Carta scritta da un balcone d’avorio
Da qui, superando l’ospedale bianco
post bellico, ansimante come un fianco
incrancrenito, lo sguardo piove perso
in uno squarcio di vallata nel deterso
istante che posticipa una densa anestesia.
Il brivido tepore, selvatico, della mia
modesta e molestata carnalità porta
fuori, da soli, i miei occhi, sulla porta
del balcone, a vedere con la nuova mira
l’agreste monte, la nostra vita che traspira.
Tutto il gobbo seno scema in un fossato,
presso me un vento incerto e levigato
dapprima, nel pigiama poi un colpo
vivo, di menta baruffata sul mio corpo
indolenzito, flaccido, di mistica presenza.
Niente era, tutto è, adesso, essenza
di Lazzaro che beve tra le sponde della vita:
silente accosti la mia sorpresa smarrita,
con te, accorata, stanca, fiducia che dirompe
l’ossa della morte, sento rifarsi la sorte.
Modificato da Piperthree 11/04/2006 15.55