Dylan, Marlais Thomas - Biografia e Poesie

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
auroraageno
00lunedì 19 novembre 2007 11:01
Dylan Thomas - Biografia



Dylan Marlais Thomas (Swansea, 27 ottobre 1914 – New York, 9 novembre
1953) è stato un poeta, scrittore e drammaturgo gallese.

Scrisse poesie, saggi, epistole, sceneggiature, racconti autobiografici e un
dramma teatrale dal titolo Sotto il bosco di latte (Under milk wood) la cui versione
radiofonica, in cui recitava l'autore stesso, vinse il Prix Italia nel 1954.

Dylan era il secondo figlio di David John Thomas e Florence Williams.
A undici anni pubblicò le prime poesie nel giornalino della scuola
che abbandonò nel 1939 per intraprendere l'attività di giornalista
presso un quotidiano. In seguito trascorse una vita da bohémien a
Londra abbandonandosi alla passione per l'alcool.

Nel 1934 fu pubblicata la sua prima raccolta di poesie: 18 Poems.

Nel 1937 sposò la ballerina Caitlin MacNamara, con la quale ebbe tre figli.

Convinto pacifista evitò l'arruolamento presentandosi alla visita di leva completamente ubriaco.
Al suo indiscusso valore come poeta e scrittore corrispose un'assoluta incapacità di gestire le sue
finanze, la famiglia viveva infatti negli stenti a causa del suo
alcolismo.

Dal 1949 fino alla morte visse con la famiglia in una barca malamente
riadattata nella città gallese di Laugharne che gli ispirò la
località immaginaria di Llareggub in cui è ambientato il dramma Under milk wood.

Nel corso del terzo viaggio negli Stati Uniti intrapreso per presentare le sue poesie, gli fu commissionato da Igor Stravinsky un
libretto per un'opera lirica.

Stravinsky desiderava che l'autore fosse il "miglior scrittore vivente";
l'opera non fu mai iniziata.

Il quarto viaggio negli Stati Uniti fu anche l'ultimo: arrivò il 19 ottobre 1953 per un ciclo di letture organizzato da Malcolm Brinnin,
il 5 novembre 1953 in preda ad un attacco di delirium tremens fu
trasferito con urgenza dall'Hotel Chelsea di New York al Roman
Catholic Hospital. All'amica Liz Reitell prima di collassare
confessò di aver bevuto 18 whiskies lisci. Dopo 5 giorni di coma morì
il 9 novembre 1953 scatenando una violenta reazione nell'opinione pubblica.

L'anno successivo Stravinsky compose il suo pezzo "In memoriam Dylan
Thomas".

Bob Dylan (il cui vero nome è Robert Allen Zimmerman) scelse il suo pseudonimo ispirandosi a Dylan Thomas. Lo scrittore e sceneggiatore Tiziano Sclavi si è ispirato a Dylan Thomas per dare il
nome al suo celebre personaggio dei fumetti Dylan Dog.


Opere

Collected Poems 1934-1952. Dent, Londra 1952
Sotto il bosco di latte , a cura di Ariodante Marianni, Oscar Mondadori, 1966
Selected Letters. Dent, London 1966
Dylan Thomas reading.
"Poesie e racconti", a cura di Ariodante Marianni, Torino 1996.


Da Wikipedia

auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:07
E morte non avrà signoria



E morte non avrà signoria.
I morti ignudi saranno tutt'uno con l'uomo nel vento e la luna in occidente,
quando le loro ossa siano scarnite ben bene e l'ossa scarnite scomparse,
stelle avranno essi al fianco e sotto i piedi;
sebbene impazziscano avranno intera la mente,
sebbene sprofondino nel mare, risorgeranno;
sebbene gli amanti si perdano, non così l'amore;
e morte non avrà signoria.

E morte non avrà signoria.
Sotto i gorghi del mare
coloro che a lungo saranno giaciuti non morranno in tempesta;
torcendosi sotto i tormenti quando i nervi cedono,
legati a una ruota non si spezzeranno;
la fede tra le loro mani si schianterà in due,
e i mali unicorni li trafiggeranno;
distorti da ogni parte non si smembreranno;
e morte non avrà signoria.

E morte non avrà signoria.
I gabbiani potranno non più stridere alle loro orecchie
o l'onda non più infrangersi furiosa sulla riva;
dove sbocciò un fiore mai più fiore
levare il capo ai colpi della pioggia;
ma sebbene siano pazzi e morti come stecchi,
le teste dei messeri martellano attraverso le margherite;
irrompono nel sole fin che il sole sprofonda,
e morte non avrà signoria.





auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:10
Vedo i ragazzi dell'estate


I

Nella loro rovina vedo i ragazzi dell'estate
Desolare i campi d'oro,
Non dare importanza alla messe, raggelare il suolo;
Laggiù nel loro ardore che l'inverno inonda
Di gelidi amori, le loro ragazze essi prendono,
Nelle proprie maree le mele cariche annegano.

Questi ragazzi di luce nella follia coagulano,
E inacidiscono il miele bollente;
Negli alveari col dito le cotte di gelo essi toccano;
Laggiù nel sole con frigidi fili
Di dubbio e oscurità nutrono i loro nervi;
Nei loro vuoti è nulla il quadrante della luna.

Vedo i fanciulli dell'estate nelle loro madri
Fender le muscolose intemperie del grembo,
Notte e giorno dividere coi pollici fatati;
Laggiù nel fondo con ombre inquartate
Di sole e luna le genitrici dipingono
Come luce di sole dipinge il guscio delle loro teste.

Da questi ragazzi m'accorgo che uomini da nulla
Per movimenti esausti cresceranno,
O azzopperanno l'aria dai suoi calori balzando;
Laggiù nei loro cuori il palpito canicolare
D'amore e luce esplode nelle loro gole.
Oh, vedi il palpito, nel ghiaccio, dell'estate.


II

Ma le stagioni han da esser vendicate altrimenti vacillano
In un quartiere di suoni
Dove, come la morte puntuali, faremo squillare le stelle;
Laggiù, nella sua notte, le campane dal cupo linguaggio,
L'insonnolito uomo dell'inverno scuote,
Né le respinge la luna-e-mezzanotte quando soffia.

Noi siamo coloro che negano oscuri, lasciateci evocare
La morte da una donna dell'estate,
Da stretti amanti una vita muscolosa,
Dai morti di gentile aspetto che inondano il mare
Il verme dal vivido occhio sulla lampada di Davy,
E dal piantato grembo l'uomo trascurabile.

Noi ragazzi dell'estate in questa rotazione quadriventosa,
Verde del ferro dell'alghe marine,
Il fragoroso mare sosteniamo e facciamo gocciare i suoi uccelli,
Raccogliamo la sfera del mondo di flutto e di schiuma
Per soffocar deserti con le sue maree,
Pettiniamo i giardini delle contee per farne una ghirlanda.

In primavera sulle nostre fronti un agrifoglio in croce disponiamo,
Sia gloria al sangue e alla bacca,
Ed inchiodiamo all'albero gli allegri possidenti;
Qui l'umido muscolo amoroso si dissecca e muore,
In cava nessuna d'amore un bacio noi spezziamo.
Oh, vedi, nei ragazzi, della promessa i pali.


III

Nella vostra rovina vi vedo, ragazzi dell'estate.
L'uomo è sterile nella sua larva.
E nella sacca i ragazzi son colmi e stranieri.
lo sono l'uomo che fu vostro padre.
Noi siamo i figli della selce e della pece.
Oh, vedi i pali che si baciano incrociandosi.






auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:11
Dove un tempo le acque del tuo viso



Dove un tempo le acque del tuo viso
Giravano alle mie eliche, l'arido tuo fantasma soffia,
Il morto volge al cielo il proprio occhio;
Dove un tempo i tritoni attraverso il tuo ghiaccio
Spingevano fuori i capelli, l'arido vento fa rotta
Attraverso radici e sale e uova di pesce.

Dove un tempo i tuoi nodi verdastri la loro giuntura affondava
Nel cordame ricolmo di marce, laggiù procede
Colui che verde districa.
Le sue forbici oliate, libero il suo coltello pende
Per tagliare i canali alla sorgente,
Per adagiare in basso umidi frutti.

Le tue regolari maree rese invisibili
Rompon sui letti amorosi dell'alghe,
L'erba d'amore è lasciata a disseccarsi;
Qui vorticanti attorno alle tue pietre
Corrono ombre di fanciulli che, dai loro vuoti,
Si lamentano al mare delfinoso.

Aridi come tomba i colorati opercoli
Richiusi non saranno mentre una magia
Scivola saggia sulla terra e il cielo;
Vi saranno coralli nei tuoi letti,
Vi saranno serpenti alle maree,
Finchè tutte le nostre fedi marine morranno.






auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:12
La forza che attraverso la verde miccia sospinge il fiore



La forza che attraverso la verde miccia sospinge il fiore
Sospinge anche la mia verde età; quella che le radici degli alberi dissecca
E' la mia distruttrice.
Ed io son muto per raccontare alla rosa inclinata
Che la mia giovinezza è piegata da uguale febbre invernale.

La forza che l'acqua sospinge attraverso le rocce
Conduce il rosso mio sangue; quella che le correnti dissecca rivolte alla foce
Le mie trasforma in cera.
Ed io son muto per dire alle mie vene
Come alla fonte montana la stessa bocca sugga.

La mano che l'acqua dentro lo stagno sommuove
Le sabbie mobili agita; quella che allaccia i soffi del vento
Ritira del mio sudariò la vela.
Ed io son muto per dire all'impiccato
Come della mia creta sia fatta la calce del carnefice.

Dal capo della fonte le labbra del tempo come le sanguisughe succhiano;
Amore stilla a gocce e si raccoglie, ma il versato sangue
Le piaghe del mio amore lenirà.
Ed io son muto per dire al vento della stagione
Come attorno alle stelle, ticchettando, il tempo abbia formato un cielo.
Ed io son muto per raccontare alla tomba dell'amante
Come lo stesso verme contorto al mio sudario vada.






auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:13
Specialmente se il vento d'Ottobre



Specialmente se il vento d'Ottobre
Con gelide dita i miei capelli punisce,
Afferrato dal sole che aggriccia sul fuoco cammino
E getto un granchio d'ombra sulla terra,
Sul fianco del mare, uno strepito udendo d'uccelli,
Udendo il corvo tossire su invernali stecchi,
L'attivo mio cuore mentre lei parla palpita,
Sparge il sillabico sangue, le sue parole assorbe.

Chiuso dentro una torre di parole, sogno
Sull'orizzonte camminare come gli alberi
Le forme verbose delle donne, e dentro il parco
Le file dei fanciulli dai gesti stellari.
Alcuni mi lascian crearti col vocalizzo dei faggi,
Alcuni con la voce delle quercie, dalle radici
Dirti le molte note di contee spinose,
Col linguaggio dell'acqua altri crearti.

Dietro un vaso di felci l'orologio oscilla,
E dell'ora mi dice la parola, il significato nervoso
Vola sul disco frecciato, declama il mattino,
Mi narra tempo al vento col gallo della banderuola.
Alcuni mi lascian crearti coi segni del prato;
Tutto ciò che conosco l'erba segnale mi dice
Ed attraverso l'occhio penetra col verminoso inverno.
Alcuni mi lasciano dirti i peccati del corvo.

Specialmente se il vento d'Ottobre
(Alcuni mi lascian crearti d'incanti autunnali,
Lingua di ragno, sonora collina del Galles)
Con pugni di rape punisce la terra,
Alcuni mi lascian crearti con impietose parole.
disseccato il cuore che, sillabando nello sgambettio
Di alchemico sangue, avvertì della furia in cammino.
Sui fianchi del mare puoi udire gli uccelli dai cupi vocalizzi.





auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:14
Discopre i suoi nervi il mio eroe




Discopre i suoi nervi il mio eroe lungo il mio polso
Che mi governa dal polso alla spalla,
Come se fosse un pacco il capo svolge, fantasma insonnolito,
Che al mio sovrano mortale s'appoggia,
La fiera spina dorsale che sprezza il volgere e il contorcersi.

E questi poveri nervi così legati al cranio come fili
Soffrono sulla carta desolata
Che abbraccio per amare col mio disordinato sgorbio
Che esprime ogni brama amorosa,
E alla pagina narra il vuoto danno.

Il mio fianco denuda il mio eroe e scorge il proprio cuore
Che calpesta, come una nuda Venere,
La spiaggia della carne, e la rossosanguigna sua treccia ritorce;
Dispogliando i miei lombi di promessa
Mi fa sperare un ardore segreto.

Da questa scatola di nervi egli solleva il filo
Lodando l'errore mortale
Di nascita e di morte, i due tristi dannati di ladri,
E della brama l'imperatore;
Poi la catena tira, e la cisterna si smuove.





auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:16
In principio



In principio era la tripuntuta stella,
Attraverso il vuoto volto un sorriso di luce;
Attraverso l'aria di radici un ramo d'osso,
La biforcuta sostanza che il midollo fornì al primo sole;
E, come arroventati zeri sui cerchi dello spazio,
Cielo ed inferno ruotavano frammisti.

In principio era la firma pallida,
Trisillabata e stellare come il sorriso;
E poi vennero l'orme, sopra l'acqua,
Stampo del volto coniato sulla luna;
Il sangue che toccò l'albero a croce e il graal
Toccò la prima nuvola e vi depose un segno.

In principio era il fuoco ascendente
Che il tempo accese da una favilla in fiamme,
Una favilla triocchiuta, occhio rosso, ottusa come un fiore;
Dai vorticanti mari sorse e sgorgò la vita,
Bruciò nelle radici, pompò da terra e roccia
Gli olii segreti che l'erba sospingono.

In principio era il verbo, la parola
Che dalle solide basi della luce
Tutte le lettere del vuoto astrasse;
E dalle nuvolose basi del respiro
Fluendo salì la parola, traducendo al cuore
I caratteri primi di nascita e di morte.

In principio era il segreto cervello.
Il cellulato cervello saldato nel pensiero
Prima che a un sole la pece si biforcasse;
Prima che le vene nel loro setaccio stessero vacillanti
Il sangue balenò e disperse, ai venti della luce,
Il costoluto originale dell'amore.






auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:17
Splendessero lanterne




Splendessero lanterne, il sacro volto,
Preso in un ottagono d’insolita luce,
Avvizzirebbe, e il giovane amoroso
Esiterebbe, prima di perdere la grazia.
I lineamenti, nel loro buio segreto,
Sono di carne, ma fate entrare il falso giorno
E dalle labbra le cadrà stinto pigmento,
La tela della mummia mostrerà un antico seno.

Mi fu detto: ragiona con il cuore;
Ma il cuore, come la testa, è un’inutile guida.
Mi fu detto: ragiona con il polso;
Ma, quando affretta, àltero il passo delle azioni
Finché il tetto ed i campi si livellano, uguali,
Così rapido fuggo, sfidando il tempo, calmo gentiluomo
Che dimena la barba al vento egiziano.

Ho udito molti anni di parole, e molti anni
Dovrebbero portare un mutamento.

La palla che lanciai giocando nel parco
Non è ancora scesa al suolo.





auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:18
Sognai la mia genesi




Sognai la mia genesi nel sudore del sonno, bucando
Il guscio rotante, potente come il muscolo
D’un motore sul trapano, inoltrandomi
Nella visione e nel trave del nervo.

Da membra fatte a misura del verme, sbarazzato
Dalla carne grinzosa, limato
Da tutti i ferri dell’erba, metallo
Di soli nella notte che gli uomini fonde.

Erede delle vene in cui bolle la goccia d’amore,
Preziosa nelle mie ossa una creatura, io
Feci il giro del globo della mia eredità, viaggio
In prima nell’uomo che ingranò nottetempo.

Sognai la mia genesi e di nuovo morii, shrapnel
Conficcato nel cuore in marcia, strappo
Nella ferita ricucita e vento coagulato, morte
Con museruola sulla bocca che ingoiò il gas.

Scaltrito nella mia seconda morte contrassegnai le alture,
Mèsse di lame e di cicuta, ruggine
Il mio sangue sui morti temprati, forzando
La mia seconda lotta per strapparmi dall’erba.

E nella mia nascita fu contagioso il potere, seconda
Resurrezione dello scheletro e
Nuova vestizione dello spirito nudo. Virilità
Schizzò dal risofferto dolore.

Sognai la mia genesi nel sudore di morte, caduto
Due volte nel mare che nutre, diventato stantio
Nell’acqua salata di Adamo finché, visione
Di nuova forza umana, io cerchi il sole.





auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:19
Qui in primavera




Qui in primavera, le stelle navigano il vuoto;
Qui nell’inverno ornamentale
Il nudo cielo viene giù a rovesci;
L’estate seppellisce l’uccello nato in primavera.

I simboli provengono dal lento costeggiare dell’anno
Le rive di quattro stagioni;
Fuochi di tre stagioni insegnano in autunno
E note di quattro uccelli.

Dovrei distinguere l’estate dagli alberi, i vermi,
Se lo fanno, narrano le tempeste dell’inverno
O il funerale del sole;
Dovrei imparare la primavera dal canto del cuculo
E la lumaca mi dovrebbe insegnare distruzione.

Un verme racconta l’estate meglio dell’orologio,
La lumaca è un vivente calendario di giorni;
Che cosa mi dirà se un insetto senza tempo
Dice che il mondo lentamente si consuma?





auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:21
Dai sospiri




Dai sospiri nasce qualcosa,
Ma non dolore, questo l’ho annientato
Prima dell’agonia; lo spirito cresce,
Scorda, e piange;
Nasce un nonnulla che, gustato, è buono;
Non tutto poteva deludere;
C’è, grazie a Dio, qualche certezza:
Che non è amore se non si ama bene,
E questo è vero dopo perpetua sconfitta.

Dopo siffatta lotta, come il più debole sa,
C’è di più che il morire;
Lascia i grandi dolori o tampona la piaga,
Ancora a lungo egli dovrà soffrire,
E non per il rimpianto di lasciare una donna in attesa
Del suo soldato sporco di parole
Che spargono un sangue così acre.

Se ciò bastasse, se ciò bastasse a dar sollievo al male,
Il provare rimpianto quando quello è perduto
Che mi rendeva felice nel sole,
Quanto felice il tempo che durava,
Se ambiguità bastassero e abbondanza di dolci menzogne,
Potrebbero le vacue parole sostenere tutta la sofferenza
E guarirmi dai mali.

Se ciò bastasse, osso, tendine, sangue,
Il cervello attorcigliato, i lombi ben fatti,
Cercando a tastoni la materia sotto la ciotola del cane,
L’uomo potrebbe guarire dal cimurro.
Ché tutto quello che va dato, io l’offro:
Briciole, stalla, e cavezza.





auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:22
Perchè levante gela



Perché levante gela e austro rinfresca
Non sarà conosciuto finché il pozzo del vento non dissecchi
E l’ovest non resti più immerso
Nei venti che recano il frutto e la corteccia
Di centinaia e centinaia di cadute;
Perché la seta è soffice e la pietra ferisce
Il fanciullo si chiederà ogni giorno,
Perché pioggia notturna e sangue di mammella
Tutti e due lo dissetano, avrà una nera risposta.

Quando verrà Mastro Gelo? domandano i bambini.
Stringeranno nei pugni una cometa?
Finché la loro polvere, dal cielo e da terra,
Non sparga in occhi infantili un lungo ultimo sonno
E l’ombra non sia folta di fantasmi di bimbi,
Nessuna bianca risposta farà eco dalle cime dei tetti.

Tutto è conosciuto: il consiglio degli astri
Esorta qualche contento a viaggiare coi venti,
Ma ciò che chiedono gli astri mentre aggirano
Tempo dopo tempo le torri dei cieli
Sarà poco ascoltato, prima che gli astri siano spenti.
Io ascolto contento e "Contèntati"
Squilla pei corridoi come una campanella,
E "Nessuna risposta" e io non ho
Nessuna risposta al pianto dei bambini
Né di risposta d’eco né dell’uomo di gelo
Né di comete spettrali sopra i pugni levati.






auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:24
Cerca la carne sulle ossa




"Cerca la carne sulle ossa fra non molto
Spolpate e bevi alle due munte rupi
Il dolce midollo e la feccia,
Prima che le mammelle delle dame
Siano vizze e le membra brandelli.
Non profanare, figlio, i sudari, ma quando
Vedrai le dame fredda pietra, appendi
Una rosa d’ariete sugli stracci.

"Ribèllati alle leggi della luna
E al parlamento del cielo,
Al governo del mare perverso,
A tirannia del giorno e della notte,
A dittatura di sole.
Ribèllati all’osso e alla carne,
A parola di sangue, ad astuzia di pelle,
E al verme che nessuno può ammazzare.

"La sete è spenta, la fame placata,
E lungo il cuore ho uno spacco;
La faccia è smunta allo specchio,
Le labbra smorte dai baci
Ed è smagrito il mio petto.
Una ragazza allegra mi prese per uomo,
La stesi giù e le narrai il peccato,
Le misi accanto una rosa d’ariete.

"Il verme che nessuno può ammazzare
E l’uomo che nessuna corda impicca
Si ribellano al sogno di mio padre
Che da un ostello di rossi porci
Ulula il sozzo demonio alle spalle.
Non posso come un pazzo assassinare
Stagione e sole, grazia e ragazza,
Né il mio dolce risveglio soffocare."

La nera notte amministri la luna,
Il cielo detti pure le sue leggi,
Il mare parli con voce regale:
Non nemici ma un unico compagno
Sono il buio e la luce.
"Guerra al ragno e allo scricciolo!
Guerra al destino umano!
E distruzione al sole!"
Prima che morte ti prenda, ah sconfessalo!





auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:25
Ventiquattro anni




Ventiquattro anni mi rammentano le lacrime degli occhi.
(Sotterra i morti se hai paura che vadano alla tomba con le doglie.)
Nell’arco della porta naturale stavo accosciato come un sarto
A cucirmi il sudario per il viaggio
Alla luce del sole divoratore di carne.
Tutto agghindato per morire, il sensuale incedere iniziato,
Con le mie rosse vene piene zeppe di soldi,
Verso la meta conclusiva, la città elementare,
Io vado avanti quanto è lungo il sempre.






auroraageno
00giovedì 22 novembre 2007 04:26
Il colloquio della preghiera




Il colloquio delle preghiere sul punto d’esser dette
Dal bimbo che va a letto e dall’uomo per le scale
Che sale all’alta stanza dall’amata morente,
Indifferente l’uno a chi nel sonno andrà incontro,
L’altro pieno di lacrime temendola già morta,

S’aggira per il buio sulle ali del suono che essi sanno
Salirà verso i cieli rispondenti su dalla verde terra,
Dall’uomo per le scale e dal bimbo accanto al letto.
Il suono che sta per levarsi nelle due preghiere
Per il sonno in terra sicura e per l’amata che muore

Sarà uno stesso volo doloroso. Chi calmeranno?
Dormirà illeso il fanciullo o sarà in lacrime l’uomo?
Il colloquio delle preghiere sul punto d’esser dette
S’aggira tra i vivi ed i morti, e l’uomo per le scale
Non troverà morente, stanotte, ma viva e calda al fuoco
Del suo trepidare nell’alta stanza il suo amore.
E il fanciullo indifferente a chi va la preghiera
Affogherà in un’angoscia profonda come sarà la sua tomba,
E con gli occhi del sonno fisserà i neri occhi dell’onda
Che su per le scale lo trascina verso una che è morta.






Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:05.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com