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Il Santo del giorno

Ultimo Aggiornamento: 28/01/2013 07:06
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28 Febbraio


San Romano

La dolcezza della carità, a cura di Antonio Maria Sicari



Sant’Atanasio di Alessadria fu uno dei grandi Santi e Dottori della Chiesa non solo perché difese con indomabile coraggio la vera fede cristiana contro eretici scaltri e agguerriti, ma anche perché approfittò delle numerose condanne all’esilio che dovette patire, per diffondere anche in Occidente il ricordo della Vita e dell’esperienza di Sant’Antonio Abate, suo maestro e padre del monachesimo. Sorsero così in Gallia i primi monasteri occidentali. La forma di vita, abitualmente comunitaria in grandi abbazie, non faceva però dimenticare l’esperienza eremitica originaria, e c’erano sempre dei monaci che chiedevano al loro abate di poterla rivivere.
Tale fu il caso del monaco Romano (vissuto nel V secolo) che chiese il permesso di inoltrarsi solitario tra le aspre montagne del Giura, portando con sé soltanto la Bibbia e alcuni arnesi da lavoro. Ma il destino di questi esploratori solitari dello spirito era, poi, sempre quello di essere rintracciati (a volte dopo anni) da altri aspiranti alla vita solitaria che finivano immancabilmente per ritrovarsi in comunità e per costruire nuove e grandi abbazie, sia pure in luoghi lontani e inesplorati.
Quando poi la vita diventava un po’ troppo tranquilla, c’era sempre qualcuno che esigeva il ritorno all’austerità originaria e qualcuno che inclinava alla comprensione e alla tolleranza. Così, nell’abbazia di Condat, c’era Romano che cercava sempre di trattenere tutti e c’era Lupicino (suo fratello) che ne allontanava altri con la sua severità. Ma Romano avrebbe abbracciato anche dei lebbrosi! E lo fece, infatti, una volta che trovò nella foresta una povera capanna dove due lebbrosi si erano nascosti. E li lasciò guariti, al solo tocco della sua dolce carità.




_________Aurora Ageno___________
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29/02/2012 05:06



29 Febbraio

Beata Antonia da Firenza

Per diffondere luce, a cura di Antonio Maria Sicari




Negli ultimi tempi L’Aquila è diventata una città cara al nostro cuore per le sofferenze che ha subito nel recente terremoto. E’ giusto perciò – in questo 29 febbraio, che ricorre raramente – ricordare la Beata Antonia (nata a Firenze nel 1400) il cui corpo, ancora incorrotto, ha riposato fino a qualche anno fa nel monastero aquilano del Corpus Domini, da lei fondato. Poi le monache han dovuto trasferirsi a Paganica e hanno portato con sé la preziosa reliquia. Si usa dire che L’Aquila è la città delle “novantanove fontane, novantanove piazze, novantanove palazzi, novantanove chiese”, e qualcuno aggiunge simpaticamente: anche “novantanove santi”.
E, difatti, solo a leggere la vicenda terrena della Beata Antonia non è difficile cogliere l’incrociarsi terreno del cammino di vari Santi. Sposata giovanissima e rimasta subito vedova, Antonia incontra San Bernardino da Siena che predica in Santa Croce a Firenze nel 1425. E decide di consacrarsi a Dio, entrando in un convento di terziarie francescane. Poi viene inviata come badessa a Foligno, ad Assisi e a Todi.
Inviata a L’Aquila nel 1433 vi fonda un nuovo convento di terziarie francescane che dirige per tredici anni. Ma in cuore ha il desiderio di una forma di vita più nascosta, in assoluta povertà, secondo l’antico ideale delle clarisse. Lo può alla fine realizzare con l’aiuto di S. Giovanni da Capistrano fondando il monastero dell’Eucaristia, detto anche “di Santa Chiara povera”.
Qui Antonia vive in umiltà e nascondimento, ma amata da tutta la città. Le cronache dicono che si poteva applicare anche a lei quello che il Celano aveva scritto di S. Chiara che, dal nascondimento del suo monastero, “diffondeva chiarore in tutto il mondo; lei, infatti, taceva ma la sua fama gridava”. Morì nel 1472, lasciando un monastero dove abiteranno poi molti altre sante.




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01/03/2012 08:00


1 Marzo

San Leoluca

Resistenza cristiana, a cura di Antonio Maria Sicari



San Leoluca è nato in Sicilia (a Corleone) agli inizi del sec. IX, ma è vissuto in Calabria. Allora tutta l’isola era sul punto di cadere nelle mani dei Saraceni. Ciò che, infatti, accadde, nel corso del secolo (dall’827 all’887), quando vennero successivamente occupati dagli arabi i tre grandi valli in cui era divisa allora la Sicilia: il Vallo di Mazara fino a Palermo; il Vallo di Noto fino a Siracusa e Catania; e il Vallo di Demona fino a Messina.
Leone, dunque, era un ricco giovane corleonese, che, in quel secolo turbato da continue violenze, aveva deciso di distribuire ai poveri del paese tutte le sue ricchezze per seguire Gesù. Intraprese un pellegrinaggio a Roma, poi chiese d’essere accolto nel monastero basiliano di Santa Maria di Vena, presso l'attuale Vibo Valentia. Allora la Calabria era tutta punteggiata di monasteri basiliani.
Pare che ce ne fossero almeno 1400. Gli imposero il nome di Luca e in breve tempo il giovane siciliano divenne il più stretto e fedele collaboratore dell’Abate. Alla sua morte i monaci si affidarono spontaneamente alla sua guida e crebbero di numero.
Così l’Abate Luca, si trovò alla guida di più di cento monaci, per quasi settant’anni, e divenne punto di riferimento spirituale per tutta la Calabria, avvolto dalla fama di taumaturgo. Morì all’età di cento anni. Quando si diffuse la fama della sua santità, i corleonesi vollero riappropriarsi del loro concittadino unendo assieme il suo nome di battesimo (Leone) con quello da lui ricevuto in monastero (Luca). Così oggi san Leo-luca è venerato come Patrono e Protettore sia di Vibo Valentia che di Corleone, e i fedeli si dicono certi che egli ha custodito e custodirà sempre le due città da ogni pericolo, in particolare dai terremoti e dalle epidemie.
A lui è dedicato un antico “rosario di preghiere” in lingua siciliana.



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02/03/2012 07:55


2 Marzo

S.Agnese di Boemia

Libertà di appartenere, a cura di Antonio Maria Sicari



Agnese, figlia del Re di Boemia (l’attuale Repubblica Ceca) e nipote del Re d’Ungheria, nacque a Praga nel 1221 e fu una delle principessine più corteggiate del suo tempo.

A nove anni era già promessa sposa al figlio dell’imperatore Federico Barbarossa ed era stata, per questo, condotta alla corte del Duca di Vienna. Solo a quattordici anni era riuscita a rompere il fidanzamento e a tornare in patria.

Si fecero avanti allora il Re d’Inghilterra e lo stesso Barbarossa per chiederla in sposa, ma la ragazza s’era ormai irrimediabilmente innamorata: di Cristo. Lo era sempre stata, fin da bambina, ma l’amore era cresciuto da quando erano giunti nella sua patria alcuni francescani che le avevano raccontato la storia di Chiara d’Assisi.

Agnese decise di imitarla, facendo voto di verginità, anelando a imitarla anche nella povertà. E poiché l’assedio dei regali pretendenti non cessava, Agnese si appellò al Papa che difese la libertà della ragazza e la santità del voto che la legava indissolubilmente a Cristo.

Subito la principessa si liberò anche delle sue ricchezze e fondò un monastero per vivere, assieme ad altre ragazze, quella povertà radicale che Chiara le insegnava (e possediamo la bella corrispondenza che la Santa d’Assisi le inviava). Ma, accanto, fondò anche un ospedale, per la cura dei più miseri. L’intera Europa fu presa da stupore per quella dolce vicenda di amore sacro e di femminile libertà cristiana che la Chiesa sapeva garantire.

È stata canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1989, per sottolineare proprio in quell’anno fatidico, la forza e la bellezza delle radici cristiane dell’Europa.



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03/03/2012 07:49


3 Marzo

S. Caterina Drexel

Ricca per i poveri, a cura di Antonio Maria Sicari




Nacque a Filadelfia nel 1858 da una famiglia di banchieri. La mamma muore poco dopo il parto e il papà si sposa con Emma Bouvier (antenata di Jacqueline Kennedy), donna profondamente cattolica e socialmente impegnata (alla sua morte si seppe che pagava l’affitto a 150 famiglie).
La giovane Caterina, che ama viaggiare, è impressionata dalla miseria che scopre nel Sud (dove gli schiavi da poco “liberati”, restano oppressi nelle piantagioni) e in alcuni stati del Nord, dove vivono i discendenti delle tribù indiane. Nel 1887, durante un viaggio a Roma, in udienza da Papa Leone XIII, Caterina gli parla di loro, chiedendogli di mandare missionari. Ma la risposta del Papa è bruciante: “Perché non si fa lei stessa missionaria?”. Ed ella accetta la sfida.
Nel 1891 fonda la Congregazione del Santissimo Sacramento, “per la promozione umana di indiani e neri d’America”. E la sorgente della sua carità inestinguibile per i poveri e gli oppressi è l’Eucaristia. Così quei bambini che per tutti sono “figli di schiavi” o “figli di selvaggi” per lei diventano soltanto figli che hanno diritto di essere amati, istruiti e educati come quelli dei bianchi.
La chiamano “la monaca più ricca del mondo”, ma lei vive poveramente e, col suo denaro, fa sorgere 145 missioni e circa 60 scuole speciali. Inoltre le suore frequentano ospedali e carceri per difendere i loro protetti, sfidando le minacce dei razzisti e il disprezzo dei benpensanti. Nel 1925 a New Orleans fonda la Xavier University, un Istituto universitario aperto a indiani e a neri. Muore quasi centenaria, dopo avere trascorso gli ultimi diciassette di vita quasi immobilizzata nel corpo, ma non certo nello spirito tutto intento ad adorare quell’Eucaristia che era il primo amore della sua vita.
È stata canonizzata da Giovanni Paolo II nell'anno 2000.



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05/03/2012 07:42


5 Marzo

S. Adriano, martire

dal Martirologio




A Cesare in Palestina, S. Adriano, martire, che, durante la persecuzione dell'imperatore Diocleziano, nel giorno in cui gli abitanti erano soliti celebrare la festa della Fortuna, per ordine del governatore Firmiliano, fu per la sua fede in Cristo dapprima gettato in pasto a un leone feroce e poi sgozzato con la spada.





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06/03/2012 06:15


6 Marzo

S. Rosa da Viterbo

Il fuoco dell¿innocenza, a cura di Antonio Maria Sicari




Dice il Vangelo che, per entrare nel regno dei cieli, bisogna “diventare come bambini”. Di solito l’indicazione viene accolta a livello personale, come invito a una “infanzia spirituale”, fatta di semplicità, di confidenza in Dio, e di abbandono nelle sue mani paterne. Ma ci sono, nella storia della Chiesa, epoche e situazioni così indurite e così malamente cresciute, che Dio sceglie delle creature innocenti per parlare ai forti e ai potenti che si fanno guerra, a danno dei poveri cristiani. Tale fu l’epoca in cui visse Rosa di Viterbo (tra il 1233 e il 1251) quando Federico II combatteva contro il Papa Innocenzo IV e la gente si divideva ferocemente in guelfi e ghibellini.
Che importanza e che forza poteva mai avere una ragazza di modeste condizioni, non ancora quindicenne, che percorreva le vie della città, vestita poveramente e con una piccola croce in mano, predicando la pace nel nome di Gesù? Eppure i potenti di allora giunsero fino a esiliarla con l’accusa che “infiammava gli animi”. Ma era solo il fuoco dell’innocenza che rendeva evidente la malizia dei forti e il dolore degli umili.
Per il resto non sono molte le notizie su questa giovane Santa.
Anche i suoi miracoli sono teneri, come quello dei tozzi di pane nascosti nel grembiule per donarli ai poveri. “Che cosa nascondi?”, chiede severo il papà piuttosto avaro. E la fanciulla, intimorita, risponde: “Rose”. E soltanto rose trova il genitore intestardito a investigare. Si legge un episodio simile nella vita di Santa Elisabetta d’Ungheria. Questa era stata regina; Rosa, invece, era così povera che nemmeno le “povere suore di San Damiano” vollero accettarla nel loro monastero. Ed ella ribatté allegramente: “Non mi volete da viva, ma sarete felici di avermi da morta”.
E così accadde quando, proclamata Santa, i viterbesi se la scelsero a patrona.



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07/03/2012 07:54


7 Marzo

Sante Perpetua e Felicita

Morire per Gesù, a cura di Antonio Maria Sicari




Sono due giovani madri africane che subirono il martirio a Cartagine, in Tunisia, nel marzo 203, assieme ad altri numerosi cristiani.
Perpetua era una ragazza di ventidue anni di famiglia patrizia, e aveva già un figlioletto che riuscì a portare con sé. Con lei viveva Felicita, forse sua serva che si trovava all’ottavo mese di gravidanza. Erano state condannate, dal procuratore romano, a morire sbranate (“ad bestias”) nel circo, ma si dovette prima attendere che Felicita partorisse, perché la legge del tempo, per quanto crudele, riconosceva almeno il diritto dei bambini a non essere condannati prima di nascere. Così la povera Felicità dovette patire in carcere le doglie del parto, che furono particolarmente dolorose.
Le guardie la deridevano: «Se piangi tanto ora, cosa farai quando ti daranno in pasto alle bestie?». Felicita rispose: «Adesso sono io che soffro, ma nell’arena sarà un Altro che soffrirà al mio posto, perché io morirò per Lui». E una simile risposta, da sola, basta a rendere preziosi e comprensibili tutti gli Atti dei Martiri che possediamo. Lo stesso si può dire di Perpetua che subiva, invece, le pressioni del padre (pagano) che, indicandole il bambino ancora lattante, la scongiurava di sacrificare agli dei, per salvarsi. Pur col cuore lacerato Perpetua gli rispose: «Non posso chiamarmi con un nome diverso da quello di cristiana».
Il giorno fissato per i giochi del circo, le due giovani madri, portate nell’anfiteatro, tra le urla della gente, furono avviluppare in una rete, per essere straziate dalle belve. In loro memoria, la comunità cristiana di Cartagine, prima divisa, ritrovò la pace.
Il nome di Perpetua viene ricordato nel Canone Romano assieme a quello di Agnese, Lucia, Cecilia… Tutti nomi che Manzoni trasferì nei suoi Promessi Sposi, come per un tacito omaggio.



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08/03/2012 12:42


8 Marzo


S. Giovanni di Dio

"Fate del bene, fratelli!", a cura di Antonio Maria Sicari



Si chiamava Giovanni Cidade Duarte, nato in Portogallo nel 1495.

Il nome «Giovanni di Dio» lo prenderà, quando scoprirà di appartenerGli totalmente, dopo aver percorso innumerevoli strade. Aveva fatto il pastore, il contadino, il soldato, il venditore ambulante, il negoziante di libri, senza mai trovare la vocazione giusta. Ma nel 1539, a Granada, gli bastò ascoltare una predica del celebre Giovanni d’Avila, per “impazzire di dolore” al ricordo delle sue tante dissipazioni. Creduto davvero pazzo e ricoverato in un manicomio, vi esperimentò la disumanità dei metodi di cura allora in voga. Ma si dedicò agli altri malati con tale dedizione e intelligenza da ottenere la liberazione. Decise così, a quarantaquattro anni, di darsi volontariamente alla cura degli infermi (dei malati di mente, soprattutto), raccogliendone alcuni in una casupola. A sera percorreva i quartieri alti con una gerla sulle spalle, per raccogliere elemosine, gridando: «Qualcuno vuol fare del bene a se stesso? Fratelli miei, per amor di Dio, fate del bene a voi stessi».

E «Fatebenefratelli» finì per diventare il suo motto e perfino il nome dell’Ordine religioso che a lui si ispira. Col tempo imparò a ricoverare i malati selezionandoli e distribuendoli secondo la diversità delle malattie e delle cure. Il suo ideale era: «Attraverso i corpi, alle anime!». E divenne «il patriarca della carità», «la meraviglia di Granata», «l’onore del suo secolo». Oggi è considerato “il creatore dell’ospedale moderno”. Quando a Granada bruciò il grande Ospedale regio, si vide Giovanni precipitarsi tra le fiamme, per salvare il maggior numero possibile di malati. E sembrava che il fuoco non potesse a contro un uomo già divorato da un interiore incendio di carità.

Morì a cinquantacinque anni, inginocchiato per terra, stringendo al petto il suo crocifisso.



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09/03/2012 08:29


9 Marzo

S. Domenico Savio

La gioia della santità, a cura di Antonio Maria Sicari



Nel piccolo Domenico Savio, Don Bosco vide realizzato, come per un prodigio, ciò che desiderava per tutti i ragazzi del suo Oratorio. E chissà che cosa avrà provato quando trovò quel famoso foglietto che il bambino conservava, nel suo libro di preghiere, fin dalla Prima Comunione (ricevuta a sette anni!).

C’erano elencati “i propositi” da lui fatti quel giorno: «Mi confesserò molto sovente e farò la Comunione tutte le volte che il confessore me ne darà il permesso. Voglio santificare i giorni festivi. I miei amici saranno Gesù e Maria. La morte ma non peccati»!

Era un bambino dolce e educato, già innamorato della santità. Quando s’incontrarono per la prima volta, Don Bosco (riferendosi al lavoro della mamma di Domenico, che faceva la sarta) gli disse: «Mi pare che in te ci sia della buona stoffa… Possiamo fare un bell’abito da regalare al Signore». E il fanciullo acconsentì gioiosamente. Che la stoffa fosse davvero pregiata, lo capì subito anche Mamma Margherita che a suo figlio diceva: «Tu hai molti giovani buoni, ma nessuno supera il bel cuore e la bell’anima di Domenico». E don Bosco si faceva spesso aiutare da lui per accostare i ragazzi più riottosi e ribelli. «Noi qui – spiegava loro Domenico – facciamo consistere la santità nello stare molto allegri. Cerchiamo solo di evitare il peccato, perché è un grande nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore». Aveva anche fondato, con alcuni amici, una “Compagnia dell’Immacolata” per dare aiuto ai compagni più disagiati, nel fare i compiti o nel gioco. E Don Bosco dovette accorgersi che Domenico, a volte, aiutava perfino lui spingendolo a qualche intervento pastorale, della cui urgenza aveva notizia in maniera misteriosa.

Morì nel 1857, a quindici anni, e fu Don Bosco stesso a scriverne subito la biografia.



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10/03/2012 10:02


10 Marzo

B. Giovanni delle Celle

Una feconda solitudine, a cura di Antonio Maria Sicari



Che un uomo possa degradarsi ed essere degradato, per poi convertirsi e raggiungere le altezze della santità è uno dei prodigi della fede cristiana. Ed è un miracolo tanto più grande, quando più la vicenda tocca un uomo già costituito in dignità sacra.

È ciò che accadde a Giovanni da Carignano (1310- ca1394), Abate del monastero vallombrosiano di Santa Trinità, a Firenze. Era un uomo geniale, buon letterato e ottimo conoscitore di Dante e Petrarca, ma turbolento e sanguigno. S’era lasciato invischiare in un rapporto sbagliato con una nobildonna. Deposto dall’ufficio, era stato condannato a un anno di prigionia nella torre del monastero. Compiuta la penitenza, i monaci avrebbero voluto reintegrarlo nell’ufficio, ma fu lui stesso a esigere di restare per tutta la vita nelle “Celle”, un romitorio vicino al monastero, ma completamente isolato.

E “Giovanni delle Celle” divenne il suo nome. Vi restò per quarant’anni, senza mai uscirne, dedito alla preghiera, allo studio e alla penitenza, ma pienamente partecipe della vita del suo tempo, per mezzo di una ricca corrispondenza con le più autorevoli personalità.

Di particolare importanza fu il suo rapporto epistolare con Santa Caterina da Siena che gli chiese aiuto per convincere il Papa ad abbandonare Avignone e tornare a Roma. A un frate che la criticava, Giovanni delle Celle scrisse: «Caterina si rallegra della tua villania, per amore di Gesù che per lei ha sopportato tante ingiurie, ma piange per la tua cecità e la tua cattiveria e prega Dio che ti illumini e ti perdoni». Dicono i critici che il suo stile epistolare è notevole “per il vigore della lingua, la limpidità del giudizio e la forte religiosità”.

Alla sua morte i monaci del monastero lo venerarono subito come un santo.




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14/03/2012 04:53


14 Marzo


B. Giacomo Cusmano

"Il boccone del povero"
, a cura di Antonio Maria Sicari



Nacque a Palermo nel 1834, da una ricca famiglia patrizia, ma fin da bambino manifestò una cristiana tenerezza verso i più poveri che allora inondavano i vicoli della città. Così, laureatosi in medicina a soli ventun’anni, Giacomo Cusmano, decise di essere il "medico dei poveri".
Nel 1860, accorgendosi che la miseria e la malattia delle anime erano ancora più gravi, decise di diventare sacerdote. Meditando a lungo sull’Eucaristia (“un boccone di pane divino che Dio ha destinato alla nostra povertà”) decise di fondare “Il boccone del povero”. Erano tempi in cui infieriva una carestia ed erano innumerevoli coloro che morivano letteralmente per fame. Così Giacomo Cusmano chiese, a chiunque lo potesse, di rinunciare “a un boccone” di cibo (che allora consisteva quasi esclusivamente, anche per i più abbienti, in pane e pasta).
Il cibo così raccolto, ogni mattina, veniva confezionato in sacchetti, pronti e distribuiti nel pomeriggio a chiunque ne facesse richiesta. Il tutto curando in ogni modo l’igiene, perché – come diceva padre Giacomo – “la pulizia è una caratteristica del paradiso”.
A chi gli diceva che era meglio raccogliere denaro, rispondeva: «Io non voglio toccare le borse, ma i cuori. Ad ogni pasto ella si ricordi dei poveri e lasci un bocconcino, dicendo: Questo boccone sia per amore dei poveri e per amore di Gesù che considera fatto a sé quello che facciamo ai poverelli». Col tempo Giacomo riunì in maniera stabile i suoi collaboratori, fondando la «Congregazione delle Serve e dei Servi dei poveri», dando loro questa regola suprema: “Quelli che non sono di nessuno sono nostri”. Aprì ospedali, case per anziani abbandonati e per orfani.
Morì il 14 marzo 1888, noto a tutti e da tutti rimpianto come “il padre dei poveri”.



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15/03/2012 07:15




15 Marzo


S. Luisa di Marillac

Ascoltare il grido dei poveri
, a cura di Antonio Maria Sicari




Nel secolo XVII la Francia è dominata dalla gigantesca personalità di s. Vincenzo de’ Paoli che accoglie nel suo cuore il grido d’ogni specie di poveri, convinto che “la carità è creativa all’infinito”.
Meno nota, ma ugualmente decisiva, è la figura di Luisa de’ Marillac, una giovane vedova che collaborò con lui, aiutandolo a fondare e dirigere le Figlie della Carità: la prima esperienza di donne consacrate che non si rinchiudevano in monastero, ma restavano ad agire nel mondo. Vincenzo e Luisa descrivevano così quel loro progetto: «Le suore di carità avranno per monastero le case degli ammalati. Per cella una camera d’affitto. Per cappella la chiesa parrocchiale. Per chiostro le vie della città. Per clausura l’obbedienza. Per grata il timor di Dio. Per velo la santa modestia. Per professione la confidenza costante nella divina Provvidenza e l’offerta di tutto il loro essere». In tal modo esse poterono prendersi cura degli infermi dell’Hotel-Dieu (allora abbandonati a se stessi), degli accattoni, dei trovatelli, dei carcerati, dei galeotti, degli anziani soli, dei malati mentali, e di ogni altra specie di miserabili. Ma lo facevano sempre ripetendosi che «il fine principale per il quale Dio ci ha chiamati è per amare Nostro Signore Gesù Cristo… Se ci allontaniamo anche di poco dal pensiero che i poveri sono le membra di Gesù Cristo, infallibilmente diminuiranno in noi la dolcezza e la carità».
Ambedue morirono nel 1660, a distanza di pochi mesi, col rimpianto di non aver potuto fare “di più”. Luisa, aveva chiesto a Dio che il suo cuore di donna e di madre «fosse spaccato dalla pazienza e dalla dolcezza verso il prossimo».
Il beato papa Giovanni XXIII l’ha proclamata Patrona delle Assistenti Sociali.



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17/03/2012 07:37


17 Marzo


S. Patrizio d'Irlanda

Da schiavo a Patrono
, a cura di Antonio Maria Sicari




Nato in Inghilterra nel 385, fu rapito dai pirati a sedici anni e venduto schiavo in Irlanda, dove fu messo a pascolare le pecore. Patì freddo e fame, ma ebbe il dono di incontrare la vera fede e di poter ricevere il battesimo.
Dedicava alla preghiera tutto quel tempo che gli toccava vivere in solitudine con il suo gregge. Riuscì a fuggire dopo sei anni di schiavitù e avrebbe dovuto odiare quella terra a lui ostile. Invece vi tornò venticinque anni dopo come missionario. Intanto aveva studiato teologia e aveva fatto un’esperienza al monastero di Lérins, in Francia. Pare che a inviarlo in Irlanda nel 432 sia stato lo stesso Papa, che lo scelse come successore del primo vescovo irlandese, appena defunto.
Fissò la sede vescovile ad Armagh, nel nord dell’isola, dove riuscì a convertire molte migliaia di persone, pur tra l’ostilità dei sacerdoti druidi: «Ogni giorno mi aspettavo di essere ucciso», scriveva Patrizio che per un certo tempo fu anche tenuto prigioniero. Organizzò la Chiesa irlandese creando una rete di piccole comunità locali e di abbazie che, col tempo, sarebbero divenute il centro delle future città (allora inesistenti in Irlanda).
Dovette subire anche la persecuzione di alcuni falsi amici, uno dei quali lo accusò d’immoralità, propalando un’avventura sentimentale giovanile che Patrizio gli aveva confidato anni prima. «Trovarono contro di me un pretesto vecchio di trent’anni…, un peccato commesso quando ancora non conoscevo il Dio vivente», scrisse Patrizio mentre subiva pazientemente quel processo infamante, a cui seguirono altre ingiuste accuse.
A difenderlo c’era il suo popolo, e la fede fiorì in Irlanda al punto tale che sarà chiamata “l’isola dei Santi”. E l’isola scelse per sempre san Patrizio come suo patrono.



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20 Marzo


S. Giovanni Nepomuceno

Difendere il segreto di Dio
, a cura di Antonio Maria Sicari



Fino a qualche decennio fa, s. Giovanni Nepomuceno (vissuto nella seconda metà del sec. XIV), nonostante la distanza spazio-temporale che ci separa da lui e la difficoltà del nome, era molto noto tra la nostra gente.
La sua storia, infatti, era sempre raccontata ai cristiani, durante la catechesi, quando si trattava di spiegare fino a che punto fosse inviolabile il segreto della confessione. Si raccontava, dunque, la vicenda di questo sacerdote di Praga che (dopo essersi laureato in teologia e diritto a Padova!) era stato chiamato ad esercitare il suo ministero alla corte del re Venceslao IV di Boemia. Costui, oltre a essere corrotto, era anche geloso della regina, Giovanna di Baviera, ed era ossessionato dal sospetto che anche lei lo tradisse.
Così, dopo averla a lungo tormentata con i suoi sospetti, finì per rivolgersi al confessore intimandogli di rivelargli i peccati che la regina gli aveva confidato e l’eventuale nome dei suoi amanti. Ma ne ebbe solo un inflessibile silenzio. Anche sotto tortura il prete restò irremovibile. Irritato, il re ordinò allora che a Giovanni di Nepomuck fosse tagliata la lingua e che lo gettassero vivo, di notte, nelle acque gelate del fiume Moldava. E si narra che, il mattino dopo, il cadavere ancora galleggiava, tutto avvolto di luce. S. Giovanni Nepomuceno è, dunque, venerato come “martire del sigillo sacramentale”. Ancora oggi, a Praga, sul Ponte Carlo cha attraversa il fiume, tra il sesto e il settimo pilastro, si vede tracciata una croce a ricordo del suo martirio. Anche in Italia sono molto numerose le chiese a lui dedicate e le sue statue poste in prossimità dei ponti. Particolarmente diffusa è la sua devozione a Venezia, e una sua statua è presente anche sul Canal Grande.
È invocato come patrono dei confessori.



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22 Marzo


B. Clemente Augusto Von Galen

Il "Leone di Münster"
, a cura di Antonio Maria Sicari



Apparteneva a una famiglia nobiliare tedesca ed era stato eletto Vescovo di Münster, proprio nel 1933, quando Hitler saliva al potere. Subito pubblicò una Lettera Pastorale per smascherare il paganesimo dell’ideologia nazista, definendola: «una nuova nefasta dottrina totalitaria che pone la razza al di sopra della moralità, pone il sangue al di sopra della legge [...] e mira a distruggere le fondamenta del cristianesimo». E aggiungeva: «Questo attacco anticristiano che stiamo sperimentando ai nostri giorni supera, in quanto a violenza distruttrice, tutti gli altri di cui abbiamo conoscenza dai tempi più lontani».

Negli anni successivi le pubbliche denuncie, dal pulpito della Cattedrale, si susseguirono senza sosta. Le sue Omelie, contro ogni violazione dei diritti umani (soprattutto contro il progetto nazista di eliminare le vite definite “improduttive e senza valore”) venivano diffuse clandestinamente in tutta la Germania a rischio della vita, e risuonavano nel mondo intero.

Nel 1942, in piena guerra, il New York Times definiva il vescovo von Galen «l’oppositore più ostinato del programma nazionalsocialista anticristiano». Alcuni gerarchi nazisti avrebbero voluto farlo impiccare, ma si oppose Goebbels perché temeva di “perdere il sostegno di tutta la Westfalia”. Decisero perciò di saldargli il conto a guerra finita. Per ritorsione vennero però deportati centinaia di fedeli, 24 sacerdoti e 18 religiosi, molti dei quali morirono martiri.

Quando, nel 1946, Pio XII conferì a von Galen la porpora cardinalizia, i giornali definirono il nuovo Cardinale “il Leone di Münster”. Tornato in patria, fu accolto da un’immensa folla entusiasta. Ma gli restavano da vivere soltanto pochi giorni.

È stato beatificato in San Pietro il 9 ottobre 2005, da papa Benedetto XVI.



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23 Marzo


S. Turibio De Mongrovejo

Vero Padre e Pastore
, a cura di Antonio Maria Sicari



Filippo II di Spagna, detto “il Re cattolicissimo”, non poteva restare indifferente davanti alle notizie che gli giungevano dal “nuovo mondo”: gli indios venivano schiavizzati e i "conquistadores", avidi di denaro e di piaceri, si comportavano “come lupi rabbiosi tra agnelli mansueti”. Per porre rimedio a tanto male, capì che non bastavano gli editti imperiali, ma occorrevano “uomini nuovi”. Così ottenne dal papa che un giurista dell’università di Salamanca, Turibio de Mogrovejo, (un laico!) fosse nominato e consacrato vescovo di Ciudad de Los Reyes (l’attuale Lima), una diocesi che allora si estendeva per centinaia di migliaia di chilometri.

In quelle terre Turibio giunse nel 1581, a quarantatré anni d’età, come un vero padre e pastore: aveva imparato l’antica lingua locale, il quechua, per poter parlare anche ai più poveri e cominciò a viaggiare ininterrottamente per raggiungere e conoscere tutti i suoi fedeli. Convocò un Concilio Generale per l’America Latina, organizzò otto diocesi, aprì il primo seminario del continente americano, e fece pubblicare catechismi e libri di preghiere nelle lingue locali. Da tutti esigeva che gli indios venissero rispettati nella loro dignità, nei loro averi, nei loro costumi e nelle loro credenze. Era sempre tra loro, mentre non lo si vedeva quasi mai nei palazzi dei potenti.

Fu definito «instancabile messaggero d'amore». Nel 1594 poteva scrivere a Filippo II d’aver già amministrato la Cresima a circa sessantamila fedeli. E non sapeva che tra di essi c’erano tre futuri santi: Rosa da Lima, Martino de Porres e Francesco Solano. Morì nel Giovedì Santo del 1606, in una cappellina india nel nord del Paese, durante uno dei suoi interminabili viaggi.

È patrono dei vescovi sudamericani.



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28/03/2012 08:44


28 Marzo 2012

S. Stefano Harding

Una nuova fioritura monastica
, a cura di Antonio Maria Sicari



È uno dei tre “frati ribelli” (con s. Roberto di Molesme e s. Alberico) ai quali è stata dedicata una bella biografia romanzata. Ad essi risale, sul finire del secolo XI, la fondazione dell’Ordine dei Cistercensi. Avevano vissuto nell’Ordine benedettino cluniacense, ma ne erano usciti per fondare un monastero riformato a Citeaux (in latino Cistercium), a sud di Digione.
Stefano Harding, di origine inglese, fu il terzo abate che tentò in ogni modo di salvare e incrementare quella nuova storia, riuscendovi a fatica, ma quanto bastava per poter accogliere il giovane Bernardo che sarebbe giunto nel 1112, con i suoi trenta compagni, assicurando al nuovo Ordine una vitalità e una diffusione straordinarie in tutta Europa.
Per decisione di Stefano i cistercensi cominciarono a portare un abito bianco come segno distintivo e in onore della Madonna. Diede quindi il via a una vera fioritura di nuove fondazioni, tutte gerarchicamente legate assieme e regolate da una Charta Caritatis da lui composta: si trattava di particolari Statuti che impegnavano tutti i monaci alla più assoluta concordia, alla vita austera e alla pratica del lavoro manuale.
Si dedicò poi alla revisione dei testi liturgici e a riesaminare la traduzione della Sacra Scrittura, allora in uso. Scrisse anche la prima storia del nuovo Ordine legandola, con forte idealità, all’esperienza di s. Benedetto da Norcia, riscoperta nella sua purezza originale. Alla morte di Stefano Harding, l’Ordine cistercense poteva contare su circa settanta monasteri, tutti costruiti con estrema sobrietà e senza ornamenti artistici.
La bellezza dei monasteri era tutta affidata alla bellezza dei luoghi scelti per costruirli, e all’abbondanza di acque di cui si poteva disporre.



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29/03/2012 10:13



29 Marzo

S. Bertorldo del Monte Carmelo

a cura di Antonio Maria Sicari




Si chiamava Bartolomeo Avogadro. Era nato in Lombardia agli inizi del sec. XII e aveva studiato teologia all’università di Parigi. S’era poi fatto crociato per difendere la Palestina, dai saraceni, combattendo durante l’assedio di Antiochia. Disgustato dall’uso delle armi, assieme ad altri compagni, s’era poi ritirato sulla bella montagna del Carmelo (detto anche “giardino di Dio”), per condurvi vita eremitica.
Il Carmelo era allora considerato una montagna sacra, perché – secondo il racconto della Scrittura – vi aveva lungamente soggiornato Elia “il profeta di fuoco”, innamorato del vero Dio e difensore della vera Alleanza. Così coloro che là si radunavano, per condurvi una vera “battaglia spirituale” di conversione e di contemplazione, vivevano con la persuasione di aggrapparsi alle radici stesse dell’esperienza monastica. Secondo la tradizione, dunque, Bertoldo sarebbe stato eletto “Priore Generale” di questi monaci e avrebbe edificato sulla Santa Montagna una Chiesa dedicata alla Vergine Santa, scegliendola come “Signora del Luogo” e patrona dell’Ordine. I monaci vennero così chiamati “Fratelli di Santa Maria del Monte Carmelo”. Il suo governo si sarebbe protratto fino alla fine del secolo.
La tradizione racconta che avrebbe assistito anticipatamente, in visione, al martirio e alla glorificazione di tutti i suoi frati che sarebbero caduti per mano dei saraceni. Ciò che sarebbe, infatti, accaduto nel secolo successivo, verso il 1230, quando i frati sarebbero stati tutti aggrediti e uccisi, durante il canto della Salve Regina. I frati furono così costretti ad abbandonare la Terra Santa e a rifugiarsi in Europa, fondando il loro primo convento a Messina, per poi diffondersi in tutto il continente.



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30/03/2012 09:55


30 Marzo

S. Leonardo Murialdo

"Opere e opere di carità"
, a cura di Antonio Maria Sicari




Nacque nel 1828 a Torino, città che amò appassionatamente proprio per il fervore di santità e di opere sociali che vi si poteva respirare.
Ordinato sacerdote nel 1851, non c’è opera di carità alla quale non si sia interessato, anche collaborando a iniziative altrui. Già nel 1857 aveva accettato di guidare uno degli oratori di s. Giovanni Bosco. Nel 1866 accettò la direzione del collegio Artigianelli, che manterrà per circa trentaquattro anni.
Nel 1867 fondò la Confraternita laicale di San Giuseppe per aiutare i ragazzi poveri e abbandonati. Nel 1871 fu la volta dell’Unione Operai Cattolici, per rendere i lavoratori coscienti dei propri diritti e capaci di reciproca solidarietà. Promosse le biblioteche popolari e collaborò all’ideazione de «La voce dell'operaio» (l’attuale: “Voce del popolo”).
Nel 1873 fondò la Pia Società di San Giuseppe che diverrà la sua congregazione (“i Giuseppini del Murialdo”). Realizzò poi: colonie agricole per giovani; un Ufficio di collocamento cattolico (1876); una Casa-famiglia per operai (1878); una Cassa di mutuo soccorso (1879); l'Opera dei catechismi serali per giovani operai (1880); la Lega del lavoro (1899). E giunse fino a presentare alle autorità civili un progetto globale di riforme sociali che prevedeva: l’obbligo scolastico fino ai quattordici anni, l’abolizione del lavoro notturno, il riposo festivo, la giornata lavorativa di otto ore.
Insomma: un’opera sociale immensa, tutta sostenuta da una preghiera intensissima e dalla certezza che l’amore di Dio per ogni creatura è al di là di quanto possiamo pensare e desiderare.




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31 Marzo

San Guido di Pomposa

L'Abate che cambiò l'acqua in vino
, a cura di Antonio Maria Sicari



Il Vangelo racconta la vicenda del giovane ricco, invitato da Gesù, che se ne va triste perché non riesce a rinunciare a quello che possiede. Da allora la storia della Chiesa ha conosciuto innumerevoli vicende di giovani ricchi che hanno saputo “dire di sì” abbandonando tutto per seguire Cristo in povertà.
È anche la storia di Guido, un ragazzo di nobile famiglia, nativo di Casamari, vissuto alla fine del primo millennio, che abbandonò tutto per farsi penitente e pellegrino a Roma e in Terra Santa. Al ritorno, si mise alla scuola di un santo eremita che viveva in una capanna accanto all’abbazia di Pomposa.
In realtà quell’eremita era anche l’abate che educò il giovane nella vita spirituale, preparandolo a succedergli nella guida del monastero. Così Guido divenne “l’Abate dell’anno mille”, sotto il cui saggio governo la celebre abbazia fu abbellita in maniera straordinaria, sia in costruzioni di armonioso stile romanico (celebre soprattutto il campanile, innalzato proprio in quegli anni, e considerato “il più bel campanile del Medioevo italiano”), sia per la biblioteca arricchita di codici rari, sia per la riforma della vita spirituale, culturale e liturgica. L’abate Guido poté anche avvalersi della straordinaria competenza musicale di un suo monaco, Guido d’Arezzo, inventore del pentagramma e della scala musicale di sette note. Morì nel 1046, dopo aver santamente governato il monastero per circa 38 anni.
Nel refettorio dell’abbazia è possibile ammirare un affresco di Pietro da Rimini, che racconta il miracolo dell’acqua che l’abate Guido avrebbe trasformato in vino sotto gli occhi stupefatti dell’arcivescovo di Ravenna Geberardo.



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04/04/2012 15:34



4 Aprile

B. Francesco Marto

Per consolare Dio
, a cura di Antonio Maria Sicari




È il più piccolo dei Pastorelli di Fatima: aveva solo nove anni al tempo delle apparizioni, quando la Madonna aveva chiesto: «Volete offrirvi a Dio in atto di riparazione dei peccati con cui Egli è offeso e la conversione dei peccatori?».

Francesco aveva acconsentito appassionatamente. Tanto più che la Madonna gli aveva promesso di “portarlo presto in cielo”. Gli aveva però raccomandato “di recitare prima molti Rosari”. «O Madonna mia! Di rosari ne dico quanti ne volete!», aveva risposto il bambino. Ma c’era un particolare che lo angustiava e lo faceva osservare spesso a Lucia: «Non hai notato che la Madonna era tanto triste, quando chiedeva che i peccatori non offendessero più Dio che è già molto offeso? Io vorrei tanto consolare Nostro Signore…». Divenne questa la sua passione interiore.

Ripeteva spesso: «Ma che pena che Lui sia così triste! Se io potessi consolarlo!». E così, quando visitatori e inquisitori li infastidivano eccessivamente, Francesco diceva a Lucia: «Lascia perdere!... Non ha detto la Madonna che avremmo dovuto soffrire molto in riparazione a Nostro Signore e al suo Cuore Immacolato per i tanti peccati con cui sono offesi? Loro sono così tristi! Se con queste sofferenze potremo consolarli, dobbiamo essere contenti!».

Fu il primo ad ammalarsi quando nel 1919 scoppiò l’epidemia di “febbre spagnola” che decimò l’Europa. Ma sopportò tutto senza un lamento perché voleva portare fino in fondo il suo compito.

Prima di morire disse a Lucia: «Ormai mi manca poco per andare in cielo. Lassù consolerò molto Nostro Signore e la Madonna. Intanto Giacinta pregherà molto per i peccatori, per il Santo Padre e per te, e tu resterai quaggiù perché la Madonna lo vuole. Senti, fa’ tutto quello che lei ti dirà!». Morì che non aveva ancora compiuto undici anni.



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07/04/2012 06:52



7 Aprile

Liturgia di S. Giovanni Battista De La Salle, sacerdote

Commento alle Letture tratto dal MESSALE DELL'ASSEMBLEA CRISTIANA - FESTIVO opera del CENTRO CATECHISTICO SALESIANO Leumann (Torino) Editori ELLE DI CI - ESPERIENZE - EDIZIONI O.R. - QUERINIANA






7 APRILE
S. GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE
sacerdote
(1651-1719)
Memoria



LETTURE: Sir 39.6b-11.13-14; Sal 1; Mc 9,33-37


Nato in Francia, a Reims, e divenuto sacerdote, lasciò un canonicato per dedicarsi all'educazione e istruzione dei fanciulli delle classi povere. Per loro fondò i «Fratelli delle scuole cristiane» e operò una notevole rivoluzione: fu il primo educatore che abbia osato sostituire la lingua parlata, il francese, al latino nell'insegnamento; ha rinnovato radicalmente il metodo scolastico, mettendo così le basi dell'istruzione popolare, che fu poi generalizzata. Egli soprattutto ha elaborato solidi principi di pedagogia. La congregazione da lui fondata, fra difficoltà enormi, fu il primo istituto laicale. La sua spiritualità si modella su quella della scuola francese del secolo XVII. Le sue costituzioni hanno servito a lungo da modello per altre congregazioni di «fratelli». Da Pio XII è stato dichiarato patrono dei maestri cattolici, perché essi sentano l'esigenza di una autentica formazione popolare cristiana.

L'assenza dei giovani dalle nostre assemblee eucaristiche deve mettere in crisi le comunità locali. Quali le cause? Non è forse, almeno in parte, perché i «valori» che i giovani stimano al primo posto nella scala sociale non emergono nelle nostre celebrazioni?



La carità di Cristo vi spinga

Dalle «Meditazioni» di san Giovanni Battista de la Salle, sacerdote
(Medit. 201)

Meditate in cuor vostro quello che dice l'apostolo Paolo, cioè che Dio ha messo nella Chiesa apostoli, profeti e dottori e vi persuaderete che lui stesso vi ha posto nel vostro ufficio. Di questo vi offre testimonianza il medesimo santo dicendo che diversi sono i ministeri e diverse le operazioni e un medesimo Spirito Santo si manifesta in ciascuno di questi doni per la comune utilità, cioè l'utilità della Chiesa.
Perciò non dovete dubitare che vi sia stata data una simile grazia, infatti istruire i fanciulli, annunziare loro il Vangelo e formali nello spirito della religione è un grande dono di Dio. E' lui che vi ha chiamati a questo santo ufficio.
In tutto il vostro modo di insegnare, comportatevi in modo che i fanciulli, affidati alle vostre cure, vedano che voi esercitate il vostro compito come ministri di Dio in carità non finta e fraterna diligenza. Siete ministri di Dio, ma anche di Gesù Cristo e della Chiesa. Da ciò deriva un particolare orientamento del vostro impegno pedagogico, come si può dedurre anche dalle parole di san Paolo, quando esorta a considerare ministri di Cristo tutti quelli che annunziano il Vangelo. Sono come segretari che scrivono le lettere dettate da Cristo. Non lo fanno con l'inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma di carne quali sono i cuori dei fanciulli. Vi spinga sempre la carità di Dio, perché Gesù Cristo è morto per tutti, perché quanti vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto per loro ed è risuscitato. Perciò gli alunni, assiduamente da voi sollecitati, sentano Dio come colui che esorta per mezzo vostro, perché siete ambasciatori di Cristo.
E' necessario che mostriate anche alla Chiesa di quale amore ardete per essa e le diate prova della vostra diligenza. Voi infatti lavorate per la Chiesa, che è il corpo di Cristo. Col vostro impegno dunque dimostrate di amare coloro che Dio vi ha dati, come Cristo amò la Chiesa.
Preoccupatevi che veramente i fanciulli entrino in questo ordine di idee ed arrivino ad essere degni di presentarsi un giorno davanti al tribunale di Gesù Cristo gloriosi, senza macchia o ruga. Si manifesteranno così nei secoli avvenire le abbondanti ricchezze della grazia che Dio ha loro concesso. Dio, infatti, ha dato loro la grazia di imparare e a voi di insegnare ed educare, sì che possano avere l'eredità nel regno di Dio e di Gesù Cristo nostro Signore.


MESSALE

Antifona d'Ingresso Mt 5,19
«Chi fa e insegna, sarà grande nel regno dei cieli»,
dice il Signore.

Qui fécerit et docúerit mandáta Dómini, hic magnus vocábitur in regno cælórum, dicit Dóminus.

Colletta
O Dio, che hai scelto san Giovanni Battista de la Salle per l'educazione cristiana dei giovani, suscita sempre nella tua Chiesa educatori e maestri che s'impegnano generosamente al servizio delle nuove generazioni nella scuola e nella vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Deus, qui ad christiánam iuventútem educándam beátum Ioánnem Baptístam elegísti, éxcita in Ecclésia tua institutóres, qui humánæ et christiánæ iúvenum disciplínæ toto corde sese devóveant. Per Dóminum.

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Sir 39.6b-11.13-14
Il giusto farà brillare la dottrina del suo insegnamento.

Dal libro del Siràcide

Il giusto sarà ricolmato di spirito di intelligenza,
come pioggia effonderà parole di sapienza,
nella preghiera renderà lode al Signore.
Egli dirigerà il suo consiglio e la sua scienza,
mediterà sui misteri di Dio.
Farà brillare la dottrina del suo insegnamento,
si vanterà della legge dell'alleanza del Signore.
Molti loderanno la sua intelligenza,
egli non sarà mai dimenticato, non scomparirà il suo ricordo,
il suo nome vivrà di generazione in generazione.
I popoli parleranno della sua sapienza,
l'assemblea proclamerà le sue lodi.
Se vive a lungo, lascerà un nome più noto di mille,
se egli muore, avrà gia fatto abbastanza per sé.
Ascoltatemi, figli santi, e crescete
come una pianta di rose su un torrente.
Come incenso spandete un buon profumo,
fate fiorire fiori come il giglio,
spargete profumo e intonate un canto di lode;
benedite il Signore per tutte le opere sue.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 1
Il Signore ci ha liberati dalla morte.

Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti;
ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte.

Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai;
riusciranno tutte le sue opere.

Non così, non così gli empi:
ma come pula che il vento disperde.
Il Signore veglia sul cammino dei giusti,
ma la via degli empi andrà in rovina.

Canto al Vangelo Mt 10,15
Alleluia, alleluia.
Oppure in tempo di Quaresima: Lode e onore a te Signore Gesù.
Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino,
dice il Signore, non entrerà in esso.
Alleluia, alleluia.





Vangelo Mc 9,33-37
Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me.

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù e i discepoli giunsero intanto a Cafàrnao. Quando fu in casa, Gesù chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.
Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Sulle Offerte
Accogli, o Dio, l'offerta del tuo popolo in onore dei tuoi santi, e per la partecipazione a questo sacrificio donaci di esprimere nella vita la forza della tua carità. Per Cristo ...

Accépta tibi sit, quæsumus, Dómine, sacrátæ plebis oblátio pro beáti commemoratióne et præsta, ut, ex huius participatióne mystérii, exémpla tuæ caritátis referámus. Per Christum.


Antifona alla Comunione Gv 8,12
«Chi segue me, non cammina nelle tenebre,
ma avrà la luce della vita», dice il Signore.


Qui séquitur me, non ámbulat in ténebris, sed habébit lumen vitæ, dicit Dóminus.


Dopo la Comunione
Questo sacro convito ci sostenga, Signore, perché sull'esempio dei santi testimoniamo nei pensieri e nelle opere la luce della tua verità e l'amore verso i fratelli. Per Cristo ...

Tríbuat nobis, omnípotens Deus, reféctio sancta subsídium, ut, exémplo beáti Ioánni Baptísti, et fraternitátis caritátem et lumen veritátis in corde exhibeámus et ópere. Per Christum.



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11 Aprile 2012

S. Gemma Galgani

Innamorata del Crocifisso
, a cura di Antonio Maria Sicari



È la prima santa che ha lasciato questo mondo agli inizi del secolo XX, proprio quando il nuovo secolo si apriva con l’orgogliosa persuasione che la Scienza avesse ormai definitivamente sconfitto ogni fede e ogni credenza. R

icordarlo è un dovere, proprio perché si tratta di Santa Gemma Galgani, una ragazza umile, buona e colma di sofferenze, la cui vita è stata letteralmente inondata da doni soprannaturali che ella non cercava, ma che nessuno riusciva a contraddire o a negare. E tuttavia non sono stati i fenomeni straordinari a farla santa, ma la tenerezza con cui Gemma ha saputo soffrire abbracciata a Gesù Crocifisso.

Certo nella sua vita sembra, a volte, abolito il confine che separa questo mondo dall’altro: per Gemma sono normali le visioni di Angeli e Santi, della Vergine Maria e di Gesù Crocifisso, come sono frequenti le apparizioni e le vessazioni diaboliche che la tormentano. Ma l’essenziale è nella sua vocazione di “sposa del Crocifisso”, chiamata a condividere le pene di Gesù, a portarne le stigmate sul corpo, ad esperimentare anche l’abbandono da Lui provato sulla Croce, e a saper restare sempre immersa non nell’amore della sofferenza, ma nella sofferenza dell’amore. A questo dovevano particolarmente servire quelle ore settimanali (dalle ore 20 del Giovedì alle ore 15 del venerdì) in cui Gemma riviveva visibilmente in maniera impressionante le ferite e i dolori della Passione. E attorno a lei, nel quartiere, c’era chi la derideva, chi l’accusava di mentire, chi la rimproverava, chi la spiava per scoprire l’inganno. Ma c’era anche chi la chiamava da sempre, con affetto, “la ragazzina della grazia”.

Morì a venticinque anni, la mattina del Sabato Santo del 1903.



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12 Aprile

S. Giuseppe Moscati

Scienza e Carità, a cura di Antonio Maria Sicari




Nell’anno in cui moriva Santa Teresa di Lisieux, Giuseppe Moscati (nato nel 1880) si iscriveva alla Facoltà di medicina nell’Università di Napoli, sapendo di dovere e volere sfidare un ambiente positivista e praticamente ateo. Avrebbe percorso nel mondo una carriera prestigiosa, ma anche lui non si sarebbe mai allontanato dalla purezza della sua infanzia affascinata dalla fede.

Laureatosi a pieni voti nel 1903, decise di vivere la sua professione coltivando la più stretta unità tra scienza e fede, tra professionalità e carità, esprimendo tale “unità” anche nella attenzione globale che voleva riservare ai suoi pazienti. In situazioni di emergenza (prima l’eruzione del Vesuvio del 1906, e qualche anno dopo l’epidemia di colera) seppe prodigarsi al limite dello sfinimento, traendo la propria forza, congiuntamente sia dalla propria passione medica, sia all’Eucaristia che riceveva ogni giorno.

Nel 1911 con la Libera Docenza ebbe anche l’incarico dell’insegnamento universitario e produsse numerosi saggi scientifici, che gli diedero fama a livello mondiale. Non trascurava mai le visite a domicilio, dedicate soprattutto ai malati poveri, dai quali non accettava compensi, assumendosi anzi le spese delle medicine che prescriveva. Si era prefisso come ideale di “amare Dio, senza misura nell’amore, senza misura nel dolore”. Volgarmente aggredito da colleghi massoni e anticlericali che si proponevano di “distruggerlo e annientarlo”, non nascondeva mai la sua fede. Morì a quarantasette anni il 27 aprile 1927 e anche i suoi avversari gli tributarono finalmente l’onore dovuto alla sua scienza e alla sua carità.

È stato canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1987, al termine del Sinodo dei Vescovi «sulla Vocazione e Missione dei laici nella Chiesa».



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