E Rubens?

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kamo58
00venerdì 5 giugno 2009 14:58


Tonda, pienotta, ben nutrita, carnosa, paffuta, florida, rubiconda, maggiorata. Aggettivi sinonimo di donna in carne, che ben si specchia nei ritratti di Rubens. Ai tempi dell’artista, le donne che avevano queste caratteristiche, erano ambite e ricercate, tanto da venir ritratte e passare alla storia.
Cosa passerà alla storia di questa epoca? Le immagini patinate dei rotocalchi di moda, rigorosamente taglia 38.
Sono nata evidentemente, nell’epoca sbagliata, io, ai tempi di Rubens, avrei avuto stuoli di corteggiatori. Invece, mi ritrovo nei panni molto stretti della moda attuale.
Diventa un tormento trovare la taglia in cui io posso entrare a mio agio. Le vetrine abbondano di vestiti e ciarpame vario che potrebbero vestire soltanto un manico di scopa.
Magliette microscopiche che a stento entrerebbero ad una bambina di otto anni.
“Scusi ma dov’è il reparto adulti?” Chiedi perplessa alla commessa del negozio “E’ questo!” esclama lei mentre ti guarda con commiserazione e non sai se è per la tua età con relativa demenza o al fatto che t’ha soppesata con gli occhi. La maglietta non era per te, doveva essere un regalo per taglia 44, ma quando glielo fai presente, lei sempre più indignata, risponde quasi con orrore, che non quella taglia, loro non ce l’hanno, quasi che invece di una t-shirt, le avessi chiesto se per caso vendessero lombrichi.
Figurarsi quando invece devi acquistare qualcosa di una taglia attorno alla 52.
Entri e ti guardi furtiva. Cerchi un volto amico o meglio una taglia amica, che ti possa capire e comprendere. Ovviamente le commesse dei negozi d’abbigliamento, vengono assunte in base alla taglia. Tutte rigorosamente taglia 38, semmai quella un po’ emarginata, che anche le colleghe guardano con compatimento, negli anni è arrivata ad una 42. Rovisti allora nei vestiti appesi, nella spasmodica ricerca, sperando di trovarla da sola, senza dover passare per le forche caudine.
Speranza vana! “Posso esserle utile?” chiede gentilmente la ragazza, ignara della richiesta che stai per fare. “Vorrei…. una… taglia 52” lo dici tutto d’un fiato, bisbigliando che quasi neanche tu sei riuscita a sentire. “Come scusi?” Richiede la commessa. Non hai scampo, lo devi dire. E’ un po’, come quando in farmacia, devi acquistare che so? Le supposte e ti vergogni a chiedere.
“Una 52!” Stavolta lo dici baldanzosa, con tono alto di sfida, quasi a sottolineare che, ci provasse a fare qualche commento al riguardo, una chubby Pride, (sempre per essere alla moda) una sfilata di orgoglio ciccione.
Siamo ai raggi X. Ti guarda, ti scruta da capo a piedi. Finge di pensare, invece sta cercando le parole adatte. C’è la sensibile, che non vuole ferirti: “Le 52, le abbiamo finite, mi spiace” dice, dopo aver finto di rovistare per cercare l’agognata taglia, con testa bassa e fare contrito. C’è la sbrigativa, che vuole liquidarti alle svelta, “Provi nella nostra filiale di via…” e ti segnala l’indirizzo, dalla parte opposta della città, tanto sa che non ci andrai mai. Infine c’è la maleducata: “Per lei?” Chiede guardandoti con malcelato disgusto, “Mi spiace qui arriviamo alla 44”, almeno è stata sincera, pensi uscendo con umiliazione, magari però un po’ più di tatto, che diamine!
Dopo anni di queste tristi esperienze, ora guardi le vetrine, cercando di capire dai manichini anoressici se potrà mai esserci una 52 in quel negozio e passi oltre. “Ma sì” pensi “Tanto neanche mi serve davvero, un paio di jeans. Tutti soldi risparmiati”, aggiungi per consolarti.
Ti sei rassegnata ad entrare nei negozi paria. Quelli degli emarginati king size, come i panini di McDonald. Dove lo slogan è: “dalla 46 alla 60”. Passi per la 60 che effettivamente ricopre una bella stazza ma la 46? Ma stiamo diventando pazzi?
La commessa, anche lei rigorosamente taglia 38-40, cosa che in un posto come questo stona, ti tira fuori una sfilza di vestiti informi dalle taglie sconosciute, 29, 41, 35 come volesse fare una tombola con solo numeri dispari.
“Che taglia?” chiede. Stavolta se dici una cinquantadue, neanche capisce di cosa stai parlando. I vestiti sono accatastati nel camerino. Li provi ad uno ad uno. Scopri che i dispari sono calibrate che dovrebbero coprire i difetti. Camicioni informi, che coprono e nascondono, grandi come il deserto del sahara. Sei una bellezza alla Rubens no alla Botero!
Alla fine ti rassegni a una 41, corrispondente ad una 52 che dovrebbe rappresentare una 50 abbondante e ti gira la testa. Ti guardi e riguardi nello specchio, non ti ci vedi lì dentro lo scafandro ma rassegnata acquisti l’agognato capo, per rassegnazione, perché ti devi pur vestire. Lo riponi nell’armadio e lì lo dimentichi, perché no, proprio non è nelle tue corde.
D’incanto scopri che ci sono le griffe per le maggiorate. Ti svuotano sì il portafoglio, però che figurino! Una 52 diventa quasi una 48 abbondante. Le commesse gentilissime, non soppesano. La prima volta entri con la solita circospezione, vergognandoti di aver fatto un gesto quasi ignobile, profanando questi tempi della bellezza.
Invece cinguettando, circuendoti con esperienza di anni, quasi ti offrono tè e biscotti. Arriva la fatidica domanda: “Che taglia?” “Ehm…” Temporeggi. “Non saprei bene…” Che chiedi, una 52 o una 41 che è quasi 50 large? Alla fine ti arrendi “Voi l’avreste una taglia per me? Sono un po’, come dire, in carne!” . L’hai confessato, come se avessi detto al prete il tuo più bieco peccato. Lei ti guarda e cinguetta: “Lei in carne?” Scuote la testa con finta sorpresa, come un copione, recitato centinaia di volte. Poi lo sguardo le cade sulle scarpe che indossi e… Orrore, i sandali sportivi su un vestito così? “No, non glielo faccio provare con quelle scarpe! Rovinerebbero l’insieme”. Ecco il suo orrore non è la tua ciccia, se così vogliamo chiamarla, sono le scarpe! Quasi ti senti una regina. Sorridi come un’ebete, ti togli le scarpe, nascondendole nell’angolo più buio dello sgabuzzino e indossi un tacco 12 cm, che ti fa ondeggiare come una barca nel mare agitato. “Bello l’insieme!” e pensi però a come farai a fare due passi per sfoggiarlo.
Vorresti ballare, se i tacchi te lo permettessero, finalmente un abito che toglie alla vista almeno tre o quattro chili. Già pensi alla figura che farai, agli accessori, alla faccia di tuo marito e ti scordi il conto. Arriva lo scontrino e quasi ci resti secca. Bello il vestito che ti toglie quattro chili e 350 euro dal portafoglio! Ecco, ora pensi solo alla faccia di tuo marito.
Poi pensi a Rubens e ti rammarichi di essere nata nell’epoca sbagliata.
auroraageno
00venerdì 5 giugno 2009 15:30
Carissima!!! Ho gustato il racconto dalla prima all'ultima parola. Parli di esperienze che ho vissuto e conosco bene anch'io.
Stile vivace, spigliato e descrizioni azzeccatissime!

Brava, davvero. Ti ringrazio di cuore, cara Kamo!

Un abbraccio affettuoso

aurora

kamo58
00sabato 6 giugno 2009 11:51
Grazie a te Aurora per ospitarmi nel forum.
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