Pagina precedente | 1 2 3 4 5 6 7 8 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

IL MESSAGGIO 2 - Parole di luce - Il Vangelo commentato della Domenica

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2013 17:11
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
07/05/2010 02:35



Il Vangelo della prossima Domenica

È amando che si capisce la Parola

VI Domenica di Pasqua Anno C

In quel tempo, Gesù disse: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me (...)».


Se uno mi ama. Gesù rivendica per sé, per la prima volta, il sentimento più importante e dirompente del mondo umano: l'amore. Entra nella nostra parte più intima e profonda, ma con estrema delicatezza. Tutto poggia sulla prima parola «se», «se tu ami». Un fondamento così umile, così libero, così fragile, così puro, così paziente. «Se mi ami osserverai la mia parola» e non esprime un ordine, non formula un comando, ma apre una possibilità; non un verbo all'imperativo, ma al futuro e che esprime il rispetto emozionante di Dio, che bussa alla porta del cuore e attende: se ami, farai. E subito rovescia il nostro modo di pensare. Noi avremmo detto: se osservi la mia parola arriverai ad amarmi, senza avvertire che questa logica capovolge il Vangelo, perché vede Dio come uno specchio su cui far rimbalzare i propri meriti, Dio della legge e non della grazia. Un detto medioevale afferma: «I giusti camminano, i sapienti corrono, gli innamorati volano». L'amore mette una energia, una luce, un calore, una gioia in tutto ciò che fai, e ti pare di volare. Volare a osservare la sua Parola, così è scritto, e noi invece abbiamo subito capito male come se Gesù avesse detto: a osservare i miei comandamenti. E invece no, la Parola non coincide con i comandamenti, è molto di più. La Parola salva, illumina, traccia strade, consola. La Parola fa vivere, semina i campi della vita, ti incalza, porta Dio in te. Solo se la ami, la Parola si accende, porta pane, soffia nelle vele. Solo se hai scoperto la bellezza di Cristo partirà la spinta a vivere il suo Vangelo. Perché la nostra vita non avanza per colpi di volontà ma per una passione. E la passione nasce da una bellezza. In me l'amore per Gesù sgorga dalla bellezza che ho intuito in lui, dalla sua vita buona, bella e beata. Poi una seconda serie di espressioni: verremo a lui, prenderemo dimora presso di lui, tornerò a voi. Un Dio che ama la vicinanza, che abbrevia instancabilmente le distanze. E prenderemo dimora: in me il Misericordioso senza casa cerca casa. Forse non troverà mai una vera dimora, solo un povero riparo. Ma una cosa Lui mi domanda: essere un frammento di cosmo ospitale. Dio non si merita, si ospita. Ma se non pensi a lui, se non gli parli dentro, se non lo ascolti nel segreto, forse non sei ancora casa di Dio. Se non c'è rito nel cuore, una liturgia segreta e intima, tutte le altre liturgie sono maschere del nulla. Custodiamo allora i riti del cuore.


(Letture: Atti degli Apostoli 15,1-2.22-29; Salmo 66; Apocalisse 21,10-14.22-23; Giovanni 14,23-29)


padre Ermes Ronchi


[Modificato da auroraageno 29/09/2011 23:21]

_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
14/05/2010 06:15


Il Vangelo della prossima Domenica

La benedizione «infinita» di Gesù

Ascensione del Signore Anno C


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.



«E, alzate le mani, li benediceva». L'ultima immagine di Gesù sono le sue mani alzate a benedire. «E, mentre li benediceva, veniva portato su, in cielo». Quella benedizione è la sua parola definitiva, raggiunge ciascuno di noi, non è più terminata, non è mai finita. Una in-finita benedizione che rimane tra cielo e terra, si stende come una nube di primavera sulla storia intera, su ogni persona, è tracciata sul nostro male di vivere, sull'uomo caduto e sulla vittima, ad assicurare che la vita è più forte delle sue ferite. Nella Bibbia la benedizione indica sempre una forza vitale, una energia che scende dall'alto, entra in te e produce vita. Come la prima di tutte le benedizioni: Dio li benedisse dicendo «crescete e moltiplicatevi». Vita che cresce, in noi e attorno a noi. La benedizione è questa forza più grande di noi che ci avvolge, ci incalza; un flusso che non viene mai meno, a cui possiamo sempre attingere, anche nel tempo delle malattie e delle delusioni. Una benedizione ha lasciato il Signore, non un giudizio; non una condanna o un lamento, ma una parola bella sul mondo, di stima, di enorme speranza in me, in te, di fiducia nel mondo: c'è del bene in te; c'è molto bene in ogni uomo, su tutta la terra. Di questo voi sarete testimoni: il Cristo doveva patire e risuscitare; nel suo nome annunciate a tutti la conversione e il perdono. Sono le ultime parole di Gesù, con le tre cose essenziali: - ricordare la croce e la Pasqua. L'abbraccio del crocifisso che non può più annullarsi, ci raggiunge tutti e ci trascina in alto con lui. E la Pasqua: i massi rotolati via dall'imboccatura del cuore, come da quella del sepolcro. E nel giardino è primavera. - la conversione. Non è un comando, ma una offerta; non un dovere ma una opportunità: nascere di nuovo. Seguendo Gesù, vedrai, la vita è più bella, il sole più luminoso, le persone più buone e felici. - il perdono. Non quello di uno smemorato, che dimentica il male, ma quello di un creatore: che ti fa ripartire ad ogni alba verso terre intatte; che apre futuro, fa salpare la tua vita come una nave prima arenata. Nella sua ascensione, Gesù non è salito verso l'alto, è andato oltre e nel profondo. Non al di là delle nubi, ma al di là delle forme. Siede alla destra di ciascuno di noi, è nel profondo del creato, nel rigore della pietra, nella musica delle costellazioni, nella luce dell'alba, «nell'abbraccio degli amanti, in ogni rinuncia per un più grande amore» (G. Vannucci).


(Letture: Atti degli apostoli 1,1-11; Salmo 46; Ebrei 9,24-28;10,19-23; Luca 24,46-53)


padre Ermes Ronchi


[Modificato da auroraageno 14/05/2010 06:16]

_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
21/05/2010 09:50



Il Vangelo della prossima Domenica

Apre tutte le porte il «respiro» di Dio

Pentecoste Anno C

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».


Viene lo Spirito, secondo il vangelo di Giovanni, leggero e quieto come un respiro: «Alitò su di loro e disse: ricevete lo Spirito santo» (Gv 20,22). Viene lo Spirito, nel racconto di Luca, come energia, coraggio, vento che spalanca le porte, e parole di fuoco (Atti 2,2ss). Viene lo Spirito, nell'esperienza di Paolo, come dono, bellezza, genio diverso per ciascuno (Gal 5,22). Tre modi diversi, per dire che lo Spirito conosce e feconda tutte le strade della vita, rompe gli schemi, è energia imprudente, non dipende dalla storia ma la fa dipendere dal suo vento libero e creativo. La liturgia ambrosiana prega così: «O Dio, che hai mandato lo Spirito, effusione ardente della tua vita d'amore». Lo Spirito è il debordare di un amore che preme, dilaga, si apre la strada verso il cuore dell'uomo. Effusione di vita: Dio effonde vita. Non ha creato l'uomo per reclamarne la vita, ma per risvegliare la sorgente sommersa di tutte le sue energie. Effusione ardente: lo Spirito porta in dono il bruciore del cuore dei discepoli di Emmaus, l'alta temperatura dell'anima che si oppone all'apatia del cuore. Meraviglia del primo giorno: «com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?» Lo Spirito di Dio si rivolge a quella parte profonda, nativa, originaria che è in ciascuno e che viene prima di tutte le divisioni di razza, nazione, ricchezza, cultura, età. La lingua nativa di ogni uomo è l'amore. Lo Spirito non solo ricompone la frattura di Babele, fa di più: parla la lingua comune, di festa e di dolore, di stanchezza e di forza, di pace e sogno d'amore. La Parola di Dio diventa mia lingua, mia passione, mia vita, mio fuoco. Ci fa tutti vento nel Vento. Nella Messa di Pentecoste, ripeteremo parole tra le più forti della Bibbia: del tuo Spirito Signore è piena la terra (salmo 103). È piena. Tutta la terra. Ogni creatura. È piena anche se non è evidente, anche se ci appare piena invece di ingiustizia, di sangue, di follia. È un atto di fede che porta gioia e fiducia in tutti gli incontri. Il mondo è un immenso santuario. Egli è qui, sugli abissi del mondo e in quelli del cuore. Anche se ci pare impossibile. Entra per porte chiuse, per fessure quasi invisibili, mette in moto, suscita energie. Guardati attorno, ascolta gli abissi del cosmo e il respiro del cuore: la terra è piena di Dio. Cerca la bellezza salvatrice, l'amore in ogni amore. Piena è la terra. E instancabile il respiro di Dio porta pollini di primavera e disperde le ceneri della morte.


(Letture: Atti 2, 1-11; Salmo 103; Romani 8, 8-17; Giovanni 14, 15-16. 23-26)


padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
28/05/2010 10:23



Il Vangelo della Prossima Domenica


La Trinità, infinita sapienza del vivere


Domenica dopo Pentecoste Solennità della Santissima Trinità Anno C



In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».


Trinità: un solo Dio in tre persone. Dogma che non capisco, eppure liberante, perché mi assicura che Dio non è in se stesso solitudine, che l'oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d'amore. C'è in Dio reciprocità, scambio, superamento di sé, incontro, abbraccio. L'essenza di Dio è comunione. Il dogma della Trinità non è un trattato dove si cerca di far coincidere il Tre e l'Uno, ma è sorgente di sapienza del vivere: se Dio si realizza solo nella comunione, così sarà anche per l'uomo. I dogmi non sono astrazioni ma indicazioni esistenziali. In principio aveva detto: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza». L'uomo è creato non solo a immagine di Dio, ma ancor meglio ad immagine della Trinità. Ad immagine e somiglianza quindi della comunione, del legame d'amore. In principio a tutto, per Dio e per me, c'è la relazione. In principio a tutto, qualcosa che mi lega a qualcuno. «Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora non potete portarne il peso». Gesù se ne va senza aver detto e risolto tutto. Ha fiducia in noi, ci inserisce in un sistema aperto e non in un sistema chiuso: lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera. La gioia di sapere, dalla bocca di Gesù, che non siamo dei semplici esecutori di ordini, ma - con lo Spirito - inventori di strade, per un lungo corroborante cammino. Che la verità è più grande delle nostre formule. Che in Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga (Luis De Leon). Che nel Vangelo scopri nuovi tesori quanto più lo apri e lo lavori. La verità tutta intera di cui parla Gesù non consiste in formule o concetti più precisi, ma in una sapienza del vivere custodita nella vicenda terrena di Gesù. Una sapienza sulla nascita, la vita, la morte, l'amore, su me e sugli altri, che gli fa dire: «io sono la verità» e, con questo suggeritore meraviglioso, lo Spirito, ci insegna il segreto per una vita autentica: in principio a tutto ciò che esiste c'è un legame d'amore. L'uomo è relazione oppure non è. Allora capisco perché la solitudine mi pesa tanto e mi fa paura: perché è contro la mia natura. Allora capisco perché quando sono con chi mi vuole bene, sto così bene: perché realizzo la mia vocazione. La festa della Trinità è come uno specchio: del mio cuore profondo, e del senso ultimo dell'universo. Davanti alla Trinità mi sento piccolo e tuttavia abbracciato dal mistero. Abbracciato, come un bambino. Abbracciato dentro un vento in cui naviga l'intero creato e che ha nome comunione.



(Letture: Proverbi 8,22-31; Salmo 8; Romani 5,1-5; Giovanni 16,12-15)

padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
04/06/2010 01:42



Il Vangelo della prossima Domenica

E venne «Colui che si prende cura»

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo - Anno C


In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. Gesù prese a parlare di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.


C'è tutto l'uomo in queste parole; il suo nome: creatura-che-ha-bisogno, di Dio e di cure, di pane e di assoluto. C'è tutta la missione di Gesù: accogliere, dare speranza, guarire. C'è il nome di Dio: Colui-che-si-prende-cura. La prima riga di questo vangelo la sento come la prima riga della mia vita: sono io uno di quegli uomini, ho bisogno di cure, di qualcuno che si accorga di me e poi mi sospinga oltre. Ma il giorno declina, bisogna pensare alle cose pratiche, gli apostoli intervengono: mandali via perché possano andare a cercarsi da mangiare. Ma Gesù non ha mai mandato via nessuno. Il Signore non manda via perché lui per primo ha bisogno di comunione, con ogni dolore, con ogni peccato, ogni sorriso. Vive di comunione, vive donandosi. Gesù replica invece con un ordine che inverte la direzione del racconto: date loro voi stessi da mangiare. «Date»: un ordine che attraversa i secoli, che arriva fino a me, che echeggerà nel giorno del Giudizio: avevo fame e mi avete dato da mangiare... Dio che lega la nostra salvezza a un po' di pane donato, lega la sconfitta della storia al pane negato. Non abbiamo che cinque pani e due pesci... è poco, quasi niente. Ma la sorpresa di quella sera è che poco pane condiviso tra tutti è sufficiente; che la fine della fame non consiste nel mangiare a sazietà, da solo, voracemente, il tuo pane, ma nel condividerlo, spartendo il poco che hai, due pesci, il bicchiere d'acqua fresca, olio e vino sulle ferite, un po' di tempo e un po' di cuore. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato. Sulle colonne dell'avere troveremo solo ciò che abbiamo dato ad altri. Dal pane al corpo. La festa del Corpo di Cristo, offerto come pane, dice che «né a noi né a Dio è bastata la Parola. Troppa fame ha l'uomo e Dio ha dovuto dare la sua carne e il suo sangue» (Divo Barsotti). «Ecco il mio corpo», ha detto Gesù, e non, come ci saremmo aspettati: «ecco la mia anima, il mio pensiero, la mia divinità, ecco il meglio di me», semplicemente, poveramente: «ecco il corpo». La cosa più vicina a noi, casa della fatica, volto modellato dalle lacrime e levigato dai sorrisi, sacramento di incontri, luogo dove è detto il cuore. Cristo dà il suo corpo, perché vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su di una Persona, assorbendone storia, sentimenti, piaghe, gioie, luce; dà, perché dare è la legge della vita, unica strada per una felicità che sia di tutti.


(Letture: Genesi 14,18-20; Salmo 109; 1 Corinzi 11,23-26; Luca 9,11-17)


padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
11/06/2010 00:39


Il Vangelo della prossima Domenica

Ogni gesto d'amore avvicina a Dio

XI Domenica Tempo Ordinario - Anno C


In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. (...) E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli (...) Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (...).


Un momento esplosivo del Vangelo, che rovescia convenzioni e ruoli, che mette prepotentemente al centro l'amore: questa donna ha molto amato. Questo basta. Un Vangelo che ci provoca, ci contesta e ci incoraggia. La fede non è un intreccio complicato di dogmi e doveri. Gesù ne indica il cuore: ama, hai fatto tutto. Ecco una donna venne- con un vasetto di profumo. Non con la cifra corrispondente (da dare ai poveri), non a mani vuote, non con un discorso di belle parole. Viene con quello che ha, con ciò che esprime amore, più che pentimento. Qualcosa per il corpo di Gesù, solo per il corpo, e che rivela amore. Bagna i suoi piedi con le lacrime, li asciuga con i capelli, li profuma, li bacia. Sono gesti imprevisti, nuovi, oltre la legge, oltre lecito e illecito, oltre doveri o obblighi, con una carica affettiva veemente. Ai quali Gesù non si sottrae, che apprezza. Bastava, come tanti altri, chiedere perdono. Ma perché questi gesti eccessivi, il profumo e le carezze e i baci? Già nella legge antica Dio aveva chiesto per sé un altare per i profumi; nel Cantico dei Cantici il profumo prolunga la presenza dell'amato, quando ha lasciato la stanza; le carezze e i baci sono la lingua universale dove è detto il cuore. Ogni gesto d'amore è sempre decretato dal cielo. Gesù gode il fiorire dell'amore, vede la donna uscire dalla contabilità del dare e dell'avere, come se avesse una specie di conto da regolare con il Signore, ed effondersi negli spazi della libertà e della creatività, fino a bruciare in un solo gesto un intero patrimonio di calcoli e di tristezze. Ogni gesto umano compiuto con tutto il cuore ci avvicina all'assoluto di Dio. Gesù guarda al di là delle etichette: arriva una donna, gli altri vedono una peccatrice, lui vede un'amante: ha molto amato. L'amore vale più del peccato. È la nostra identità. L'errore che hai commesso non rèvoca il bene compiuto, non lo annulla. È il bene invece che revoca il male di ieri e lo cancella. Una spiga conta più di tutta la zizzania del campo. Questo Dio che ama il profumo e le carezze, mi commuove. Non è il grande contabile del cosmo, ma è offerta di solarità, possibilità di vita profonda, gioiosa, profumata, che sa le sorgenti della gioia, del canto, dell'amicizia. Un solo gesto d'amore, anche muto e senza eco, è più utile al mondo dell'azione più clamorosa, dell'opera più grandiosa. È la rivoluzione totale di Gesù, possibile a tutti, possibile ogni giorno.


(Letture: 2 Samuele 12,7-10.13; Salmo 31; Galati 2,16.19-21; Luca 7,36-8,3).


padre Ermes Ronchi


_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
18/06/2010 07:56



Il Vangelo della prossima Domenica

È l'amore disarmato quello che salva


XII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».


Le folle chi dicono che io sia? La risposta è bella e sbagliata. Dicono che sei un profeta: una creatura di fuoco e di luce, voce di Dio e suo respiro. La seconda domanda arriva diretta, esplicita: Ma voi chi dite che io sia? Preceduta da un «ma», come se i Dodici appartenessero ad un'altra logica. Scrive Cristina Campo: ci sono due mondi / noi siamo dell'altro. La terza domanda, sottintesa, è diretta a me: ma tu chi dici che io sia? Gesù non chiede una risposta astratta: «chi è Dio», o «chi sono io»; mette in questione ciascuno di noi: tu, con il tuo cuore, la tua fatica, il tuo peccato e la tua gioia, «Chi sono io per te?» Non è la definizione di Cristo che è in gioco, ma quanto di lui vive nella tua esistenza. Allora chiudere tutti i libri e aprire la vita. Gesù ci educa alla fede attraverso domande, perché niente è ovvio, né Dio né l'uomo, né il bene né il male. Non servono studi, letture, catechismi, ma fame di pane e di assoluto. Ciascuno, che ha Dio nel sangue, deve dare la sua risposta. Ed è una risposta in-finita, mai finita. Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che vivo di lui; non è le mie parole ma la mia passione. La verità è ciò che arde. «Il Tuo nome brucia su tutte le labbra: Tu ardi» canta Efrem Siro. Se Cristo non è io non sono. Gesù stesso offre l'inizio della risposta: il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, venire ucciso e poi risorgere. Ecco chi è: un Crocifisso amore, dove non c'è inganno. Che inganno può nascondere uno che morirà di dolore e di amore per te? Disarmato amore che non è mai entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero, che non ha assoldato guardie, che i nemici non li teme, li ama. Amore vincente. Pasqua è la prova che Dio procura vita a chi produce amore. Amore indissolubile, da cui «nulla mai ci separerà» (Rom 8,38). Nulla mai: due parole assolute, perfette, totali. Niente fra le cose, nessuno fra i giorni. Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua. Non è un invito alla rassegnazione, non occorreva Gesù per questo. La Croce è invece la sintesi della sua storia: scegli per te una vita che sia il riassunto della mia vita. Prendi su di te la tua porzione d'amore, altrimenti non vivi. Accetta la porzione di croce che ogni passione porta con sé, altrimenti non ami. Non un invito a patire di più, ma a far fiorire di più la zolla del cuore, a conquistare la sua infinita passione per Dio e per l'uomo, per tutto ciò che vive sotto il sole, e oltre il grande arco del sole.


(Letture: Zaccaria 12,10-11;13,1; Salmo 62; Galati 3,26-29; Luca 9,18-24)

padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
25/06/2010 06:22



Il Vangelo della prossima Domenica

Amare Gesù in nuda povertà

XIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».


Tre brevi dialoghi su come seguire Gesù. Il primo personaggio che entra in scena è un generoso e dice: Ti seguirò, dovunque tu vada! Gesù deve avere gioito per lo slancio, deve aver apprezzato l'entusiasmo giovane di quest'uomo. Eppure risponde: Pensaci. Neanche un nido, neanche una tana, solo strada, ancora strada. Non un posto dove posare il capo, se non in Dio, quotidianamente dipendente dal cielo. Così è Gesù: nudo amore che deve essere amato in nuda povertà. Eppure seguirlo è scoprire una ricchezza che mai avrei immaginato; è diventare ricchi, non di cose, di luoghi o nidi, ma di incontri, di opportunità, di luce. Gesù non ha una casa, ma ne trova cento sul suo cammino, colme di volti amici. Le parole di Gesù sono sempre, anche quelle dure, una risposta al nostro bisogno di felicità. Il secondo riceve un invito diretto: Seguimi! E questi risponde: sì. Solo permettimi di andare prima a seppellire mio padre. La richiesta più legittima che si possa pensare, dovere di figlio, compito di umanità. Gesù replica con parole tra le più dure del vangelo: Lascia che i morti seppelliscano i morti! Parole che dicono: è possibile essere dei morti dentro, vivere una vita spenta, una religiosità oscura, tenebrosa, intrisa di paure. Parole dure che sottintendono però: segui me, io ti darò il segreto della vita autentica! Il Vangelo è sempre un inno alla vita, scoperta di bellezza, incremento di umanità. Infine il terzo dialogo: Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che mi congedi da quelli di casa. Una richiesta delicata e naturale. È così duro il cammino senza amici e senza affetti! Tutto si gioca attorno a una parola-simbolo: «prima». La cosa da fare prima, indica la priorità del cuore, quello che sta in cima ai tuoi pensieri, il tuo Dio o il tuo idolo. La risposta di Gesù: Non voltarti indietro, non guardare a ciò che ti mancherà, ma a ciò che ti viene donato. Non guardare alle difficoltà, ma all'orizzonte che si apre. Non alla nostalgia, ma alla strada e ai grandi campi del mondo. La fede spalanca orizzonti più grandi. Chi si volta indietro non è adatto al Regno. Ma allora chi è adatto? Chi non si è mai voltato indietro? Non Pietro, non Giacomo e gli altri. Non ce l'hanno fatta i Dodici, come posso pensare di farcela io? Ma Gesù non cerca eroi incrollabili per il suo regno, ma uomini e donne autentici che sappiano sceglierlo ogni giorno di nuovo, che sappiano rispondere «sì», ogni volta, come Pietro, all'unica domanda: mi vuoi bene?


(1 Re 19,16.19-21; Salmo 15; Gàlati 5,1.13-18; Luca 9,51-62)


padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
02/07/2010 06:17


Il Vangelo della prossima Domenica

L'annuncio, contagio buono

XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: -Pace a questa casa!-. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: -È vicino a voi il regno di Dio-».


Partono senza pane, né sacca, né denaro, senza nulla di superfluo, anzi senza nemmeno le cose più utili. Solo un bastone cui appoggiare la stanchezza e un amico a sorreggere il cuore. Senza cose. Semplicemente uomini. Perché l'incisività del messaggio non sta nello spiegamento di forza o di mezzi, ma nel bruciore del cuore dei discepoli, sta in quella forza che ti fa partire, e che ha nome: Dio. La forza del Vangelo, e del cristianesimo, non sta nell'organizzazione, nei mass-media, nel denaro, nel numero. Ancora oggi passa di cuore in cuore, per un contagio buono. Partono senza cose, perché risalti il primato dell'amore. L'abbondanza di mezzi forse ha spento la creatività nelle chiese. Il viaggio dei discepoli è come una discesa verso l'uomo essenziale, verso quella radice pura che è prima del denaro, del pane, dei ruoli. Anche per questo saranno perseguitati, perché capovolgono tutta una gerarchia di valori. Gesù affida ai discepoli una missione che concentra attorno a tre nuclei: Dove entrate dite: pace a questa casa; guarite i malati; dite loro: è vicino a voi il Regno di Dio. I tre nuclei della missione: seminare pace, prendersi cura, confermare che Dio è vicino. Portano pace. E la portano a due a due, perché non si vive da soli, la pace. La pace è relazione. Comporta almeno un altro, comporta due in pace, in attesa dei molti che siano in pace, dei tutti che siano in pace. La pace non è semplicemente la fine delle guerre: Shalom è pienezza di tutto ciò che desideri dalla vita. Guariscono i malati. La guarigione comincia dentro, quando qualcuno si avvicina, ti tocca, condivide un po' di tempo e un po' di cuore con te. Esistono malattie inguaribili, ma nessuna incurabile, nessuna di cui non ci si possa prendere cura. Poi l'annuncio: è vicino, si è avvicinato, è qui il Regno di Dio. Il Regno è il mondo come Dio lo sogna. Dove la vita è guarita, dove la pace è fiorita. Dite loro: Dio è vicino, più vicino a te di te stesso; è qui, come intenzione di bene, come guaritore della vita. E poi la casa. Quante volte è nominata la casa in questo brano! La casa, il luogo più vero, dove la vita può essere guarita. Il cristianesimo dev'essere significativo nel nostro quotidiano, nei giorni delle lacrime e della festa, nei figli buoni e in quelli prodighi, quando l'amore sembra lacerarsi, quando l'anziano perde il senno e la salute. Lì la Parola è conforto, forza, luce; lì scende come pane e come sale, sta come roccia la Parola di Dio, a sostenere la casa.


(Letture: Isaia 66,10-14; Salmo 65; Galati 6,14-18; Luca 10,1-12.17-20)

padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
09/07/2010 07:29


Il Vangelo della prossima Domenica

Una terra abitata da prossimi

XV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C


In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, [...] chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: -Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno-. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così».


Maestro, che cosa devo fare per essere vivo, per essere uomo vero? Gesù risponde con un racconto in cui è racchiusa la possibile soluzione della storia, la sorte del mondo e il destino di ognuno. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Un uomo, dice Gesù. Guai se ci fosse un aggettivo, buono o cattivo, ricco o povero, dei nostri o straniero. Può essere perfino un disonesto, un brigante anche lui. È l'uomo, ogni uomo aggredito e che ha bisogno. Ogni strada del mondo va da Gerusalemme a Gerico. Il mondo geme, con le vene aperte; c'è un immenso peso di lacrime in tutto ciò che vive, un oceano di uomini derubati, umiliati, violati, naufragati per ogni continente. È questo il nome eterno dell'uomo. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada. Il primo che passa, un prete, un uomo spirituale, passa oltre. Ma cosa c'è oltre? Oltre il dolore, oltre la carne dell'uomo non c'è lo spirito, bensì il nulla. Quel prete non troverà mai Dio. «Percorri l'uomo, dice sant'Agostino, e raggiungerai Dio». Uomo, via maestra verso l'assoluto! Invece un samaritano che era in viaggio lo vide, ne ebbe compassione, gli si fece vicino. Un samaritano: uno straniero, un extracomunitario d'oggi, ha compassione e si avvicina, scende da cavallo, forse ha paura, non è spontaneo fermarsi. Misericordia - avere cuore per il dolore - non è un istinto, ma una conquista. Bisogna avvicinarsi, vedere gli occhi, ascoltare il respiro, allora ti accorgi che quell'uomo è tuo fratello, un pezzo di te. E nulla di ciò che è umano ti può essere estraneo. Il racconto di Luca mette in fila dieci verbi per descrivere l'amore: lo vide, si mosse a pietà, si avvicinò, scese, versò, fasciò, caricò, lo portò, si prese cura, pagò... fino al decimo verbo: al mio ritorno salderò il debito se manca qualcosa. Questo è il nuovo decalogo, i nuovi dieci comandamenti, una proposta per ogni uomo, credente o no, perché l'uomo sia uomo, la vita sia amica, la terra sia abitata da «prossimi», non da avversari. Ma chi è il mio prossimo? Gesù risponde: tuo prossimo è chi ha avuto compassione di te. Allora ricordati di amare i tuoi samaritani, quelli che ti hanno salvato, hanno versato olio e vino sulle tue ferite, e riversato affetto in cuore. Non dimenticare chi ti ha soccorso e ha pagato per te. Li devi amare, con gioia, con festa, con gratitudine. E poi da loro imparare. Va e anche tu fa lo stesso. Anche tu diventa samaritano, fatti prossimo, mostra misericordia. Il vero contrario dell'amore non è l'odio, è l'indifferenza.


(Letture: Deuteronomio 30,10-14; Salmo 18; Colossesi 1,15-20; Luca 10,25-37)

padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
16/07/2010 07:16


Il Vangelo della prossima Domenica

L'ascolto, primo servizio a Dio

XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C


In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».


Un rabbi che entra nella casa di due donne, sovranamente libero di andare dove lo porta il cuore. Libero di parlare alle donne, le escluse, come agli apostoli, seguendo la strada tracciata per la prima volta dall'angelo dell'annunciazione: mettere a parte le donne dei più riposti segreti del Signore. Gesù ha una meta, Gerusalemme, ma non tira mai dritto, non «passa oltre» quando incontra qualcuno. Per lui, come per il buon samaritano, ogni incontro diventa una meta. Maria seduta ai piedi del Signore ascolta la sua parola. Il primo servizio da rendere a Dio - e a tutti - è l'ascolto. Dare un po' di tempo e un po' di cuore; è dall'ascolto che comincia la relazione. Allora una sorta di contagio ti prende quando sei vicino a uno come Lui, un contagio di luce quando sei vicino alla luce. Mi piace immaginare questi due totalmente presi l'uno dall'altra, lui a darsi, lei a riceverlo. E li sento tutti e due felici, lui di aver trovato un nido e un cuore in ascolto, lei di avere un rabbi tutto per sé, per lei che è donna, a cui nessuno insegna. Lui totalmente suo, lei totalmente sua. Marta Marta tu ti affanni e ti agiti per troppe cose. Gesù, affettuosamente raddoppia il nome, non contraddice il servizio ma l'affanno, non contesta il cuore generoso di Marta ma l'agitazione. A tutti, ripete: attento a un troppo che è in agguato, a un troppo che può sorgere e ingoiarti, troppo lavoro, troppi desideri, troppo correre, «prima la persona poi le cose». Ti siedi ai piedi di Cristo e impari la cosa più importante: a distinguere tra superfluo e necessario, tra illusorio e permanente, tra effimero ed eterno. Dice Gesù: non ti affannare per nulla che non sia la tua essenza eterna. Gesù non sopporta che Marta, sia impoverita in un ruolo di servizio, che si perda nelle troppe faccende di casa: Tu, le dice Gesù, sei molto di più. Tu non sei le cose che fai; tu puoi stare con me in una relazione diversa, condividere non solo servizi, ma pensieri, sogni, emozioni, sapienza, conoscenza. Perché Gesù non cerca servitori, ma amici, non persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare delle cose dentro di sé, come santa Maria: ha fatto grandi cose in me l'Onnipotente. Il centro della fede non è ciò che io faccio per Dio, ma ciò che Dio fa per me. In me le due sorelle si tengono per mano. Con loro passerò da un Dio sentito come affanno, è Marta, a un Dio sentito come stupore, è Maria. Imparerò a passare da un Dio sentito come dovere, a un Dio sentito come desiderio.


(Genesi 18,1-10; Salmo 14; Colossesi 1,24-28; Luca 10,38-42)

padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
23/07/2010 07:39


Il Vangelo della prossima Domenica

Dio esaudisce sempre le sue promesse

XVII Domenica Tempo Ordinario - Anno C

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: -Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione». (...) Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto» (....)


«Signore insegnaci a pregare!» Tutte le preghiere di Gesù riportate dai Vangeli (oltre cento) iniziano con la stessa tipica parola: «Padre», il modo migliore per rivolgersi a Dio. Ma specifico di Gesù, esclusivamente suo, è il termine originario «Abbà» che i Vangeli riportano nella lingua di Gesù, l'aramaico, e il cui senso è «papà, babbo». È la parola del bambino, il dialetto del cuore, il balbettio del figlio piccolo. È parola di casa, non di sinagoga; sapore di pane, non di tempio. «Nella moltitudine delle preghiere giudaiche non si trova un solo esempio di questa parola "Abbà" riferita a Dio» (Jeremias). Solo in Gesù: Abbà-papà. Nel linguaggio corrente la parola «pregare» indica l'insistere, il convincere qualcuno, il portarlo a cambiare atteggiamento. Pregare per noi equivale a chiedere. Per Gesù no: pregare equivale a evocare dei volti: quello del Padre e quello di un amico. Nella preghiera di Gesù l'uomo si interessa della causa di Dio (il nome, il regno, la volontà) e Dio si interessa della causa dell'uomo (il pane, il perdono, il male), ognuno è per l'altro. E imparo a pregare senza mai dire io, senza mai dire mio, ma sempre Tu e nostro: il tuo Nome, il nostro pane, Tu dona, Tu perdona. Il Padre nostro mi vieta di chiedere solo per me: il pane per me è un fatto materiale, il pane per mio fratello è un fatto spirituale (Berdiaev). Pregare cambia la storia. «Amico prestami tre pani perché è arrivato un amico». Una storia di amicizia svela il segreto della preghiera. La parabola mette in scena tre amici: l'amico povero, l'amico del pane e il viaggiatore inatteso, carico di fame e di stanchezze, che rimane sullo sfondo ma è in realtà una figura di primo piano: rappresenta tutti coloro che bussano alla mia porta, che senza essere attesi sono venuti, che mi hanno chiesto pane e conforto. A Gesù sta a cuore la causa dell'uomo oltre a quella di Dio: non vuole che la preghiera diventi un dialogo chiuso, ma che faccia circolare l'amore (i tre pani) nel corpo del mondo. Da duemila anni ripetiamo il Padre Nostro, ma non siamo diventati fratelli e il pane continua a mancare. Una domanda enorme corrode le nostre preghiere: Dio esaudisce? «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse» (Bonhoeffer): Io sarò con te, fino alla fine del tempo. Dio si coinvolge, intreccia il suo respiro con il mio, mescola le sue lacrime con le mie. Se pregando non ottengo la cosa che chiedo, ottengo però sempre un volto di Padre e il sogno di un abbraccio.


(Letture: Genesi 18,20-32; Salmo 137; Colossesi 2,12-14; Luca 11,1-13).

padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
30/07/2010 07:37


Il Vangelo della prossima Domenica

Povertà e libertà: i bagagli della vita

XVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C


In quel tempo Gesù [...] disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: -Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!-. Ma Dio gli disse: -Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?-. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».


Un uomo ricco ha avuto un raccolto abbondante. Un particolare mi colpisce: non c'è nessuno attorno a quest'uomo. Nessun nome, nessun volto, nessuno nella casa, nessuno nel cuore. Ricco e al centro di un deserto! La ricchezza crea un deserto di relazioni autentiche, le cose soffocano gli affetti veri. Un uomo solo e non felice, perché la felicità dipende da due cose: non può mai essere solitaria e ha a che fare con il dono. Solitario, il cuore si ammala; isolato, muore. Un uomo che ripete continuamente un unico aggettivo «mio»: i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni, la mia vita, anima mia. Questa ossessione del mio. Le cose dominano il suo futuro, la sua vita ruota attorno ad esse. Vivere così è un lento morire. Infatti: «Stolto, questa notte morirai», anzi stai già morendo, hai allevato, hai nutrito la morte dentro di te. L'uomo non vive di solo pane, anzi di solo pane, di sole cose l'uomo muore... Stolto, dice Gesù, non perché cattivo, ma perché poco intelligente. Ha investito sul prodotto sbagliato, sul denaro e non sull'amore. La tua vita non dipende dai tuoi beni. Gesù non disprezza i beni della terra, quasi volesse disamorarci della vita, offre invece una risposta alla domanda di felicità. Il Vangelo dà per scontato che la vita umana sia, e non possa non essere, un'incessante ricerca di felicità. Vuoi vita piena, felicità vera? Non andare al mercato delle cose. Le cose promettono ciò che non possono mantenere. Sposta il tuo desiderio su altro, desidera dell'altro, un mondo dove l'evidenza non sia: più denaro è bene, meno denaro è male; un mondo come Dio lo sogna, che «amore e luce ha per confine». Non dai beni, da che cosa dipende allora la vita? Da tre cose: dalla tua vita interiore, dalle persone accanto a te, da una sorgente che non è in te ma in Dio. E queste tre cose devono essere in comunione, innestate tra loro. Allora sei vivo. Un giorno un visitatore arriva nella cella di un monaco del deserto. E conversando gli domanda: come mai hai così poche cose nella tua cella? Un letto, un tavolo, una sedia, una lampada. Il monaco replica: e tu come mai hai solo una sacca con te? Ma perché io sono in viaggio, risponde il visitatore. E il monaco: anch'io sono in viaggio. Fragile e precaria è la vita ma non perché finisce, solo perché sempre incamminata verso un altrove. In questa migrazione verso la vita, povertà e libertà fanno riscoprire la bellezza del mondo e la bontà delle cose, e come gustarle senza bisogno di possedere.


(Letture: Qoèlet 1,2;2,21-23; Salmo 94; Colossesi 3,1-5.9-11; Luca 12,13-21)

padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
06/08/2010 08:12


Il Vangelo della prossima Domenica

La bellezza di un Dio che si fa servo

XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «(...) Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro! (...)».


Un padrone parte e affida la sua casa ai servi. La vera fortuna di noi servi inaffidabili consiste nel fatto di avere un padrone così, pieno di fiducia verso di noi, che non nutre sospetti, cuore luminoso. Dio ha un cuore di luce e ti affida la casa, le persone, il mondo. E ti dice: tu puoi. Dio ha fede nell'uomo. La fiducia del mio Signore mi conquista, in convince, mi fa dire: beato sei tu perché Dio ha fede in te. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli... non è ovvio, non è scontato stare svegli, non è un fatto dovuto o un obbligo. Quell'attesa fino all'alba ha il potere di emozionare e sorprendere Dio, è più di quanto non si aspettasse. Genera infatti in lui una risposta quasi eccessiva, esultante. Ed è il punto commovente, sublime di questa parabola, il momento straordinario, quando accade l'impensabile: Dio da padrone diventa servitore: vi dico che si stringerà le vesti ai fianchi (è l'abbigliamento del servo) li farà sedere a tavola e passerà a servirli. Da quello stupore di Dio, viene una voce: «questi miei figli mi sorprendono, capaci di incantarmi con un di più, un eccesso, una veglia fino all'alba, un vaso di nardo, un perdono con tutto il cuore, gli ultimi due spiccioli gettati nel tesoro del tempio, l'abbraccio e il pane dati al più piccolo. Metto ancora la mia gioia nelle loro mani!». Dio non è il Padrone dei padroni, è il servitore della vita. Non abbiamo pensato abbastanza a che cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone castiga, il servo aiuta; il padrone giudica, il servo sostiene; il padrone detta ordini, il servo ascolta e apre il cuore. Questi è il solo che io servirò perché è l'unico che si è fatto mio servitore. Dov'è il tuo tesoro lì è anche il tuo cuore. Ciò che per me è più prezioso è ciò che più amo. «Ami la terra? Terra diventerai. Ami Dio? Diventerai come Dio», scrive Agostino. L'uomo diventa ciò che ama. La fede avanza per scoperta di tesori, non per doveri. La vita cresce non per obblighi o divieti, ma per una passione, e la passione nasce da una bellezza. La bellezza di un Dio così fa avanzare la mia fede. Un tesoro di persone e di speranze è il motore della vita. Sufficiente a mettersi in viaggio verso Colui che ha nome amore, pastore delle costellazioni e pastore dei cuori, che ci metterà a tavola e passerà a servirci, con tutta la gioia di un padre sorpreso da questi suoi figli, questo piccolo gregge, coraggioso e mai arreso, che veglia sui tesori di Dio, che veglia fino alle porte della luce.


(Letture: Sapienza 18, 6-9; Salmo 32; Ebrei 11, 1-2.8-19; Luca 12, 32-48)


padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
13/08/2010 09:47


Il Vangelo della prossima Domenica

Siamo germogli di luce nel mondo

Assunzione della Beata Vergine Maria


In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! [...] E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva [...]».


L'Assunzione di Maria al cielo in anima e corpo è l'icona del nostro futuro, anticipazione di un comune destino: annuncia che l'anima è santa, ma che il Creatore non spreca le sue meraviglie: anche il corpo è santo e avrà, trasfigurato, lo stesso destino dell'anima. Perché l'uomo è uno. I dogmi che riguardano Maria, ben più che un privilegio esclusivo, sono indicazioni esistenziali valide per ogni uomo e ogni donna. Lo indica benissimo la lettura dell'Apocalisse: vidi una donna vestita di sole, che stava per partorire, e un drago. Il segno della donna nel cielo evoca santa Maria, ma anche l'intera umanità, la Chiesa di Dio, ciascuno di noi, anche me, piccolo cuore ancora vestito d'ombre, ma affamato di sole. Contiene la nostra comune vocazione: assorbire luce, farsene custodi (vestita di sole), essere nella vita datori di vita (stava per partorire): vestiti di sole, portatori di vita, capaci di lottare contro il male (il drago rosso). Indossare la luce, trasmettere vita, non cedere al grande male. La festa dell'Assunta ci chiama ad aver fede nell'esito buono, positivo della storia: la terra è incinta di vita e non finirà fra le spire della violenza; il futuro è minacciato, ma la bellezza e la vitalità della Donna sono più forti della violenza di qualsiasi drago. Il Vangelo presenta l'unica pagina in cui sono protagoniste due donne, senza nessun altra presenza, che non sia quella del mistero di Dio pulsante nel grembo. Nel Vangelo profetizzano per prime le madri. «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo». Prima parola di Elisabetta, che mantiene e prolunga il giuramento irrevocabile di Dio: Dio li benedisse (Genesi 1,28), e lo estende da Maria a ogni donna, a ogni creatura. La prima parola, la prima germinazione di pensiero, l'inizio di ogni dialogo fecondo è quando sai dire all'altro: che tu sia benedetto. Poterlo pensare e poi proclamare a chi ci sta vicino, a chi condivide strada e casa, a chi porta un mistero, a chi porta un abbraccio: «Tu sei benedetto», Dio mi benedice con la tua presenza, possa benedirti con la mia presenza. «L'anima mia magnifica il Signore». Magnificare significa fare grande. Ma come può la piccola creatura fare grande il suo Creatore? Tu fai grande Dio nella misura in cui gli dai tempo e cuore. Tu fai piccolo Dio nella misura in cui Lui diminuisce nella tua vita. Santa Maria ci aiuta a camminare occupati dall'avvenire di cielo che è in noi come un germoglio di luce. Ad abitare la terra come lei, benedicendo le creature e facendo grande Dio.


(Letture: Apocalisse 11,19a;12,1-6a.10ab; Salmo 44; 1 Corinzi 15,20-27a; Luca 1,39-56)

padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
20/08/2010 09:19


Il Vangelo della prossima Domenica

Dio non si merita, ma si accoglie


XXI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C


... Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: -Signore, aprici!-. Ma egli vi risponderà: -Non so di dove siete-. Allora comincerete a dire: -Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze-. Ma egli vi dichiarerà: -Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!-. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».


Sono pochi quelli che si salvano, o molti? Gesù non risponde sul numero dei salvati ma sulle modalità. Dice: la porta è stretta, ma non perché ami gli sforzi, le fatiche, i sacrifici. Stretta perché è la misura del bambino: «Se non sarete come bambini non entrerete!». Se la porta è piccola, per passare devo farmi piccolo anch'io. I piccoli e i bambini passano senza fatica alcuna. Perché se ti centri sui tuoi meriti, la porta è strettissima, non passi; se ti centri sulla bontà del Signore, come un bambino che si fida delle mani del padre, la porta è larghissima. L'insegnamento è chiaro: fatti piccolo, e la porta si farà grande; lascia giù tutti i tuoi bagagli, i portafogli gonfi, l'elenco dei meriti, la tua bravura, sgònfiati di presunzione, dal crederti buono e giusto, e dalla paura di Dio, del suo giudizio. La porta è stretta ma aperta. In questo momento aperta. Quello che Gesù offre non è solo rimandato per l'aldilà, ma è salvezza che inizia già ora. È un mondo più bello, più umano, dove ci sono costruttori di pace, uomini dal cuore puro, onesti sempre, e allora la vita di tutti è più bella, più piena, più gioiosa se vissuta secondo il vangelo. È aperta e sufficiente per tanti, tantissimi, infatti la grande sala è piena, vengono da oriente e da occidente e sono folla e entrano, non sono migliori di noi o più umili, non hanno più meriti di noi, non è questo. Hanno accolto Dio per mille vie diverse. Dio non si merita si accoglie. Salvezza è accogliere Dio in me, perché cresca la mia parte divina, ed è così che io raggiungo pienezza. Più Dio equivale a più io. La porta è stretta ma bella, infatti l'attraversano rumori di festa, una sala colma, una mensa imbandita e un turbinare di arrivi, di colori, culture, provenienze diverse, un mondo dove gli uomini sono finalmente diventati fratelli, senza divisioni. Nel seguito della Parabola la porta da aperta si fa chiusa e una voce dura dice: «Voi, non so di dove siete». Sono come stranieri, eppure avevano seguito la legge, erano andati in chiesa... Tutti abbiamo sentito con dolore questa accusa: vanno in chiesa e fuori sono peggio degli altri... Può accadere, se vado in chiesa ma non accolgo Dio dentro. Dio che entra e mi trasforma, mi cambia pensieri, emozioni, parole, gesti. Mi dà i suoi occhi, e un pezzo del suo cuore. Il Dio della misericordia mi insegna gesti di misericordia, il Dio dell'accoglienza mi insegna gesti di accoglienza e di comunione. E li cercherà in me nell'ultimo giorno. E, trovandoli, spalancherà la porta.

(Letture: Isaia 66, 18-21; Salmo 116; Ebrei 12, 5-7.11-13; Luca 13, 22-30)


padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
26/08/2010 23:39


Il Vangelo della prossima Domenica

L'amore senza calcoli, motore di vita

XXII domenica del Tempo Ordinario Anno C

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: -Cèdigli il posto!-. Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: -Amico, vieni più avanti!-. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». (...)


La gente sta ad osservare Gesù e Gesù osserva gli invitati. C'è un incrociarsi di sguardi in quella sala che è la metafora della vita: conquistare i primi posti, competere, illusi che vivere sia vincere, prevalere, ottenere il proprio appagamento. Gesù propone un'altra logica: Tu vai a metterti all'ultimo posto. L'ultimo posto non è un castigo, è il posto di Dio, il posto di Gesù, venuto non per essere servito, ma per servire; è il posto di chi ama di più, di chi fa spazio agli altri. Amico, vieni più su, dirà allora l'ospite. A colui che ha scelto di stare in fondo alla sala è riservato questo nome intenso e dolce: amico. Amico di Dio e degli altri. L'ha dimostrato con quel gesto che sembra dire ad ognuno dei commensali: «Tu sei più importante di me, prima vieni tu». E così si fa amico di Dio, che eternamente altro non fa che considerare ogni uomo più importante di se stesso. Lo garantisce la Croce di Cristo. Quando offri una cena non invitare né amici, né fratelli, né parenti, né vicini ricchi: belli questi quattro gradini del cuore in festa, quattro segmenti del cerchio caldo degli affetti; non invitarli, perché poi anche loro ti inviteranno e il cerchio si chiude nell'eterna illusione del pareggio contabile tra dare e avere. Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Ecco di nuovo quattro gradini che ti portano oltre il cerchio della famiglia e degli affetti, oltre la gratificazione della reciprocità, che aprono finestre su di un mondo nuovo: dare in perdita, dare per primo, dare senza contraccambio. Nel Vangelo il verbo «amare» si traduce sempre con il verbo «dare». E sarai beato perché non hanno da ricambiarti. In questa piccola frase è contenuto il doppio segreto della felicità: essa ha sempre a che fare con il dono, non può mai essere solitaria. Doni un po' di felicità a qualcuno e subito la riattingi, moltiplicata, dal volto dell'altro. E sarai beato perché c'è più gioia nel dare che nel ricevere, come molti, come forse tutti abbiamo sperimentato. E sarai beato perché agisci come agisce Dio, come chi impara l'amore senza calcolo che solo fa ripartire il motore della vita. Invita i più poveri dei poveri e assicurati che non possano restituirti niente. Vangelo stravolgente e contromano, che convoca un altro modo di essere uomini, il coraggio di volare alto, nel cielo di Dio, «il totalmente Altro che viene affinché la storia diventi totalmente altra da quello che è» (Barth), affinché la forza giovane del Vangelo sia sempre come una breccia di luce.


(Letture: Siracide 3,17-20.28-29; Salmo 67; Ebrei 12, 18-19.22-24; Luca 14, 1. 7-14)


padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
03/09/2010 07:03


Il Vangelo della prossima Domenica

La felicità che solo Gesù può dare

XXIII Domenica Tempo ordinario-Anno C


In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: -Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro-. (...) Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».



«Se uno viene a me, e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli...». Le parole di Gesù bruciano, sono difficili, perfino pericolose se capite male, ma a capirle a fondo sono bellissime. Sembrano una crocifissione e sono una risurrezione del cuore. Spezzano la conchiglia per trovare la perla. Il centro di queste frasi non sta in una serie di «no» detti alle cose belle e forti della vita, ma in un «sì» detto a una cosa più bella ancora, che Dio solo ha e nessun altro può dare. L'accento delle frasi non è sulla rinuncia, ma sulla conquista. È come se Gesù dicesse: tu sai quanto è bello voler bene a padre, madre, moglie o marito, ai figli, quanto fa bene, quanto fa vivere. Io ti offro un bene ancora più grande e bello, che non toglie niente, aggiunge forza, gioia, profondità. Dice Gesù: io posso darti più di tutti gli affetti della famiglia... Sembrano le parole di uno fuori dalla realtà, di un esaltato: «Io ho qualcosa di più bello delle esperienze più belle che puoi fare sulla terra, io solo posso farti rintracciare la felicità. Io solo». Nessuno ha mai detto «Io» con questa forza e con questa pretesa. «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo»: «portare» è ben più di «sopportare»; «croce» non è la metafora di tutte le fatiche, le difficoltà e le sofferenze della vita; quella parola contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù. «Portare la propria croce» è una espressione forte che non si riduce a un invito alla rassegnazione, saggio ma in fondo scontato. Si tratta di una scelta attiva: scegli per te una vita che assomigli a quella di Gesù: pensa i suoi pensieri, ripeti le sue scelte, preferisci quelli che lui preferiva, vivi una vita come la sua, che sapeva amare come nessuno. Prendi su di te la tua porzione d'amore altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami. Allora capiamo che il cristiano non è figlio di una sottrazione, ma di una addizione, che Cristo è intensificazione dell'umano, che nominarlo equivale ad incrementare la vita. Al centro di tutto sta un Assoluto che offre la sua luce sulla vita e sulla morte, che dona eternità a tutto ciò che di più bello portiamo nel cuore. Che non toglie amori, ne aggiunge. Il discepolo è uno che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E la sua «fede diventa l'infinita passione per l'esistenza» ( Kierkegaard ). Questo Gesù non lo ami se non lo conosci, ma se arrivi a conoscerlo non lo lasci più.


(Letture: Sapienza 9,13-18; Salmo 89; Filèmone 1,9-10.12-17; Luca 14, 25-33).


padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
10/09/2010 08:43


Il Vangelo della prossima Domenica

Quel padre che difende la libertà

XXIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: -Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta-» [...].


Si è persa una pecora, si perde una moneta, si perde un figlio. Si direbbero quasi delle sconfitte di Dio. E invece l'amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto. Il Dio di queste parabole è un Dio che và dietro anche a uno solo. Uno, uno solo di noi, e per di più sbandato, è sufficiente a mettere Dio in cammino. Un uomo aveva due figli. Questo inizio, semplicissimo e favoloso, apre la parabola più bella. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa il centro del nostro vivere, nessuna lascia trasparire come questa il cuore di Dio. Un Dio differente, diverso non solo da quello dei Farisei, ma anche dall'immagine che noi ancora ci portiamo in cuore: un Padre che non vuole una casa abitata da figli-servi, obbedienti e scontenti, ma da figli-liberi, gioiosi e amanti. Il suo dramma sono due figli entrambi insoddisfatti, forse perché si credono servi. Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Questa crisi del ribelle l'abbiamo tutti vissuta, e spesso il gesto di rivolta non era che il preludio a una dichiarazione d'amore. Il Padre non si oppone, non è mai contro la libertà. Ma la storia ha una svolta drammatica: il figlio si trova a pascolare i porci. Il libero ribelle è diventato servo, affamato, «può rubare le ghiande ai porci, ma non può accontentarsi, come loro, delle sole ghiande. Crudeltà questa? No, Provvidenza» (Mazzolari). L'uomo nasce con il cuore malato di cose grandi e le piccole non saziano. Allora si ricorda del pane di casa, e si mette in cammino. Al padre non importa il motivo per cui il figlio ritorna, se per fame o per amore, se per paura o per pentimento, a lui basta che si metta in viaggio, e lo «vede quando è ancora lontano». Padre, non sono degno, trattami da servo. E lui lo interrompe, per convertirlo proprio dal suo cuore di servo, per restituirgli un cuore di figlio, un cuore in festa. Per questo non emana verdetti, né di condanna né di assoluzione, perché il primo sguardo di Dio non si posa mai sul peccato dell'uomo, ma sempre sulla sofferenza, per guarirla. Il fratello maggiore torna dai campi ed entra in crisi: «io ti ho sempre ubbidito, e tu non mi hai dato neanche un capretto». Ha misurato tutto sulla contabilità del dare e dell'avere, come un salariato. Il padre vuole salvare anche lui dal suo cuore di servo: «tu sei sempre con me, tutto ciò che è mio è tuo». Tutto! Avrà capito? Padre, non sono degno, ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio, la veste nuova, la festa. Sono l'eterno prodigo. Sono la tua agonia e la tua gioia. Sono il tuo figlio. Grazie di essere Padre a questo modo, un modo davvero divino.

(Letture: Esodo 32,7-11.13-14; Salmo 50; 1 Timoteo 1,12-17; Luca 15,1-32)

padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
17/09/2010 09:03


Il Vangelo della prossima Domenica


Accolti dagli amici in Paradiso

XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare". L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione?" [...]. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta". [...] Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.


Il padrone lodò l'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza: il padrone loda chi l'ha derubato. Questa conclusione sorprendente è il nodo cruciale del racconto che ha il suo punto di svolta in una domanda: e adesso che cosa farò? La soluzione adottata è quella di continuare la truffa, anzi di allargarla, eppure accade qualcosa che cambia il senso del denaro, ne rovescia il significato. L'amministratore trasforma la ricchezza in strumento di amicizia; regala pane, olio - vita - ai debitori; fa di ciò che ha un sacramento di comunione. La ricchezza di solito chiude le case, tira su muri, installa allarmi; ora invece il dono le apre: mi accoglieranno in casa loro. Gesù commenta la parabola con una parola bellissima: «Fatevi degli amici con la ricchezza», la più umana delle soluzioni, la più consolante, donando ciò che potete e più di ciò che potete, ciò che è giusto e perfino ciò che non lo è! Non c'è comandamento più gioioso e più nostro. E contiene la saggezza del vivere: chi vince davvero nel gioco della vita? Chi ha più amici, non chi ha più soldi. Notiamo le parole precise di Gesù: fatevi degli amici perché essi vi accolgano nella casa del cielo. Essi, non Dio. E non solo qua, ma nella vita eterna, hanno loro le chiavi del paradiso. Ma nelle braccia di chi hai aiutato ci sono le braccia di Dio. Perché il disonesto, e lo sono anch'io che ho sprecato tanti doni di Dio, sarà accolto nel Regno? Perché lo sguardo di Dio non cerca in me il male che ho commesso, ma il bene che ho seminato nei solchi del mondo. Non guarderà a te, ma attorno a te: ai tuoi poveri, ai tuoi debitori, ai tuoi amici. Sei stato disonesto? Ora copri il male di bene. Hai causato lacrime? Ora rendi felice qualcuno. Hai rubato? Ora comincia a dare. La migliore strategia che Dio propone: coprire il male di bene. E adesso che cosa farò? Senza volerlo l'amministratore fa qualcosa di profetico, opera verso i debitori allo stesso modo con cui Dio continuamente opera verso l'uomo: dona e perdona, rimette a noi i nostri debiti. Che fare? In tutte le nostre scelte il principio guida è sempre lo stesso: fare ciò che Dio fa, cuore di tutta l'etica cristiana. Siate misericordiosi come il Padre... amatevi come io vi ho amato... Mi piace questo Signore al quale la felicità dei figli importa più ancora della loro fedeltà, che pone le persone prima dei suoi interessi, prima del suo grano e del suo olio, che accoglierà me, fedele solo nel poco e solo di tanto in tanto, proprio con le braccia degli amici, di coloro con cui avrò creato comunione.

(Letture: Amos 8,4-7; Salmo 112; 1 Timoteo 2,1-8; Luca 16,1-13)

padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
24/09/2010 08:13



Il Vangelo della prossima Domenica

Amici dei poveri, nel cuore di Dio

XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfini i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi.


La parabola del ricco senza nome e del povero Lazzaro è una di quelle pagine che ci portiamo dentro come sorgente di comportamenti più umani. Il ricco è senza nome perché si identifica con le sue ricchezze, spesso il denaro diventa come la seconda natura, la seconda pelle di una persona. Il povero ha il nome dell'amico di Gesù, Lazzaro. Il Vangelo non usa mai dei nomi propri nelle parabole, solo qui fa un'eccezione, per dire che ogni povero è un amico di Dio. «Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell'inferno». In che cosa consiste il peccato del ricco? Nella cultura del piacere? Negli eccessi della gola? No. Il suo peccato è l'indifferenza: non un gesto, non una briciola, non una parola al povero Lazzaro. Il vero contrario dell'amore non è l'odio, ma l'indifferenza, per cui l'altro neppure esiste, è solo un'ombra fra i cani. Lazzaro è così vicino da inciamparci, e il ricco neppure lo vede. Il male più grande che noi possiamo fare è di non fare il bene. Il povero, è portato in alto; il ricco è sepolto in basso: ai due estremi della società in questa vita, ai due estremi dell'abisso dopo. Allora capiamo che l'eternità è già iniziata ora, che l'inferno è solo il prolungamento delle nostre scelte senza cuore. Nella parabola Dio non è mai nominato, eppure intuiamo che era presente, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero Lazzaro, a ricordarle per sempre. «Ti prego, manda Lazzaro con una goccia d'acqua sul dito (il ricco vede il povero in funzione di se stesso dei suoi interessi) mandalo ad avvisare i miei cinque fratelli...!» «Neanche se vedono un morto tornare si convertiranno!». Non è la morte che converte, ma la vita stessa. Dio è nella vita. Chi non si è posto il problema di Dio e dei fratelli davanti al mistero magnifico e dolente che è la vita non se lo porrà nemmeno davanti al mistero più piccolo che è la morte. Non sono i miracoli o le visioni a cambiare il cuore. Non c'è miracolo che valga il grido dei poveri: sono parola di Dio e carne di Dio: «qualsiasi cosa avete fatto a uno di questi piccoli l'avete fatto a me!» Nella loro fame è Dio che ha fame, nelle loro piaghe è Dio che è piagato. La terra è piena di Lazzari. Cerchi Dio? Non è nel ricco, benedetto nella sua prosperità; è nel piccolo, nello straniero, nel più piagato. È lì dove un uomo non ha attorno a sé nessuno, se non dei cani. Lì dove io ho paura di essere, Lui c'è. Se Gesù dà al povero il nome del suo amico Lazzaro, ogni povero abbia anche per me un nome d'amico.

(Letture: Amos 6,1.4-7; Salmo 145; 1 Timoteo 6,11-16; Luca 16,19-31)

padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
01/10/2010 08:31



Il Vangelo della prossima Domenica

La potenza di un granellino di fede

XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: -Sràdicati e vai a piantarti nel mare-, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: -Vieni subito e mettiti a tavola-? Non gli dirà piuttosto: -Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu-? (...) Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: -Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare-».


Gli apostoli dissero al Signore: accresci in noi la fede. Nel Vangelo tutte le preghiere, di uomini donne malati peccatori discepoli, stanno dentro due sole domande. La prima: Signore, abbi pietà; la seconda: aumenta la nostra fede. Qui è riassunto l'universo del cuore, il nostro mondo di dolore e di mistero. Aumenta la fede: perché senza fede non c'è vita umana. Come sarebbe possibile vivere senza fidarsi di qualcuno? Noi ci umanizziamo per relazioni di fiducia, a partire dai genitori, a cominciare dalla madre. Fede che una forza immensa penetra l'universo. Se aveste fede quanto un granellino di senape. Un granellino microscopico, basta pochissima fede, quasi niente: è questione di qualità, non di quantità. Non una fede sicura e spavalda, ma quella che nella sua fragilità ha ancora più bisogno di Dio, che nella sua piccolezza ha ancora più fiducia in Lui, e si abbandona, si affida. Potrete dire a questo gelso sradicati e vai a piantarti nel mare. Ho visto il mare riempirsi di alberi. Fuori metafora: ho visto missionari vivere in luoghi impossibili; ho visto uomini e donne di fede, nella loro casa, portare problemi senza soluzione, con un coraggio da leoni; ho visto mura invalicabili di odio dissolversi. Ho visto gelsi volare sul mare, e non attraverso miracoli spettacolari, ma con il miracolo quotidiano di un amore che non si arrende. Anche voi, quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili. Una parola che sembra contraddire altri passi del Vangelo (beato quel servo... il padrone lo metterà a tavola e passerà a servirlo), che ci sorprende con l'aggettivo «inutili». Inutile in italiano significa che non serve a niente, incapace. Ma non è questo il senso della parola originaria: servi non tanto inutili, ma che non si aspettano un utile, che non ricercano un vantaggio; servi senza pretese, né rivendicazioni, né secondi fini, che di nulla hanno bisogno se non di essere se stessi, che agiscono senza un fine che non sia la sola motivazione d'amore. Scrive Madre Teresa di Calcutta: nel nostro servizio non contano i risultati, ma quanto amore metti in ciò che fai. Il servizio è più vero dei suoi risultati, più importante della ricompensa e dei successi. Fede vera non è piantare alberi nel mare, neanche Gesù l'ha mai fatto. Fede vera è nel miracolo di dire: voglio essere semplicemente servitore di quelle vite che mi sono affidate: mio marito, mia moglie, i miei figli, l'anziano che ha perso la salute, e non avanzo neppure la pretesa della sua guarigione. Servitore come il mio Signore, venuto per servire, non per essere servito. Mi bastano allora grandi campi da arare, un granellino di fede, e occhi nuovi di speranza.

(Letture: Abacuc 1,2-3;2,2-4; Salmo 94; 2 Timoteo 1,6-8.13-14; Luca 17,5-10)

padre Ermes Ronchi






_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
08/10/2010 09:36


Il Vangelo della prossima Domenica

È la salvezza la vera guarigione


XXVIII Domenica del Tempo Ordinario-Anno C


Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».


Dieci lebbrosi fermi a distanza; solo occhi e voce; mani neppure più capaci di accarezzare un figlio: Gesù, abbi pietà. E appena li vede (subito, senza aspettare un secondo di più, perché prova dolore per il dolore del mondo) dice: Andate dai sacerdoti. È finita la distanza. Andate. Siete già guariti, anche se ancora non lo vedete. Il futuro entra in noi molto prima che accada, entra con il primo passo, come un seme, come una profezia, entra in chi si alza e cammina per un anticipo di fiducia concesso a Dio e al proprio domani. Solo per questo anticipo di fiducia dato a ogni uomo, perfino al nemico, la nostra terra avrà un futuro. Si mettono in cammino, e la speranza è più forte dell'evidenza. Ma chi vuol stare con l'evidenza si rassegni ad essere solo il custode del passato. Si mettono in cammino e la strada è già guarigione. E mentre andavano furono guariti. Il cuore di questo racconto risiede però nell'ultima parola: la tua fede ti ha salvato. Il Vangelo è pieno di guariti, un lungo corteo gioioso che accompagna l'annuncio. Eppure quanti di questi guariti sono anche salvati? Nove dei lebbrosi guariti non tornano: si smarriscono nel turbine della loro felicità, dentro la salute, la famiglia, gli abbracci ritrovati. E Dio prova gioia per la loro gioia come all'inizio aveva provato dolore per il loro dolore. Non tornano anche perché ubbidiscono all'ordine di Gesù: andate dai sacerdoti. Ma Gesù voleva essere disubbidito, alle volte l'ubbidienza formale è un tradimento più profondo. «Talvolta bisogna andare contro la legge, per esserle fedeli in profondità» (Bonhoffer). Come fa Gesù con la legge del sabato. Uno solo torna, e passa da guarito a salvato. Ha intuito che il segreto non sta nella guarigione, ma nel Guaritore. È il Donatore che vuole raggiungere non i suoi doni, e poter sfiorare il suo oceano di pace e di fuoco, di vita che non viene meno. Nel lebbroso che torna importante non è l'atto di ringraziare, quasi che Dio fosse in cerca del nostro grazie, bisognoso di contraccambio; è salvo non perché paga il pedaggio della gratitudine, ma perché entra in comunione: con il proprio corpo, con i suoi, con il cielo, con Cristo: gli abbraccia i piedi e canta alla vita. I nove guariti trovano la salute; l'unico salvato trova la salute e un Dio che fa fiorire la vita in tutte le sue forme, che dona pelle di primavera ai lebbrosi, un Dio la cui gloria non sono i riti ma l'uomo vivente. Ritornare uomini, ritornare a Dio: sono queste le due tavole della legge ultima, i due movimenti essenziali d'ogni salvezza.


(Letture: 2 Re 5,14-17, Salmo 97; 2 Timoteo 2,8-13; Luca 17,11-19)


padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
15/10/2010 08:41


Il Vangelo della prossima Domenica

La lezione di preghiera della vedova

XXIX Domenica Tempo Ordinario - Anno C


In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli (..) «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: -Fammi giustizia contro il mio avversario-. Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: -Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi-». E il Signore soggiunse: «(...) Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente (...)».


Per mostrarci che bisogna pregare sempre senza stancarsi Gesù ci invita a scuola di preghiera da una povera vedova. Lungo tutto il vangelo il Maestro rivela come una predilezione particolare per le donne sole e le rende strumento di verità decisive. C'era un giudice corrotto in una città. E una vedova si recava ogni giorno da lui: fammi giustizia! Che bella immagine di donna forte, dignitosa; che non si arrende all'ingiustizia e nessuna sconfitta l'abbatte. In questa donna, fragile e indomita, Gesù mostra due cose: il modo di chiedere (con tenacia e fiducia) e il contenuto della richiesta. La vedova chiede giustizia a chi fa la giustizia, chiede al giudice di essere vero giudice, di essere se stesso. E così accade nel nostro andare da Dio: pregare è in fondo chiedere a Dio di darci se stesso. Ed è tutta la prima parte del Padre Nostro: sia santificato il tuo nome..., sia fatta la tua volontà. Che è come chiedere Dio a Dio: donaci te stesso! Il grande mistico Maister Eckart diceva: Dio non può dare nulla di meno di se stesso. E Caterina da Siena aggiungeva: ma dandoci se stesso ci dà tutto. Ma allora perché pregare sempre? Non perché la risposta tarda, ma perché la risposta è infinita. Perché Dio è un dono che non ha termine, mai finito. E poi per riaprire i sentieri. Se non lo percorri spesso, il sentiero che conduce alla casa dell'amico si coprirà di rovi. Vanno sempre riaperti i sentieri del Dio amico. Ma come si fa a pregare sempre? A lavorare, incontrare persone, studiare, dormire e nello stesso tempo pregare? Innanzitutto pregare non significa recitare preghiere, ma sentire che la nostra vita è immersa in Dio, che siamo circondati da un mare d'amore e non ce ne rendiamo conto. Pregare è come voler bene. Se ami qualcuno, lo ami sempre. Qualsiasi cosa tu stia facendo non è il sentimento che si interrompe, ma solo l'espressione del sentimento. «Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre. Quand'è che la preghiera sonnecchia? Quando si raffredda il desiderio» (sant'Agostino). Pregare sempre si può: la preghiera è il nostro desiderio di amore. Ma Dio esaudisce le preghiere? Sì, Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse (Bonhoeffer): il Padre darà lo Spirito Santo (Lc 11,13), io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora in lui (Gv 14,23). Non si prega per ricevere ma per essere trasformati. Non per ricevere dei doni ma per accogliere il Donatore stesso; per ricevere in dono il suo sguardo, per amare con il suo cuore.


(Letture: Esodo 17, 8-13; Salmo 120; 2 Timòteo 3, 14-4,2; Luca 18, 1-8).

padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
22/10/2010 09:16


Il Vangelo della prossima Domenica

Infelice chi guarda solo a se stesso

XXX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola (...): «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: -O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo-. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: -O Dio, abbi pietà di me peccatore-. Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».


Gesù, rivolgendosi a chi si sente a posto e disprezza gli altri, denuncia anche a noi i rischi della preghiera: non si può pregare e disprezzare, adorare Dio e umiliare i suoi figli. Ci si allontana dagli altri e da Dio; si torna a casa, come il fariseo, con un peccato in più. Il fariseo inizia con le parole giuste: O Dio, ti ringrazio. Ma tutto ciò che segue è sbagliato: ti ringrazio di non essere come tutti gli altri, ladri, ingiusti, adulteri. Non si confronta con Dio, ma con gli altri, e gli altri sono tutti disonesti e immorali. In fondo è un infelice, sta male al mondo: l'immoralità dilaga, la disonestà trionfa... L'unico che si salva è lui stesso. Onesto e infelice: chi guarda solo a se stesso non si illumina mai. Io digiuno, io pago le decime, io... Il fariseo è affascinato da due lettere magiche, stregate, che non cessa di ripetere: io, io, io. È un Narciso allo specchio, Dio è come se non esistesse, non serve a niente, è solo una muta superficie su cui far rimbalzare la propria auto sufficienza. Il fariseo non ha più nulla da ricevere, nulla da imparare: conosce il bene e il male, e il male sono gli altri. Che è un modo terribilmente sbagliato di pregare, che può renderci «atei». Invece, nel Padre Nostro, modello di ogni preghiera, mai si dice «io» o «mio», ma sempre «tuo» o «nostro». Il tuo regno, il nostro pane. Il fariseo ha dimenticato la parola più importante del mondo: tu. Vita e preghiera percorrono la stessa strada: la ricerca mai arresa di un tu, uomo o Dio, in cui riconoscersi, amati e amabili, capaci di incontro vero, quello che fa fiorire il nostro essere. Il pubblicano non osava neppure alzare gli occhi, si batteva il petto e diceva: Abbi pietà di me peccatore. Due parole cambiano tutto nella sua preghiera e la fanno vera. La prima parola è tu: Tu abbi pietà. Mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che lui fa, il pubblicano la edifica attorno a quello che Dio fa. La seconda parola è: peccatore, io peccatore. In essa è riassunto un intero discorso: «sono un ladro, è vero, ma così non sto bene; non sono onesto, lo so, ma così non sono contento; vorrei tanto essere diverso, non ci riesco; e allora tu perdona e aiuta». Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, non perché più umile del fariseo (Dio non si merita, neppure con l'umiltà), ma perché si apre - come una porta che si socchiude al sole, come una vela che si inarca al vento - a un Dio più grande del suo peccato, vento che fa ripartire. Si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza.


(Letture: Siracide 35,15-17.20-22; Salmo 33; 2 Timoteo 4,6-8.16-18; Luca 18,9-14)

padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 2 3 4 5 6 7 8 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi


Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 14:27. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com