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Il Santo del giorno

Ultimo Aggiornamento: 28/01/2013 07:06
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26/05/2012 17:59





Sabato 26 Maggio 2012

S. Filippo Neri

La gioia cristiana
, a cura di Antonio Maria Sicari




Era nato nel 1515 a Firenze, ed era un ragazzo così tranquillo e generoso che tutti lo chiamavano «Pippo bòno». Poi si trasferì a a Roma per studiare e divenne precettore in casa di un banchiere fiorentino.
Non era sacerdote, ma a volte aiutava (anche nella predicazione) un vecchio prete e spesso portava la propria testimonianza cristiana nei quartieri poveri, nelle carceri e negli ospedali. Aveva poi la passione di visitare le antiche catacombe cristiane, dove s’immergeva in preghiera. In previsione del Giubileo del 1550 fondò una confraternita per assistere i pellegrini che si sarebbero riversati a Roma. Accettò poi di farsi ordinare sacerdote, ma a patto di mantenere una certa sua libertà. Così prese dimora in una stanzetta presso la Chiesa di S. Girolamo, dove invitava amici, penitenti e soprattutto ragazzi in cerca di una buona educazione cristiana. Nacque così il primo Oratorio della storia, dove – sotto la guida di Filippo – si tenevano incontri, conferenze, attività ricreative e musicali.
Divenne particolarmente celebre e frequentato il Carnevale da lui organizzato per contrastare la licenziosità pagana allora in uso. A partire dal 1564 attorno a Filippo si radunò anche una comunità di sacerdoti che volevano vivere e operare secondo quel suo stile che coniugava così bene umanità, santità e libertà. A Roma era celebre l’umorismo di Filippo (condensato spesso in aforismi, storielle e burle) che sapeva farsi pedagogia serena e intelligente. Anche il confessionale di Filippo era molto ricercato e il santo vi dedicava lunghe ore del giorno e della notte.
Morì a ottant’anni, dopo alcuni mesi di malattia, dicendo di soffrire molto, ma solo perché «a Gesù era toccata una Croce e a lui un letto comodo e pulito».
Lo definirono «il santo della gioia cristiana».






_________Aurora Ageno___________
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29/05/2012 08:07



Martedì 29 Maggio 2012

S. Orsola Ledókowska

Restituire l'amore col sorriso
, a cura di Antonio Maria Sicari




Giulia Maria Ledóchowska apparteneva a una famiglia ricca di relazioni e di doni: il papà (originario di Cracovia) era un alto ufficiale austriaco, la mamma apparteneva alla nobiltà svizzera, uno zio era arcivescovo e cardinale, un fratello era destinato a diventare superiore generale dei Gesuiti, una sorella sarebbe diventata fondatrice di un nuovo istituto religioso.

La sua educazione fu particolarmente accurata e serena, tanto che, a ventun’anni, ella disse semplicemente ai genitori che era suo dovere “cominciare a restituire al Signore tutto il bene che essi le avevano dato fin da bambina”: “doveva perciò farsi Santa”. Scelse di entrare tra le suore Orsoline (prendendo il nome di Urszula) per dedicarsi all’educazione delle fanciulle. E poiché, proprio in quegli anni, le ragazze avevano ottenuto il diritto di frequentare l’università, si dedicò ad aiutare quelle meno abbienti: per loro aprì un pensionato a Cracovia. Poi fece lo stesso a s. Pietroburgo, sfidando la polizia segreta russa. Ne aprì ancora uno in Finlandia, poi in Svezia, dove fondò anche il primo quotidiano cattolico.

Tre anni dopo si recò in Danimarca ad assistere i profughi polacchi. Nel 1920 decise di fondare lei stessa un nuovo ramo di Orsoline più orientato verso il mondo delle ragazze emarginate e dei bambini più poveri. Alla sua morte l’Istituto conterà già trentacinque case e più di mille religiose. A esse proponeva “un nuovo tipo di apostolato”: “quello del sorriso che dissipa sempre le nuvole che s’addensano nell’animo, e ci ricorda che abbiamo in cielo un Padre sempre pronto a venire in nostro aiuto”. Ne dava lei stessa testimonianza, dicendo: “In cinquanta anni di vita religiosa non ho avuto un momento in cui mi sia sentita infelice”.

È stata canonizzata nel 2003 da papa Giovanni Paolo II.






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30/05/2012 06:54



Mercoledì 30 Maggio 2012


S. Giovanna D'Arco

Se Dio lo vuole
, a cura di Antonio Maria Sicari



La vicenda storica e teologica di Giovanna d’Arco non è di facile comprensione, ma ella resta comunque una delle sante più conosciute e amate.
La storia della contadinella di Domremy mandata da Dio a liberare la Francia è certamente straordinaria e oggi molti riconoscono che, senza il suo intervento, la storia dell’Europa non sarebbe stata la stessa e la sua identità cristiana sarebbe stata a rischio.
La liberazione di Orléans realizzata da un esercito guidato dalla “Pulzella” (cioè da una ragazza diciassettenne, vergine) provocò la meraviglia e l’entusiasmo di tutto il popolo francese e l’incoronazione di Carlo VIII nella Cattedrale di Reims sembrò l’avverarsi di un sogno, umanamente impossibile.
Alcuni si chiedono quale santità ci fosse nel guidare un’armata e nell’affrontare sanguinosi combattimenti, ma Giovanna partecipava al combattimento solo innalzando uno stendardo e infondendo coraggio con la sua certezza di fede che la liberazione della Francia era voluta da Dio.
Anche ai soldati Giovanna imponeva comportamenti di giustizia e di lealtà, allora non usuali. In seguito ella avrà modo di dimostrare la sua durante il processo che dovette subire quando cadde prigioniera degli inglesi. Seppe custodire la sua purezza e la sua assoluta fedeltà alla Chiesa nonostante che a giudicarla e a condannarla ingiustamente fossero degli ecclesiastici.
Aveva solo diciannove anni, quando fu arsa viva sulla piazza del vecchio mercato di Rouen e un testimone ha raccontato: «Avvolta ormai dal fuoco, Giovanna gridò più di sei volte: “Gesù!”, e soprattutto col suo ultimo respiro gridò con voce forte “Gesù!”, al punto che tutti i presenti poterono udirla. E quasi tutti piangevano di pietà».
In seguito fu lo stesso papa a riabilitarla, definendola “figlia prediletta della Chiesa”.
Nel 1920 è stata canonizzata e proclamata patrona di Francia.








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31/05/2012 10:01





Giovedì 31 Maggio 2012

Santa Maria della Visitazione

Magnificat!
, a cura di Antonio Maria Sicari




Subito dopo aver ricevuto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, la Vergine Santa si mette in viaggio per assistere la cugina Elisabetta nella sua inattesa e avanzata gravidanza, in tarda età. Ed è bello chiudere il mese a lei dedicato, contemplando l’icona di Maria che “porta in visita” il suo Gesù: “La Madre incontra la madre e il Bambino incontra il bambino”, dice la liturgia.
Un incontro tutto pervaso da fremiti e sussulti di gioia. È bello anche chiudere il mese mariano ripetendo assieme alla Vergine Santa il canto del Magnificat sottolineando la bellezza delle parole da lei scelte: tutte espressioni e immagini tratte dalla Scrittura, che però acquistano una particolare “densità” per il fatto che le stesse parole stanno “prendendo carne” nel suo grembo.
Per dire, ad esempio: “Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”, Maria si serve della formula di un antico profeta, ma essa esprime anche l’esatto suono e significato del nome “Gesù”. E se ella dice: “Grandi cose ha fatto in me Colui che è potente”, l’espressione (che è tradizionale) non si riferisce più soltanto agli interventi salvifici di Dio nel grembo della storia, ma alla Sua presenza fisica nel grembo della mamma. Anche quando Elisabetta saluta Maria avviene un notevole cambiamento.
La vecchia cugina, infatti, le dice: “Benedetta te perché hai creduto”, e dovrebbe subito completare la formula aggiungendo, secondo l’uso: “E Benedetto il tuo Dio”. Invece dice con inattesa tenerezza: “E benedetto il Frutto del tuo grembo”. Insomma, la festa della Visitazione annuncia e celebra l’esistenza di un mondo dove anche le parole e le preghiere diventano nuove in forza della presenza umana del Figlio di Dio.






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01/06/2012 08:51





Venerdì 1 Giugno 2012


S. Giustino

Ragione e Fede
, a cura di Antonio Maria Sicari



Nacque in Palestina, all’inizio del secondo secolo, da famiglia di origini latine.
Da giovane s’era appassionato allo studio della filosofia greca, ma s’era interessato anche ai profeti ebraici. Il duplice incontro lo condusse a Cristo, compimento di ogni ricerca e incarnazione piena della Verità. Ricevette il battesimo nel 130 e subito decise di recarsi a Roma e di farsi “missionario” tra i filosofi e gli intellettuali. A tale scopo fondò una sua scuola di filosofia e scrisse un’Apologia in difesa dei cristiani che venivano accusati di ateismo e condannati a morte come sovvertitori dello Stato romano e del suo culto.
I cristiani – diceva Giustino – erano condannati senza essere conosciuti, soltanto in base a pregiudizi e dicerie. Citando molti autori classici e ricorrendo anche ai miti omerici, cerca di accostarli a testi della Sacra Scrittura per mostrare che la sapienza degli antichi viene non solo accolta e onorata nel cristianesimo, ma viene anche compiuta e realizzata. Scrisse anche un Dialogo, indirizzato agli ebrei per mostrare in Cristo l’adempimento delle attese messianiche. In ambedue i testi l’itinerario intellettuale di Giustino era simile: mostrare “la preparazione di Cristo” contenuta nelle relative “scritture” (dei filosofi per i pagani e dei profeti per i giudei).
Fu così l’iniziatore della “filosofia cristiana”, quella che sa riconoscere alla ragione tutto il suo valore e la sua funzione, ma sa anche aprirsi alla luce della Rivelazione.
Dalle sue opere abbiamo molte e interessanti notizie circa la vita delle prime comunità cristiane e le loro celebrazioni liturgiche.
Morì martire nell’anno 165, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio, e la sua “passione” è raccontata in un testo di rara bellezza e intensità.





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05/06/2012 08:21



Martedì 5 Giugno 2012

S. Bonifacio

Un albero sempreverde
, a cura di Antonio Maria Sicari




L’evangelizzazione della Germania fu opera del monachesimo anglosassone. L’iniziatore fu il monaco Winfrido che ne chiese il permesso direttamente al papa ed ebbe da lui il potere di agire in qualità di legato pontificio. Ricevette dal papa anche un nome nuovo (Bonifacio) col quale sarebbe passato alla storia. Il suo stile missionario era travolgente e, a volte, perfino impetuoso. Clamorosa fu la sua decisione di fare abbattere in Turingia la quercia sacra al dio Thor.
La tradizione addolcisce l’episodio raccontando che si era in tempo di Natale e sotto quella quercia si stava per sacrificare un bambino. Bonifacio liberò la piccola creatura e, quando l'albero gigantesco cadde, ecco che ai suoi piedi scopersero un piccolo abete che tentava di crescere. Così il Santo affidò l'alberello sempreverde, assieme al bimbo salvato, ai suoi cristiani, come simbolo della nuova vita. Il legno della quercia poi servì alla costruzione della prima chiesa. A tal episodio sarebbe collegata la tradizione dell’albero di Natale.
L’opera di Bonifacio si estese fino alla Baviera ed egli la consolidò fondando molti monasteri maschili e femminili e organizzando la gerarchia della chiesa tedesca. In tarda età si ritirò nel monastero di Fulda da lui fondato, che era divenuto un centro d’irradiazione spirituale e culturale. Ma la passione missionaria non lo lasciava. Ormai ottantenne volle discendere lungo il Reno con una piccola flotta di barche per evangelizzare la Frisia. Durante il viaggio cadde vittima di una banda di predoni che lo uccise per impadronirsi di alcune casse di “tesori”, ma erano soltanto libri che Bonifacio portava sempre con sé. Per recuperarne il corpo, i Franchi organizzarono una spedizione.
Fu sepolto a Fulda, che è rimasto il centro ideale della Chiesa tedesca.
È patrono della Germania.





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06/06/2012 10:11



Mercoledì 6 Giugno 2012


S. Norberto

L'angelo della pace
, a cura di Antonio Maria Sicari




È il fondatore dei “Premonstratensi”, un antico Ordine monastico (il cui nome viene dalla valle francese di Prémontré, dove l’Ordine ebbe il suo inizio) che, agli inizi del sec. XII, anticipò, a suo modo, lo stile di vita mendicante.
La storia racconta che Norberto, un nobile cadetto, aveva sì intrapreso la carriera ecclesiastica, ma considerandola e programmandola come fonte di prestigio e di lusso. Poi, durante una cavalcata nel bosco, un fulmine l’aveva fatto stramazzare a terra, ed egli aveva colto quel segno come un avvertimento divino a cambiar vita. Gli sembrò che Dio avesse voluto dirgli: «Abbandona la via del male, e fa’ il bene».
Trascorse tre anni in penitenza e preghiera, poi si fece ordinare sacerdote, distribuì tutti i suoi beni ai poveri e si dedicò alla predicazione itinerante nelle campagne francesi, ma anche in Belgio e in Germania. La sua fama divenne così grande che fu obbligato a ricevere controvoglia quelle cariche che un tempo aveva desiderato (fu, infatti, nominato vescovo di Magdeburgo e cancelliere dell’Impero per l’Italia e la Polonia).
Riuscì tuttavia a mantenere un tenore di vita povero e umile, dedicandosi a pacificare le regioni a lui affidate. Lo chiamarono per questo “angelo della pace”. San Norberto è raffigurato di solito con un ostensorio in mano, perché difese spesso con tenacia la realtà della Presenza Eucaristica, contro gli eretici di allora.
La Boemia lo ha scelto come suo patrono.
A motivo di qualche suo miracolo, è invocato anche come patrono delle partorienti.





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09/06/2012 10:59



Sabato 9 Giugno 2012


S. Efrem Siro

Il teologo musicale
, a cura di Antonio Maria Sicari



Non è un santo molto noto, ma merita d’essere ricordato perché ha saputo unire assieme teologia, poesia e musica. Per questo l’hanno definito “L’arpa dello Spirito Santo”.
Nacque in Mesopotamia al tempo di Costantino, e visse a Edessa, in Siria dedicandosi all’insegnamento e ad arricchire la liturgia cristiana componendo inni e preghiere su tutti i misteri cristiani. Particolarmente belli sono anche i suoi Inni sul Paradiso. Un altro titolo che Efrem ha davvero meritato è quello di “poeta della Vergine” alla quale ha dedicato le sue più belle composizioni.
Concluse la sua vita nella sofferenza a causa di una grave carestia durante la quale aveva mostrato come l’arte sapesse farsi anche lavoro e carità. Morì a Edessa verso l’anno 373, vittima del contagio contratto curando gli ammalati di peste.
Prima di concludere il suo breve profilo, tuttavia, è necessario far gustare almeno qualcosa della sua arte impregnata di bellezza e di fede. Lo facciamo riportando lo stesso brano natalizio scelto da Benedetto XVI durante una “catechesi” dedicata a s. Efrem Siro (28 nov 2007):
«Il Signore venne in Maria / per farsi servo. / Il Verbo venne in lei / per tacere nel suo seno. / Il fulmine venne in lei / per non fare rumore alcuno. / Il Pastore venne in lei / ed ecco l’Agnello nato, / che sommessamente piange. / Poiché il seno di Maria / ha capovolto i ruoli: / Colui che creò tutte le cose / ne è entrato in possesso, ma povero. / L’Altissimo venne in lei / ma vi entrò umile. / Lo splendore venne in lei, / ma vestito con poveri panni. / Colui che elargisce tutte le cose / conobbe la fame. / Colui che abbevera tutti / conobbe la sete. / Nudo e spoglio uscì da lei, / Egli che riveste di bellezza tutte le cose» (Inno sulla Natività 11,6-8).





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11/06/2012 11:46



Lunedì 11 Giugno 2012


S. Barnaba

dal Martirologio





Memoria di san Barnaba, Apostolo, che, uomo mite e colmo di Spirito Santo e di fede, fu annoverato tra i primi fedeli di Gerusalemme.
Predicò il Vangelo ad Antiochia e introdusse Saulo di Tarso da poco convertito nel novero dei fratelli, accompagnandolo pure nel suo primo viaggio per l’evangelizzazione dell’Asia; partecipò poi al Concilio di Gerusalemme e, fatto ritorno all’isola di Cipro, sua patria di origine, vi diffuse il Vangelo.

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13/06/2012 10:41


Mercoledì 13 Giugno 2012


S. Antonio di Padova

Il Santo dei miracoli
, a cura di Antonio Maria Sicari




Non si chiamava Antonio, ma Fernando. Non nacque in Italia, ma in Portogallo. Eppure la città di Padova lo sente così suo che lo chiama semplicemente: “Il Santo”. E allo stesso modo chiama la basilica dove il corpo di Antonio è venerato.
Nato da nobile famiglia a Lisbona, Fernando era entrato tra i canonici regolari di s. Agostino di Coimbra, dedicandosi agli studi teologici e biblici. Ma tutto cambiò quando si trovò ad assistere al funerale di cinque umili frati minori che Francesco aveva inviato in Marocco e che erano stati uccisi dai maomettani.
Decise allora di prendere il loro posto, entrando nell’Ordine francescano, dove ricevette il nome di Antonio. Avrebbe voluto sbarcare missionario nelle coste africane, ma una bufera lo costrinse ad approdare in Sicilia, da dove risalì verso Assisi per incontrare Francesco. Si affidò poi al provinciale francescano dell’Emilia Romagna che lo portò con sé e lo impiegò come cuoco del convento. Quando però scopersero la sua straordinaria preparazione teologica lo inviarono come predicatore nelle principali città, dove accorrevano sempre migliaia di persone ad ascoltarlo.
Lo stesso s. Francesco gli scrisse nominandolo “primo maestro di teologia” per i suoi frati. Nel 1227 si stabilì a Padova e divenne «il Santo della città».
Morì nel 1231, a soli 36 anni, stremato dai lunghi viaggi missionari e dalle incessanti predicazioni, circondato da una fama così travolgente che fu proclamato santo quando ancora non erano passati due anni dalla morte.
La raccolta dei suoi Sermoni gli ha assicurato il titolo di Dottore della Chiesa.
Ma egli è universalmente noto e amato per i miracoli che lo hanno sempre accompagnato in vita e in morte, rafforzando sempre più nel popolo la persuasione già espressa da san Bonaventura, che usava dire: «Chi cerca prodigi, vada da Antonio».





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16/06/2012 09:50


16 Giugno 2012

CUORE IMMACOLATO DI MARIA

"Siate la salvezza dell'anima mia"
, a cura di Antonio Maria Sicari


Furono gli stessi santi che ardevano d’amore per il Cuore di Gesù a capire subito che la sua festa doveva essere abbinata a quella del Cuore Immacolato di Maria. Lo decise il papa Pio XII in seguito alle apparizioni di Fatima (1917).
La Vergine Santa aveva chiesto allora che il mondo intero fosse consacrato al suo Cuore Immacolato. Tale consacrazione avvenne nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, e la festa fu approvata nel 1944. Anche questa devozione, però, non deve far leva soltanto sul sentimento (pur se è dolce e consolante sapere che il mondo è cullato dal battito di un cuore materno), ma deve ricondurci all’esperienza di Maria che ci è stata raccontata dal Vangelo. Di lei ci vien detto che, fin dalla notte di Natale, “conservava tutti gli avvenimenti nel suo cuore, meditandoli” (Lc 2,19).
L’espressione viene ripetuta dopo il sofferto ritrovamento del Bambino nel Tempio. Sappiamo che Maria e Giuseppe non compresero l’accaduto, ma che lei “serbava tutto nel suo cuore” (Lc 2,51).
Fu dunque la prima a imparare che il rapporto con suo Figlio (anche per lei che l’aveva portato nel grembo!) doveva farsi preghiera continua, e che il cuore adorante della creatura è il luogo dove l’intera Trinità vuole abitare. Nell’ultima sera della sua vita terrena, infatti, Gesù dirà: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Maria fu la prima a “osservare la Parola di Dio”, così pienamente che essa si fece carne in lei. Ma trascorse, poi, tutto il resto della sua vita a conservarla e meditarla nel cuore, rendendolo sempre più “immacolato” e sempre più materno, per poterci accogliere tutti misericordiosamente.




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Sabato 23 Giugno 2012


S. Giuseppe Cafasso

Condannati, ma chiamati alla santità
, a cura di Antonio Maria Sicari




Sono passati poco più di duecento anni dalla sua nascita. Giuseppe Cafasso fu un prete di eccezionale.
Don Bosco, che gli fu amico, lo considerava «un modello di vita sacerdotale».
Di salute malferma, si dedicò all’insegnamento e alla formazione dei giovani seminaristi e alla carità sociale. Insegnava ai seminaristi la teologia morale, di cui aveva una rara competenza e li preparava a saper capire le anime. Chiedeva loro soprattutto di imparare a sapersi donare interamente: “un prete – amava dire – è venduto al Signore”. Null’altro può e deve interessargli che lavorare per Lui e per le anime che gli sono affidate.
Ma don Cafasso (oltre a essere rettore del Convitto Ecclesiastico, dove si formavano i neo-sacerdoti) esercitava anche un’altra e più alta missione nell’ambiente più difficile: quello delle carceri e delle celle dei condannati a morte (allora molto numerosi). Li accompagnava nelle ultime terribili ore (passando con loro tutta intera l’ultima notte), cercando non solo di riconciliarli con Dio, ma di introdurli in Paradiso.
Diceva che questa era la sua missione: aiutarli ad affrontare la morte già pronti per il Paradiso, senza bisogno di dover passare per il Purgatorio. Li chiamava “i suoi santi impiccati”. Ed era straordinario il rispetto con cui li trattava e la dignità che riconosceva loro. Poi esaudiva anche la loro ultima richiesta: di solito, quella di prendersi cura delle loro famiglie.
Lo chiamavano «il prete della forca», ma il titolo non era dispregiativo, esprimeva anzi un affetto immenso per quell’umile prete che accettava sempre di condividere situazioni e ore terribili.
Morì nel 1860 e, dei carcerati, è stato proclamato patrono.




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Giovedì 28 Giugno 2012

S. Ireneo di Lione

L'uomo è gloria di Dio
, a cura di Antonio Maria Sicari




Nacque a Smirne, in Asia Minore, dopo l’anno 130.
Da ragazzo potéascoltare le testimonianze cristiane del grande vescovo e martire Policarpo di Smirne, successore dell’apostolo Giovanni, “annotando tutto nel suo cuore” e traendone un attaccamento appassionato alla Persona di Gesù. S’era poi trasferito in Occidente, per motivi a noi ignoti: a Roma conobbe il santo filosofo Giustino e si mise alla sua scuola, poi si recò a Lione, in Gallia, dove confluivano mercanti da tutto l’impero. Si mise al servizio del vescovo della città e divenne il suo uomo di fiducia. Divampò la persecuzione (quella in cui morì la giovane Blandina) e anche il vescovo subì il martirio.
Ireneo si salvò perché era stato inviato temporaneamente a Roma. Al suo ritorno, fu eletto vescovo e guidò la diocesi per circa un ventennio, combattendo le eresie che minacciavano la retta fede. Combatté soprattutto lo gnosticismo che pretendeva contrapporre il Dio giusto dell’Antico Testamento al Dio misericordioso del Nuovo, sviluppando un dualismo radicale. Ireneo contempla invece la realtà con un radicale ottimismo, dato che “il Padre ha creato tutte le cose grazie alle sue due mani, che sono il Figlio e lo Spirito Santo”.
È di Ireneo anche quella bellissima espressione che dice: «La gloria di Dio è l'uomo vivente, e la vita dell'uomo è la contemplazione di Dio». L’opera fondamentale che egli ci ha lasciato è un trattato Contro le eresie. In essa Ireneo si afferma come il “primo teologo della storia della salvezza”. Grande fu la sua capacità di valorizzare la “Tradizione” presentandola come catena vivente che ci lega a Cristo. Secondo una tradizione riferita da s. Girolamo, Ireneo sarebbe morto martire verso l’anno 202.







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Lunedì 9 Luglio 2012


Nicola Pieck, sacerdote, e dieci compagni

dal Martirologio



A Brielle sulla Mosa in Olanda, passione dei santi martiri Nicola Pieck, sacerdote, e dieci compagni* dell'Ordine dei Frati Minori e otto del clero diocesano o regolare, che per difendere dai calvinisti la dottrina della presenza reale di Cristo nell'Eucaristia e l'autorità della Chiesa di Roma, patirono scherni e torture di vario genere, concludendo il loro martirio con l’impiccagione.

* I loro nomi sono: santi Girolamo da Weert, Teodorico van der Eem, Nicasio da Heeze, Villeado di Danimarca, Goffredo da Melver, Antonio da Hoornaar, Antonio da Weert, Francesco da Roy, sacerdoti dell’Ordine dei Frati Minori, e Pietro d’Assche e Cornelio de Wijck, religiosi dello stesso Ordine; Giovanni da Oisterwijk, canonico regolare di Sant’Agostino; Giovanni da Colonia, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori; Adriano da Hilvarenbeek e Giacomo Lacops, sacerdoti dell’Ordine Premostratense; Leonardo Veghel, Nicola Poppel, Goffredo Duynen e Andrea Wouters, sacerdoti.


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Martedì 10 Luglio 2012

Martiri di Damasco

Non abbiamo che un'anima!
, a cura di Antonio Maria Sicari




L’Ordine Francescano sente una particolare responsabilità missionaria verso i Luoghi Santi e le comunità cristiane della Terra Santa, fin dal tempo in cui s. Francesco d’Assisi volle recarsi in visita dal sultano al-Malik al-Kamil. Molti secoli sono passati da allora, ma la loro custodia continua a essere decisiva per i cristiani del luogo e per i pellegrini che oggi possono essere accolti dai figli di s. Francesco in settantaquattro santuari.
Nei momenti più difficili i francescani hanno dovuto anche testimoniare col sangue la propria missione e, a volte, sono state sterminate intere comunità. Così accadde agli undici beati Martiri di Damasco che oggi ricordiamo (8 religiosi francescani e tre fratelli laici maroniti), massacrati nel loro convento da un gruppo di fondamentalisti islamici che erano riusciti a penetrarvi proditoriamente, nella notte fra il 9 e il 10 luglio del 1860.
L’eccidio fu deprecato dallo stesso emiro del luogo ch’era accorso nel tentativo di salvare i missionari di cui aveva grande stima. Secondo le testimonianze raccolte, a tutti i prigionieri venne data la scelta di aver salva la vita, rinnegando Cristo, ma tutti risposero in maniera simile al padre Emmanuele Ruiz, superiore del convento (così buono e mite che lo avevano soprannominato “Padre Pazienza”) il quale ribatté con fermezza: «Noi non abbiamo che un'anima. Perduta quella, è perduto tutto. Siamo cristiani e vogliamo morire cristiani». Furono uccisi sull’altare della cappella, dove si erano rifugiati.
Sul pavimento fu poi trovato, intriso di sangue, il piccolo messale arabo di cui padre Emmanuele si serviva per tradurre ai fedeli i vangeli della domenica.
Sono stati tutti beatificati da Pio XI nel 1926.







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11 LUGLIO

SAN BENEDETTO, ABATE

Patrono d'Europa

(480? - 547) Festa




LETTURE: Pr 2,1-9; Sal 111; Gv 15,1-8


Dai Dialoghi di san Gregorio Magno conosciamo la vita e l’opera di Benedetto di Norcia, il « padre del monachesimo d’Occidente ». Lasciato il « mondo » di Roma, fu a Subiaco dove per tre anni in una grotta maturò esperienze di vita « eremitica » (solitaria), noto solo a un monaco che gli forniva cibo. Poi, rudi pastori gli chiesero di istruirli, i monaci di Vicovaro lo vollero superiore ma tentarono d’avvelenarlo; infine molti discepoli cercarono la sua direzione. Fondò prima uno e poi dodici monasteri: nasceva la vita « cenobitica » (comunitaria) benedettina. La sua celebre Regola monastica armonizza esperienza ascetica orientale (cf san Basilio, pag. 1625) e saggezza romana con la discrezione e lo spirito dei Vangelo. L’Abate (padre) guida una vita di preghiera e di lavoro manuale e intellettuale, che congiunge semplicità e prudenza, austerità e dolcezza, libertà e obbedienza. Verso il 529, per un’astiosa persecuzione, si recò a Montecassino, e là morì il 21 marzo probabilmente nel 547. I suoi monaci si sparsero per l’Europa, la convertirono a Cristo e ne conservarono l’unità religiosa. Per questo, Benedetto fu proclamato da Paolo VI nel 1964 principale «Patrono d’Europa» e la sua festa (impedita in quaresima al 21 marzo) è alla data di una sua antica festività.
I Benedettini sono sempre stati forze vive nel popolo di Dio, apportandovi le ricchezze della vita contemplativa, l’esemplare «lode di Dio» nel servizio liturgico, lo studio dei santi Padri. Hanno dato alla Chiesa, cominciando da san Gregorio Magno, un gran numero di Papi e sono intervenuti operosamente nelle missioni più delicate.



Non antepongano a Cristo assolutamente nulla

Dalla «Regola» di san Benedetto, abate
(Prologo 4-22; cap. 72, 1-12; CSEL 75, 2-5. 162-163)
Prima di ogni altra cosa devi chiedere a Dio con insistenti preghiere che egli voglia condurre a termine le opere di bene da te incominciare, perché non debba rattristarsi delle nostre cattivi azioni dopo che si è degnato di chiamarci ad essere suoi figli. In cambio dei suoi doni, gli dobbiamo obbedienza continua. Se non faremo così, egli come padre sdegnato, sarà costretto a diseredare un giorno i suoi figli e, come Signore tremendo, irritato per le nostre colpe, condannerà alla pena eterna quei malvagi che non l'hanno voluto seguire alla gloria.
Destiamoci, dunque, una buona volta al richiamo della Scrittura che dice: E' tempo ormai di levarci dal sonno (cfr. Rm 13, 11). Apriamo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo attentamente la voce ammonitrice che Dio ci rivolge ogni giorno: «Oggi se udite la sua voce non indurite i vostri cuori» (Sal 94, 8). E ancora: «Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2, 7).
E che cosa dice? Venite, figli, ascoltate, vi insegnerò il timore del Signore. Camminate mentre avete la luce della vita, perché non vi sorprendono le tenebre della morte (cfr. Gv 12, 35).
Il Signore cerca nella moltitudine del popolo il suo operaio e dice: C'è qualcuno che desidera la vita e brama trascorrere giorni felici? (cfr. Sal 33, 13). Se tu all'udire queste parole rispondi: Io lo voglio! Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita, preserva la lingua dal male e le tue labbra non pronunzino menzogna: fuggi il male e fà il bene: cerca la pace e seguila (cfr. Sal 33, 14-15). E se farete questo, i miei occhi saranno sopra di voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò: Eccomi.
Che cosa vi è di più dolce, carissimi fratelli, di questa voce del Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino della vita.
Perciò, cinti i fianchi di fede e della pratica di opere buone, con la guida del vangelo, inoltriamoci nelle sue vie, per meritare di vedere nel suo regno colui che ci ha chiamati. Ma se vogliamo abitare nei padiglioni del suo regno, persuadiamoci che non ci potremo arrivare, se non affrettandoci con le buone opere.
Come vi è uno zelo cattivo e amaro che allontana da Dio e conduce all'inferno, così c'è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. In questo zelo i monaci devono esercitarsi con amore vivissimo; e perciò si prevengano l'un l'altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza le infermità fisiche e morali degli altri, si prestino a gara obbedienza reciproca. Nessuno cerchi il proprio utile, ma piuttosto quello degli altri, amino i fratelli con puro affetto, temano Dio, vogliano bene al proprio abate con sincera e umile carità.
Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli, in compenso, ci condurrà tutti alla vita eterna.




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Giovedì 12 Luglio 2012


S. Giovanni Gualberto

No alla corruzione
, a cura di Antonio Maria Sicari




È sempre triste accorgersi che il proprio ideale è stato sporcato da persone senza scrupoli. Alcuni però ne traggono motivo per rinunciare, altri per abbracciarlo con ancora più decisione.
Così accadde a Giovanni Gualberto (nato intorno all’anno Mille), giovane monaco nel monastero benedettino di San Miniato: vi era entrato pieno di fervore (dopo aver perdonato colui che gli aveva ucciso il fratello) per accorgersi che il suo abate aveva comprato la carica e il monastero era infetto di simonia. Accompagnato da alcuni monaci, si allontanò subito da quel luogo, ma per fondarne un altro a Vallombrosa, sull’Appennino toscano, dando inizio a una nuova congregazione benedettina riformata, decisa al rifiuto di ogni donativo e di ogni protezione. Ed è un ideale che i monaci vallombrosiani diffondono nella chiesa con la predicazione rude e incisiva e offrendosi anche come formatori di nuovi preti, abituati alla vita comune e liberi dalla tentazione del potere e della carriera.
Così accade a Milano dove Giovanni invia i suoi discepoli per sostituire molti preti simoniaci deposti. La stima che i vallombrosiani riscuotono è tale che a Firenze affideranno ai monaci perfino la custodia del tesoro della Repubblica.
Prima di morire Giovanni scrive ai suoi monaci una “Lettera sulla carità” in cui raccomanda l’unità con queste parole: «Come il fiume si prosciuga nel suo letto, se si divide in tanti rigagnoli, così l’unione fraterna è meno utile ai singoli, se si disperde qua e là». Gregorio VII, il papa riformatore, nella sua lotta contro la corruzione ecclesiastica, troverà un grande aiuto nei monaci di Giovanni Gualberto e gli sarà riconoscente “per aver fatto risplendere in Toscana la purezza luce della sua fede”.







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SOLENNITA' DELLA BEATA VERGINE DEL CARMELO


MARIA VERGINE
MADRE
E MAESTRA SPIRITUALE



I fratelli e le sorelle dell'ordine Carmelitano, sia quelli che praticano l'antica osservanza sia quelli che seguono la riforma operata da santa Teresa di Gesù († 1582), si adoperarono sempre molto affinché si diffondessero ovunque e in profondità l'amore per l'orazione, l'impegno per conseguire la perfezione evangelica e il culto verso la Madre di Cristo. Venerano soprattutto la beata Vergine sotto il titolo «del Monte Carmelo»; mentre compiono il viaggio verso «il santo monte, Cristo Gesù» (Colletta), li custodisce come Madre amorevolissima, li protegge come patrona indefettibile, li accompagna come sorella fedele. Le Carmelitane, meditando assiduamente tutto il mistero della beata Vergine Maria, si soffermano volentieri a contemplare la Vergine o intenta all'orazione o nella sua vita nascosta o mentre riflette inferiormente sulle parole del Signore o mentre si dedica alle opere di carità. I fratelli e le sorelle del carmelo hanno sempre riconosciuto la beata Vergine come «madre e maestra spirituale» e «con la forza del suo amore conduce alla carità perfetta» (Prefazio), i figli che «continua a generare con la Chiesa» a Dio (Prefazio). Nel formulario la Madonna viene celebrata come: - Maestra che, custodendo nel suo cuore le parole di Gesù (cfr Alleluia, Antifona alla Comunione, Le 2,19.51), ci «insegna con il suo esempio» (Orazione sulle offerte) «il timore di Dio» (Antifona d'ingresso, cfr Sal 33 [34], 12); maestra che noi supplici vediamo come «modello della vita evangelica» (Prefazio) e dalla quale impariamo ad amare Dio «sopra ogni cosa con il suo cuore», a «contemplare con il suo spirito il Verbo», a dedicarci «con la stessa sollecitudine» ai fratelli sofferenti (Prefazio); - Madre, che ci invita soavemente a salire «sul monte del Signore» (Antifona d'ingresso; cfr Is 2,3) che e il Cristo stesso (cfr Colletta); madre, per mezzo della quale la sapienza dice: «Chi trova me, trova la vita» (Pro 8,34; cfr Prima Lettura, Pro 8,17-21.34-35); madre che, avendoci ricevuti come figli presso la croce del Signore (cfr Vangelo, Gv 19,25-27), ci «protegge con il suo aiuto», (Orazione sulle offerte) e ci assiste con la sua «intercessione materna» (Colletta). Questa messa é stata tratta, con alcune variazioni, dal Proprio delle messe dell'Ordine dei carmelitani Scalzi delle beata Vergine del Monte Carmelo, Curia Generalizia, Roma 1973, pp. 51-52.90.



ANTIFONA D'INGRESSO Sal 33,12; cfr Is 2,3
Venite, figli, ascoltatemi;
vi insegnerò il timore di Dio.
Venite, saliamo sul monte del Signore,
perché ci indichi i suoi sentieri.

COLLETTA
Assisti i tuoi fedeli, Signore, nel cammino della vita,
e per l'intercessione materna
della beata Vergine Maria, madre e maestra,
fa' che giungiamo felicemente
al tuo santo monte, Cristo Gesù, nostro Signore.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell'unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.

SULLE OFFERTE
Accogli, o Signore, i doni che ti offriamo;
e per l'intercessione della Vergine Maria,
che ci illumina con il suo esempio e ci protegge con il suo aiuto,
fa' che fedeli agli impegni del Battesimo
serviamo con tutto il cuore te e i fratelli.
Per Cristo nostro Signore.

PREFAZIO
La Vergine, madre e maestra, ci sostiene con il suo amore e ci istruisce con i suoi esempi

V. Il Signore sia con voi.
R. E con il tuo spirito
V. In alto i nostri cuori.
R. Sono rivolti al Signore.
V. Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.
R. È cosa buona e giusta.

A E’ veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza, *
rendere grazie sempre e in ogni luogo *
a te, Signore, Padre santo, *
Dio onnipotente ed eterno. **

B Noi ti lodiamo, ti benediciamo, *
ti glorifichiamo, *
nella memoria della beata sempre Vergine Maria. **

Intimamente associata al mistero di Cristo redentore, *
continua a generare con la Chiesa nuovi figli, *
che attira a te con il suo esempio
e con la forza del suo amore conduce alla carità perfetta. **

Alla sua scuola
riscopriamo il modello della vita evangelica; *
impariamo ad amarti sopra ogni cosa con il suo cuore
per servirlo con la stessa sollecitudine nei fratelli. **

A E noi, *
uniti ai cori degli angeli, *
cantiamo esultanti * l'inno della tua lode: **

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell'universo.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
Osanna nell'alto dei cieli.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Osanna nell'alto dei cieli.

ANTIFONA ALLA COMUNIONE Lc 2,19
Maria custodiva in sé tutte queste cose,
e le meditava nel suo cuore

DOPO LA COMUNIONE
O Padre, che alla mensa dei santi misteri
ci hai nutriti del corpo e sangue del tuo Figlio,
fa' che nella fedele imitazione delle virtù di Maria,
viviamo in continua comunione con te,
per testimoniare al mondo le meraviglie del tuo amore.
Per Cristo nostro Signore.





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Venerdì 20 Luglio 2012


S. Apollinare, vescovo

Fare della terra un paradiso
, a cura di Antonio Maria Sicari



Di questo santo tutti conoscono le due splendide basiliche (S. Apollinare in Classe e S. Apollinare Nuovo) erette vicino a Ravenna, al tempo in cui era città imperiale. Risalendo alle origini cristiane della città, fu allora normale ricercare un primo evangelizzatore degno della sua importanza. Fu identificato nel vescovo Apollinare che sarebbe stato addirittura discepolo di s. Pietro e inviato da lui a evangelizzare l’Emilia Romagna. In tal modo anche Ravenna (dopo Roma) poteva vantare origini apostoliche. I racconti che riguardano s. Apollinare si limitano a ricordarne la predicazione, abbellita da molti miracoli che richiamano da vicino quelli di Cristo raccontati nel Vangelo, e il susseguente martirio.
La biografia spirituale del santo Vescovo è invece tutta affidata allo splendido mosaico, nella seconda fascia del catino absidale di S. Apollinare in Classe, dove è raffigurato semplicemente come il vero Buon Pastore: un vescovo, attorniato dai suoi fedeli (dodici agnelli bianchi) per i quali prega con le mani alzate al cielo, in una valle fiorita, con rocce, cespugli, piante, fiori e uccelli. In alto una croce gemmata, col volto di Cristo, rievoca la Trasfigurazione. Non c’è un modo più bello e più “teologico” di questo, per descrivere che cosa sia, per la sua chiesa, il santo che l’ha evangelizzata e fondata: è colui che ha indicato la strada che fa pregustare in terra il Paradiso.
Del resto anche Dante paragonerà la “divina foresta spessa e viva” del paradiso terrestre, proprio alla bellissima pineta del lido di Classe, evocata nel mosaico della vicina basilica.




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23 LUGLIO
SANTA BRIGIDA DI SVEZIA
Religiosa, compatrona d'Europa

(1303-1373)
Festa



LETTURE: Gal 2,19-20; Sal 33; Gv 15,1-8



Principessa svedese, fu sposa e madre esemplare di otto figli che educò ottimamente: la seconda figlia, Karin, è la notissima santa Caterina di Svezia. Brigida, terziaria francescana, consacrò la sua vedovanza alla Chiesa. Visitò in pellegrinaggio i principali luoghi sacri del tempo; fondò a Vadstena un ordine religioso e godette di rivelazioni soprannaturali raccolte in abbondanti scritti a edificazione dei fedeli. A Roma, dove visse 24 anni fino alla morte. lavorò per la riforma dei costumi e preparò il ritorno del papa da Avignone.

Dal 1999 è compatrona d’Europa insieme con Caterina da Siena e Teresa Benedetta della Croce.


Elevazione della mente a Cristo Salvatore

(Oraz. 2; Revelationum S. Birgittae libri 2; Roma 1628, pp. 408-410)
Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per aver predetto prima del tempo la tua morte, per aver trasformato in modo mirabile, durante l'ultima Cena, del pane materiale nel tuo corpo glorioso, per averlo distribuito amorevolmente agli apostoli in memoria della tua degnissima passione, per aver lavato loro i piedi con le tue mani sante e preziose, dimostrando così l'immensa grandezza della tua umiltà.
Onore a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver sudato sangue dal tuo corpo innocente nel timore della passione e della morte, operando tuttavia la nostra redenzione che desideravi portare a compimento, mostrando così chiaramente il tuo amore per il genere umano.
Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per essere stato condotto da Caifa e per aver permesso nella tua umiltà, tu che sei giudice di tutti, di essere sottoposto al giudizio di Pilato.
Gloria a te, Signor mio Gesù Cristo, per essere stato deriso quando, rivestito di porpora, sei stato coronato di spine acutissime, e per aver sopportato con infinita pazienza che il tuo volto glorioso fosse coperto di sputi, che i tuoi occhi fossero velati, che la tua faccia fosse percossa pesantemente dalle mani sacrileghe di uomini iniqui.
Lode a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver permesso con tanta pazienza di essere legato alla colonna, di essere flagellato in modo disumano, di essere condotto coperto di sangue al giudizio di Pilato, di esserti mostrato come un agnello innocente condotto all'immolazione.
Onore a te, Signor mio Gesù Cristo, per esserti lasciato condannare nel tuo santo corpo, ormai tutto inondato di sangue, alla morte di croce; per aver portato con dolore la croce sulle tue sacre spalle, e per aver voluto essere inchiodato al legno del patibolo dopo essere stato trascinato crudelmente al luogo della passione e spogliato delle tue vesti.
Onore a te, Signore Gesù Cristo, per aver rivolto umilmente, in mezzo a tali tormenti, i tuoi occhi colmi di amore e di bontà alla tua degnissima Madre, che mai conobbe il peccato, né mai consentì alla più piccola colpa, e per averla consolata affidandola alla protezione fedele del tuo discepolo.
Benedizione eterna a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver dato, durante la tua mortale agonia, la speranza del perdono a tutti i peccatori, quando hai promesso misericordiosamente la gloria del paradiso al ladrone che si era rivolto a te.
Lode eterna a te, Signor mio Gesù Cristo, per ogni ora in cui hai sopportato per noi peccatori sulla croce le più grandi amarezze e sofferenze; infatti i dolori acutissimi delle tue ferite penetravano orribilmente nella tua anima beata e trapassavano crudelmente il tuo cuore sacratissimo, finché, venuto meno il cuore, esalasti felicemente lo spirito e, inclinato il capo, lo consegnasti in tutta umiltà nelle mani di Dio Padre, rimanendo poi, morto, tutto freddo nel corpo.
Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per aver redento le anime col tuo sangue prezioso e con la tua santissima morte, e per averle misericordiosamente ricondotte dall'esilio alla vita eterna. Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per aver lasciato che la lancia ti perforasse, per la nostra salvezza, il fianco e il cuore, e per il sangue prezioso e l`acqua che da quel fianco sono sgorgati per la nostra redenzione.
Gloria a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver voluto che il tuo corpo benedetto fosse deposto dalla croce ad opera dei tuoi amici, fosse consegnato nelle braccia della tua addolorata Madre e da lei avvolto in panni, e che fosse rinchiuso nel sepolcro e custodito dai soldati.
Onore eterno a te, Signor mio Gesù Cristo, per essere risuscitato dai morti il terzo giorno e per esserti incontrato vivo con chi ha prescelto; per essere salito, dopo quaranta giorni, al cielo, alla vista di molti, e per aver collocato lassù, tra gli onori, i tuoi amici che avevi liberati dagli inferi.
Giubilo e lode eterna a te, Signore Gesù Cristo, per aver mandato nel cuore dei discepoli lo Spirito Santo e per aver comunicato al loro spirito in immenso e divino amore.
Sii benedetto, lodato e glorificato nei secoli, mio Signore Gesù, che siedi sul trono nel tuo regno dei cieli, nella gloria della tua maestà, corporalmente vivo con tutte le tue santissime membra, che prendesti dalla carne della Vergine. E così verrai nel giorno del giudizio per giudicare le anime di tutti i vivi e di tutti i morti: tu che vivi e regni col Padre e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.



MESSALE

Antifona d'Ingresso
Rallegriamoci tutti nel Signore, celebrando questo giorno di festa in onore di santa Brigida; della sua gloria si allietino gli angeli e lodano insieme il Figlio di Dio.


Cf. Ps 15,5 Dóminus pars hereditátis meæ et cálicis mei: tu es qui restítues hereditátem meam mihi


Colletta
O Dio, che hai guidato santa Brigida nelle varie condizioni della sua vita e nella contemplazione della passione del tuo Figlio, le hai rivelato la sapienza della croce, concedi a noi, di cercare te in ogni cosa, seguendo fedelmente la tua chiamata. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


Deus, cuius múnere beátus N. Christum páuperem et húmilem perseverávit imitári, concéde nobis, ipso intercedénte, ut, in vocatióne nostra fidéliter ambulántes, ad eam perfectiónem, quam nobis in Fílio tuo proposuísti, perveníre valeámus. Per Dóminum..


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Gal 2, 19-20
Non vivo più io, ma Cristo vive in me.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio.
Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me.
E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me
.

Salmo Responsoriale Salmo 33
Benedirò il Signore in ogni tempo.


Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.

Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene
.


Canto al Vangelo Mt 15,9.5
Alleluia, alleluia.

Rimanete nel mio amore, dice il Signore,
chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.
Alleluia.







Vangelo Gv 15,1-8
Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto.

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli»
.

Sulle Offerte
Padre misericordioso, che in santa Brigida hai impresso l'immagine dell'uomo nuovo creato nella giustizia e nella santità, concedi a noi di rinnovarci nello spirito per essere degni di offrirti il sacrificio di lode. Per Cristo nostro Signore.

Clementíssime Deus, qui, vétere hómine consúmpto, novum secúndum te in beáto N. creáre dignátus es, concéde propítius, ut nos páriter renováti hanc placatiónis hóstiam tibi acceptábilem offerámus. Per Christum.

Antifona alla Comunione Mt 5,8-10
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati a causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.



Cf. Lm 3,24-25

Pars mea Dóminus:

bonus est ánimæ quærénti illum.


Dopo la Comunione
Dio onnipotente, che da questo sacramento ci comunichi la forza del tuo Spirito, fa' che sull'esempio di santa Brigida impariamo a cercare te sopra ogni cosa; per portare in noi l'impronta del Cristo crocifisso e risorto. Egli vive e regna ...

Per huius virtútem sacraménti, quæsumus, Dómine, beáti N. exémplo, deduc nos iúgiter in tua dilectióne, et opus bonum quod copísti in nobis pérfice usque in diem Christi Iesu. Qui vivit et regnat in sæcula sæculórum.





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29/08/2012 03:28

Mercoledì 29 agosto
Mc 6,17-29

Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista
.


Tutti noi dobbiamo avere timore dell’odio che degenera in vendetta, o si piega a sentimenti di avvilita disperazione. E tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa.

In nome di Cristo, e quasi spinti dall’interiore sua carità, fatevi tutti e ciascuno promotori della sua carità. Lasciatevi riempire, nel segreto della vostra interiorità personale, dal suo amore; e poi fate che questo amore trabocchi, si allarghi idealmente nel cerchio universale dell’umanità e praticamente nella rete dei vostri rapporti familiari e sociali. L’amore è la forza. L’amore è il metodo. L’amore è il segreto della riuscita. L’amore è la causa per cui valga la pena di agire e di combattere. L’amore deve essere il vincolo, che fa della gente ignara, informe, disordinata, sofferente e alle volte cattiva, un Popolo nuovo, un Popolo vivo, un Popolo attivo, un Popolo unito, un Popolo forte, un Popolo cosciente, prospero e felice. L’amore: diciamo l’amore di Cristo, la sua misteriosa, divina ed umana carità. Perciò l’amore di Dio, distinto e trascendente l’amore agli uomini; ma quello di questo luce e sorgente.

Paolo VI, Lettera alle Brigate Rosse; Pellegrinaggio Apostolico a Bogotà. Santa Messa per la Giornata dello Sviluppo.


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28/01/2013 07:06


28 GENNAIO
SAN TOMMASO D'AQUINO
Sacerdote e dottore della Chiesa
(1225?- 1274)
Memoria


LETTURE: 1 Cor 2, 1-10a; Sal 18; Mt 5, 13-19


Nato nel castello di Roccasecca, presso Montecassino, entrò a 18 anni fra i Domenicani; fu studente e poi maestro di teologia a Parigi; insegnò pure nello « studio » della corte papale ad Anagni, a Orvieto, Roma, Viterbo, Napoli. Discepolo di sant’Alberto Magno, nutrito della dottrina della sacra Scrittura e dei Padri, si servì della filosofia, specialmente di Aristotile e dei suoi commentatori arabi ma anche di Platone: accoglieva la verità da chiunque fosse espressa per illustrarne la fede ma respingeva l’errore da chiunque proposto. Ogni verità, egli riteneva, viene da Dio. Poté così operare una grande sintesi dottrinale (Summa contra Gentes, Summa Theologiae, ecc.) nella quale la Chiesa riconosce tuttora una delle più perfette espressioni del suo insegnamento.

Il Vaticano II ha attinto abbondantemente al suo pensiero. E’ onorato col titolo di « Dottore Angelico ».

Semplice, servizievole, silenzioso, raccolto, si faceva amare da tutti; più di ogni altro intese lo studio e la scienza come strumenti di santificazione. Amante del popolo, predicava di preferenza alla povera gente con semplicità e bonarietà anche più volte al giorno, come afferma il suo primo biografo.



Nessun esempio di virtù è assente dalla croce

Dalle «Conferenze» di san Tommaso d'Aquino, sacerdote
(Conf. 6 sopra il «Credo in Deum»)
Fu necessario che il Figlio di Dio soffrisse per noi? Molto, e possiamo parlare di una duplice necessità: come rimedio contro il peccato e come esempio nell'agire.
Fu anzitutto un rimedio, perché è nella passione di Cristo che troviamo rimedio contro tutti i mali in cui possiamo incorrere per i nostri peccati.
Ma non minore è l'utilità che ci viene dal suo esempio. La passione di Cristo infatti è sufficiente per orientare tutta la nostra vita.
Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce.
Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).
Questo ha fatto Cristo sulla croce. E quindi, se egli ha dato la sua vita per noi, non ci deve essere pesante sostenere qualsiasi male per lui.
Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano.
Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1 Pt 2, 23) e come un agnello fu condotto alla morte e non apri la sua bocca (cfr. At 8, 32). Grande è dunque la pazienza di Cristo sulla croce: «Corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia» (Eb 12, 2).
Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.
Se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte: «Come per la disobbedienza di uno solo, cioè di Adamo, tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5, 19).
Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene, segui colui che è il Re dei re e il Signore dei signori, «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2, 3). Egli è nudo sulla croce, schernito, sputacchiato, percosso, coronato di spine, abbeverato con aceto e fiele.
Non legare dunque il tuo cuore alle vesti ed alle ricchezze, perché «si sono divise tra loro le mie vesti» (Gv 19, 24); non gli onori, perché ho provato gli oltraggi e le battiture (cfr. Is 53, 4); non alle dignità, perché intrecciata una corona di spine, la misero sul mio capo (cfr. Mc 15, 17); non ai piaceri, perché «quando avevo sete, mi han dato da bere aceto» (Sal 68, 22).



_________Aurora Ageno___________
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