"Le ali della libertà" di F. Daranbont

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lucky_luke
00mercoledì 1 ottobre 2008 14:12
"Le ali della libertà" di F. Daranbont


Io lo ribattezzerei:
"LE ALI DELL’ANIMA"


Dal buio la porta si apre.
Andy è fuggito, le grandi vetrate investono di luce Red che si appresta a subire l’ennesimo colloquio di fronte alla commissione per il rilascio della libertà vigilata.
Si accomoda sulla sedia, la cinepresa è su di lui e passa lentamente da un campo medio ad un primo piano, mettendo in risalto la disincantata, determinata serenità d’animo con cui egli si appresta a parlare, che traspare dallo sguardo fermo e risoluto.
Questa volta non è lì per elemosinare comprensione, per questuare pietà, ma per affermare la sua dignità, la sua sofferenza interiore, oltre ogni burocratica indulgenza.
Ed ecco che il termine "riabilitazione" suona per lui come un offesa, una gogna superata dal prezzo pagato dalla sua carcerazione. Non un costo temporale, bensì l’evoluzione tormentata delle proprie consapevolezze: l’impossibilità di renderle esplicite nei confronti di chi ha subito le sue malvagità. Non si può tornare indietro, ed in questa lapidaria considerazione sta di fatto, paradossalmente, la sua redenzione. Se è vero che in ogni film c’è una scena che emblematicamente riassume i suoi significati più profondi, che come una carta assorbente ne raccoglie e condensa ogni più tenue vibrazione emotiva, quella sopra descritta appartiene secondo me a questa categoria.

"Le ali della libertà" di F. Daranbont non è certamente un capolavoro. La vicenda è fin troppo banale e "condita" da ogni sorta di luoghi comuni che rimandano a quel genere cinematografico che viene definito "Carcerario".
La domanda allora può essere la seguente:
"Perché tra i quattro films proposti dal concorso scegliere proprio questo?".
Perché questo film non può essere etichettato, l’evolversi della vicenda umana dei due protagonisti (Andy e Red) è così silenziosamente dirompente che travalica anche la volontà del regista. Egli da buon artigiano continua la narrazione , con quel suo stile essenziale e privo di orpelli, non risparmiandoci l’happy end nonostante che la storia vera sia terminata con la scena che ho citato all’inizio. Intendendo per "storia" quel coacervo di avvenimenti emotivi e razionali che conducono un individuo o più individui che ne fruiscono a sentire dentro di sé delle trasformazioni sostanziali.
La forza delle emozioni tracima e sfugge alla rigida strutturalità narrativa. Daranbont perde il controllo delle vicende emotive lasciandone l’elaborazione psicologica agli spettatori.
Da quel momento in poi, infatti, il susseguirsi degli accadimenti sembra essere superfluo, come se l’acquisizione delle consapevolezze di Red avesse in qualche modo soverchiato qualsiasi altra cosa, rendendone il significato meramente descrittivo.

Un film sulla libertà? Un film sulla redenzione? Ne l’una e né l’altra ed entrambe insieme, perché è un film sull’uomo, sulla sua capacità di interiorizzare la speranza, facendola vivere dentro di sé per poi trasmetterla, come un virus benefico , agli altri suoi simili.
In questo senso Andy potrebbe essere definito "il portatore sano" di questa affezione.
Una sorta di anti-eroe disilluso che attraverso un sentiero irto di difficoltà riesce non a donare "le ali" a Red, bensì a fare in modo che egli acquisti la consapevolezza delle proprie.
La speranza, che viene definita un lusso da non permettersi, alla fine diviene l’arma con cui combattere la voglia di morte fisica che si sommerebbe tragicamente all’altra già in atto, quella civile.
Perché questo è la detenzione prolungata, l’essere talmente alienato dalla società da non sopportarne più il peso una volta fuori.
In questo senso (andando oltre lo specifico del film) ci sono altre "prigioni" apparentemente senza sbarre, che ci rinchiudono nel nostro quotidiano: segregazioni come la consuetudine, il dover essere integrati a tutti i costi, la necessità di essere omologati, inseriti in una società che molto spesso chiede in contropartita la spersonalizzazione degli individui.
"Segui i modelli", viene, detto se non vuoi sentirti emarginato.
Ma la vita è dentro di noi, ed anche ottenere una birra in premio serve a rendere dignità, speranza, a chi ha sepolto dentro di se ogni anelito di affermazione del proprio sentirsi individuo, vero e reale.
Il regalo dell’armonica, l’ampliamento della biblioteca, sono tutti tasselli, pietre di quel sentiero che viene percorso con la semplicità e con la forza di chi sa che non c’è più niente da perdere se si perde se stessi.

Questo è il messaggio, la forte traccia che ha lasciato dentro di me il film. La tremenda, cruda consapevolezza che ogni speranza, ogni libertà è dentro di noi e può dispiegare "le ali" solo se ci prendiamo la responsabilità di vivere.
La Libertà intesa, quindi, non come un concetto astratto, bensì come un meccanismo effettivo di cambiamento.
"O fai tutto per vivere, o fai tutto per morire" dice Red ad un certo punto; sei sempre tu a decidere, non ci sono la fatalità o il destino che governano l’esistenza, facendo emergere un imperativo categorico:
"Tu sei il padrone del tuo divenire".

Questa è la vera grande libertà con cui giornalmente fare i conti, con cui confrontarsi senza falsi pudori se vogliamo continuare ad essere persone e non "appendici" di una vita subita passivamente.
Siamo soli con la responsabilità del nostro esistere e l’unica "salvezza" è rappresentata dal condividere con altri questo isolamento.

La libertà diviene la più grande delle debolezze, in ragione della coscienza dei propri limiti, ma anche l’energia indispensabile per guardarsi dentro oltre il consueto.

In questo senso mi viene in aiuto uno scrittore libanese Gibran che nel suo libro "Il Profeta", riporta queste frasi :
"Sarete liberi non quando i vostri giorni saranno privi di ansie e le notti senza un bisogno o una pena ,
Ma quando queste cose vi stringeranno come una cintura e saprete innalzarvi sopra di esse nudi e sciolti."

Una Libertà, quindi, che è davvero tale quando si può "spendere" per un qualcosa, mettere a disposizione di un ideale, di una speranza, perché nel caso contrario finisce per nutrirsi di se stessa, in un crescendo di passività autodistruttive .
"Le ali della libertà" resta un’opera che con la sua genuinità di approccio riesce a fare leva sull’emotività dello spettatore, non con situazioni ad effetto bensì con la semplicità crescente dei sentimenti.

I cattivi perdono (il direttore del carcere, il capo delle guardie), ma in un mondo di sconfitti come quello della prigione questo avrebbe poca importanza . Sono "Le ali dell’anima" con i loro battiti, con i loro ritmi che scandiscono i tempi della vittoria.
Poco importa se Andy fugge e se c’è una spiaggia confortante e assolata che aspetta l’incontro finale dei due protagonisti, essi hanno già trionfato sullo squallido grigiore che li circondava quando hanno deciso di planare sulla vita, ascoltandone ogni più piccolo sussulto con "le orecchie del cuore".

G.
auroraageno
00mercoledì 1 ottobre 2008 15:25

Ecco un altro film che mi propongo di rivedere..!
Ricordo... sì, ricordo d'aver avuto pensieri di questo tipo, allorché lo vidi, anni fa. Ma sono sicura che non avrei saputo esprimerli con tanta completezza, vigore e profondità come hai fatto tu, amico mio!

Giuliano... tu dovresti davvero recensire film!
Lo sai fare troppo bene..!!!

Io non seguo da tanto tempo le vicende del mondo del cinema, pur essendomi ritornato il desiderio e il gusto di guardarmi qualche film, e non so a quale concorso tu ti riferisca. Mi dici qual'è?

Giuliano caro... io sono incantata! Ti ringrazio sentitamente, ma davvero, per questa tua recensione. Si tratta di lettura e riflessione sulle quali vale veramente la pena soffermarsi!

Che persona positiva sei. Meravigliosa!

Ti ringrazio tantissimo, mio caro amico, e ti abbraccio forte

aurora

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