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KAROL WOJTYLA - TUTTE LE POESIE e Prefazione

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2011 11:33
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OPERE DI GIOVANNI PAOLO II


KAROL WOJTYLA

TUTTE LE POESIE





Prefazione di Giovanni Reale


Le tre vie che l'uomo percorre per raggiungere la verità


Da tempo i filosofi hanno riconosciuto che l'uomo accede alla verità per tre vie: quella dell'arte, quella della filosofia e quella della religione.
Karol Wojtyla ha iniziato con l'essere poeta e drammaturgo, poi ha proseguito il suo cammino come filosofo e come teologo. Wojtyla riunisce dunque in sé le tre grandi componenti del pensiero, e perciò costituisce quella figura emblematica di uomo che in vari modi percorre queste tre vie per raggiungere la Verità.
Ecco un passo del dramma Fratello del nostro Dio (scritto nella seconda metà degli anni Quaranta), che contiene una delle più importanti cifre spirituali del pensiero wojtyliano:

«Continua a cercare. Ma che cosa? Forse ho cercato abbastanza. Ho cercato fra tante verità. Tuttavia queste cose possono maturare soltanto così. Filosofia... Arte... La verità è ciò che infine viene a galla come l'olio nell'acqua. In questo modo la vita ce la svela... a poco a poco, in parte, ma continuamente. Inoltre essa è in noi, in ogni uomo. Ed è qui appunto che essa è vicina alla vita. La portiamo in noi, è più forte della nostra debolezza... Ed è così in uno, in due, in cento uomini. Che cos'è la verità? Dove si trova? La vita è fatta di uomini attraverso i quali essa scorre ampiamente e alla foce si incontra con una nuova luce che da loro emana. Sì, sì... esistono uomini uniti alla Verità, i quali non si allontanano dal suo cammino, ma grazie a un equilibrio interiore rimangono tra le sue braccia.»


Caratteristiche fondamentali dell'opera poetica di Wojtyla



L'attività letteraria di Wojtyla è durata per molti anni ed è stata presentata per lo più sotto pseudonimi. Le prime composizioni significative risalgono all'inizio del 1939 (a parte alcune composizioni giovanili) e, dopo una interruzione a partire dagli anni Ottanta, è ripresa con il Trittico romano nel 2002.
Va subito rilevato che alcune sue poesie sono particolarmente significative e toccanti, come per esempio quelle raccolte sotto i titoli Canto del Dio nascosto, Meditazione sulla morte, Pellegrinaggio ai luoghi santi, La cava di pietra.
In quest'ultima raccolta Wojtyla presenta, in maniera veramente suggestiva, alcuni pensieri sull'alto significato del lavoro, da lui maturati nel periodo in cui è stato costretto a lavorare in una cava di pietra per sopravvivere, durante l'occupazione nazista.
Nelle sue opere poetiche in generale Wojtyla procede, in maniera costante, astraendo con un discorso fortemente immaginifico e visionario dal «tempo» e dallo «spazio» intesi in senso fisico. Tempo e spazio, infatti, vengono da lui non solo contratti, ma anche trasfigurati in dimensione metafisica: certe scene avvengono fuori dal tempo e in nessun luogo determinato, e quindi possono avvenire sempre e ovunque, in quanto si svolgono in quella dimensione temporale che tocca l'eterno e in quello che Wojtyla denomina «spazio interiore».
Per quanto concerne in particolare la contrazione ontologica dello spazio, per esempio, nel Pellegrinaggio ai luoghi santi Wojtyla dice:

«Verso quei luoghi andò pellegrino Abramo, l'uomo del grande incontro (tres vidit et unum adoravit). Il luogo interiore dell'incontro egli lo portò dentro di sé in quei luoghi esterni dove la terra interna divenne TERRA; cioè la DIMORA. Abramo, inizio visibile di un nuovo Adamo».

In questo senso lo spazio diventa uno «spazio del grande mistero» dell'uomo che va non solo dalla nascita alla morte, ma anche e soprattutto dalla morte alla speranza di un'altra vita.
In senso ultimativo e supremo lo «spazio» è Dio stesso, il quale diventa quel:

«Tu, in cui ognuno trova il suo spazio»

Nell'ultima composizione del Pellegrinaggio ai luoghi santi, si legge:

«Il mio spazio è dentro di Te. Il Tuo spazio è dentro di me. E' infatti uno spazio di tutti gli uomini. Pure, in quello spazio, non mi sento sminuito dagli altri».

E ancora:

«Dove Tu non sei, vi è solo gente senza casa.»


Centralità e preminenza dell'uomo come «persona»

Nelle opere filosofiche di Wojtyla il problema dell'uomo come persona è centrale. Nel suo capolavoro filosofico Persona e atto, si legge:

«Si ha l'impressione che i molteplici sforzi conoscitivi incentrati sull'ambiente esterno all'uomo siano di gran lunga superiori agli sforzi e i conseguimenti attinenti all'uomo stesso. Ma forse non è solo questione di sforzi e di effetti conoscitivi che, lo sappiamo, sono molto numerosi, e sempre più particolareggiati. Forse è semplicemente l'uomo che aspetta continuamente una nuova e penetrante analisi di sé, una sintesi sempre più aggiornata che non è facile compiere. L'uomo, scopritore di tanti misteri della natura, deve essere incessantemente riscoperto. Rimanendo sempre in qualche modo "un essere sconosciuto", egli esige continuamente una sempre e più matura espressione della sua natura. Inoltre, [...] essendo il primo, più diretto e frequente oggetto dell'esperienza, l'uomo è esposto proprio per questo all'assuefazione, rischia di diventare per se stesso troppo comune: bisogna evitare questo pericolo. Il nostro studio nasce quindi dall'esigenza di vincere questa tentazione. Nasce dalla meraviglia di fronte all'essere umano, che genera, come è noto, il primo impulso conoscitivo. [...] L'uomo non può perdere il posto che gli è proprio in quel mondo che egli stesso ha configurato.»

E anche nelle opere poetiche il problema dell'uomo come persona si impone come centrale.
Va ricordato che il concetto di «persona» è assai complesso, in larga misura dimenticato dall'uomo di oggi, e rinchiuso (e quindi dimezzato) in quello di «individuo».
Il concetto dell'uomo come persona è nato ed è stato formulato soprattutto nell'ambito del pensiero cristiano. Lo studioso Groethuysen giustamente rileva che, nella sua sostanza, il concetto di Dio personale e quello della personalità dell'uomo formano una unità indissolubile. In effetti, la «persona» nel suo autentico spessore ontologico nasce solo da un incontro fra Dio come Persona e uomo, con le implicazioni e conseguenze che questo comporta. Groethuysen
precisa: «Nella filosofia greco-romana della vita, l'uomo cercava di spiegarsi con il mondo, ma quello restava muto. Adesso, al contrario, parla con Dio, e Dio parla all'uomo. In questo dialogo l'uomo può dire "Io"; si forma un uomo nuovo».
Agostino, in particolare nelle Confessioni, ha espresso questo concetto in modo paradigmatico in uno straordinario e continuo colloquio fra lui e Dio.
Il concetto di «persona» che emerge dall'opera poetica di Wojtyla è in buona misura vicino a quello agostiniano. Del resto, ogni autentica concezione della persona non può se non seguire questa precisa linea.
Nella Nascita dei confessori, II 8, si dice:

«L'uomo incontra chi sempre lo precede,
coraggio - qui è il punto d'incontro
e ognuno di noi è una fortezza.»


La persona nasce da una interazione fra l'«io» e il «tu». Pertanto, non potremmo essere noi stessi se non insieme con l'altro.
Mediante la metafora dell'Intagliatore, che è lo scultore che riproduce immagini di Cristo e di santi, Wojtyla così esprime (nella composizione poetica dal titolo Magnificat) il modo in cui sono nati i suoi rapporti con Dio, e, di conseguenza, come sia diventato veramente persona:

«Tu sei il più stupendo, onnipotente Intagliatore di santi
- la mia strada è fitta di betulle, fitta di querce -
Ecco, io sono la terra dei campi, sono un maggese assolato,
ecco, io sono un giovane crinale roccioso dei Tatra.
Benedico la Tua semina a levante e a ponente -
Signore, semina generosamente la Tua terra
che diventi un campo di segale, un folto di abeti
la mia giovinezza sospinta dalla nostalgia, dalla vita.
La mia felicità - grande mistero - Ti esalti
perché hai dilatato il mio petto in un canto primordiale,
perché hai permesso al mio volto di tuffarsi nell'azzurro,
perché hai fatto piovere nelle mie corde la melodia
e in questa melodia Ti sei svelato in visione -
attraverso il Cristo.»


E tale interazione non può se non fondersi sul modello della interazione delle Persone divine della Trinità, in quanto «il Dio del cristianesimo non è una Solitudine Assoluta, ma un'Interazione Assoluta».
In modo assai forte questo concetto viene espresso con bellissime immagini nella seconda composizione del Trittico romano, dal titolo Meditazioni sulla "Genesi". Dalla soglia della Cappella Sistina, che va letta e meditata con grande attenzione (soprattutto nei paragrafi 2 e 3).
Nell'uomo, come diceva Agostino, ci deve essere «un riflesso della Santa Trinità». Si tratta di un riflesso che, per così dire, è a doppia mandata: l'Interazione Assoluta delle Persone della Trinità, ben lungi dal comportare una chiusura, si esplica in una Apertura Assoluta:
a) con la creazione e
b) con l'incarnazione di Cristo.
L'imitazione dell'Interazione Assoluta delle tre Persone della Trinità costituisce la formazione della persona umana, che si attua pienamente solo nell'amore come un reciproco donarsi:

«Chi è Lui? L'Indicibile. L'Esistenza
per se stessa sussistente.
L'Unico. Il Creatore di tutto.
Al tempo stesso una Comunione di Persone.
In questa comunione un reciproco donarsi
della plenitudine di verità, bontà e bellezza.
Con tutto ciò, prima di tutto - l'Indicibile.
Eppure ci ha parlato di Sé.
Ha parlato pure, creando l'uomo
a sua immagine e somiglianza.»


Potremmo riassumere il valore assoluto della persona che emerge dall'opera di Wojtyla con uno splendido aforisma di Gómez Dávila:
«Ciò che non è persona in fondo non è nulla.»


[Modificato da auroraageno 09/05/2011 11:33]

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Il senso del dolore, della sofferenza e della Croce


Un altro concetto-chiave dell’opera poetica di Wojtyla è quello del dolore e della sofferenza.
Al di fuori della fede, il problema del dolore non trova alcuna spiegazione plausibile, mentre nel pensiero cristiano assume il più alto significato, diventando nuova legge, e addirittura nuovo giorno della creazione con l’incarnazione di Cristo.
La Croce diventa, quindi, la «dimora dell'uomo».
Leggiamo in anticipo alcuni pensieri particolarmente toccanti, espressi nei versi del Pellegrinaggio ai luoghi santi:

«Chi non ha casa, pur abitandone una, ricomincia ad abitare, attraverso la Croce, la Terra.»

«Sono solo con me stesso. E insieme sono moltiplicato per tutti gli altri nella Croce che qui si ergeva. Una tale moltiplicazione e non riduzione rimane un mistero: la Croce va controcorrente. In essa le cifre recedono davanti all'Uomo.
Come avvenne che Tu giungessi alla Croce?»


Però la Croce è proprio ciò da cui ciascuno di noi rifugge, e che non vorrebbe portare in alcun modo.
Wojtyla nelle composizioni poetiche dal titolo Profili di Cireneo descrive le diverse maschere che il Cireneo assume in vari uomini, quando si sentono porre quel giogo sulle spalle.
Kierkegaard scriveva: «Sto cercando di stringere più intimamente il mio rapporto al Cristianesimo. Perché finora io ho lottato per la sua verità quasi tenendomi in un certo modo fuori di esso: ho portato la Croce di Cristo in un modo puramente esteriore, come Simone il Cireneo».
E Wojtyla descrive i vari profili di uomini che portano la Croce appunto in modo esteriore, o che comunque la vorrebbero respingere, mentre Cristo con la Croce è ciò in cui ognuno trova il suo vero spazio, e conclude:

«E nel Tuo grande mondo potresti non scorgere il mio piccolo mondo,
potresti spaccarlo interamente, annientarlo,
e andando con la croce potresti porlo sul filo di lama -
Tu, vasto, aperto - Tu, in cui ognuno trova il suo spazio.»



La morte come «passaggio» ad altra vita che ha nome «Pasqua»


L'altro problema - il più grande di tutti - che con la sola ragione non può essere spiegato in modo soddisfacente, è quello della morte. Questo viene riconosciuto da tutti coloro che affrontano il problema e lo trattano a fondo, sia credenti sia non credenti.
A conferma di quanto stiamo dicendo converrà leggere un passo di Hans-Georg Gadamer, che da laico molto aperto e sensibile a tale problema, esprime un giudizio equilibrato e penetrante: «La fede religiosa e la semplice laicità si accordano su un punto, nel rispettare la sovranità della morte. Le proposte dell'illusionismo scientifico incontrano nel mistero della vita e della morte un limite invalicabile. Per di più, davanti a questo confine si rivela l'autentica solidarietà reciproca di tutti gli uomini nel difendere il segreto in quanto tale. Chi vive non può accettare la morte, tuttavia deve affrontarla. Noi siamo viandanti sul confine tra l'al di qua e l'al di là. - Ci si deve attendere che una simile esperienza di frontiera, oltre la quale soltanto i messaggi religiosi concedono la possibilità di un superamento e di uno sguardo ulteriore, lasci scarso spazio al pensiero filosofico, alle sue domande, ai suoi principi razionali e al suo procedere concettuale. Ma soprattutto ci si deve aspettare che la filosofia non sia in grado generalmente di considerare l'uomo al cospetto della morte, senza riferirsi continuamente alla sfera ultraterrena della religione (che si tratti della promessa o della minaccia di punizione nel giudizio finale). Tuttavia, in base a quello che presso di noi si qualifica come filosofia, questo vuol dire che il problema filosofico può essere solo posto in riferimento al paganesimo greco e al monoteismo giudaico-cristiano-musulmano».
Il pensiero pagano, in particolare, cercava di risolvere il problema della morte con l'idea dell'immortalità dell'anima e della sua reincarnazione ciclica; il pensiero cristiano, invece, si incentra sul messaggio della risurrezione. Appunto su questo grande messaggio cristiano ruotano i bei pensieri espressi da Wojtyla nella Meditazione sulla morte.
Ciascuno di noi, egli dice, è trascinato da vorticose correnti che passano, dalle quali a un certo punto si viene travolti e si torna a essere polvere. Allora, ciascuno di noi rimarrà per sempre polvere?
La risposta è data da quello che Wojtyla chiama mysterium paschale, inteso come mistero di quel passaggio ultimativo che porta dalla morte a una nuova vita:

«Mysterium paschale –
mistero del Passaggio
in cui
il cammino s’inverte.
Dalla vita passare nella morte –
è questa l’esperienza, l’evidenza.
Attraverso la morte passare nella vita –
questo il mistero.»


Ed ecco la luce che illumina il mistero: Cristo ha mutato l’orientamento della direzione del passaggio, e questo passaggio ha nome Pasqua:

«Egli ha disgiunto,
non solo la pietra tombale ma tutta la terra
Egli ha smosso
trasformando quel campo in cui tutti passiamo,
anche se la corrente del Cedron continua a discendere
e nel corpo umano la corrente del sangue traccia ancora
una rotta di morte.
Egli ha aperto negli uomini uno spazio alla nascita,
ha rivelato in loro uno spazio di vita
che sovrasta alle correnti che passano,
che sovrasta alla morte.»


Dalla morte ci solleva la speranza, che è come «il suo contrappeso», nel senso che a chi muore si manifesta un segno di nuova vita. Fra la vita e la morte di ogni uomo si distende lo spazio del grande mistero, in cui l’essere di Cristo si inserisce e si impone come «misura suprema», e la morte di ciascun uomo diventa una parte della sua Pasqua:

«In questo spazio, la più perfetta misura del mondo
TU SEI
e dunque ho un senso, e scivolare nella tomba,
passare nella morte,
disfarmi nella polvere di irripetibili atomi
- è per me parte della Tua Pasqua.»


Nel vortice del moto centrifugo di tutte le cose del mondo – moto che si accresce sempre di più con il passare dei tempi – l’uomo si inserisce come

«sola scheggia di mondo che abbia un moto diverso…»

E con questo bel passo, con la metafora della Pasqua che significa il passaggio dalla morte alla vita, Wojtyla conclude il gruppo di poesie Meditazione sulla morte:

«Gli atomi dell’uomo antico fanno compatta la gleba
primordiale del mondo ch’io raggiungo con la mia morte,
li innesto in me definitivamente
per trasformarli nella Tua Pasqua – che è il Tuo PASSAGGIO.»



L’amore come la sfida più grande per l’uomo


Il tema dell’amore ha uno straordinario rilievo negli scritti di Wojtyla, e viene espresso in maniera toccante specie in quelli poetici.
Il pensiero più forte che egli esprime sull’amore è questo: l’amore è ciò che ci fa nascere non solo in senso fisico; l’amore è una sfida che Dio fa all’uomo, affinché l’uomo sfidi il destino.
Ma in che modo l’uomo può rispondere a tale sfida?
In effetti, malgrado l’«Io» si possa riconoscere solo nel «Tu» e non si possa realizzare al di fuori di questo nesso ontologico strutturale, l’«Io» e il «Tu» in dimensione puramente umana non creano un rapporto ontologicamente stabile.
In particolare, il vero amore nasce mettendo in atto un riflesso di quella «Interazione Assoluta» della divinità, come abbiamo spiegato parlando del concetto di persona.
Concludiamo leggendo in anticipo alcuni dei più bei pensieri sull’amore espressi poeticamente da Wojtyla:

«Ai piedi della verità bisogna mettere l’amore,
bisogna collocarlo agli angoli, per terra, per terra,
metterà radici anche là dove non ci sono strade –
e costruirà, eleverà, trasformerà.»


Già nel Canto del Dio nascosto Wojtyla scriveva:

«L’amore mi ha spiegato ogni cosa,
l’amore ha risolto tutto per me –
perciò ammiro questo Amore
dovunque Esso si trovi.»


Leggendo questi versi ci torna alla mente uno splendido aforisma di Gómez Dávila, che in modo icastico e tagliente esprime lo stesso pensiero:

«La domanda tace solo di fronte all’amore. Perché amore?
E’ l’unica domanda impossibile. L’amore non è mistero, ma luogo in cui il mistero si dissolve.»



Due frammenti poetici, che contengono le cifre emblematiche del pensiero poetico di Wojtyla:

Nel Canto del Dio nascosto, I 15, si dice:

Stare così, davanti a Te, guardare con questi occhi
in cui convergono le vie stellari –
occhi che siete ignari di Colui che in voi regna,
da Sé e dalle stelle prendendo luce sconfinata.

Dunque, sapere sempre di meno e credere sempre di più.
Chiudere piano le palpebre davanti al tremulo bagliore;
poi, con lo sguardo, risospingere la marea delle rive stellari
su cui è sospeso il giorno.

Dio presente, fa che questi occhi chiusi
divengano occhi interamente aperti –
e l’esile soffio dell’anima, che trema in uno sbocciare di rose
avvolgi nel tuo vento immenso.


E nella Nascita dei confessori, II 3, si dice:

Ma se c’è in me la verità – deve esplodere.
Non posso rifiutarla, rifiuterei me stesso.










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POESIE 1939 – 1978


SULLA TUA BIANCA TOMBA


Sulla tua bianca tomba
sbocciano i fiori bianchi della vita.
Oh quanti anni sono già spariti
senza di te – quanti anni?

Sulla tua bianca tomba
ormai chiusa da anni
qualcosa sembra sollevarsi:
inesplicabile come la morte.

Sulla tua bianca tomba,
Madre, amore mio spento,
dal mio amore filiale
una prece:
A lei dona l’eterno riposo.


Cracovia, primavera 1939


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MAGNIFICAT
(INNO)




Esalta, anima mia, la gloria del Signore,
Padre d’immensa Poesia – così buono.

Egli ha cinto la mia giovinezza di un ritmo stupendo,
ha forgiato il mio canto sopra un’incudine di quercia.

In te risuoni, anima mia, la gloria del tuo Signore,
Artefice dell’angelica Sapienza – Artefice clemente.

Ecco, riempio fino all’orlo il calice col succo della vite
nel Tuo convito celeste – io, il Tuo servo orante –
grato, perché misteriosamente rendesti angelica la mia giovinezza,
perché da un tronco di tiglio scolpisti una forma robusta.

Tu sei il più stupendo, onnipotente Intagliatore di santi
- la mia strada è fitta di betulle, fitta di querce –
Ecco, io sono la terra dei campi, sono un maggese assolato,
ecco, io sono un giovane crinale roccioso dei Tatra.

Benedico la Tua semina a levante e a ponente –
Signore, semina generosamente la Tua terra
che diventi un campo di segale, un folto di abeti
la mia giovinezza sospinta dalla nostalgia, dalla vita.

La mia felicità – grande mistero – Ti esalti
perché hai dilatato il mio petto in un canto primordiale,
perché hai permesso al mio volto di tuffarsi nell’azzurro,
perché hai fatto piovere nelle mie corde la melodia

e in questa melodia Ti sei svelato in visione – attraverso il Cristo
- Guarda davanti, Slavo! i falò di Sobótka
Non ha perso le foglie la quercia sacra, il re degli alberi non s’è inaridito,
anzi, è divenuto come un dominatore e un sacerdote del popolo.

Esalta, anima mia, il Signore, per un silenzioso presagio,
per la primavera echeggiante di gotica nostalgia,
per l’ardente giovinezza – il calice inebriante del vino,
per l’autunno che ha sembianza di stoppie tristi e di erica.

EsaltaLo per la poesia – per la gioia e il dolore!
- Gioia di dominare la terra, il cielo e l’oro,
perché nelle parole s’incarna la delizia e l’ardore delle generazioni,
perché Tu cogli questa maturità che Ti si stende davanti.

Dolore – la tristezza serale dell’indicibile
quando la Bellezza ci avvolge in un’onda d’estasi,
Dio si china sull’arpa – ma sulla distesa rocciosa
il raggio si spezza – manca forza alle parole,

mancano le parole. E mi sento un angelo caduto –
una statua sul pietrame – sul piedistallo di marmo;
ma Tu alitasti nostalgia nella statua e nello slancio delle braccia,
così si solleva e anela – uno di questi angeli io sono.

E ancora Ti esalto perché Tu sei l’approdo,
la ricompensa d’ogni canto – il giorno del sacro pensiero –
e la gioia echeggiante dell’inno materno,
il silenzioso compimento della parola – Sei il Culmine, Eli!

Sii lodato, Padre, per la tristezza dell’angelo,
per la lotta tra canto e menzogna, il combattimento ispirato dell’anima –
- Tu annulla in noi l’amore per la parola
e spezza la forma che, come un uomo vano, si gonfia.

Cammino sui Tuoi sentieri – io, un trovatore slavo –
suono durante i sobótki per pastori e ragazze tra le greggi,
- ma il canto orante, il canto immenso come la terra
lo getto al piede del trono di quercia, a Te Unico.

Sii benedetto, o canto tra tutti i canti!
Sii benedetta, semente della mia anima e della luce!
Esalta, anima mia, Colui che ha gettato sulle mie spalle
il velluto e il raso sovrano.

Benedetto è l’Intagliatore di santi, Slavo e profeta –
Abbi pietà – io canto come un pubblicano ispirato –
Esalta anima mia, con il canto e l’umiltà
il Tuo Signore, con l’inno: Santo, Santo, Santo!

Il canto, ecco, si unifica: Poesia – Poesia!
- il grano anela come l’anima mia che soffre insaziabile –
- che i miei sentieri si stendano all’ombra di querce, di betulle,
che la mia giovane messe sia gradita al Signore.


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Libro Slavo di nostalgie! Echeggia sui confini
come gli squilli degli ottoni nei cori di resurrezione,
con vergine canto sacro, con una poesia reverente
e con l’inno dell’Uomo – Magnificat di Dio



Cracovia, 1939, primavera-estate

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03/10/2008 14:44

CANTO DEL DIO NASCOSTO


I. RIVE PIENE DI SILENZIO



1.

Lontane rive di silenzio cominciano appena di là dalla soglia.
Non le sorvolerai come un uccello.
Devi fermarti a guardare sempre più in profondità
finché non riuscirai a distogliere l’anima dal fondo.

Là nessun verde sazierà la vista,
e gli occhi prigionieri non si libereranno.
Credevi che la vita ti nascondesse a quella Vita
chinata sugli abissi.

Ma da questa corrente – sappi – non c’è ritorno.
Avvolto dalla misteriosa bellezza dell’eternità!
Durare e durare. Non interrompere la fuga
delle ombre, durare solamente
in modo sempre più chiaro e più semplice.

Intanto sempre indietreggi davanti a Qualcuno che viene di là
chiudendo piano dietro a sé la porta della piccola stanza
e venendo smorza il passo
- e col silenzio colpisce quello che è più profondo.


2.

Ecco l’amico. Sempre ritorni con la mente
a quel mattino invernale.
da tanti anni ormai credevi, sapevi certamente
ma lo stupore non ti può lasciare.

Chino sopra la lampada, nel fascio di luce unita in alto,
senza alzare il viso perché sarebbe inutile –
ormai non sai se è là, là visto di lontano,
oppure qui, nel profondo degli occhi chiusi –

E’ là. Mentre qui non c’è soltanto tremore,
soltanto le parole del nulla ritrovate –
ah, ti rimane ancora un briciolo di questo stupore
che sarà tutto il contenuto dell’eternità.


3.

Finché tu accogli il mare nelle pupille aperte,
in sembianze di cerchi ondulati,
ti sembra che in te anneghino tutti gli abissi e i limiti –
ma ormai hai toccato l’onda con il piede,
mentre così ti sembrava:
era il Mare che stava dentro di me
spandendo intorno tanto silenzio tanta freschezza.

Annegare, annegare! Piegarsi e poi lentamente salire
senza sentire in quel riflusso i gradini
sui quali si è discesi di corsa tremando –
solo l’anima, l’anima dell’uomo immersa in una minuscola goccia,
l’anima rapita dalla corrente.


4.

Non così si presenta la forza vitale della luce.
Quando il mare rapidamente ti nasconde
e ti scioglie in abissi silenziosi
- la luce strappa bagliori verticali alle onde languide
e il mare piano finisce, affluisce un chiarore.

E allora, in ogni direzione, negli specchi lontani e vicini,
vedi la tua ombra.
Come ti nasconderai in questa Luce?
Sei troppo poco trasparente
e il chiarore alita dappertutto.

In quell’istante – guarda dentro di te. Ecco l’Amico
che è solo una scintilla, eppure è tutt’intera la Luce.
Accogliendo dentro di te quella scintilla
non scorgi altro,
e non senti di quale Amore sei avvolto.


5.

L’amore mi ha spiegato ogni cosa,
l’amore ha risolto tutto per me –
perciò ammiro questo Amore
dovunque Esso si trovi.

E poiché sono una distesa aperta al flusso silenzioso
che non ha nulla dell’onda tonante che non pioggia ai tronchi iridescenti
mi ha molto di un’onda quieta che scopre luce negli abissi
e alita questo chiarore su foglie non inargentate.

Perciò in quel silenzio io-foglia
liberata dal vento,
non mi curo più di alcuno dei giorni inabissati
perché so che tutti s’inabisseranno.








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06/10/2008 09:05


6.

Qualcuno si chinò lungamente su di me.
L'ombra non pesava sull'orlo delle sopracciglia.
Come la luce colma di verde,
come il verde, ma senza sfumature,
un indicibile verde posato su gocce di sangue.

Questo dolce chinarsi, pieno di freschezza e insieme di arsura
che cala dentro di me, eppure mi resta sopra,
anche se passa poco lontano - proprio allora diviene fede
e pienezza.

Questo dolce chinarsi, pieno di freschezza e insieme di arsura
è silenziosa reciprocità.

Chiuso in quella stretta - come a una carezza sul volto
dopo la quale vi è stupore e silenzio, silenzio senza parole
senza nulla comprendere o bilanciare
in quel silenzio sento, sopra di me, il chinarsi di Dio.


7.

Il Signore, quando attecchisce nell'intimo è come un fiore
assetato di caldo sole.
Vieni, dunque, o luce, dalle profondità dell'inesplicabile giorno.
e pósati sulla mia riva.

Ardi, non troppo vicino al cielo
e non troppo lontano.
Ricordati, cuore, di quello sguardo
in cui ti attende tutta l'eternità.

Chìnati, cuore, chìnati, sulla riva,
annebbiata nella profondità degli occhi,
sul fiore inaccessibile,
su una delle rose.


8.

Che senso ha, se scorgo tante cose quando non vedo niente,
quando ormai l'ultimo uccello è sparito oltre l'orizzonte,
quando un'onda l'ha nascosto nel suo cristallo - io scendo ancor più giù,
immergendomi, insieme all'uccello, nel fiotto fresco, cristallino.

Più aguzzo lo sguardo, meno riesco a vedere,
e l'acqua curva sotto il sole, dà un riflesso tanto più vicino
quanto più lontana è l'ombra che dal sole divide la mia vita.

Nell'oscurità dunque vi è tanta luce
quanta vita vi è nella rosa sbocciata,
quanto vi è di Dio che discende
sulle rive dell'anima.


9.

Io stacco piano la luce dalle parole
e raduno i pensieri come un gregge di ombre
e lentamente in tutto immetto il nulla
che attende l'alba della creazione.

Lo faccio per creare uno spazio
alle Tue mani tese
lo faccio per avvicinare
l'eternità in cui Tu possa alitare...

Inappagato dall'unico giorno della creazione
io bramo un nulla crescente,
perché il mio cuore sia disposto al soffio
del Tuo Amore.


10.

Per quest'attimo - colmo di strana morte
che salpa verso l'eterno infinito,
e per un tocco di lontana arsura
che fa languire il profondo giardino.

Si confondono l'attimo e l'eterno
la goccia ha risucchiato il mare -
e un solare silenzio
cala sul fondo dell'estuario.

La vita è forse un'onda di stupore, un'onda più alta della morte?
Fondo del silenzio, insenatura d'estuario - un solitario cuore umano.
Di là veleggiando nel cielo
quando ti sporgi dalla barca
un cinguettìo di fanciulli si mescola
allo stupore.




_________Aurora Ageno___________
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06/10/2008 09:06


11.

T'amo, fieno odoroso, perché non trovo in te
la superbia delle spighe mature.
T'amo, fieno odoroso, perché hai cullato in te
uno scalzo Fanciullo.

T'amo albero severo, perché non odo lamento
dalle tue foglie cadute.
T'amo, albero severo, che le Sue spalle nascondesti
sotto grappoli di sangue.

T'amo, pallida luce del pane di frumento
in cui l'eterno dimora un istante,
la nostra riva raggiungendo
per occulti sentieri.


12.

Dio venne fin qui, si fermò a un passo dal nulla,
ai nostri occhi vicinissimo.
E parve ai cuori aperti, e parve ai cuori semplici,
sparito all'ombra delle spighe.

E quando per i bramosi discepoli si sgranarono le spighe
Egli nel campo ancor più s'immerse.
- Imparate, diletti, vi prego, questo mio nascondiglio,
Dove mi sono nascosto, lì perduro.

Dite, giovani spighe, non sapete
dov'Egli si è celato?
Dove cercarLo? - a noi ditelo, spighe,
dove cercarlo, nella vostra abbondanza?


13.

V'era Dio, in cuore, v'era l'universo,
ma l'universo si oscurava
e diveniva, piano, canto del Suo intelletto,
diveniva la stella più bassa.

O maestri dell'Ellade, vi narro un grande miracolo:
non importa vegliare sull'Essere che scorre via tra le dita,
c'è la Bellezza reale,
celata sotto il Sangue vivo.

Il frammento di pane più reale dell'universo
più colmo d'Essere, colmo del Verbo
- il canto che sommerge come un mare
- il vortice di sole
- l'esilio di Dio.


14.

Figlio, quando Tu partirai, crescente abisso eterno
nel quale scorsi ogni cosa -
Padre, l'Amore significa necessità
di una crescita di gloria.

Figlio, guarda, non lontano dal Tuo chiarore
graniscono le spighe mature
- E verrà un giorno in cui Ti toglieranno il fulgore,
in cui alla terra cederò la Tua luce.

Padre, guarda, non lontano dal mio amore
è il mio sguardo
e in esso avvolgo da secoli
quel giorno turgido nel suo verdeggiare.

Le Tue mani toglieranno dalle mie spalle
- Figlio, vedi questo annientamento,
il Tuo bagliore, quando verrà il giorno,
darò alle spighe della terra il turgore.

Padre, le mani staccate dalle Tue spalle
le salderò a un legno spogliato di verde,
e intriderò d'un pallore di grano
questa luce che muterai in spighe.

Figlio, quando partirai, eterno Amore,
della più intima corrente chi mai t'inonderà?

Padre, lascio il Tuo sguardo che s'empie di un'onda di sole,
scelgo gli occhi degli uomini
- scelgo gli occhi degli uomini, colmi d'una luce di grano.


15.

Stare così, davanti a Te, guardare con questi occhi
in cui convergono le vie stellari -
occhi che siete ignari di Colui che in voi regna,
da Sé e dalle stelle prendendo luce sconfinata.

Dunque, sapere sempre di meno e credere sempre di più.
Chiudere piano le palpebre davanti al tremulo bagliore,
poi, con lo sguardo, risospingere la marea delle rive stellari
su cui è sospeso il giorno.

Dio presente, fa' che questi occhi chiusi
divengano occhi interamente aperti -
e l'esile soffio dell'anima, che trema in uno sbocciare di rose
avvolgi nel Tuo vento immenso.


16.

Portami con Te a Efraim, Maestro, e lascia ch'io rimanga con Te
là dove rive lontane discendono su ali di uccelli
come il verde, come onda gonfia, non sfiorata né intorbidata dal remo
come un grande cerchio sull'acqua, non turbato da ombra di sgomento.

Ti ringrazio perché hai posta la dimora dell'anima lontano d'ogni fragore
e come amico vi soggiorni, circondato dalla Tua sorprendente povertà,
O Immenso! occupi solo una minuscola cella
e ami luoghi vuoti e solitari.

Poiché Tu sei il silenzio stesso, questo grande Tacere,
da ogni suono di voce fammi libero,
ed entra in me Tu solo, col Tuo fremente essere
e col vento che trema tra le spighe mature.







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17/10/2008 23:07



II. IL CANTO DEL SOLE INESAURIBILE




1.

Il Tuo sguardo fisso sull’anima, come il sole verso la foglia s’inclina,
ne arricchisce il fiorire con la profonda, trasparente bontà,
l’accoglie nel suo raggio
- ma Tu, Maestro, guarda:
che accadrà della foglia e del sole? – la sera si avvicina.


2.

L’anima non è una foglia
che non seguirà il sole
e sarò spenta quando il suo verde diverrà cenere –
e solo sempre più lontano sarà il sole
che d’un’ellisse sempre più vasta l’accerchia.

Alla foglia non basta che ogni mattino albeggi
non le basta che il sole torni a sorgere.
La morte è solo un raggio troppo breve
di queste ore di sole.


3.

L’anima non è una foglia.
E su di sé può trattenere il sole
e insieme a lui discendere
in un arco inscindibile, al tramonto.

E laggiù lo raggiunge e rimane,
partecipando al solare declino,
e quando ancora procede il cammino,
in una lunga ombra a lui si salda –

Non spezza l’orizzonte,
nell’ansia di giorni lontani,
- ma solo sta alla porta e bussa.
Ed ecco, ha giù raggiunto tutto:
ecco, ogni giorno le riporta il sole
nel cerchio visibile.


4.

Quando tristezza e sera si confondono
- hanno lo stesso colore -
formano insieme uno strano liquore,
e timorosamente alle mie labbra l’accosto.

Così, per non lasciarmi solo
in quell’ansia, spogliasti
il crepuscolo d’ogni suo orrore,
e all’eternità desti il sapore del pane.

Quando dall’infinito facesti emergere il tempo
per appoggiarlo all’altra riva,
Tu già sentivi il mio lontano pianto,
ne sapevi da secoli il motivo.

Sapevi che la nostalgia
di chi una volta ha bevuto il Tuo sguardo
non si placa per un solare incanto,
ma si arrossa di sangue, come trafitta da spine.


5.

Se il cosmo è un ramo pesante di foglie
e avvolto dall’irraggiare dei soli,
e se lo sguardo è un quieto abisso
recato sulla palma aperta –

allora anche se tremano e cadono le foglie
rispecchiate dalla vicina profondità,
il quieto abisso sempre fissa
Te – Nascosto.




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29/10/2008 21:57


6.

Quando creavi i miei poveri occhi
e recavi l’abisso sulla Tua palma aperta,
pensavi a quello sguardo eterno
affascinato dall’abisso

e dicevi:
Mi abbasserò, fratello
mi abbasserò, e non lascerò mai soli i tuoi occhi,
e mi nasconderò dapprima nella croce,
poi, come il pane, nel grano maturo.

Allora penso:
Ti abbassi così
perché nel cosmo non restino sole
le mie spalle lontane dalla croce
e i miei occhi pieni di nostalgia.


7.

Se l’amore tanto più è grande quanto più è semplice,
se il desiderio più semplice sta nella nostalgia
allora non è strano che Dio voglia
essere accolto dai semplici
da quelli che hanno candido il cuore
e per il loro amore non trovano parole.

Ed Egli stesso nell’offerta
c’incantò nella sua semplicità,
la povertà, la mangiatoia, il fieno.
La Madre, allora, sollevò il Bambino
e lo cullava tra le braccia
e nelle fasce Gli avvolgeva i piedi.
Miracolo – miracolo - miracolo!
quando proteggo Dio con la sua umanità,
da Lui protetto col Suo amore,
protetto col Suo martirio.


8.

In uno sguardo infantile
concentrato sull’Ostia soave
incontrai il Padre Divino
che con immenso amore mi guardava.

Davanti a quello sguardo,
dov’era il mondo intero
i miei occhi tremarono
come un fiore indifeso.

Diceva il Figlio: Ecco si sta attuando
il desiderio del nostro amore
perché gli occhi dell’uomo mi guardano
non alterati dal fulgore.

O fulgore! O creativo sguardo
da cui sorge una nuova Creazione
molto più esuberante,
sorgono mondi nuovi di nascosto.


9.

Oh, si sente quel momento del nulla
quel momento di prima della creazione –
non recederne mai,
come non si recede dall’ombra.

Tornare sempre a quel tempo
quando cullato solo dal Tuo Pensiero
ebbi in me più innocenza di un bambino,
e più profonda trasparenza.

Oggi, stordito dalla vita
dimentico la mia nullità,
vago tra raggi lontani
strappato ai raggi più semplici.

Ma basta uno sguardo nel profondo
che l’eternità scopre dal flusso –
un semplice sguardo
con cui dimoro nuovamente nel Tuo Pensiero –

Succede quando – nascosto nel fulgore,
concentro tutto me stesso,
e divento di nuovo il Tuo Pensiero,
amato dalla bianca arsura del Pane.


10.

Spesso di là mi fissa lungamente
inchiodando il mio volto con lo sguardo –
Sai tu, sai tu, fratello
come ci ama il nostro Padre?

Ma di quelle parole nessuno sa la profondità –
ma le cause più lontane nessuno conosce
e come quel supplizio fu sconfinato
la solitudine sull’albero della croce.

Tuttavia non il sangue, che fioriva sull’albero
come fiorisce ogni fatica nel pane di domani
- e l’allontanamento dal Padre,
l’essere rifiutato…

Per quelle parole: Perché mi hai abbandonato
Padre, Padre – e per la Madre in cordoglio
ho redento sulle tue labbra
due parole più semplici: Padre nostro.



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30/11/2008 07:53



11.

E’ in me l’acqua profonda trasparente,
ai miei occhi velata di nebbia –
quando, come un torrente, io corro troppo in fretta,
non sono degno che quel fondo così abissale.

Là, ogni giorno, il mio Signore viene e resta –
scia di sangue quando s’immerge nella neve –
- e vi è reciproco riconoscimento
e alita una reciproca abbondanza.

Se, allora, qualcuno sapesse togliere
dalle profondità trasparenti la nebbia,
si vedrebbe – in quale miseria,
si vedrebbe – in chi –

e si vedrebbe – quale chiarore
inonda la profondità oscurata,
si vedrebbe – nel cuore umano,
nel più semplice dei soli.


12.

E’ in me un paese trasparente,
nel chiarore del lago di Genezaret
e la barca… e l’approdo dei pescatori
appoggiato a onde silenziose…

e la folla… la folla dei cuori
abbracciati da un Unico Cuore,
un Unico Cuore, il più semplice,
il più mansueto –

- oppure – quella sera con Nicodemo
- oppure – sulla riva del mare,
dove ogni giorno ritorno
affascinato dalla Tua beltà –

E tutto questo: la sera con Nicodemo
il paese e l’approdo dei pescatori
e il fondo trasparente
e la Tua Persona così vicina –

- tutto questo è visto attraverso un Punto Candido
del candore più puro,
circondato, nel cuore dell’uomo
da un vivo fiotto rosso.


13.

Ti prego, tienimi nascosto
in un luogo inaccessibile,
nella corrente di silenziosa meraviglia,
o nella cupa notte.

Ti prego, proteggimi
dal lato che sprofonda nel buio –
e Ti prego togli i veli davanti a me
dal lato che inchioda lo sguardo,

perché so di un luogo segreto
dove nulla disperderò di quei soli
che ardono sotto l’orizzonte
degli sguardi inchiodati sul fondo.

Avverrà allora il miracolo
della trasformazione:
ecco, diverrai me –
io – eucaristico.





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10/12/2008 08:40



14.

Io Ti prego Signore, allontanaTi da me
e il mio fallibile pensiero
non porre a repentaglio di tanta debolezza,
non porre a repentaglio di tanta impotenza,

- perché non esiste così grande riconoscenza
che riesca ad abbracciare l’infinità
affinché il cuore abbracci Te
con una striscia rossa solare –

e anche se abbracciasse il mondo intero,
anche se lo accendesse fino al delirio,
e se dessi tutto me stesso –
io so che nulla avrei restituito.

E Tu, ogni giorno, torni a moltiplicare
la mia impotenza
sottomettendo la Tua infinità
al mio fallibile pensiero.


15.

Come potrò esprimere la mia gratitudine al mare per le sue onde
che, quiete, vengono a cercare i miei quotidiani smarrimenti?
Come potrò esprimere la mia gratitudine al sole che non mi ha reso odioso
Il crepuscolo che dalla sera il mattino divide in uno stacco così breve?

Per questa vicinanza che cosa ti darò,
vicinanza che accendi con tale immensità,
come il falò,
come il cuore che in equilibrio rimane –

per questa confidenza che cosa Ti darò,
confidenza che stringi in uno sguardo infantile
e che concludi in una gloria
che nell’ombra, d’ogni tristezza è priva –

E per questa difesa che cosa Ti darò,
la difesa che il giorno non mi lesina.
Tu come puoi, Signore,
fidarTi di uno come me.

Come potrò esprimere la mia gratitudine al mare, per le sue onde
che, quiete, vengono a cercare i miei quotidiani smarrimenti?
Come potrò esprimere la mia gratitudine al sole che non m’ha reso odioso
Il crepuscolo che dalla sera il mattino divide in uno stacco così breve?


16.

O Signore, perdona al mio pensiero che non Ti ama ancora abbastanza,
perdona al mio amore, Signore, ch’è sì terribilmente incatenato al pensiero
che Ti sperde in pensieri freddi come la corrente
e non avvolge in brucianti falò.

Ah, accogli, Signore, l’ammirazione che mi zampilla dal cuore
come zampilla un ruscello dalla fonte –
- il segno che di lì verrà la vampa -
e non respingere, Signore, neanche la tiepida ammirazione
che un giorno colmerai con una pietra ardente sulle labbra –

Non respingere, Signore, la mia ammirazione
che per Te è un nulla, perché Tu Intero sei in Te Stesso,
ma per me, ora, è tutto,
un torrente che rapisce le sue rive
prima di dire la sua nostalgia per gli oceani smisurati.


1944





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