LAZIO
Non mi sono assuefatto rapidamente a Roma. Vi abito da più di quarant'anni e mi occorsero molti anni per rendermi familiare il Barocco, che è lo stile che in Roma predomina, e non incominciai a sentire Roma vicina al mio cuore se non quando capii che in Roma il Barocco ha origine da Michelangelo. Fu quando ad un tratto ai miei occhi il Barocco acquistò e perse le ragioni storiche della violenza dalla quale era stato sprigionato e dominato, e le ragioni della violenza le vidi nella giustizia e nella pietà per predestinazione operanti fra i limiti fatali della catastrofe; oppure, peggio, quando le ragioni della violenza vidi nella negazione di giustizia affermata dalla stessa dismisura della pietà.
... Quando, capito il Barocco, Roma cominciò a diventarmi familiare, fu mediante l'avvicendarsi delle stagioni che incominciò a famisi vicina. Non era più, tratta dalla città dissepolta, la violenza d'una Venere ellenistica mutila riposta sul piedistallo in mezzo a una casuale fioritura di margherite, rosolacci e fiordalisi. Non era più nemmeno un'originaria violenza notturna resa più melodrammatica persino del reale da un Piranesi, era la naturale violenza delle stagioni, che vedevo sposare le ore della città.
Conobbi allora Scipione, e i rossi di porpora e i rossi in penombra, il rosso delle ferite e il rosso della passione, il rosso gloria, tutti i rossi nel rosso che il vecchio travertino e la torpida acqua del Tevere ingoiavano negli estivi tramonti di Roma.
Conobbi, tra San Giovanni e Santa Croce, l'estate in furia, macina calcinante, e l'urlo afono di un travertino inaridito sino a sembrare dissolversi in un acre, polveroso fumo azzurrognolo.
Conobbi l'estate, quando il temporale minaccia, quando le nuvole si fanno pietre e le pietre nuvole e i Dioscuri di piazza del Campidoglio s'avventano contro i Dioscuri di piazza del Quirinale, quando e cielo e palazzi e gente che passa sono travolti e mescolati in un turbine di finimondo che dura poco.
Il travertino è a Roma polpa delle stagioni, le incarna, le veste, le nuda, e l'autunno è la sua stagione più felice, quando s'impregna d'oro e d'angoscia.
Giuseppe Ungaretti
Interpretazione di Roma
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E' questo il popolo in cui è vivo il senso della dignità personale: qui esso è "il popolo" e non "la plebe" e conserva nella sua natura intatti i caratteri dei tempi dei primi Quiriti; né sono riusciti a traviarlo le invasioni di stranieri, corrotti rappresentanti di nazioni vegetanti nell'ozio, che bazzicano per le vie e nelle osterie formando la più spregevole razza di gente, vedendo la quale il viaggiatore è spesso indotto a giudicare l'intero popolo romano. Persino l'assurdità delle disposizioni governative, quest'accolta incoerente di ogni sorta di leggi, emanate in tempi diversi e per casi diversi e non abrogate finora, fra le quali ci sono ancora degli editti dei tempi dell'antica Repubblica Romana, neppure ciò ha sradicato dall'animo del popolo il suo elevato senso di giustizia. Esso biasima il prepotente iniquo, fischia la sua bara quand'è defunto, ma si attacca magnanimo al carro, portante la salma di un uomo che ebbe caro. Gli stessi atteggiamenti del clero, non di rado scandalosi, che altrove porterebbero alla depravazione, non hanno quasi presa sul popolo romano, che sa dintinguere fra la religione e i suoi ipocriti ministri, così come non si è lasciato infettare dalla fredda lebbra dell'incredulità. Infine, persino il bisogno e la povertà, immancabile appannaggio d'ogni Stato che ristagni, non lo conducono sulla via della cupa criminalità: la sua natura lieta lo induce a sopportare tutto e solo nei romanzi e nelle novelle egli sgozza la gente per le strade.
... Inoltre, qui a Roma, non si sentiva la presenza della morte; dalle stesse rovine e dalla sua magnifica povertà non proveniva quel senso di acuta pena, da cui involontariamente resta oppresso l'uomo che contempla i monumenti di una nazione che sta morendo. Qui si prova un sentimento assolutamente contrario: una calma serena, solenne. E ogni volta, in queste sue considerazioni, il principe si lasciava andare senza volerlo a meditare e gli nasceva il sospetto che un qualche misterioso significato fosse celato nelle parole "Roma eterna".
Nicolaj Vasiljevic Gogol'
Roma