, è dentro di te. Allora «convértiti» significa: gìrati verso la luce, perché la luce è già qui. La conversione non è la causa ma l'effetto della tua «notte toccata dall'allegria della luce» (Maria Zambrano). Immaginavo la conversione come un fare penitenza del passato, come una condizione imposta da Dio per il perdono, pensavo di trovare Dio come risultato e ricompensa all'impegno. Ma che buona notizia sarebbe un Dio che dà secondo le prestazioni? Gesù viene a rivelarci che il movimento è esattamente l'inverso: è Lui che mi incontra, che mi raggiunge, mi abita. Gratuitamente. Prima che io faccia qualcosa, prima che io sia buono, Lui mi è venuto vicino. Allora io cambio vita, cambio luce, cambio il modo di intendere le cose. Scrive padre Vannucci: «la verità è che noi siamo immersi in un mare d'amore e non ce ne rendiamo conto». Quando finalmente me ne rendo conto, comincia la conversione. Cade il velo dagli occhi, come a Paolo a Damasco. Abbandono le barche come i quattro pescatori, lascio le piccole reti per qualcosa di ben più grande. Gesù passando vide... Due coppie di fratelli, due barche, un lavoro? No, vede molto di più: in Simone bar Jona vede Kefa, Pietro, la roccia su cui fondare la sua chiesa; in Giovanni intuisce il discepolo dalla più folgorante definizione di Dio: Dio è amore; Giacomo sarà «figlio del tuono», uno che ha dentro la vibrazione e la potenza del tuono. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo creatore, una profezia. Mi guarda, e vede in me un tesoro sepolto, nel mio inverno vede grano che matura, una generosità che non sapevo di avere, strade nel sole. Nel suo sguardo vedo per me la luce di orizzonti più grandi. Venite dietro a me: vi farò pescatori di uomini. Raccoglieremo uomini per la vita. Li porteremo dalla vita sepolta alla vita nel sole. Risponderemo alla loro fame di libertà, amore, felicità. I quattro pescatori lo seguono subito, senza sapere dove li condurrà, senza neppure domandarselo: hanno dentro ormai le strade del mondo e il cuore di Dio. Gesù camminava per la Galilea e annunciava la buona novella, camminava e guariva la vita. La bella notizia è che Dio cammina con te, senza condizioni, per guarire ogni male, per curare le ferite che la vita ti ha inferto, e i tuoi sbagli d'amore. Dio è con te e guarisce. Dio è con te, con amore: la sola cosa che guarisce la vita. Questo è il Vangelo di Gesù: Dio con voi, con amore.


(Letture: Isaia 8, 23b-9, 3; Salmo 26; 1 Corinzi 1, 10-13.17; Matteo 4, 12-33)

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Il Vangelo della prossima Domenica

Felicità, parola chiave delle Beatitudini

IV domenica Tempo ordinario Anno A


In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. (...)


Le nove Beatitudini sono il cuore del Vangelo; al cuore del Vangelo c'è per nove volte la parola felicità, c'è un Dio che si prende cura della gioia dell'uomo, tracciandogli i sentieri. Come al solito, inattesi, controcorrente, e restiamo senza fiato, di fronte alla tenerezza e allo splendore di queste parole. Sono la nostalgia prepotente di un tutt'altro modo di essere uomini, il sogno di un mondo fatto di pace, di sincerità, di giustizia, di cuori puri. Queste nove parole sono la bella notizia, l'annuncio gioioso che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità. Le beatitudini sono il più grande atto di speranza del cristiano. Quando vengono proclamate sanno ancora affascinarci, poi usciamo di chiesa e ci accorgiamo che per abitare la terra, questo mondo aggressivo e duro, ci siamo scelti il manifesto più difficile, incredibile, stravolgente e contromano che l'uomo possa pensare. La prima dice: beati voi poveri. E ci saremmo aspettati: perché ci sarà un capovolgimento, perché diventerete ricchi. No. Il progetto di Dio è più profondo e vasto. Beati voi poveri, perché vostro è il Regno, già adesso, non nell'altra vita! Beati, perché c'è più Dio in voi, c'è più libertà, meno attaccamento all'io e alle cose. Beati perché custodite la speranza di tutti. In questo mondo dove si fronteggiano nazioni ricche fino allo spreco e popoli poverissimi, un esercito silenzioso di uomini e donne preparano un futuro buono: costruiscono pace, nel lavoro, in famiglia, nelle istituzioni; sono ostinati nel proporsi la giustizia, onesti anche nelle piccole cose. Gli uomini delle beatitudini, ignoti al mondo, che non andranno sui giornali, sono loro i segreti legislatori della storia. La seconda è la beatitudine più paradossale: Beati quelli che sono nel pianto. Felicità e lacrime mescolate insieme, forse indissolubili. Dio è dalla parte di chi piange ma non dalla parte del dolore! Un angelo misterioso annuncia a chiunque piange: il Signore è con te. Dio non ama il dolore, è con te nel riflesso più profondo delle tue lacrime per moltiplicare il coraggio, per fasciare il cuore ferito, nella tempesta è al tuo fianco, forza della tua forza. La parola chiave delle beatitudini è felicità. Sant'Agostino, che scrive un opera intera sulla vita beata, scrive: abbiamo disputato sulla felicità e non conosco valore che maggiormente si possa ritenere dono di Dio. Dio non solo è amore, non solo misericordia, Dio è anche felicità. Felicità è uno dei nomi di Dio.


(Letture: Sofonia 2, 3; 3, 12-13; Salmo 145; 1 Corinzi 1, 26-31; Matteo 5, 1-12a)


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Il Vangelo della prossima Domenica

Il sale e la luce: radici di vero futuro

V Domenica del Tempo Ordinario Anno A


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».


Dio è luce: una delle più belle definizioni di Dio (1 Giovanni 1,5). Ma il Vangelo oggi rilancia: anche voi siete luce. Una delle più belle definizioni dell'uomo. E non dice: voi dovete essere, sforzatevi di diventare, ma voi siete già luce. La luce non è un dovere ma il frutto naturale in chi ha respirato Dio. La Parola mi assicura che in qualche modo misterioso e grande, grande ed emozionante, noi tutti, con Dio in cuore, siamo luce da luce, proprio come proclamiamo di Gesù nella professione di fede: Dio da Dio, luce da luce. Io non sono né luce né sale, lo so bene, per lunga esperienza. Eppure il Vangelo parla di me a me, e dice: Non fermarti alla superficie, al ruvido dell'argilla, cerca in profondità, verso la cella segreta del cuore; là, al centro di te, troverai una lucerna accesa, una manciata di sale. Per pura grazia. Non un vanto, ma una responsabilità. Voi siete la luce, non io o tu, ma voi. Quando un io e un tu s'incontrano generando un noi, quando due sulla terra si amano, nel noi della famiglia dove ci si vuol bene, nella comunità accogliente, nel gruppo solidale è conservato senso e sale del vivere. Come mettere la lampada sul candelabro? Isaia suggerisce: Spezza il tuo pane, introduci in casa lo straniero, vesti chi è nudo, non distogliere gli occhi dalla tua gente... Allora la tua luce sorgerà come l'aurora (Isaia 58,10). Tutto un incalzare di azioni: non restare curvo sulle tue storie e sulle tue sconfitte, ma occupati della città e della tua gente, illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirà la tua vita. Voi siete il sale, «che ascende dalla massa del mare rispondendo al luminoso appello del sole. Allo stesso modo il discepolo ascende, rispondendo all'attrazione dell'infinita luce divina» (Vannucci). Ma poi discende sulla mensa, perché se resta chiuso in sé non serve a niente: deve sciogliersi nel cibo, deve donarsi. Il sale dà sapore: Io non ho voluto sapere nient'altro che Cristo crocifisso (1 Corinzi 2,1-5). «Sapere» è molto più che «conoscere»: è avere il sapore di Cristo. E accade quando Cristo, come sale, è disciolto dentro di me; quando, come pane, penetra in tutte le fibre della vita e diventa mia parola, mio gesto, mio cuore. Il sale conserva. Gesù non dice «voi siete il miele del mondo», un generico buonismo che rende tutto accettabile, ma il sale, qualcosa che è una forza, un istinto di vita che penetra le scelte, si oppone al degrado delle cose, e rilancia ciò che merita futuro.

(Letture: Isaia 58,7-10; Salmo 111; 1 Corinzi 2,1-5; Matteo 5,13-16)

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Il Vangelo della prossima Domenica

Da Gesù la radice della «vita buona»

VI Domenica Tempo Ordinario- Anno A


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: (...) Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio-. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: -Stupido-, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: -Pazzo-, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. (...)


Avete inteso che fu detto, ma io vi dico... Gesù non annuncia una nuova morale più esigente e impegnativa. Queste, che sono tra le pagine più radicali del Vangelo, sono anche le più umane, perché qui ritroviamo la radice della vita buona. Il discorso della montagna vuole condurci alla radice, lungo una doppia direttrice: la linea del cuore e la linea della persona. Il grande principio di Gesù è il ritorno al cuore, che è il laboratorio dove si forma ciò che poi uscirà fuori e prenderà figura di parola, gesto, atto. È necessario guarire il cuore per guarire la vita. Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira, chiunque alimenta dentro di sé rabbie e rancori, è già omicida. Gesù risale alla radice prima, a ciò che genera la morte o la vita. E che san Giovanni esprimerà in un'affermazione colossale: «Chi non ama suo fratello è omicida» (1 Gv 3, 15). Cioè: chi non ama uccide. Non amare qualcuno è togliergli vita; non amare è un lento morire. Ma io vi dico: non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, Gesù arriva al divieto della menzogna. Di' la verità sempre, e non servirà più giurare. Così porta a compimento, sulla linea del cuore, le conseguenze già implicite nella legge antica. E poi la linea della persona: Se tu guardi una donna per desiderarla sei già adultero... Non dice: se tu, uomo, desideri una donna; se tu, donna, desideri un uomo. Il desiderio è un servitore indocile, ma importante. Dice: Chi guarda per desiderare, e vuol dire: se tu guardi solo per il tuo desiderio, se guardi il suo corpo per il tuo piacere, allora tu pecchi contro la sua persona. Tu allora sei un adultero, nel senso originario di adulterare: tu falsifichi, tu inquini, tu impoverisci la persona. Perché riduci a oggetto per te, a corpo usa e getta la persona, che invece è abisso, oceano, cielo, angelo, profondità, vertigine. Pecchi non tanto contro la legge, ma contro la profondità e la dignità della persona, che è icona di Dio. Perché la legge è sempre rivelazione dei comportamenti che fanno crescere l'uomo in umanità, o che ne diminuiscono l'umanità e la grandezza, che è come dire rivelazione di ciò che rende felice l'uomo. È un unico salto di qualità quello che Gesù propone, la svolta fondamentale: passare dalla legge alla persona, dall'esterno all'interno, dalla religione del fare a quella dell'essere. Il ritorno al cuore, là dove nascono i grandi «perché» delle azioni. Allora il vangelo è facile, umanissimo, anche quando dice parole come queste, che danno le vertigini.


(Letture: Siracide 15,16-21; Salmo 118; 1 Corinzi; Matteo 5,17-37)


padre Ermes Ronchi


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Il Vangelo della prossima Domenica

Un cuore che sa amare i nemici

VII Domenica Tempo Ordinario-Anno A

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: -Occhio per occhio e dente per dente-. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. (...) Avete inteso che fu detto: -Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico-. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». (...)



Avete inteso che fu detto: occhio per occhio... Ma io vi dico se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra: sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da difendere, e l'altro capirà l'assurdo di esserti nemico. Tu porgi l'altra guancia; non la passività morbosa di chi ha paura, ma una iniziativa decisa: riallaccia tu la relazione, fa' tu il primo passo, perdonando, ricominciando, rattoppando coraggiosamente il tessuto della vita, continuamente lacerato. Il cristianesimo non è una religione di servi, che si mortificano e si umiliano e non reagiscono; non è «la morale dei deboli che nega la gioia di vivere» (Nietzsche). Ma la religione dei re, degli uomini totalmente liberi, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di inventare reazioni nuove, attraverso la creatività dell'amore, che fa saltare i piani, non ripaga con la stessa moneta, scombina le regole ma poi rende felici. Amerai il prossimo e odierai il tuo nemico, Ma io vi dico: amate i vostri nemici. Gesù intende eliminare il concetto stesso di nemico. Violenza produce violenza come un catena infinita. Lui sceglie di spezzarla. Mi chiede di non replicare su altri ciò che ho subito. Ed è così che mi libero. Tutto il Vangelo è qui: amatevi altrimenti vi distruggerete. Cosa possono significare allora gli imperativi di Gesù: amate, pregate, porgete, prestate? Non sono ordini, non si ama infatti per decreto, ma porte spalancate verso delle possibilità, offerta di un potere, trasmissione da Dio all'uomo di una forza divina. E tutto questo perché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. Da Padre a figli: c'è come una trasmissione di eredità, un'eredità di comportamenti, di affetti, di valori, di forza. Voi potete amare anche i nemici, potete fare l'impossibile, io ve ne darò la capacità se lo desiderate, se me lo chiedete, e proseguite sulla strada del cambiamento interiore, della conformazione al Padre. Allora capisco: io posso (potrò) amare come Dio! Ci sarà dato un giorno il cuore stesso di Dio. Ogni volta che noi chiediamo al Signore: «Donaci un cuore nuovo» , noi stiamo invocando di poter avere un giorno il cuore di Dio, di conformarci agli stessi sentimenti del cuore di Dio. È straordinario, verrà il giorno in cui il nostro cuore che ha fatto tanta fatica a imparare l'amore, sarà il cuore di Dio e allora saremo capaci di un amore che rimane in eterno, che sarà la nostra anima, per sempre, e l'anima del mondo.

(Letture: Levitico 19,1-2.17-18; Salmo 102: 1 Corinzi 3,16-23; Matteo 5,38-48)

Padre Ermes Ronchi




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Il Vangelo della prossima Domenica

Cercate il Regno, trovate la libertà

VIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.».


Gesù rilancia la sua sfida per un altro modo di essere uomini: non preoccupatevi delle cose, c'è dell'altro che vale di più. È la sfida contenuta nella preghiera del Padre Nostro: dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ti chiediamo solo il pane sufficiente per oggi, il pane che basta giorno per giorno, come la manna nel deserto, non l'affanno del di più. È la sfida del monaco: conosco monasteri che vivono così, come uccelli e come gigli, quotidianamente dipendenti dal cielo. Ma questa sfida è anche per tutti noi, pieni di cose e spaventati dal futuro. La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Occuparsi meno delle cose e di più della vita vera, che è fatta di relazioni, consapevolezza, libertà, amore. Vuoi volare alto, come un uccello, vuoi fiorire nella vita come un giglio? Allora devi deporre dei pesi. Madre Teresa di Calcutta soleva dire: tutto ciò che non serve pesa! Meno cose e più cuore! Non una rinuncia, ma una liberazione. Dalle cose, dalla 'roba' diventata padrona dei pensieri. Guardate gli uccelli del cielo... Osservate i gigli del campo... se l'uccello avesse paura perché domani può arrivare il falco o il cacciatore, non canterebbe più, non sarebbe più una nota di libertà nell'azzurro. Se il giglio temesse la tempesta che domani può arrivare, o ricordasse il temporale di ieri, non fiorirebbe più. Gesù osserva la vita, e la vita gli parla di fiducia e di Dio. E a noi dice: beati i puri di cuore perché vedranno Dio, vedranno in tutto ciò che esiste un punto verginale e fiducioso che è la presenza di Dio, vi scopriranno un altare dove si celebra la comunione tra visibile e invisibile. Allora: non affannatevi, quell'affanno che toglie il respiro, per cui non esistono feste o domeniche, non c'è tempo per chi si ama, per contemplare un fiore, una musica, la primavera. Cercate prima di tutto il Regno di Dio e queste cose vi saranno date in più. Non è moralista il Vangelo, non si oppone al desiderio di cibo e vestito, dicendo: è sbagliato, è peccato, non serve. Anzi, tutto questo lo avrete, ma in tutt'altra luce. «Il cristianesimo non è una morale ma una sconvolgente liberazione» (Vannucci). Libera dai piccoli desideri, per desiderare di più e meglio, per cercare ciò che fa volare, ciò che fa fiorire e ti mette in armonia con tutto ciò che vive. Insegna un rapporto fiducioso e libero con se stessi, con il corpo, con il denaro, con gli altri, con le più piccole creature e con Dio. Cercate il regno, occupatevi della vita interiore, delle relazioni, del cuore; cercate pace per voi e per gli altri, giustizia per voi e per gli altri, amore per voi e per gli altri. Meno cose e più cuore! E troverete libertà e volo.

(Letture: Isaia 49,14-15; Salmo 61; 1 Corinzi 4,1-5; Matteo 6,24-34)

Padre Ermes Ronchi




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04/03/2011 09:56


Il Vangelo della prossima Domenica

Assomigliare a Gesù nel quotidiano

IX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: -Signore, Signore-, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? Ma allora io dichiarerò loro: -Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!-. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande.».


La gente ascoltava Gesù e capiva. Capiva che per entrare nel suo sogno (il regno dei cieli è il mondo come lui lo sogna) non servivano lunghe preghiere, né le formule esatte dei dottori in teologia: non chi dice Signore, Signore. Che bastava percorrere una strada più libera e viva: fare la volontà del Padre. Volontà di Dio è la mia impotenza avvolta dalla sua onnipotenza, che nessun uomo sia solo, che ognuno fiorisca a immagine di Dio, che abbia compagni d'amicizia e di festa, che sia creativo, libero e ostinato nell'amore. Signore, abbiamo profetato nel tuo nome, scacciato demòni, compiuto prodigi. Ma io dirò loro: Non vi ho mai conosciuti. Voi non potete entrare. Non entrano quelli che si vantano dei loro meriti, che si giustificano da sé, così indaffarati nel fare, da aver dimenticato l'essenziale. L'essenziale è dentro queste parole: non vi conosco. Dio cerca in me ciò che ben conosce: un riflesso almeno del suo amore. Conoscere nella Bibbia è un verbo carico di potenza e di intimità, vuol dire incontrare, toccare, stringere, evoca l'incontro dell'uomo e della donna quando si amano e generano vita. Non vi conosco: avete proclamato Cristo, avete venerato Dio, ma è rimasto esterno a voi, non c'è stato quel combaciare profondo, quello «stringiti in me, stringimi in te» (Testori), l'osmosi, lo scambio di vita. Quanta gente straordinaria è lasciata fuori: profeti, esorcisti, taumaturghi! Ma il Vangelo non chiede cose eccezionali. Noi diciamo: beati i profeti. Lui ha detto: beati i poveri. Noi: beati quelli che fanno miracoli; Lui: beati quelli che fanno misericordia. Non nello straordinario, ma nel quotidiano noi assomigliamo a Cristo, in un bicchiere d'acqua fresca offerto, in un pezzo di strada fatto con chi ha paura, in una lacrima asciugata. In gesti come quelli di Gesù: quante volte si ferma, solo perché qualcuno lo chiama. Si ferma e si gira, non lo vediamo mai progettare grandi opere, ma ascoltare, imporre le mani, toccare occhi, orecchi, labbra, spezzare il pane, entrare nelle case, sedere a mensa. Vale per noi tutti: meno opere e più gesti. E poi c'è il terzo momento del Vangelo: la parabola delle due case. Una fondata sulla roccia, l'altra sulla sabbia. Chi non costruisce le sue relazioni sull'amore, costruisce sul nulla. Chi edifica sull'amore non avrà una vita più facile, una famiglia senza problemi: strariperanno fiumi, soffieranno venti per gli uni e per gli altri. Non una vita semplificata, ma una esistenza nella consistenza, con più gioia, con radici salde, che combaciano con la roccia, una debolezza ma avvolta d'onnipotenza.

(Letture: Deuteronomio 11,18.26-28.32; Salmo 30; Romani 3,21-25a.28; Matteo 7,21-27)

Padre Ermes Ronchi




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11/03/2011 16:30


Il Vangelo della prossima Domenica

Le tentazioni di Cristo sono anche le nostre

I Domenica di Quaresima Anno A


In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: -Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio-». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: -Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra-». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: -Non metterai alla prova il Signore Dio tuo-».Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: -Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto-». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.


Il racconto delle tentazioni ci chiama al lavoro mai finito di mettere ordine nelle nostre scelte, a scegliere come vivere Le tentazioni di Gesù sono anche le nostre: investono l'intero mondo delle relazioni quotidiane. La prima tentazione concerne il rapporto con noi stessi e con le cose (l'illusione che i beni riempiano la vita). La seconda è una sfida aperta alla nostra relazione con Dio (un Dio magico a nostro servizio). La terza infine riguarda la relazione con gli altri (la fame di potere, l'amore per la forza). Dì che queste pietre diventino pane! Il pane è un bene, un valore indubitabile, ma Gesù risponde giocando al rialzo, offrendo più vita: «Non di solo pane vivrà l'uomo». Il pane è buono ma più buona è la parola di Dio, il pane dà vita ma più vita viene dalla bocca di Dio. Accende in noi una fame di cielo: L'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Parola di Dio è il Vangelo, ma anche l'intero creato. Se l'uomo vive di ciò che viene da Dio, io vivo della luce, del cosmo, ma anche di te: fratello, amico, amore, che sei parola pronunciata dalla bocca di Dio per me. La seconda tentazione è una sfida aperta a Dio. «Buttati e credi in un miracolo». Quello che sembrerebbe il più alto atto di fede - gettati con fiducia! - ne è, invece, la caricatura, pura ricerca del proprio vantaggio. Gesù ci mette in guardia dal volere un Dio magico a nostra disposizione, dal cercare non Dio ma i suoi benefici, non il Donatore ma i suoi doni. «Non tentare il Signore»: io so che sarà con me, ma come lui vorrà, non come io vorrei. Forse non mi darà tutto ciò che chiedo, eppure avrò tutto ciò che mi serve, tutto ciò di cui ho bisogno. Nella terza tentazione il diavolo alza ancora la posta: adorami e ti darò tutto il potere del mondo. Il diavolo fa un mercato, esattamente il contrario di Dio, che non fa mai mercato dei suoi doni. È come se dicesse: Gesù, vuoi cambiare il corso della storia con la croce? non funzionerà. Il mondo è già tutto una selva di croci. Cosa se ne fa di un crocifisso in più? Il mondo ha dei problemi, tu devi risolverli. Prendi il potere, occupa i posti chiave, cambia le leggi. Così risolverai i problemi: con rapporti di forza e d'inganno, non con l'amore. «Ed ecco angeli si avvicinarono e lo servivano». Avvicinarsi e servire, verbi da angeli. Se in questa Quaresima ognuno di noi volesse avvicinarsi e prendersi cura di una persona che ha bisogno, perché malata o sola o povera, regalando un po' di tempo e un po' di cuore, allora per lei sarebbe come se si avvicinasse un angelo, come se fiorissero angeli nel nostro deserto.

(Letture: Genesi 2,7-9;3,1-7; Salmo 50; Romani 5,12-19; Matteo 4, 1-11).

Padre Ermes Ronchi




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Il Vangelo della prossima Domenica

Un Dio che fa risplendere la vita

II Domenica di Quaresima Anno A


In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: “Alzatevi e non temete”. Sollevando gli occhi non videro più nessuno se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».

Dal deserto di pietre al monte di luce. Dalle tentazioni alla trasfigurazione. Il cammino di Cristo è quello di ogni discepolo, cammino ascendente e liberante: dal buio delle tentazioni attraversato fino alla luce di Dio. Cos'è la luce di Dio? È energia e bellezza. Per il corpo: sostiene la nostra vita biologica. Per la mente: sapienza che fa vedere e capire. Per il cuore, che rende capaci di amare bene. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Come il sole, come la luce. Quante volte nella Bibbia, nei salmi, Dio sorge glorioso come un sole: il sole chiama alla vita, a fiorire a maturare a dare frutto. Accende la bellezza dei colori e degli occhi. Come la pianta che cattura la luce del sole e la trasforma in vita, così noi, fili d'erba davanti a Dio, possiamo imbeverci, intriderci della sua luce e tradurla in calore umano, in gioia, in sapienza. Gesù ha un volto di sole, perché ha un sole interiore, per dirci che Dio ha un cuore di luce. Ma quel volto di sole è anche il volto dell'uomo: ognuno ha dentro di sé un tesoro di luce, un sole interiore, che è la nostra immagine e somiglianza con Dio. La vita spirituale altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce sepolta in noi. Signore, Pietro prende la parola, che bello essere qui! Restiamo quassù insieme. L'entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione stupita: che bello! Ci fanno capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un «che bello!» gridato a pieno cuore. Come Pietro sul monte: è bello con te, Signore! Questo Vangelo è per dirci che la Quaresima più che un tempo di lutto e penitenza, è un girarsi verso la bellezza e la luce. Acquisire fede significa acquisire bellezza del vivere, acquisire che è bello amare, abbracciare, dare alla luce, esplorare, lavorare, seminare, ripartire perché la vita ha senso, va verso un esito buono, qui e nell'eternità. San Paolo scrive a Timoteo una frase bellissima: Cristo è venuto ed ha fatto risplendere la vita. Non solo il suo volto, non solo le sue vesti sul Tabor, non solo i nostri sogni. Ma la vita, qui, adesso, di tutti. Ha riacceso la fiamma delle cose. Ha messo nelle vene del mondo frantumi di stelle. Ha dato splendore e bellezza all'esistenza. Ha dato sogni e canzoni bellissime al nostro andare di uomini e donne. Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto risplendere la vita, per ritrovare la verità e la gioia di credere in questo Dio. Allora tutto il creato si fa trasparente e il divino traspare nel fondo di ogni essere (Teilhard de Chardin) e gronda di luce ogni volto di uomo (Turoldo).


(Letture: Genesi 12,1-4; Salmo 32; 2 Timoteo 1,8b-10; Matteo 17,1-9).

Padre Ermes Ronchi



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25/03/2011 07:51


Il Vangelo della prossima Domenica

Impariamo a donare come Gesù

III Domenica di Quaresima Anno A


In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era un pozzo di Giacobbe (...). Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?» I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. Le disse: “Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. Gli replicò la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. Gesù le dice: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. Le disse Gesù: “Sono io, che ti parlo”.
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: “Che desideri?”, o “Perché parli con lei?”. La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”. Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. Ma egli rispose: “Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?”. Gesù disse loro: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro”.
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.



Gesù attraversa il paese dei samaritani, forestiero in mezzo a gente d'altra tradizione e religione, e il suo agire è già messaggio: incontra, parla e ascolta, chiede e offre, instaura un dialogo vero, quello che è «reciproca fecondazione» (R. Panikkar). In questo suo andare libero e fecondo fra gli stranieri, Gesù è maestro di umanità. Lo è con il suo abbattere barriere: la barriera tra uomo e donna, tra la gente del luogo e i forestieri, tra religione e religione. È maestro perché fonte di nascite: - fa nascere un incontro e un dialogo là dove sembrava impossibile, e questo a partire dalla sua povertà: «Ho sete!». Ha sete della nostra sete, desiderio del nostro desiderio. Dobbiamo imparare a dare come dà Gesù: non con la superiorità di chi ha tutto, ma con l'umiltà di chi sa che può molto ricevere da ogni persona; - fa nascere una donna nuova. Quando parla con le donne Gesù va diritto al cuore, conosce il loro linguaggio, quello del sentimento, del desiderio, della ricerca di ragioni forti per vivere: «Vai a chiamare colui che ami». Perché l'amore è la porta di Dio, ed è Dio in ciascuno. Hai avuto cinque mariti. E quello di ora... Gesù non giudica la samaritana, non la umilia, anzi: hai detto bene! Non esige che si metta in regola prima di affidarle l'acqua viva, non pretende di decidere il suo futuro. È il Messia di suprema delicatezza, di suprema umanità, che incarna il volto bellissimo di Dio. Gesù raggiunge la sete profonda di quella donna offrendo un «di più» di bellezza, di bontà, di vita, di primavera: «Ti darò un'acqua che diventa sorgente che zampilla». L'acqua è vita, energia di vita, grazia che io ricevo quando mi metto in connessione con la Fonte inesauribile della vita. Gesù dona alla samaritana di ricongiungersi alla sua sorgente e di diventare lei stessa sorgente. Un'immagine bellissima: un'acqua che tracima, dilaga, che va, un torrente che è ben più di ciò che serve alla sete. La sorgente non è possesso, è fecondità. «A partire da me ma non per me» (M. Buber). La samaritana abbandona la brocca, corre in città, ferma tutti per strada, testimonia, profetizza, contagia d'azzurro e intorno a lei nasce la prima comunità di discepoli stranieri. La donna di Samaria capisce che non placherà la sua sete bevendo a sazietà, ma placando la sete d'altri; che si illuminerà illuminando altri, che riceverà gioia donando gioia. Diventare sorgente, bellissimo progetto di vita per ciascuno: far sgorgare e diffondere speranza, accoglienza, amore. A partire da me, ma non per me.


(Letture: Èsodo 17, 3-7; Salmo 94; Romani 5,1-2, 5-8; Giovanni 4, 5-42)

Padre Ermes Ronchi


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Il Vangelo della prossima Domenica

Chiamati alla luce della gioia di Dio

IV Domenica di Quaresima Anno A


In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa -Inviato-. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».


Una carezza di luce sul cieco. Gesù tocca e illumina gli occhi di un mendicante che ci rappresenta tutti. Una carezza di luce che diventa carezza di libertà. Chi non vede deve appoggiarsi ad altri, a muri, a un bastone, ai genitori, a farisei. Chi vede cammina sicuro, senza dipendere da altri, libero. Come il cieco del Vangelo che guarito diventa forte, non ha più paura, tiene testa ai sapienti, bada ai fatti concreti e non alle parole. Si nutre di luce e osa. Libero. Una carezza di libertà che diventa carezza di gioia. Perché vedere è godere i volti, la bellezza, i colori. La luce è un tocco di allegria che si posa sulle cose. Così la fede, che è visione nuova delle cose, crea uno sguardo lucente che porta luce là dove si posa: «Voi siete luce nel Signore» (Efesini 5,8). I farisei, quelli che sanno tutte le regole, non provano gioia per gli occhi nuovi del cieco perché a loro interessa la Legge e non la felicità dell' uomo: mai miracoli di sabato! Non capiscono che Dio preferisce la felicità dei suoi figli alla fedeltà alla legge, che parla il linguaggio della gioia e per questo seduce ancora. Funzionari delle regole e analfabeti del cuore. Mettono Dio contro l'uomo ed è il peggio che possa capitare alla nostra fede. Dicono: «I poveri restino pure poveri, i mendicanti continuino a mendicare, i ciechi si accontentino, purché si osservi il sabato! Gloria di Dio è il precetto osservato!». E invece no, gloria di Dio è un uomo che torna a vedere. E il suo lucente sguardo dà lode a Dio più di tutti i sabati! Ed è una dura lezione: i farisei mostrano che si può essere credenti senza essere buoni; che si può essere uomini di Chiesa e non avere pietà; è possibile "operare" in nome di Dio e andare contro Dio. Amministratori del sacro e analfabeti del cuore. Nelle parole dei farisei il termine che ricorre più spesso è «peccato»: «Sappiamo che sei peccatore; sei nato tutto nei peccati; se uno è peccatore non può fare queste cose»; anche i discepoli avevano chiesto: «Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori?». Il peccato è innalzato a teoria che spiega il mondo, che interpreta l'uomo e Dio. Gesù non ci sta: «Né lui ha peccato, né i suoi genitori». Si allontana subito, immediatamente, con la prima parola, da questa visione per dichiarare come essa renda ciechi su Dio e sugli uomini. Parlerà del peccato solo per dire che è perdonato, cancellato. Il peccato non spiega Dio. Dio è compassione, futuro, approccio ardente, mano viva che tocca il cuore e lo apre, amore che fa nascere e ripartire la vita, che porta luce. E il tuo cuore ti dirà che tu sei fatto per la luce.

(Letture: 1 Samuele 16,1b.4a.6-7.10-13a; Salmo 22; Efesini 5,8-14; Giovanni 9,1-41)

Padre Ermes Ronchi



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Il Vangelo della prossima Domenica

Le lacrime di Dio, fonte d'amore

V Domenica di Quaresima Anno A


In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: “Signore, ecco, il tuo amico è malato”. All’udire questo, Gesù disse: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. […] Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro [...]. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». […]



Nella vita degli amici di Gesù irrompono la morte e il miracolo. Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto. Dolcemente, come si fa con chi amiamo, Marta rimprovera l'amico: va diritta al cuore di Gesù, e Gesù va diritto al cuore delle cose: Tuo fratello risorgerà. E Marta: so che risorgerà nell'ultimo giorno. Ma quel giorno è così lontano dal mio desiderio e dal mio dolore. Marta parla al futuro: So che risorgerà, Gesù parla al presente: Io sono, e incide due parole tra le più importanti del Vangelo: Io sono la risurrezione e la vita. Come alla samaritana è ancora a una donna che Gesù regala parole che sono al centro di tutta la fede: Io ci sono e sono la vita! Sono colui che adesso, qui, fa rinascere e ripartire da tutte le cadute, gli inverni, gli abbandoni. Notiamo la successione delle due parole «Io sono la Risurrezione e la vita». Prima viene la Risurrezione, poi la vita, e non viceversa. Risurrezione è un'esperienza che interessa prima di tutto il nostro presente e non solo il nostro futuro. A risorgere sono chiamati i vivi, noi, prima che i morti: a svegliarci e rialzarci da tutte le vite spente e immobili, addormentate e inutili; a fare cose che rimangano per sempre: Da morti che eravamo ci ha fatti rivivere con Cristo, con lui risuscitati (Efesini 2,5-6). La vita avanza di risurrezione in risurrezione, verso l'uomo nuovo, verso la statura di Cristo, verso la sua misura. O uomo prendi coscienza della tua dignità regale, Dio in te... (Gregorio di Nissa), che ti trasforma, e fa la vita più salda, amorevole, generosa, sorridente, creativa, libera. Eterna. Che rotola armoniosa nelle mani di Dio. Gesù si commosse profondamente e scoppiò in pianto. Dissero allora: guarda come lo amava! Piange e le sue lacrime sono la sua dichiarazione d'amore a Lazzaro e alle sorelle. Dio piange e piange per me: sono io Lazzaro, io sono l'amico, malato e amato, che Gesù non accetta gli sia strappato via. Dalle lacrime di Dio impariamo il cuore di Dio. Il perché della nostra risurrezione sta in questo amore fino al pianto. Risorgiamo adesso, risorgeremo dopo la morte, perché amati. Il vero nemico della morte non è la vita ma l'amore. Forte come la morte è l'amore, dice il Cantico. Ma l'amore di Dio è più forte della morte. Se il nome di Dio è amore, allora il suo nome è anche Risurrezione. Lazzaro, vieni fuori! Liberatelo e lasciatelo andare. Tre parole per risorgere, tre ordini che risuonano per me: esci, liberati e vai. Con passo libero e glorioso, per sentieri nel sole, in un mondo abitato ormai dalla più alta speranza: qualcuno è più forte della morte.


(Letture: Ezechiele 37,12-14; Salmo 129; Romani 8,8-11; Giovanni 11,1-45)

Padre Ermes Ronchi



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Il Vangelo della prossima Domenica

Cristo muore per amore dell'uomo

Domenica delle Palme Anno A –


Quanto volete darmi perché io ve lo consegni? In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnare Gesù. - Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua? Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: -Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli-» (...)

In questa settimana per due volte la Chiesa si raccoglie nella lettura della Passione di Cristo, del patire di un Dio appassionato. La lettura più bella e regale che si possa fare, dove tutto ruota attorno alle due cose che toccano il nervo di ogni vita: l'amore e il dolore, la lingua universale dell'uomo. Lo ha capito per primo, sul Calvario, non un discepolo, ma un estraneo. Alla morte di Gesù, infatti il primo atto di fede è quello di un lontano, un centurione pagano: davvero costui era figlio di Dio. Non da un sepolcro che si apre, non dallo sfolgorio di luce, di giorni nuovi, di un sole mai visto, no, ma davanti e dentro la tenebra del venerdì, vedendolo sulla croce, sul patibolo, sul trono dell'infamia, un verme nel vento, questo soldato esperto di morte dice: era figlio di Dio. Morire così è rivelazione. Morire d'amore è cosa da Dio. Il nostro Dio è differente. Perché è salito sulla croce? Per essere con me e come me. Perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. L'amore conosce molti doveri, ma il primo di questi doveri è di essere insieme con l'amato, come una mamma quando il figlio sta male... e vorrebbe prendere su di sé il male del suo bambino, ammalarsi lei per guarire suo figlio. Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Per trascinarlo fuori, in alto, con sé. La croce è l'abisso dove Dio diviene l'amante. È qualcosa che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato. Lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo. Poi giro ancora la testa e riguardo la croce e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo. C'erano là molte donne che stavano ad osservare da lontano. Piccolo gregge sgomento e coraggioso: la chiesa nasce dalla contemplazione del volto del Dio crocifisso (C.M.Martini), la chiesa nasce in quelle donne, che hanno verso Gesù lo stesso sguardo di amore e di dolore che Dio ha sul mondo. Le prime «pietre viventi» sono donne. Per diventare chiesa, dobbiamo anche noi sostare con queste donne accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora oggi crocifisso nei suoi fratelli, disprezzato, umiliato, ricacciato indietro, naufragato. Con santa Maria e le donne sentiamo nostra la passione di ogni figlio dell'uomo: il mondo è tutto una collina di croci. Restiamo accanto, a portare conforto, speranza, pane, umanità, vita. Solo così sentiremo a Pasqua che «rotola armoniosamente la nostra vita nella mano di Dio» (H. Illesum).


(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Matteo 26, 14-27,66).

Padre Ermes Ronchi



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