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IL MESSAGGIO 2 - Parole di luce - Il Vangelo commentato della Domenica

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2013 17:11
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Il Vangelo di Domenica:

Dio regala gioia a chi produce amore


XXII domenica
Tempo Ordinario - Anno C

(...) Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Disse poi a colui che l'aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio (...)».

Gesù amava i banchetti, li adottava a simbolo della fraternità e a pulpito del suo annuncio di un Dio e un mondo nuovi. Invitarlo però era correre un bel rischio, il rischio di gesti e parole capaci di mettere sottosopra la cena, di mandare in crisi padroni e invitati.
Ed ecco che, presso un capo dei farisei, diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti, notando come entrare nella sala era entrare in un clima di competizione, osservando come si dissolveva in invidie e rancori il senso della cena insieme che è la condivisione. Vedendo la corsa ai primi posti, reagisce opponendo a quella ricerca di potere un gesto eloquente e creativo: Quando sei invitato va a metterti all'ultimo posto. Ma non per umiltà, non per modestia, ma per creare fraternità, per dire all'altro: prima tu e dopo io; tu sei più importante di me; vado all'ultimo posto non perché io non valgo niente, ma perché tu, fratello, sia servito per primo e meglio. L'ultimo posto non è una condanna, è il posto di Dio, venuto per servire e non per essere servito. La pedagogia di Gesù è «opporre ai segni del potere il potere dei segni» (Tonino Bello), segni che tutti capiscono, che parlano al cuore. All'ultimo posto non per umiltà ma per rovesciare, per invertire la scala di valori su cui poggia la nostra convivenza e per delineare un altro modo di abitare la terra.
E poi, rivolto a colui che l'aveva invitato, aggiunge: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini. Sono i legami normali che garantiscono l'eterno equilibrio del dare e dell'avere, la difesa dei tuoi beni e gli interessi del tuo gruppo; sono i legami che tengono insieme un mondo che si difende e si protegge, che segue la legge un po' gretta della reciprocità e del baratto, e che non crea inclusione.
Ma c'è, alla periferia del tuo, un altro mondo, e ti riguarda: Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Accogli quelli che nessuno accoglie, crea comunione con chi è escluso dalla comunione, dona senza contraccambio, dona in perdita a coloro che davvero hanno bisogno e non possono restituire niente. Gesù ha un sogno: un mondo dove nessuno è escluso, una città da costruire partendo dalle periferie, dagli ultimi della fila, dagli uomini del pane amaro.
«E sarai beato perché non hanno da ricambiarti». Sarai beato, troverai la gioia e il senso pieno del vivere nel fare le cose non per interesse, ma per generosità. È la legge della vita: per star bene l'uomo deve dare, amando per primo, in perdita, senza contraccambio. Sarai beato: perché Dio regala gioia a chi produce amore.

(Letture: Siràcide 3, 17-20.28-29; Salmo 67; Ebrei 12, 18-19.22-24; Matteo 11,29)


Padre Ermes Ronchi



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Il Vangelo di Domenica:

Gesù ci insegna ad amare di più


XXIII Domenica
Tempo ordinario - Anno C

(...) «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. (...) Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».


Gesù, vedendo la folla numerosa che lo segue, si volta per metterla in guardia, chiarendo bene che cosa comporti andare dietro a lui. Gesù non illude mai, non strumentalizza entusiasmi o debolezze, vuole invece adesioni meditate, mature
e libere. Perché alla quantità di discepoli preferisce la qualità. E indica tre condizioni per seguirlo. Radicali.
Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Parole che sembrano dure, eccessive, le diresti la crocifissione del cuore, con i suoi affetti, e invece ne sono la risurrezione. Infatti il verbo centrale su cui poggia tutta l'architettura della frase è: se uno non mi ama di più... Non si tratta di una sottrazione, ma di una addizione. Gesù non ruba amori, aggiunge un "di più". Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato che ottiene non è una limitazione ma un potenziamento. Dice Gesù: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti, io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è il sigillo, la garanzia che se stai con Lui, se lo tieni con te, i tuoi amori saranno custoditi più vivi e più luminosi.
Seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della malattia da sopportare. Ma nel Vangelo la parola "croce" contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù. Croce è: amore senza misura e senza rimpianti, disarmato amore che non si arrende, non inganna e non tradisce. Che va fino alla fine. Gesù possiede la chiave dell'andare fino in fondo alle ragioni dell'amore.
Allora le due prime condizioni: Amare di più e portare la croce si illuminano a vicenda. Prendi su di te una porzione grande di amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami.
La terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è innanzitutto un sacrificio ascetico, ma un atto di libertà: esci dall'ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: «io ho, accumulo, e quindi sono e valgo». Un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti (M.L. King).
Lascia giù le cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più, ma ad amare di più. Allora nominare Cristo e il Vangelo equivarrà a confortare la vita.

(Letture: Sapienza 9, 13-18; Salmo 89; Filèmone 9b-10. 12-17; Luca 14, 25-33)

Padre Ermes Ronchi




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Il Vangelo di Domenica:

Dio è amico di quanti gli sono nemici


XXIV Domenica
Tempo ordinario - Anno C

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. (...)

Le tre parabole della misericordia sono davvero il Vangelo del Vangelo. Sale dal loro fondo un volto di Dio che è la più bella notizia che potevamo ricevere.
Gesù accoglieva i peccatori e mangiava con loro. E questo scandalizzava i farisei:Questi peccatori sono i nemici di Dio! E Gesù per tre volte a mostrare che Dio è amico di quanti gli sono nemici. Pubblicani e prostitute sono lontani da Dio! Stai lontano da loro! E Gesù a raccontare che Dio è vicino a quanti si sono perduti lontano.
Scribi e sacerdoti si ribellano a questa idea di Dio. Loro pensano di conoscere, di circoscrivere i luoghi di Dio: Dio è nel tempio, nell'osservanza della legge, nei sacrifici, nella religione, nella penitenza. Gesù abbatte tutti questi recinti: Dio è nella vita, là dove un figlio soffre e si perde, è nella paura della pecora smarrita, è accanto all'inutilità della moneta perduta, nella fame del figlio prodigo. I farisei, i moralisti dicono: troverai Dio come risultato dei tuoi sforzi. Gesù dice: sarà Dio a trovare te; non fuggire più, lasciati abbracciare, dovunque tu sia, e ci sarà gioia libertà e pienezza.
Le tre parabole, mettendo in scena perdita e ritrovamento, sottolineano la pena di Dio che cerca, ma molto di più la gioia quando trova.
Ecco allora la passione del pastore, il suo inseguimento per steppe e pietraie. La pecora perduta non torna da sé all'ovile; non è pentita, ma è a rischio della vita; non trova lei il pastore, ma è trovata; non è punita, ma caricata sulle spalle, perché sia più leggero il ritorno.
Un Dio pastore che è in cerca di noi molto più di quanto noi cerchiamo lui. Se anche noi lo perdiamo, lui non ci perde mai. Un Dio donna-di-casa che ha perso una moneta, madre in ansia che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota; che accende la lampada e si mette a spazzare ogni angolo e troverà il suo tesoro, lo troverà sotto tutta la spazzatura raccolta nella casa. E mostra come anche noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare, in noi e negli altri, un piccolo grande tesoro anche se in vasi di creta, pagliuzze d'oro nella corrente e nel fango.
Tutte e tre le parabole terminano con un identico crescendo. L'ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra, che convoca amici e vicini. Da che cosa nasce la felicità di Dio? Da un innamoramento! Questo perdersi e cercarsi, questo ritrovarsi e perdersi di nuovo, è la trama del Cantico dei Cantici. Dio è l'Amata che gira di notte nella città e a tutti chiede una sola cosa: avete visto l'amato del mio cuore? Sono io l'amato perduto. Dio è in cerca di me. Io non fuggirò più.
(Letture: Esodo 32, 7-11.13-14; Salmo 50; 1 Timoteo 1, 12-17; Luca 15, 1-32)


Padre Ermes Ronchi

_________Aurora Ageno___________
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