Stampa | Notifica email    
Autore

IL MESSAGGIO - Parole di luce - Il Vangelo commentato della Domenica

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2012 09:41
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
07/08/2009 08:17

Dio si fa pane per la vita del mondo

Il Vangelo

Dio si fa pane per la vita del mondo

XIX Domenica Tempo Ordinario-Anno B

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? (...)». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: -E tutti saranno istruiti da Dio-. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

La storia di Elia ci aiuta a interpretare il Vangelo di oggi. Dio stesso si fa pane e vicinanza, angelo e carezza perché noi, profeti troppe volte stanchi, non ci arrendiamo al deserto che ci assedia. Io sono il pane disceso dal cielo. Io sono il Pane della vita. La mia carne è per la vita del mondo. Tre affermazioni che riassumono il brano. Io sono pane: pane indica tutto ciò che ci mantiene in vita, Cristo fa vivere. Fa vivere con la Parola, con le persone, con il giorno che ci dona, con pane e acqua, un'intima luce e angeli che non ci aspettavamo, con se stesso. Pane disceso: il movimento decisivo della storia è discendente, è Lui che si incarna e vuole la comunione con me; è Lui che attraversa deserti e crea sorprese di pane e di carezze, è Lui che invita. È disceso dal cielo perché la terra non basta, perché a nessun figlio prodigo basteranno mai le ghiande contese ai porci. Ogni figlio ha nostalgia del pane di casa: la nostra casa è il cielo, il nostro pane è Dio. La mia carne è per la vita del mondo. Tre sole lettere «per» ed è il senso della storia di Gesù, dichiarazione d'amore da parte di Dio: per te, mondo, per tutte le tue vite, vale la pena vivere e morire; tu prima di me; la tua vita prima della mia. Neanche Dio vive per sé stesso; vive, regna e ama «per noi e per il mondo», seme di fuoco in ogni cosa, per sempre. La nervatura di tutto il brano è il verbo mangiare. Mentre le religioni orientali si concentrano sul respiro, il cristianesimo ha come gesto centrale il mangiare: entra in me Pane buono, che raggiunge e alimenta anche la cellula più lontana. Dio vicino a me, Dio in me, Dio sotto la mia pelle, che si insedia al centro della mia povertà come un re sul trono. Dio in ogni vena, Dio che mi abita: medicina, guarigione, protezione, salvezza dell'anima e del corpo. Questa è la vita eterna, promessa per circa cento volte nei vangeli. Certezza di una realtà senza prove. Tralcio e vite, una cosa sola. «Siate imitatori di Dio». Obiettivo impossibile, se l'Amato non diventa la vita di chi lo ama, se non dà forma Lui al nostro sentire, pensare, parlare, dare. Siate imitatori di Dio, fatevi voi stessi pane e angelo, acqua e vicinanza. Cercate Qualcuno che doni il coraggio di non vivere per se stessi, di diventare dono e pane, di diventare tutti, gli uni per gli altri, carezza e angelo, compagnia nel deserto, compagnia oltre il deserto, su fino al monte di Dio.

(Letture:1 Re 19,4-8; Salmo 33; Efesini 4,30-5,2; Giovanni 6,41-51).

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
14/08/2009 10:23

Dio, quel Pane che si fa lievito in noi


Dio, quel Pane che si fa lievito in noi

XX Domenica Tempo Ordinario-Anno B

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

In questo breve Vangelo di otto versetti, Gesù per otto volte ci parla di un Dio che si dona: «Prendete la mia carne e mangiate». Farsi pane è un bisogno incontenibile di Dio. Qui emerge il genio del cristianesimo: non più un Dio che domanda agli uomini offerte, doni, sacrifici, ma un Dio che offre, sacrifica, dona, perde se stesso dentro le sue creature, come lievito dentro il pane, come pane dentro il corpo. «Mangiate e bevete di me»: mangiare e bere Cristo significa diventare luce da luce, Dio da Dio, della stessa sua sostanza. Per farlo occorre cogliere il segreto vitale di Gesù, assimilarne il nocciolo vivo e appassionato. Gesù ha scelto il pane come simbolo dell'intera sua vita. Perché per arrivare ad essere pane c'è un lungo percorso da compiere, un lavoro tenace in cui si tolgono cortecce e gusci perché appaia il buono nascosto di ogni cuore: spiga dentro la paglia, chicco dentro la spiga, farina dentro il chicco. Il percorso del pane è quello di coloro che amano senza contare le fatiche. Semini il grano nella terra oscura, marcisce, dice il Vangelo, e nascono le foglioline. È bello a gennaio vedere le foglioline tremare mentre si alzano sopra la neve. Ma se ti fermi lì, hai vinto il nero della terra e il bianco della neve, ma non diventi pane. Per diventarlo devi andare su, salire, e a giugno la spiga gonfia si piega verso la terra, quasi a voler ritornare lì, a dire: «ho finito». Invece viene la mietitura, e se lo stelo dice «basta, ho già patito la violenza della falce!» non diventa pane. Poi viene la battitura, la macina, il fuoco, tutti passaggi duri per il chicco. A cosa serve alla fine tutto questo? Serve a saggiarci il cuore. Dio ci mette alla prova perché sa che dentro di noi c'è del buono, vuole soffiare via la pula perché appaia il chicco, togliere la crusca perché appaia la farina. Al buono di ciascuno Dio vuole arrivare. Cristo si fa pane perché ognuno di noi prima di morire deve diventare pane per qualcuno, un pezzo di pane che sappia di buono per le persone che ama. E goccia di sangue, che è il simbolo di tutto quanto abbiamo di buono e di caldo e di vivo, che mettiamo a disposizione di chi amiamo e, ancor più, di chi ha bisogno di essere amato. Dio è pane incamminato verso la mia fame. Sapermi cercato, nonostante tutte le mie distrazioni, nonostante questa mia vita superficiale e le risposte che non do, sapere che io sono il desiderio di Dio è tutta la mia forza, tutta la mia pace.

(Letture: Proverbi 9, 1-6; Salmo 33/34; Efesini 5, 15-20; Giovanni 6, 51-58)

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
21/08/2009 09:12

Le parole di Gesù? Fanno viva la vita

Il Vangelo

Le parole di Gesù? Fanno viva la vita

XXI Domenica Tempo Ordinario-Anno B

In quel tempo, molti tra i discepoli di Gesù, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». (...) E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio». Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

«Forse volete andarvene anche voi?». Affiora tristezza nelle parole di Gesù, la consapevolezza di una crisi tra i suoi. Ma anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libertà di ciascuno: siete liberi, andate o restate, ma scegliete! Gesù non dice quello che devi fare, quello che devi essere, ma ti pone le domande che guariscono dentro: che cosa accade nel tuo cuore? cosa vive in te? Che cosa vuoi per davvero? Pietro a nome nostro risponde: «Tu solo hai parole di vita eterna». Tu solo. Ed esclude un mondo intero di illusioni, di seduzioni. Nessun altro c'è al centro della speranza, a fondamento del cuore. Tu sei stato l'affare migliore della mia vita. Hai parole: non solo le pronunci, ma le hai, sono tue, sei tu la loro sorgente. Ed è una cosa povera e splendida la parola: solo una vibrazione nel vento, un soffio leggero, ma che sa spalancare la pietra del sepolcro, che apre strade e nuvole e incontri, porta carezze e incendi, che dall'inizio crea. «Tu solo hai parole di vita». Parole che fanno viva finalmente la vita. Intuisco che qui è la perla, il tesoro: Cristo è un incremento di umano in noi, intensificazione di vita. L'uomo non vive di solo pane, ma di ciò che viene dalla bocca di Dio. Vengono Parole che danno vita al cuore, che allargano, dilatano, purificano il cuore, ne sciolgono la durezza. Che danno vita alla mente, perché la mente vive di verità altrimenti si ammala, vive di libertà altrimenti appassisce, sincere e libere come nessuno. Parole che danno vita allo spirito, a questa anima assetata. Dio è spirito ed è Lui che viene quando viene la sua Parola. Parole che danno vita anche al corpo perché in Lui siamo, viviamo e respiriamo: togli il tuo respiro e siamo subito polvere. La Parola che crea universi, che disegna mondi, che semina futuri, la Parola di Dio opera in voi che credete. Orienta, illumina, traccia strade, chiama, seduce, semina, abbatte le chiusure. E sono parole di vita eterna: Cristo dona eternità a tutto ciò che di più bello l'uomo porta nel cuore. Da chi mai potremmo andare? Pietro poteva tornare alla sua barca. Betsaida è lì accanto, ma quello era appena sopravvivere, non era vivere davvero e per sempre, non c'è barca che valga o trasporti l'eternità del cuore. «Tu solo hai parole che fanno viva la vita!» Dichiarazione di amore geloso ed esclusivo come un seme di fuoco, geloso ed esultante come un seme di eternità.


(Letture: Giosuè 24, 1-2a. 15-17. 18b; Salmo 33; Efesini 5, 21-32; Giovanni 6, 60-69)


don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
28/08/2009 09:34

Quella strada dalle cose al cuore

Il Vangelo

Quella strada dalle cose al cuore

XXII Domenica Tempo Ordinario Anno B

In quel tempo [...] farisei e scribi interrogarono Gesù: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». [...] Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». E diceva ai suoi discepoli: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo».

Gesù duro con gli ipocriti. Veniva da villaggi e campagne dove il suo andare era come un bagno dentro il dolore. Dovunque arrivava gli portavano i malati sulle piazze, sulle porte, dai tetti... E mendicanti ciechi lo chiamavano, donne sofferenti cercavano di toccargli almeno l'orlo del mantello, almeno che la sua ombra passasse come una carezza sulla loro umanità dolente. E ora che cosa trova? Gente che discute di mani lavate o no, di stoviglie, di lavature di bicchieri! C'era davvero di che diventare ruvidi o di che sentirsi scoraggiati. Gesù, però, non si perde d'animo, mai, neppure davanti ai più superficiali, neppure davanti a me, e indica la strada: dall'esteriorità all'interiorità, dalle cose al cuore. La vera religione inizia con il ritorno al cuore. Più di novecento volte nella Bibbia compare il termine cuore: non il semplice simbolo dei sentimenti o dell'affettività, ma il luogo dove nascono le azioni e i sogni, dove si sceglie la vita o la morte, dove si distingue tra vero e falso, dove Dio seduce ancora e brucia il suo fuoco come a Emmaus: «Non ci bruciava forse il cuore mentre per strada...?». Ma nel cuore dell'uomo c'è tutto: radici di veleno e frutti di luce; campi seminati di buon grano ed erbe malate. Dal cuore dell'uomo escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, malvagità e scorre un elenco impressionante di dodici cose cattive, dodici cose che rendono impura la vita. Gesù, il maestro del cuore dice: non dare loro libertà, non legittimarle, non permettere loro di abitare la terra, non farle uscire da te, esse mandano segnali di morte. Decisivo è evangelizzare il cuore, le nostre zolle di durezza, le intolleranze, le linee oscure, le maschere vuote. Io evangelizzo il mio intimo quando a un sentimento dico: tu sei secondo Cristo, e ti accolgo, anzi ti benedico; a un altro invece dico: tu non sei secondo Cristo e non ti accolgo, non ti do la mia casa, non ti lascio sedere sul trono del mio cuore. Evangelizzare significa portare un messaggio felice. E il messaggio felice è anche questo: la grande libertà. Via le sovrastrutture, i paludamenti, via gli apparati, le disquisizioni sottili e vuote, le tradizioni, le costruzioni fastose, vai al cuore. E libero e nuovo ritorna il Vangelo, liberante e nuovo, sempre. Scorri il Vangelo e senti l'ombra di una perenne freschezza, perché sei tornato al cuore felice della vita.

(Letture: Deuteronomio 4,1-2.6-8 Salmo 14; Giacomo 1,17-18.21b-22.27; Marco 7,1-8.14-15.21-23)

don Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
04/09/2009 10:48

Dall'ascolto di Dio la luce della verità


Il Vangelo

Dall'ascolto di Dio la luce della verità

XXIII Domenica Tempo Ordinario Anno B

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Il racconto della guarigione del sordomuto non è il semplice resoconto di un miracolo, bensì un segno che contiene quello che il Signore Gesù vorrebbe operare in ogni suo discepolo, che ha un nodo in cuore, un nodo in gola; quello che vorrebbe realizzare con questa mia umanità infantile e immatura che non sa ascoltare e non sa dialogare. Che io sia uomo di ascolto, innanzitutto: «sordo» infatti ha la stessa radice di «assurdo». Entra nell'assurdo chi non sa ascoltare Dio e gli altri, e lascia andare a vuoto tutte le parole. Esce dall'assurdo chi impara ad ascoltare. «E gli condussero un sordomuto». Un uomo prigioniero del silenzio, una vita chiusa, accartocciata su se stessa come la sua lingua, un non-uomo. Gesù lo porta in disparte, per un dialogo fatto esclusivamente di sguardi: Io e te soli, dice Gesù all'uomo che non è ancora uomo. E sei così importante che ora le mie dita ti lavorano di nuovo, come un Creatore che plasmi da capo l'argilla di Adamo. Gesù inizia a comunicare così, senza parole, con il solo calore delle mani, con una carezza sugli orecchi, sulla bocca. Con quel volto fra le sue mani guarda in alto e sospira. E l'uomo comincia a guarire. Il mio volto fra le sue mani! E poi quel sospiro. Geme il Signore il suo dolore per il dolore del mondo, geme per tante vite che non ce la fanno a sfuggire all'ombra dell'assurdo, geme e fanno piaga in lui tutti i silenzi ostili della terra, tutte le relazioni spezzate... E infine ecco la parola che salva: «Effatà», «Apriti», arrivata così fino a noi, nella lingua di Gesù, viva ancora nel rito del Battesimo. Apriti, come si apre una porta all'ospite, una finestra al sole. Apriti come si apre uno scrigno prezioso o una prigione del cuore. Apriti come quando cede un argine o una diga o si spalanca la pietra del sepolcro e la vita dilaga. Non vivere chiuso, apriti alla Parola, al gemito e al giubilo del creato. «E comandò loro di non dirlo a nessuno». Gesù aiuta senza condizioni. Per lui è più importante la gioia del sordomuto, che non la sua gratitudine; la sua felicità conta di più, e di lui infatti non sapremo più nulla, scomparso nel gorgo della vita ritrovata. Il Vangelo di Marco riferirà ancora solo due altri miracoli, la guarigione di due ciechi. Per dire: prima è l'ascolto poi viene la luce. Solo se hai accolto in te la parola di Dio vedrai bene, capirai la verità di ciò che vedi, il senso di ciò che accade.

(Letture: Isaia 35,4-7a; Salmo 145; Giacomo 2,1-5; Marco 7,31-37)

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
11/09/2009 09:33

Quella domanda: chi sono per te?

Il Vangelo

Quella domanda: chi sono per te?

XXIV Domenica Tempo Ordinario Anno B

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». (...) Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». (...)E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». (...)

La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo? Dicono che sei un profeta: una creatura di fuoco e roccia, di fuoco e luce, come Elia, come il Battista; dicono che sei voce di Dio e suo respiro. Gesù non si sofferma oltre su ciò che dice la gente. Lui sa che la verità non risiede nei sondaggi d'opinione. E pone la grande domanda, quella che fa vivere la fede: E voi, chi dite che io sia? Una domanda da custodire e amare, perché il Signore ci educa alla fede attraverso domande: tu, con il tuo cuore, la tua storia, il tuo peccato e la tua gioia, tu, cosa dici di Gesù? Ora non servono più libri o formule di catechismo; ognuno uscito dalle mani di Dio, ognuno caduto e risorto, affamato e incamminato deve dare la sua risposta. La Bibbia è piena di nomi di Dio - pastore, sorgente, fuoco, rugiada, vino, amante, braccio forte, carezza -: a Dio si addicono tutti i nomi. Un salmo lo chiama «roccia e nido» (84,4); un altro «sole e scudo» (5, 13), ma è ancora «ciò che la gente dice», anche se con parole sante. C'è un ultimo nome, il nome che gli dà il mio patire e il mio gioire, che contiene il mio sapore di Dio, che viene dall'averlo molto cercato, qualche volta sentito, in qualche modo sfiorato con le dita dell'anima: tu sei il Cristo. Non una persona di ieri, come Elia o il Battista, non un ricordo, niente sei tra le cose passate. Ma Cristo cos'è «per me»? Per me vivere è Cristo, ha detto Paolo; per me, adesso, Cristo significa vivere. Già solo nominarlo equivale a confortare e intensificare la vita, più Cristo equivale a più io. E cominciò a insegnare loro che il figlio dell'uomo doveva molto soffrire. Pietro si ribella, come mi ribello anch'io. Un Dio di molto patire non è ciò che mi attendevo. Posso seguire le indicazioni spirituali di Gesù, le sue regole morali mi convincono, mi seduce un Gesù guaritore e camminatore, accogliente e amicale, libero come nessuno, posso avere gli stessi suoi sentimenti. Ma la croce! La croce è l'impensabile di Dio, il mezzo più scandalosamente povero, ma è anche l'abisso dove Dio diviene l'amante, amore fino alla fine, senza inganno alcuno, Dio affidabile. Solo allora i discepoli capiranno chi è Gesù: disarmato amore, crocifisso amore, e per questo vincente. Se qualcuno vuol venire dietro di me, prenda su di sé una vita che sia simile alla mia, che sia croce e dono, non per patire di più, ma per far fiorire di più la zolla di terra del cuore, e poi essere nella vita datore di vita. Come Lui.

(Letture: Isaia 50,5-9a; Salmo 114; Giacomo 2,14-18; Marco 8,27-35).

don Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
18/09/2009 08:51

La Chiesa non può che accogliere

Il Vangelo

La Chiesa non può che accogliere

XXV Domenica Tempo Ordinario - Anno B


In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo (...) Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?» Ed essi tacevano (...). Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Il Vangelo riferisce uno dei momenti di crisi tra Gesù e i discepoli. Per paura non lo interrogano, per vergogna non gli rispondono, si isolano da lui: meglio il buio che la luce. Nei Dodici si esprime la mentalità che si dirama ovunque in tutte le vene del mondo: competere, primeggiare, imporsi, «chi è il più grande?». A questa voglia di potere, che è principio di distruzione della convivenza umana, Gesù contrappone il suo mondo nuovo: «Se uno vuol essere il primo sia il servitore di tutti». Servo non per rinuncia, ma per prodigio di coraggio. Servire: verbo dolce e pauroso insieme, perché il nostro piacere è prendere, accumulare, comandare, non certo essere servi. Invece servizio è il nome nuovo della storia, il nome segreto della civiltà. Ma questo non basta, c'è un secondo passaggio: «Servitore di tutti» dice Gesù, senza limiti di gruppo, di famiglia, di etnìa, di chi lo meriti o non lo meriti, senza porre condizioni. Ma non basta ancora, c'è un terzo gradino: «prese un bambino e lo mise in mezzo» il più inerme e disarmato, il più indifeso e senza diritti, il più debole tra gli ultimi! Se non sarete così...Parole mai dette prima, mai pensate prima, scandalo per i giudei, follia per i greci, ma parole finalmente liberate come uccelli, come angeli, a raggiungere i confini del cuore. Diventate come bambini che vivono solo perché sono amati. Gesù abbraccia il più piccolo perché nessuno sia perduto, non una briciola di pane, non un agnello del gregge, non due spiccioli di un tesoro. «Neppure un capello del vostro capo andrà perduto, neppure un passero cade a terra» e come potrebbe andare perduto un bambino? Da lì parte il Signore Gesù, dall'infinitamente piccolo inizia la sua cura perché nessuno si senta escluso. Dio e l'uomo hanno oggi nomi inusuali: servitore, bambino, ultimo! Il servitore di tutti, il bambino per cui il solo fatto di esistere è estasi, l'ultimo. Sono quelle parole abissali: o ti conquistano o le cancelli per paura che siano loro ad abbattere il tuo sistema di vita. Il mondo nuovo, il mondo «altro»nasce da un verbo ripetuto quattro volte nell'ultima riga del Vangelo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini, accoglie me; chi accoglie me non accoglie me ma Colui che mi ha mandato». «La vulnerabilità della vita nella sua fragilità è il luogo da cui prende le mosse l'etica condivisa» (Ricoeur). La Chiesa o è accogliente o non è. Accogliere un bambino è accogliere Dio. Il volto di Dio inizia dal volto dell'altro (Levinass).

(Letture: Sapienza 2,12.17-20; Salmo 53; Giacomo 3,16-4,3; Marco 9,30-37)


don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
25/09/2009 09:11

Se la profezia è mettersi in ascolto

Il Vangelo

XXVI Domenica del Tempo ordinario Anno B

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. (...) Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. (...) E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

«Maestro, quell'uomo non è dei nostri... Non importa se è bravo, fa miracoli e dalle sue mani germoglia vita. Ci oscura, ci toglie pubblico, viene da un'altra storia, dobbiamo difendere la nostra». L'istituzione prima di tutto, l'appartenenza prima del miracolo, l'ideologia prima della verità. La risposta di Gesù, l'uomo senza barriere, è di quelle che possono segnare una svolta della storia: gli uomini sono tutti dei nostri, come noi siamo di tutti. Prima di tutto l'uomo. «Quando un uomo muore, non domandarti per chi suona la campana: essa suona sempre un poco anche per te» (John Donne). Tutti sono dei nostri. Tutti siamo "uno" in Cristo Gesù. Anzi, si può essere di Cristo anche senza appartenere alla sua istituzione, perché la Chiesa è strumento del Regno, ma non coincide con il Regno di Dio, che ha altri confini. Compito dei discepoli non è classificare l'altro, ma ascoltarlo. Profeta è chi ascolta il soffio della primavera dello Spirito, che non sai da dove viene, che non conosce la polvere degli scaffali, la polvere delle frasi già fatte, delle musiche già imparate. Ascoltare la sinfonia del gemito di un bambino: anche questa è profezia. Imparare a sentire e a lasciarsi ferire dal grido dei mietitori defraudati (Gc 5,4): anche questa è profezia. Ascoltare il mondo e ridargli parola, perché tutto ciò che riguarda l'avventura umana riguarda me: «sono un uomo e nulla di ciò che è umano mi è estraneo» (Terenzio). Ma l'annuncio di Gesù è ancora più coraggioso: ti porta dal semplice non sentirti estraneo al gettarti dentro: dentro il grido dei mietitori, dentro lo Spirito dei profeti. Ti porta a vivere molte vite, storie d'altri come fossero le tue. Ti darò cento fratelli, dice, cento cuori su cui riposare, cento labbra da dissetare, cento bocche che non sanno gridare, di cui sarai voce. Il Vangelo termina con parole dure: «Se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio ti scandalizzano, tagliali, gettali via». Vangelo delle cicatrici, ma luminose, perché le parole di Gesù non sono l'invito a un'inutile automutilazione, sono invece un linguaggio figurato, incisivo, per trasmettere la serietà con cui si deve pensare alle cose essenziali. Anche perdere ciò che ti è prezioso, come la mano e l'occhio, non è paragonabile al danno che deriva dall'aver sbagliato la vita. Ci invita il Signore a temere di più una vita fallita che non le ferite dolorose della vita.


(Letture: Numeri 11,25-29; Salmo 18; Giacomo 5,1-6; Marco 9,38-43.45.47-48)

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
02/10/2009 09:36

Non ripudiamo il sogno di Dio

Il Vangelo

Non ripudiamo il sogno di Dio

XXVII Domenica del Tempo Ordinario Anno B

In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall'inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». (...)

Una domanda trabocchetto: è lecito o no a un marito ripudiare la moglie? I farisei conoscono bene la legge di Mosè; sanno però che esiste un conflitto tra norma e vita, e molto dolore tra le donne ripudiate, e mettono alla prova Gesù in questa strettoia tra la regola e la vita, tra il sabato e l'uomo: starà con la legge o con la persona? Gesù risponde rilanciando in alto, ci porta subito oltre lecito e illecito, oltre le strettoie di una vita immaginata come esecuzione di ordini, come obbedienza a norme. Ci porta a respirare un sogno, l'aria degli inizi: in principio, prima della durezza del cuore, non fu così; a respirare con il respiro di Dio, che non può essere ridotto a norma, e che riparte da parole folgoranti: non è bene che l'uomo sia solo! Nel regno della bellezza e della gratuità, nel cuore dell'Eden, Dio scopre un non-bene, una mancanza che precede la colpa originale, un male più antico del peccato: la solitudine, il primo nemico della vita. «Neanche Dio può stare solo» (Turoldo). Dio è contro la solitudine, è in se stesso relazione, estasi, esodo, comunione. In principio, il legame. Costitutivo della vita stessa di Dio, Trinità. A Lui interessa che nessuno sia soffocato dalle spire della solitudine: «gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». «Aiuto» è parola bellissima che riempie i salmi, che deborda dalle profezie, gridata nel pericolo, invocata nel pianto, molto più di un supplemento di forza o di speranza, indica una salvezza possibile e vicina. Eva e Adamo sono l'uno per l'altro «aiuto simile», salvezza che cammina a fianco, una carne sola. In principio, prima della durezza del cuore, era così. L'uomo non divida quello che Dio ha congiunto. Non contaminare il sogno di Dio, ecco l'imperativo. Ma questo non avviene a causa di una sanzione giuridica che ratifica la fine di un patto nuziale, ma accade a monte, per cento eventi, per quei comportamenti che producono l'indurimento del cuore e non sanno mantenere vivo l'amore: l'infedeltà, la mancanza di rispetto, l'offesa alla dignità, l'essere l'uno per l'altro non causa di vita ma di morte quotidiana... Un matrimonio che non si divide non è una norma difficile da osservare, è «vangelo», lieta notizia che l'amore è possibile, che può durare oltre, che il cuore tenero è capace di un sogno che non svanisce all'alba, e che è secondo il cuore di Dio, Lui il «molto-tenero»...

(Letture: Genesi 2,18-24; Salmo 127; Ebrei 2,9-11; Marco 10,2-16)

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
09/10/2009 08:31

Il giovane ricco dice no al «tesoro in cielo» Triste la vita dell'«osservante» senza amore

Il Vangelo

Il giovane ricco dice no al «tesoro in cielo» Triste la vita dell'«osservante» senza amore


XXVIII Domenica del Tempo Ordinario Anno B

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre"». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». (...)

Una grande domanda, quella dell'uomo ricco e senza nome: Maestro buono, cosa devo fare per trovare la vita? La risposta di Gesù appare solenne, eppure quasi deludente: elenca cinque comandamenti che riguardano il prossimo, e ne aggiunge un sesto, non frodare. Ma l'uomo ricco non è soddisfatto: «tutto questo l'ho sempre osservato. Dovrei essere in pace e invece mi manca qualcosa». Cosa c'è di meglio del dovere compiuto, tutto e sempre? Eppure all'uomo non basta. Inquietudine divina, tarlo luminoso che rode le false paci dell'anima e fa nascere i cercatori di tesori. Gesù lo fissa, dice Marco, come se prima non l'avesse neppure visto, e vede apparire, farsi largo, avanzare un cercatore di vita. E lo ama. Poi parla: vendi tutto, dona ai poveri, segui me. L'uomo si spaventa e si rattrista per quelle tre parole. Marco usa un verbo come per il cielo che diventa cupo: il suo volto si oscura. Era arrivato correndo, se ne va camminando. L'uomo che fioriva di domande se ne va muto. Il ribelle si è arreso, il cercatore si è spaventato: la vetta è troppo lontana, ci vuole troppo coraggio. E non capisce che la felicità dipende non dal possesso ma dal dono, che il cuore pieno dipende non dai beni (Luca 12,15) ma dai volti, che la sicurezza non è nel denaro, ma nelle mani del Pastore grande. E per tutta la vita resterà così, onesto e triste, osservante e cupo. Quanti cristiani sono come lui, onesti e infelici. Osservano tutti i comandamenti, tutti i giorni, come lui, e non hanno la gioia: lo fanno per ottenere qualcosa, per avere e non per essere, lo fanno come dentro un universo carcerario dove quasi tutto è proibito e il resto è obbligatorio. Tutto sanzionato da premio o castigo. E il cuore è assente, una morale senza amori. Gesù propone all'uomo ricco la comunione, cento fratelli, ma egli preferisce la solitudine; propone un tesoro di persone, egli ne preferisce uno di cose. Propone se stesso: «segui me, la mia vita è sorgente di vita buona, bella e beata». Ma l'uomo segue il denaro. Tutto finito? No, a conclusione ecco un sussulto di speranza in una delle parole più belle di Gesù: tutto è possibile presso Dio. La passione di Dio è moltiplicare per cento quel poco che hai, quel nulla che sei e riempirti la vita di affetti e di luce: «ti darò un tesoro di volti, non possederai nulla eppure godrai del mondo intero, sarai povero e signore, come me». Seguirti, Signore, è stato il migliore affare della mia vita.

(Letture: Sapienza 7,7-11; Salmo 89; Ebrei 4,12-13; Marco 10,17-30).

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
16/10/2009 08:20

Un Dio venuto per servire l'uomo

Il Vangelo

Un Dio venuto per servire l'uomo

XXIX Domenica Tempo Ordinario Anno B

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Vangelo dei paradossi perenni, della più sorprendente autodefinizione di Gesù: «venuto per servire». Tutto nasce dal fatto che Giovanni il teologo, l'aquila, il mistico, il discepolo amato, chiede di essere al primo posto: la ricerca del primo posto è una passione così forte che penetra e avvolge il cuore di tutti. Pericolosamente: «Non sapete quello che chiedete!». Non avete capito ancora a cosa andate incontro, quali argine rompete con questa domanda, che cosa scatenate con questa fame di potere. Per il Vangelo, invece, essere alla destra e alla sinistra di Cristo, vuol dire occupare due posti sul Golgota, quell'ultimo venerdì; vuol dire essere con Gesù lungo tutta la sua vita, quando è voce di Dio e bocca dei poveri, e fa dei piccoli i principi del suo Regno, quando è disarmato amore. Stare a destra e a sinistra di questa vita vuol dire bere alla coppa di chi ama per primo, ama in perdita, ama senza contare e calcolare. Con Gesù, tutto ciò che sappiamo dell'amore / è che l'amore è tutto (E.Dickinson). «Sono venuto per essere servo». La più spiazzante di tutte le definizioni di Dio. Parole da vertigine: Dio mio servitore! Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, è inginocchiato Lui ai piedi delle sue creature. I grandi della storia erigono troni al proprio ego smisurato, Dio non ha troni, cinge un asciugamano e vorrebbe fasciare le ferite della terra con bende di luce. Non cercarlo al di sopra dei cieli è disceso e si dirama nelle vene del mondo, non sopra di te ma in basso, il più vicino possibile alla tua piccolezza. Perché essere sopra l'altro è la massima distanza dall'altro. L'Onnipotente può solo ciò che l'amore può: servire ogni respiro, invece di mietere le nostre povere messi seminare ancora ad ogni stagione. Capovolgimento, punto di rottura dei vecchi pensieri su Dio e sull'uomo. Appare un tutt'altro modo di essere da cui germina la parola di Gesù: «Tra voi non sia così!». Tra voi cose di cielo! Tra voi un altro mondo! Tra voi una storia altra, un altro cuore! E farai così, perché così fa Dio. Ma io tremo se penso alla brocca e all'asciugamano. È così duro servire ogni giorno, custodire germogli, vegliare sui primi passi della luce, benedire ciò che nasce. Il cuore è subito stanco. Non resta che lasciarsi abitare da lui, irradiare di vangelo. Se Dio è nostro servitore, servizio è il nome nuovo della storia, il nome segreto della civiltà.

(Letture: Isaia 53,2a.3a.10-11; Salmo 32; Ebrei 4.14-16; Marco 10,35-45)

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
23/10/2009 07:08

Ogni uomo è un mendicante di luce

Il Vangelo della prossima Domenica

XXX Domenica Tempo Ordinario - Anno B

Ogni uomo è un mendicante di luce


In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco (...). Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

La guarigione di Bartimeo è l'ultimo miracolo del Vangelo di Marco. Ultimo e necessario è questo bellissimo racconto, così scarno e vivo, pieno di movimento, di grida, di strade e di luce. Un mendicante cieco, icona di ogni uomo, mendicante di luce e di strade, di orizzonti e di compassione. Cosa c'è di più perduto, di più inutile, di più naufrago dell'esistenza di un mendicante cieco e solo? Eppure questo naufrago non è perduto. Alza la voce sul rumore della folla che lo ignora, che lo oltrepassa e va; solo e al buio grida la sua disperata speranza. Un grido che è fisico ma si direbbe viscerale, che sembra salire da ciò che ogni essere ha di più di profondo e di più carnale. Il grido è più che la parola, c'è dentro corpo, energia, dolore, bisogno. È il grido del bambino che nasce, del morente in croce che urla al cielo e alla terra il buio che ha nel cuore. Finché c'è un grido, la speranza ha la sua casa. Ed ecco dalla folla tre parole: coraggio, alzati, ti chiama: è il nostro triplice ministero. Coraggio! Incoraggiare innanzitutto, dare cuore e speranza, condividere la paura, e inoculare coraggio, frutto della fiducia in Dio, in tutti quelli che gridano dolore. Alzati! Rimettere in piedi, aiutare a ripartire, e mai gettare a terra nessuno, mai demolire nessuno. E io non so come farlo, non lo so davvero. Ma questo racconto mi aiuta: nominare Cristo, annunciare la compassione di Dio equivale a confortare la vita, a rimetterla in piedi. Ed ecco il terzo ministero: ti chiama, ha ascoltato il tuo grido e ora pronuncia il tuo nome. È Lui che può dare luce, dare occhi profondi che vedono, che vedono il cuore di Dio e il senso della vita. Con una sola espressione Marco ci offre una delle sintesi più belle di cosa sia l'azione pastorale, non compito di esperti ma missione di ogni discepolo: coraggio, alzati, ti chiama. Ed ecco che si libera tutta una energia compressa, l'energia della vita, tutto sembra improvvisamente eccessivo, esagerato. Bartimeo non parla, grida; non si toglie il mantello: lo getta; non si alza in piedi, balza. La fede è moltiplicazione di vita, un eccesso illogico e bello, vita in pienezza. Anche noi, mendicanti di luce, almeno una volta, dietro ad una parola del Vangelo, abbiamo lasciato i nostri angoli bui, la vita seduta, le vecchie strade e forse, quando ci siamo buttati nel volo, si sono aperte strade nel sole, ali che non sapevamo di avere.

(Letture: Geremia 31,7-9; Salmo 125; Ebrei 5,1-6; Marco 10,46-52).

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
30/10/2009 09:33

Nelle Beatitudini la regola della santità

Il Vangelo della prossima Domenica

Nelle Beatitudini la regola della santità

Solennità di Tutti i Santi

In quel tempo (...) Gesù insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Non ci stanchiamo mai di ascoltare le nove beatitudini, anche se le sappiamo bene, anche se certi di non capirle. Esse riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di non violenza, di sincerità, di solidarietà. Disegnano un modo tutto diverso di essere uomini, amici del genere umano e al tempo stesso amici di Dio, che amano il cielo e che custodiscono la terra, sedotti dall'eterno eppure innamorati di questo tempo difficile e confuso: sono i santi. La storia si aggrappa ai santi per non ritornare indietro, si aggrappa alle beatitudini. Beati i miti perché erediteranno la terra, soltanto chi ha il cuore in pace garantisce il futuro della terra, e perfino la possibilità stessa di un futuro. Nell'immenso pellegrinaggio verso la vita, i giusti, coloro che più hanno sofferto conducono gli altri, li trascinano in avanti e in alto. Lo vediamo dovunque, nelle nostre famiglie come nella storia profonda del mondo: chi ha il cuore più limpido indica la strada, chi ha molto pianto vede più lontano, chi è più misericordioso aiuta tutti a ricominciare. Dio interviene nella storia, annuncia e porta pace. Ma come interviene? Lo fa attraverso i suoi amici pacificati che diventano pacificatori, attraverso gli uomini delle beatitudini. Il Vangelo ci presenta nelle beatitudini la regola della santità; esse non evocano cose straordinarie, ma vicende di tutti i giorni, una trama di situazioni comuni, fatiche, speranze, lacrime: nostro pane quotidiano. Nel suo elenco ci siamo tutti: i poveri, i piangenti, gli incompresi, quelli dagli occhi puri, che non contano niente agli occhi impuri e avidi del mondo, ma che sono capaci di posare una carezza sul fondo dell'anima, sono capaci di regalarti un'emozione profonda e vera. E c'è perfino la santità delle lacrime, di coloro che molto hanno pianto, che sono il tesoro di Dio. Le beatitudini compongono nove tratti del volto di Cristo e del volto dell'uomo: fra quelle nove parole ce n'è una proclamata e scritta per me, che devo individuare e realizzare, che ha in sé la forza di farmi più uomo, che contiene la mia missione nel mondo e la mia felicità. Su di essa sono chiamato a fare il mio percorso, a partire da me ma non per me, per un mondo che ha bisogno di esempi raccontabili, di storie del bene che contrastino le storie del male, di cuori puri e liberi che si occupino della felicità di qualcuno. E Dio si occuperà della loro: «Beati voi!».

(Letture: Apocalisse 7,2-4.9-14; Salmo 23; 1 Giovanni 3,1-3; Matteo 5,1-12a)


don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
06/11/2009 07:20

È nel cuore la vera «bilancia di Dio»

Il Vangelo della prossima Domenica:

È nel cuore la vera «bilancia di Dio»

XXXII Domenica del Tempo Ordinario Anno B


In quel tempo, Gesù nel tempio diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

C'è un luogo nel tempio dove tutti passano, Gesù siede lì, davanti ai tredici piccoli forzieri delle offerte, di fronte al sacerdote che controllava la validità delle monete e dichiarava a voce alta, per la folla, l'importo dell'offerta. In quel luogo, dove il denaro è proclamato, benedetto, invidiato, esibito, Gesù osserva invece le persone, e nota tra la folla una vedova, povera e sola: non ha più nessuno, non è più di nessuno, e perciò è di Dio. «L'uomo guarda le apparenze, Dio guarda il cuore» (1 Sam 16,7), ed ecco che il denaro si dissolve, è pura apparenza, il tesoro è la persona. Nel Vangelo di norma i poveri chiedono e supplicano, ora un povero non chiede nulla per sé, ma è capace di dare tutto. Allora Gesù chiama i discepoli, è l'ultima volta in Marco, e indica un maestro della fede in una donna povera e sola, capace di dare anche l'ultimo sorso, gli ultimi spiccioli di vita. Mentre l'evidenza del mondo dice: «più denaro è bene, meno denaro è male», Gesù capovolge questa logica: «più cuore è bene, meno cuore è male». Il bene è detto dal cuore. Le bilance di Dio non sono quantitative. Tutti danno del loro superfluo, e i loro beni restano intatti; lei invece dà ciò che ha per vivere, e le rimane solo Dio. D'ora in poi, se vivrà, lo farà perché quotidianamente dipendente dal cielo. Ma chi ha il coraggio di dare tutto, non si meraviglierà di ricevere tutto. Beati i poveri che non hanno cose da dare, e perciò hanno se stessi da dare. Come un povero, puoi donare ciò che hai per vivere, ma ancor più ciò che ti fa vivere: le spinte, le sorgenti, le passioni vitali. Non c'è vita insignificante o troppo piccola, nessuno è così povero o debole, nessuno così vuoto o cattivo da non poter donare la ricchezza delle esperienze, le intuizioni, le forze del cuore, le energie della mente, il segreto della bellezza che ha visto e goduto, i motivi della sua gioia, i perché della sua fede. E ricominciamo, con il magistero di una donna, a misurare il mondo non con il criterio della quantità, ma con quello del cuore. Non c'è nessun capitalismo nella carità, agli occhi di Colui che guarda il cuore la quantità non è che apparenza. Ciò che conta non è il denaro, ma quanto amore vi è stato messo, quanta vita contiene. Talvolta tutto il Vangelo è racchiuso in un bicchiere d'acqua fresca, dato solo per amore; tutta la fede è in due spiccioli, dati con tutto il cuore.

(Letture: 1 Re 17,10-16; Salmo 145; Ebrei 9,24-28; Marco 12,38-44)

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
13/11/2009 02:14


Il Vangelo della prossima domenica

Quella «breccia di luce» sul futuro

XXXIII Domenica Tempo Ordinario Anno B

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

Per noi che viviamo di solo presente, la liturgia apre una porta nella parete del tempo, perché possiamo guardare oltre. Non per anticipare la data di un futuro, ma per insegnarci a vivere giorni aperti al futuro. Il Vangelo non parla della fine del mondo ma del senso della storia. Dice parole d'angoscia, eppure ci educa alla speranza, in questa nostra vita che è un impasto di dramma e di delicatezza. Parla di stelle che si spengono e cadono dal cielo, ma il profeta dice che il cielo non sarà mai spento, mai vuoto di stelle: «I saggi risplenderanno come stelle per sempre». Cadano pure i vecchi punti di riferimento, uomini nuovi si accendono su tutta la terra, e da questa storia che sembra risucchiata verso il basso, «salgono invece nella casa delle luci». Uomini giusti e santi, uomini e donne in tutto il mondo salgono nella casa della luce: sono coloro che conservano in fondo agli occhi il riverbero della speranza, che hanno passione per la pace, che inducono il mondo a essere più giusto e più buono loro «risplenderanno come le stelle per sempre». Oggi non c'è bisogno di grandi Profeti, ma di piccoli profeti che vivano con semplicità, senza chiasso, senza integralismi il Vangelo nella vita quotidiana. E questi sono come stelle, e sono molti, e sono legione, e sono come astri del cielo e della storia: basta saperli vedere, basta alzare lo sguardo attorno a noi: non sprechiamo i giusti del nostro mondo, non dissipiamo il tesoro di bontà delle nostre case. Cristo è vicino, sta alle porte, Cristo che è alla periferia della mia casa, della mia città, agli orli murati dei nostri mondi separati, sta lì, come una porta, come una breccia nel muro, come una breccia di luce a indicare incontri e offerte di solidarietà e di amore. E se ogni Eucaristia, se ogni vita, se ogni sera della vita si chiudesse con le parole stesse con cui si chiude la Bibbia, parole di porte aperte, di battenti spalancati, di cuore e di braccia larghi quanto la speranza: «Lo Spirito e la Sposa dicono vieni! e chi ascolta ripeta: vieni». E se ognuno dicesse a tutti e a tutto, a Dio e ad ogni creatura «Vieni»; se dicesse alla persona amata ma anche all'estraneo, all'ultima stella del cielo e al povero «Vieni»; se dicesse agli uomini giusti e saggi di cui è pieno il mondo «Vieni»; in questa ospitalità reciproca troveremmo il senso dell'avvento, in questo non sentirsi gettati via il senso della storia.

(Letture: Daniele 12,1-3; Salmo 15; Ebrei 10,11-14.18; Marco 13,24-32)


don Ermes Ronchi


_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
20/11/2009 06:17

Un regno d'amore che rende liberi

Il Vangelo della prossima Domenica

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario - Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re Dell'universo - Anno B

Un regno d'amore che rende liberi

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Pilato e Gesù uno di fronte all'altro. Pilato è l'uomo del potere e della paura insieme, per paura consegnerà Gesù alla morte, contro il suo stesso parere. Gesù invece è l'uomo della libertà. Lo leggiamo nelle sue risposte così franche e nitide. Allora chi è più uomo Due volte Pilato domanda: Tu sei re? Gesù risponde che il suo Regno non è di quaggiù, e lo mostra attraverso due caratteristiche che si oppongono a violenza e inganno, la duplice logica di ogni potere, i due nomi del Nemico dell'uomo. I regni di quaggiù si combattono, il potere ha l'anima della guerra, si nutre di violenza. Gesù non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. Metti via la spada, ha detto a Pietro, altrimenti la ragione sarà sempre del più forte, del più violento, del più crudele. Per i regni di quaggiù l'essenziale è vincere, ma Lui dice: nel mio Regno l'essenziale è dare. Non c'è amore più grande che dare la vita per quelli che si amano. Il dono e non la rapina sono il perno della storia. La seconda caratteristica è la verità: sono venuto per rendere testimonianza alla verità. Prima di tutto alla verità di Dio: il volto vero di Dio è un crocifisso amore, disarmato amore, risorgente amore. E poi la verità dell'uomo: il volto vero dell'uomo è fatto di libertà e di fraternità, luminoso, veggente, amante. Come aveva proclamato a Nazaret: Sono venuto ad annunciare la libertà ai prigionieri, la luce ai ciechi, ai poveri che sono loro i principi, ai costruttori di pace che sono loro i signori della terra. Cristo è re perché la sua figura è generativa di umanità; perché innesta bisogni inediti, crea una tensione a fiorire, un avanzamento dell'umano, una intensificazione della vita. Ogni credente ha ricevuto nel battesimo lo stesso potere. Ad ognuno il sacerdote ha detto: Tu sei re, ti è affidata una porzione di mondo, la devi reggere con saggezza e con giustizia. Alle tue mani è consegnata una porzione di storia perché tu la faccia fiorire di libertà e di tenerezza. Re secondo Cristo è chi disarma il proprio cuore, chi smaschera gli inganni, le menzogne e gli idoli del nostro vivere. È re chi giudica l'arroganza, chi è libero nella verità, chi si prende cura d'altri. È re chi sa amare, perchè l'amore possiede l'eternità. Venga il tuo Regno, Signore, e sia bello come i sogni, sia intenso come le lacrime di chi visse e morì nella notte per costruirlo.


(Letture: Daniele 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33b-37)

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
23/11/2009 15:48

Scegliere Cristo non assicura il sucesso ma la gioia

Angelus del (23 novembre 2009) - la parola del Papa
Scegliere Cristo non assicura il sucesso ma la gioia

Cari fratelli e sorelle!

In quest’ultima domenica dell’Anno liturgico celebriamo la solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, una festa di istituzione relativamente recente, che però ha profonde radici bibliche e teologiche. Il titolo di "re", riferito a Gesù, è molto importante nei Vangeli e permette di dare una lettura completa della sua figura e della sua missione di salvezza. Si può notare a questo proposito una progressione: si parte dall’espressione "re d’Israele" e si giunge a quella di re universale, Signore del cosmo e della storia, dunque molto al di là delle attese dello stesso popolo ebraico. Al centro di questo percorso di rivelazione della regalità di Gesù Cristo sta ancora una volta il mistero della sua morte e risurrezione. Quando Gesù viene messo in croce, i sacerdoti, gli scribi e gli anziani lo deridono dicendo: "E’ il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui" (Mt 27,42). In realtà, proprio in quanto è il Figlio di Dio Gesù si è consegnato liberamente alla sua passione, e la croce è il segno paradossale della sua regalità, che consiste nella vittoria della volontà d’amore di Dio Padre sulla disobbedienza del peccato. E’ proprio offrendo se stesso nel sacrificio di espiazione che Gesù diventa il Re universale, come dichiarerà Egli stesso apparendo agli Apostoli dopo la risurrezione: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra" (Mt 28,18).

Ma in che cosa consiste il "potere" di Gesù Cristo Re? Non è quello dei re e dei grandi di questo mondo; è il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia non si impone mai, e rispetta sempre la nostra libertà. Cristo è venuto a "rendere testimonianza alla verità" (Gv 18,37) – come dichiarò di fronte a Pilato –: chi accoglie la sua testimonianza, si pone sotto la sua "bandiera", secondo l’immagine cara a sant’Ignazio di Loyola. Ad ogni coscienza, dunque, si rende necessaria – questo sì – una scelta: chi voglio seguire? Dio o il maligno? La verità o la menzogna? Scegliere per Cristo non garantisce il successo secondo i criteri del mondo, ma assicura quella pace e quella gioia che solo Lui può dare. Lo dimostra, in ogni epoca, l’esperienza di tanti uomini e donne che, in nome di Cristo, in nome della verità e della giustizia, hanno saputo opporsi alle lusinghe dei poteri terreni con le loro diverse maschere, sino a sigillare con il martirio questa loro fedeltà.

Cari fratelli e sorelle, quando l’Angelo Gabriele portò l’annuncio a Maria, Le preannunciò che il suo Figlio avrebbe ereditato il trono di Davide e regnato per sempre (cfr Lc 1,32-33). E la Vergine Santa credette ancor prima di donarLo al mondo. Dovette, poi, senz’altro domandarsi quale nuovo genere di regalità fosse quella di Gesù, e lo comprese ascoltando le sue parole e soprattutto partecipando intimamente al mistero della sua morte di croce e della sua risurrezione. Chiediamo a Maria di aiutare anche noi a seguire Gesù, nostro Re, come ha fatto Lei, e a renderGli testimonianza con tutta la nostra esistenza.



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
27/11/2009 06:31


Il Vangelo della prossima Domenica

Alla porta del cuore in attesa di Dio

I Domenica di Avvento Anno C

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. [...] State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso [...]. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».

Avvento è parola la cui radice latina significa: venire accanto, farsi vicino. È il tempo in cui tutto si fa più vicino: Dio all'uomo, l'altro a me, io al mio cuore. È sempre tempo d'Avvento, allora, sempre tempo di abbreviare distanze, di conquistare vicinanza. Avvento è quel tempo magnifico che sta tra il gemito delle cose e la venuta di Cristo, lunga ora tra doglie e parto, di cui ci parla il drammatico Vangelo di Luca. Dio ha giudicato il mondo e l'ha trovato lontano. Ma invece di sdegnarsi, è lui stesso che si carica della distanza, s'incarica di tutti i passi. Dio ha giudicato l'uomo e l'ha trovato lontano. E invece di condannarlo, si pone in cammino a ricucire i lembi della lontananza. Il Signore giudica me e mi trova con il cuore appesantito, e viene più vicino, lui l'unico che parla al cuore. Quando avverrà tutto questo? Gesù invece di rispondere quando avverranno le cose ultime, indica come attenderle nel tempo intermedio. Il quando avverranno è adesso: il cristiano non evade, abita il quotidiano, intercede, letteralmente cammina in mezzo, medicando le piaghe, curando i germogli. E anche il germe divino, quel piccolo Dio che ha da fiorire in ognuno di noi. Attesa e attenzione sono le due parole tipiche dell'Avvento. Attesa di Dio, Colui-che-viene, eternamente incamminato verso di me. Attesa come di madre: la donna sa nel suo corpo, da dentro, cosa significa attendere; è il tempo più sacro, più creatore, più felice. Attendere, infinito del verbo amare. Tutte le creature attendono, anche il grano attende, e le pietre e la notte, tutta la creazione attende un Dio che viene, che ha sempre da nascere. State attenti che i vostri cuori non si appesantiscano. Vivere con attenzione, perché «la più grave epidemia moderna è la superficialità» (R. Panikkar). Vivere attenti al cuore, prima di tutto, perché è la casa della vita, è la porta di Dio. L'incarnazione non è finita, accade continuamente. Dio nasce perché io nasca. L'uomo non è mai nato del tutto, e deve affrontare la fatica di generarsi di nuovo, o sperare di essere generato... la speranza è fame di nascere del tutto, di portare a compimento ciò che custodiamo in noi. Verrà sulle nubi, ma già viene: nei piccoli gesti dei cuori puri, nella luce intima che indica la via, in una delicatezza inattesa, viene attraverso le persone che amo e che ho accanto, come talenti. Sono il suo linguaggio, la mano dei suoi doni. Ogni carne è intrisa di Dio.

(Letture: Geremia 33,14-16; Salmo 24; 1 Tessalonicesi 3,12-4,2; Luca 21,25-28,34-36)


don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
04/12/2009 21:56


Il Vangelo della prossima Domenica

E il deserto diventa cuore del mondo

II Domenica di Avvento Anno C


Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».

Il Vangelo chiama a confronto storia e profezia. La grande storia è riassunta da Luca nell'elenco iniziale di sette nomi propri che tracciano la mappa del potere politico e religioso. Sono sette, a simboleggiarne la pienezza e a convocare tutto il potere di ogni tempo e di ogni luogo. Alla geografia dei potenti sfuggono però un deserto, un uomo, una parola. Il quasi-nulla, quanto basta tuttavia a mutare la direzione della storia: mentre a Roma si decidevano le sorti dei popoli, mentre Pilato, Erode, Anna e Caifa si spartivano il potere su quella terra assolata e passionale, su questo meccanismo perfettamente oliato, cade un granello di sabbia del deserto, un granello di profezia: la Parola discese, a volo d'aquila, sopra la sua preda, Giovanni, figlio di Zaccaria e figlio del miracolo, nel deserto. La nuova capitale del mondo è il deserto di Giuda. Lontano dalle capitali e dagli imperi, da templi e da palazzi, la profezia è l'estasi di una storia che non basta a se stessa. Nel deserto, dove un uomo vale quanto vale il suo cuore, dove è senza maschere e senza paure, solo nel deserto la goccia di fuoco della profezia può dare il suo frutto. «La Parola fu su Giovanni». In cinque semplicissimi termini è racchiusa la mia e la tua vocazione. Chiamati ad essere profeti: metto il mio nome al posto di quello del profeta, e so che molte volte ormai la Parola è venuta sopra di me, e non mi ha trovato. Ma so che deve venire, verrà, perché di me non è stanca. Ha bisogno non di grandi profeti, ma di piccoli e quotidiani che, là dove vivono, incarnino un progetto senza inganno o violenza, facciano risuonare parole più profonde, orizzonti chiari, lealtà, coerenza, giustizia. E la misteriosa e mai revocata scelta di Dio: fare storia con chi non ha storia, scegliere la via della periferia, entrare nel mondo dal punto più basso, da dove l'uomo soffre. Ciascuno di noi può diventare voce di una Parola, di una sillaba di Dio. Ma prima deve essere raggiunto, afferrato, conquistato da Cristo. Per questo: «Preparate le vie del Signore», inventate vie attraverso le quali la Parola giunga fino al cuore; moltiplicate le strade della seduzione di Dio, date ogni giorno un po' di tempo e un po' di cuore alla lettura del Vangelo, lasciatevi affascinare. E poi, nel tuo eremo interiore, con perseveranza, rendi continuo come il respiro, normale come il pane, il dialogo del cielo.

(Letture: Baruc 5,1-9; Salmo 125; Filippesi 1,4-6.8-11; Luca 3,1-6)

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
11/12/2009 09:22


Il Vangelo della prossima Domenica

Per stare bene l'uomo deve dare

III Domenica di Avvento Anno C

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».(...) Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

«Esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa». Nelle parole del profeta, Dio danza di gioia per l'uomo. Sofonia racconta un Dio felice il cui grido di festa attraversa questo tempo d'avvento e ogni tempo dell'uomo e ripete, a me, a te, ad ogni creatura: «tu mi fai felice». Tu, festa di Dio. Dio seduce proprio perché parla il linguaggio della gioia, perché «il problema della vita coincide con quello della felicità» (Nietzsche). Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, aveva la voce dei sogni; solo qui, solo per amore Dio grida. Non per minacciare, solo per amare. Mentre il profeta intuisce la danza dei cieli e intona il canto dell'amore felice, il Battista risponde alla domanda più feriale, che sa di mani e di fatica e incide nei giorni: «che cosa dobbiamo fare?». E l'uomo che non possiede nemmeno una veste degna di questo nome, risponde: «chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l'ha». Colui che si nutre del nulla che offre il deserto, cavallette e miele selvatico, risponde: «chi ha da mangiare ne dia a chi non ne ha». Nell'ingranaggio del mondo Giovanni getta un verbo forte, «dare». Il primo verbo di un futuro nuovo. In tutto il Vangelo il verbo amare si traduce con il verbo dare (non c'è amore più grande che dare la vita; chiunque avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca; c'è più gioia nel dare che nel ricevere-). È legge della vita: per stare bene l'uomo deve dare. Vengono pubblicani e soldati, pilastri del potere: «e noi che cosa faremo?». «Non prendete, non estorcete nulla, non accumulate». Tre risposte per un programma unico: tessere il mondo della fraternità, costruire una terra da cui salga giustizia. Il profeta sa che Dio si trasmette attraverso un atteggiamento di rispetto e di venerazione verso tutti gli uomini, e si trasmette come energia liberatrice dalle ombre della paura che invecchiano il cuore. L'amore rinnova (Sofonia), la paura invecchia il cuore. «E io, che cosa devo fare?». Non di grandi profeti abbiamo bisogno ma di tanti piccoli profeti, che là dove sono chiamati a vivere, anche non visti, giorno per giorno, siano generosi di giustizia, di pace, di onestà, che sappiano dialogare con l'essenza dell'uomo, portando se non la Parola di Dio almeno il suo respiro alto dentro le cose di ogni giorno. Allora, a cominciare da te, si riprende a tessere il tessuto buono del mondo.

(Letture: Sofonia 3,14-18; Isaia 12; Filippesi 4,4-7; Luca 3,10-18).


don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
17/12/2009 07:48

Dio viene come vita e come gioia

Il Vangelo

Dio viene come vita e come gioia


IV Domenica d'Avvento Anno C

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Nel Vangelo profetizzano per prime le madri, due donne con il grembo carico di cielo, abitate da figli inesplicabili. Maria ed Elisabetta sono i primi profeti del Nuovo Testamento: la prima parola di Dio è la vita. Dio viene come vita. Due donne, la vergine e la sterile, entrambe incinte in modo «impossibile» annunciano che viene nel mondo un «di più», viene ciò che l'uomo da solo non può darsi. Dio viene come gioia. Per due volte Luca ripete che il bambino salta di gioia nel grembo. In quel bambino è l'umanità intera che sperimenta che Dio dà gioia, la terra intera che freme per le energie divine che in essa sono deposte ogni giorno. Dio viene come abbraccio. La preghiera di Maria non nasce nella solitudine, ma nell'abbraccio di due donne, in uno spazio di affetto. Dio viene nelle mie relazioni, mediato da persone, da incontri, da dialoghi, da abbracci. «Le mie braccia allargate sono appena l'inizio del cerchio. Un Amore più vasto lo compirà» (M. Guidacci). «Benedetta tu fra le donne!» La prima parola di Elisabetta è una benedizione che da Maria discende su tutte le donne. Benedetta sei tu fra le donne che sono, tutte, benedette. Ad ogni frammento, ad ogni atomo di Maria, sparso nel mondo e che ha nome donna (G. Vannucci) vorrei ripetere la profezia di Elisabetta: che tu sia benedetta, che benefico agli umani sia il frutto dell'intera tua vita. Ogni prima parola tra gli uomini dovrebbe avere il «primato della benedizione». Dire a qualcuno «ti benedico!» significa vedere il bene in lui, prima di tutto il bene e la luce, e il buon grano, con uno sguardo di stupore, senza rivalità, senza invidia. Se non imparo a benedire chi ho accanto, la vita, non potrò mai essere felice. Ogni prima parola con Dio abbia il primato del ringraziamento. Come fa Maria con il suo Magnificat, che è il suo Vangelo: la lieta notizia dell'innamoramento di Dio, che ha posto le sue mani nel folto della vita. Per dieci volte Maria ripete: è lui, è lui che guarda, è lui che innalza, è lui che riempie, è lui. Il centro del cristianesimo è ciò che Dio fa per me, non ciò che io faccio per Dio. Anch'io abiterò la vita con tutta la mia complessità, con la parte di Zaccaria che fatica a credere, di Elisabetta che sa benedire, con la parte di Maria che sa lodare, di Giovanni che sa danzare, portando in molti modi il Signore nel mondo. E forse verrà pronunciata anche per me la parola: Benedetto sei tu perché porti il Signore, come Maria.

(Letture: Michea 5,1-4a; Salmo 79; Ebrei 10,5-10; Luca 1,39-45)

don Ermes Ronchi


_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
26/12/2009 06:10


Il Vangelo della prossima Domenica:

Santa Famiglia, l'angoscia e la luce


Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - Anno C

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. (...)

Luca racconta due pellegrinaggi: quello verso il tempio di Gerusalemme e quello verso la casa di Nazaret. Sono i due poli dentro i quali dovrebbe battere il cuore di ogni famiglia, di ogni credente: le cose di Dio e le persone che ci sono affidate. Insieme vanno a Gerusalemme, insieme ritornano a Nazaret, insieme cercano il figlio. Insieme. Questo gesto sempre più raro nelle famiglie, vocazione da imparare sempre di nuovo. «Tuo padre e io angosciati ti cercavamo», dice Maria. «Delle cose di mio Padre mi devo occupare», risponde Gesù. I genitori pensano di aver ritrovato il figlio e lui dichiara di essere figlio di un Altro. Passaggio di paternità, dalla casa di Nazaret alla casa del mondo, e oltre. Il Vangelo apre dimensioni insospettate del vivere, varca soglie, è una finestra di luce, è offerta di altra alleanza, dove tutti sono fratelli e la mia famiglia è l'intera famiglia umana. Al Vangelo, allora, non chiederò consigli spiccioli su come si conduca una famiglia, ma idee-forza per la dilatazione della vita. Famiglia santa quella di Nazaret eppure non le è risparmiata l'angoscia: «Angosciati ti cercavamo». Dialogo pacato, senza risentimenti, senza accuse, che sa interrogare e ascoltare. Famiglia santa, eppure figlio e genitori non si capiscono; Maria e Giuseppe sono profeti, visitati da angeli e visioni, eppure non comprendono ciò che accade nella loro stessa casa. Da questa famiglia santa eppure imperfetta, santa e limitata, scende come una benedizione, una consolazione, un conforto per tutte le nostre famiglie con tutti i loro limiti. Neppure la migliore delle famiglie è esente dall'incomprensione e dalla crisi. «Ma essi non compresero le sue parole». Come tutti i figli adolescenti, Gesù afferma la propria autonomia. Maria e Giuseppe come tanti, come tutti i genitori, sentono che alla fine i figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, alla loro missione, ai loro amori, alla loro vocazione, ai loro sogni, persino ai loro limiti. «Perché ci hai fatto così?». C'è un dolore che pesa sul cuore, eppure i tre si accettano di nuovo: «Gesù scese con loro, venne a Nazaret e stava loro sottomesso». L'incomprensione non ferma tutto, ci si rimette in cammino anche se non tutto è chiaro, anche se non ho tutto capito. Si cammina anche nella sofferenza, meditando, conservando, proteggendo nel cuore, come santa Maria, gesti e dolori, parole e domande, con un atto di fede negli altri, finché un giorno si dipani il filo d'oro che tutto illuminerà e legherà.

(Letture: Primo libro di Samuele 1,20-22.24-28; Salmo 83; Prima lettera di Giovanni 3,1-2.21-24; Luca 2,41-52)

don Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
01/01/2010 21:27



Il Vangelo della prossima Domenica

Vita vera è essere abitati da Dio

II domenica dopo Natale

(...) Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

La liturgia propone lo stesso Vangelo del giorno di Natale, perché Natale si conquista lentamente. Lo stesso Vangelo, ma con una differenza: mentre a Natale l'attenzione, e l'emozione, erano rivolte alla discesa di Dio nella carne, nel tempo, nella notte, le letture oggi ci suggeriscono il movimento inverso. Si apre per noi come uno sfondo di eternità, uno sfondamento del tempo verso l'eterno. Ora è la carne che è assunta dalla Parola, il sangue sale verso il cielo, l'uomo verso Dio. «E il Verbo si è fatto carne». Dio ricomincia da Betlemme. Colui che aveva plasmato Adamo con la polvere del suolo, diventa lui stesso argilla di piccolo vaso. Da allora c'è un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo. C'è santità, almeno incipiente, e luce in ogni vita. E nessuno potrà più dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perché ormai terra e cielo si sono abbracciati. Nessuno potrà dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio, perché creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno in quel neonato, uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme. «A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio». Cristo nasce perché io nasca. Nasca nuovo e diverso. La sua nascita vuole la mia nascita. Gesù non è venuto a portare un elenco di verità, ma vita da vivere; non ci ha comunicato una teoria religiosa, ma una forza di vita. «Ha dato il potere», afferma Giovanni, non la semplice opportunità o l'occasione di diventare figli di Dio, ma il potere, la forza, l'energia, la vitalità per spalancare le porte, per varcare le soglie. Il Verbo come forza in noi. In questa carne Cristo è, in questi dubbi, in questi abbandoni, in questa fatica di credere, in questa gioia di credere. È in noi per dirci: amo la tua solitudine, il tuo cercare, amo le tue lacrime, anche la tua debolezza. Non c'è nulla della tua vita che mi lasci indifferente. Tu mi interessi, con la storia del tuo cuore, con la storia della tua casa. Voglio essere in te come luce e come sole, come strada e come pane, come roccia e come nido. «A quanti l'hanno accolto». Dio non si merita, si accoglie. L'uomo diventa ciò che accoglie in sé, ciò che lo abita. Vita vera è essere abitati da Dio. Ecco la profondità ultima del Natale: Dio nell'uomo. «Se appena percepiamo qualcosa del significato oceanico di queste due termini, Dio e uomo, intravediamo il dramma immenso del Natale» (Paolo VI).

(Letture: Siràcide 24, 1-4.12-16; Salmo 147; Efesini 1, 3-6.15-18; Giovanni 1, 1-18)

don Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
08/01/2010 09:18



Il Vangelo della prossima Domenica

Dal cielo aperto scese la vita di Dio


Battesimo del Signore Anno C

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Al centro del brano non è posto il battesimo di Gesù, raccontato quasi come un inciso, ma l'aprirsi del cielo: «Gesù, ricevuto il battesimo, stava in preghiera ed ecco il cielo si aprì». Come si apre una breccia nelle mura, come quando si aprono le braccia agli amici, all'amato, ai figli, ai poveri. Il cielo si apre sotto l'urgenza dell'amore di Dio, sotto l'impazienza di Adamo, sotto l'assedio dei poveri e nessuno lo rinchiuderà più. Guardo spesso il cielo chiuso sopra la mia città, lo guardo con le sue stelle appassite, e cerco un pertugio come quello sul Giordano, un graffio d'azzurro, uno strappo nel grigio, per leggere, da là, dalla luce, dalla mia parte alta, tutto ciò che è accaduto e accade nella mia vita. Ma anche l'aprirsi del cielo è secondario: scese su di Lui lo Spirito Santo. Spirito è parola che dice vita, dal primo respiro di Dio che accese la fiamma misteriosa della vita nel petalo di argilla che è Adamo, da prima ancora quando «aleggiava sulle acque», covando l'origine della vita. Santo significa sostanzialmente di Dio. «Scese lo Spirito Santo» si può quindi tradurre così: «Scese la vita di Dio». Alito che rianima la fiamma smorta, respiro profondo dell'essere, soffio di primavere. E poi fu una voce: «Tu sei il mio figlio amato». Il brano è come una miniatura di tutto il Vangelo e ne racconta alcune delle verità più alte. Racconta la Trinità per simboli: una voce, un figlio, una colomba; racconta Gesù: il Figlio che si fa fratello, che si immerge solidale nel fiume dell'umanità; racconta l'uomo: un fratello che diventa figlio. E parla di me: il cielo che si apre, lo Spirito e la Voce sono accaduti, sono scesi anche sul mio battesimo: vita di Dio in me, dilatazione del cuore, incarnazione che non si arresta, io amato come Gesù, Dio che preferisce ciascuno, ognuno figlio prediletto. Nella Bibbia figlio è un termine tecnico, dal significato preciso: figlio è il somigliante al padre, colui che compie le stesse sue azioni, che prolunga nella sua vita la vita del padre. Allora ti prende come un desiderio di fare qualcosa che assomigli a ciò che è detto di Gesù: «Passò nel mondo facendo del bene e guarendo ogni male». Sintesi ultima, essenziale, struggente, bellissima della vicenda di Gesù, ma anche di ognuna delle nostre vite. Passare nel mondo facendo del bene, splendendo per un istante anche se nessuno guarderà il tuo lucente sguardo. Anche un solo gesto così rende più grande l'universo.

(Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 103; Tito 2,11-14;3,4-7; Luca 3,15-16.21-22).


don Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
14/01/2010 10:16



Il Vangelo della prossima Domenica


Dio viene come festa e come gioia


II Domenica Tempo Ordinario-Anno C


In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le anfore»; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono (...).

Con tutte le situazioni tragiche, le morti e le croci d'Israele, Gesù dà inizio alla sua missione quasi giocando con dell'acqua e con del vino. Schiavi e lebbrosi gridavano la loro disperazione e Gesù comincia non da loro ma da una festa di nozze. Deve esserci sotto qualcosa di molto importante: è il volto nuovo di Dio, un Dio che viene come festa. A lungo abbiamo pensato che Dio non amasse troppo le feste degli uomini. Il cristianesimo ha subìto come un battesimo di tristezza. Dice un filosofo: «I cristiani hanno dato il nome di Dio a cose che li costringono a soffrire!». Nel dolore Dio ci accompagna, ma non porta dolore. Lui benedice la vita, gode della gioia degli uomini, la approva, la apprezza, se ne prende cura. Scrive Bonhoeffer: dobbiamo amare e trovare Dio precisamente nella nostra vita e nel bene che ci dà. Trovarlo e ringraziarlo nella nostra felicità terrena. Una festa di nozze: le nozze sono il luogo dove l'amore celebra la sua festa. Ed è lì che Gesù pone il primo dei segni: il primo segnale da seguire nelle strade della vita è l'amore, forza capace di riempire di miracoli la terra. «E viene a mancare il vino». Il vino, in tutta la Bibbia, è simbolo di gioia e di amore, ma minacciati; la vita si trascina stancamente, occorre qualcosa di nuovo: Gesù stesso, volto d'amore di Dio. Il vino che viene a mancare è esperienza quotidiana: viene a mancare quel non-so-che che dà qualità alla vita, un non-so-che di energia, di passione, di entusiasmo, di salute che dia sapore e calore alle cose. Come uscirne? A due condizioni. «Qualunque cosa vi dica, fatela». Fate il suo Vangelo; rendetelo gesto e corpo; tutto il Vangelo, il consiglio amabile, il comando esigente, la consolazione, il rischio. E si riempiranno le anfore vuote della vita. «Riempite d'acqua le anfore». Solo acqua posso portare davanti al Signore, nient'altro che acqua. Eppure la vuole tutta, fino all'orlo. E quando le sei anfore della mia umanità, dura come la pietra e povera come l'acqua, saranno offerte a Lui, colme di ciò che è umano e mio, sarà Lui a trasformare questa povera acqua nel migliore dei vini, immeritato e senza misura. A Cana, gli sposi non hanno meriti o diritti da vantare. La loro povertà non è un ostacolo, ma una opportunità per il Signore, un titolo per il suo intervento. Dio viene anche per me che non ho meriti; viene come festa e come gioia, come vino buono, e conta non i miei meriti ma il mio bisogno.

(Letture: Isaia 62,1-5; Salmo 95; Prima Lettera ai Corinzi 12,4-11; Giovanni 2,1-12)


don Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
Nuova Discussione
 | 
Rispondi


Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 16:53. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com