Feriae Veritas, parte quarta di quattro

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florentia89
00martedì 5 maggio 2009 17:51
Finis - ma il viaggio concluso potrebbe proseguire ....
La prima Etruria
Lascio Viterbo abbastanza presto e mi dirigo verso Tuscania.
Provvedo al controllo e rifornimento di Pikappa, tre litri di miscela nel suo stomaco e via con le consuete cautele per l’andatura, strade, abbigliamento, difesa dal vento. Raggiungo Tuscania e decido di non fare sosta, solo un giro al suo interno e fascia esterna, un’ora in tutto, o poco più. Così mi ritrovo nella città pressoché coeva con Romolo, con un suo porto sulla costa (Regas), entrata a far parte di Roma fin dal III secolo aC ed eretta a municipio importante. Poi, come le altre città vicine, subirà e supererà lunghi periodi travagliati e infausti. Sempre le stesse motivazioni, barbari, Papi, antipapi, lotte in zona, interventi imperiali, guelfi, ghibellini, italiani, stranieri, prelati, col cardinale Vitelleschi che imporrà i suoi voleri e farà addirittura abbattere parte delle mura cittadine onde renderla indifendibile.
Passo così nella grande area in cui si trovano le chiese di San Pietro e Santa Maria Maggiore (l’acropoli?) e all’interno dell’abitato, ove fanno mostra di se monumenti insigni nel tufo scuro locale. Rivedo il balconcino-pulpito ove parlava San Bernardino, affermando che una predica vale più d’una messa.
Tuscania è la città ove mia moglie ebbe a soggiornare nel primo dopoguerra e venne eletta addirittura Reginetta di Bellezza in un carnevale di allora, nonché filò col primo fidanzatino, un ragazzo figlio di terrieri del posto che circolava a cavallo, indossava indumenti di pelle alla maremmana, calzava stivali gialli. Tutto finì per la mamma di lui che cercava una nuora dei campi e dei buoi, con terre ed accessori, non di città. Fu la mia fidanzata a farmela apprezzare e conoscere. No, il suo primo ragazzetto non lo conobbi, se ne andò con un brutto male nei primi anni successivi al nostro matrimonio.
Lascio Tuscania e proseguo. Raggiungo Tarquinia, la città-Stato dei Tirreni, ancora in tempo per una visita flash allo splendido museo etrusco che già ammirai. Così la civiltà di questo popolo importante, enigmatico, poco conosciuto, si svolge sotto i miei occhi come in una sala da proiezione di diapositive temporali. Sarcofaghi, vasi, monili, affreschi, armi, suppellettili, iscrizioni, statue, si succedono in una sequenza che inizia dagli albori della città fondata da Tarconte nel dodicesimo secolo aC fino ai tempi romani, repubblicani e imperiali, e alla decadenza-oblio successivi.
Da Tarquinia verrà il primo dei Re etruschi di Roma, Lucio Tarquinio, cioè il Tarquinio Prisco della storia (Mastarna?), forse per avvenuta conquista della città o, non escluso, per accordi o maneggi coi suoi abitanti. La visita del museo ha rinverdito le mie sensazioni, specie con le nuove sistemazioni e acquisizioni di reperti. Esco e ho il tempo sia per fermare una stanza nell’Hotel ove soggiornai con mia moglie, sia per un lunch veloce.
Ho così un pomeriggio a disposizione per la visita alla necropoli, che rivedo con emozione per le particolarità esaltanti e il cupo mondo della morte che gettano una luce su questo popolo giunto, come sembra, dalle remote lande interne dell’odierna Turchia, la cui scrittura possiamo si decifrare, non così il vocabolario di vita corrente, limitati come siamo alle sole frasi funerarie a noi pervenute. Passano alla mia visione camere ipogee con pitture e sculture parietali, lottatori, leoni, animali, uccelli, fiori, tutto sembra uscito dalla mano di un artista d’oggi e non dai cultori degli inferi di venticinque secoli or sono.
Ma il tempo è passato e, pur se vorrei diversamente, l’orario di visita giunge al termine. Rientro a Tarquinia. La notte trascorsa ho dormito meno del solito e da stamane ho mangiato poco. Così vado in albergo, vicino la cinta muraria sulla quale mi affaccio mentre preparano la cena, e spazio lo sguardo nell’area campestre ove è la base del tempio riscoperto di recente.
Poi un desinare d’elite. I piatti sono quelli dell’alto Lazio che il tocco dello chef ha saputo personalizzare. Anche il servizio è ottimo. Nell’hotel sono consci che per me è una serata importante, del termine di un impegno che mi ero prefisso di svolgere. Infatti il proprietario, riconoscendomi, si era meravigliato pure lui della motoretta, e io gli avevo ripetuto la versione esposta ad altri, confermando che il tour sarebbe finito il giorno successivo o l’altro, e avrei vinto una scommessa consistente coi “big” da lui conosciuti.
Oltre il dessert un flute di prosecco eccellente e un feroce digestivo locale.
Domattina mi metterò in viaggio per il ritorno a casa ove, se non decido altrimenti, mi attendono non prima del tardo pomeriggio, magari prima serata. Non escluso il giorno dopo. Dio la mandi buona!.
Penso che strada facendo mi fermerò per mangiare qualcosa nella zona di Maccarese, ove c’è un localino niente male gestito da persone simpatiche e conosciute, che ci ha già accolto e soddisfatto in passato. Trascorro la sera in una stupenda chiesa romano-gotica di pietra bianca, spoglia, senza panche, in penombra, un po’ isolata dall’abitato, tanto da pensare fosse sconsacrata, ove si tiene un concerto di musica sacra con una acustica potenziata dalle volte elevate, dalla mancanza di suppellettili e dalle mura operanti come una cassa armonica eccellente e avvincente. Non mi attardo, sono stanco, torno in hotel.
Stasera l’esame conclusivo che mi propongo è semplice e breve:
“Posso sentirmi soddisfatto della mia vita, dei miei principi?
E quale futuro può attendermi? E come affrontarlo, sia per me, sia per la famiglia che vede in me un ottantenne da porre sotto controllo?”
Il finale di queste giornate, soprattutto serate passate con i miei pensieri e problemi, è che io abbia deciso di dichiararmi abbastanza soddisfatto di come abbia trascorsi e impiegati questi otto decenni di vita, i quali sono tanti, è vero, ma assistiti da salute discreta, sia pure con delle falle tamponate egregiamente mercè mia figlia medico, e dal desiderio di fare e dare tuttora cose che sento in me. La natura e la volontà mi hanno assistito con una mente non sopita dall’ignavia, la quale colpisce i cosiddetti anziani paghi di una routine di passività, conscia di un termine prossimo del tutto.
Ragiono e dico: … “hai conosciuto e visto passare il Duce, il Fuhrer, due Re, De Gasperi, undici Presidenti della Repubblica, sette Papi, hai perso il conto di quanti Presidenti del Consiglio e di altri nominativi di spicco, come puoi pretendere di più? Non basta?”.. Al che ho risposto: …“No, non basta. Visto che il Padreterno, la natura, il destino, hanno deciso di farmi giungere ad oggi in condizioni buone di mente e corpo, salvo rattoppi, perché arrendermi alla rassegnazione? Non lo accetterei mai, tanto che, proprio in questo periodo, ho deciso di scrivere dei testi dedicati ai miei tempi e alla mia vita, estensibili a chi sia più o meno di pari età”. Così sono nati “Fiaccole di Gioventù”, “Ragazzi di Portoria”, “Diario Tricolore”, oltre la collana “Amor di Roma” e altro, che cercherò di editare e diffondere, dedicandomi in seguito ad una integrazione e revisione qualora ne ravvisi l’opportunità, cosa questa che ritengo sussista sempre (mi ripeto, impiegò o no una vita il Manzoni per scrivere, impostare, rimaneggiare i Promessi Sposi?). La mia esistenza è statisticamente trascorsa, per il calcolo demografico dovrei essere altrove, ma io conto su mia figlia che mi segue, su mio padre che mi lasciò novantatreenne, su mio suocero che ne aveva centocinque, e allora dico: “perché non io?” E ciò non per bramosia di anni passivi, bensì di attivi, che diano qualcosa di utile a me e agli altri, oltre per comprendere meglio me stesso, noi tutti, cose per le quali non sussiste limite, purché si voglia veramente affrontarle. In “Fiaccole di Gioventù” ho tentato di dare una pagella di vita proprio al Duce della mia giovinezza. Ora provo con me.
Dovessi formularmi un giudizio con un solo voto, riepilogativo d’ogni altro, lo indicherei in un sette, magari con un più, tale ai voti delle scuole d’una volta (quelli moderni li comprendo poco). Ritengo infatti di non essermi comportato negativamente con la famiglia, la moglie che ebbi la fortuna di sposare, figlie e figlio, le nipoti. Ciò pur se errori e pecche non siano mancati, specie se considerassi le carenze coi miei genitori, zia, fratello, moglie, altri.
Per il lavoro prendo atto che non ho avuto mai un giorno di disoccupazione in un periodo attivo che ha superato i quarantacinque anni, e forse toccati i cinquanta, interrotto solo quando madre natura me lo impose col suo consueto poco garbo.. Ho fatto di tutto, il cuoco, il facchino, il pastaio, il mugnaio, ho lavorato di giorno e per anni di notte, eccomi poi impiegato amministrativo, commerciale, funzionario, dirigente, direttore, amministratore delegato, professionista. E in riconoscenza di questo l’INPS mi liquidò un trattamento tale che, fossi stato un funzionario o dirigente statale o comunale modesto e passivo, esso forse sarebbe stato superiore. Chiaro che non sono a lamentarmi visti gli stuoli di pensionati INPS ai limiti della sopravvivenza.
Ringrazio comunque la sorte per questa realtà positiva, altrettanto per la volontà, orgoglio, agonismo, ambizione, voglia d’emergere, che voleva ottenere sviluppi maggiori. Ho studiato il più che ho potuto seguendo un iter anomalo, personale. Corsi universitari a Roma, ripresi e conclusi a Torino e integrati a Messina, con sacrifici più che elevati, su invito e suggerimento del mio Capo stimato. E che dire d’un aggiornamento d’una vita ancora in essere?
Così anche per la formazione mi sento soddisfatto. Aggiungo, ripetendomi, che sono stato un figlio della guerra, del Duce, degli ideali di Patria, Popolo, Famiglia, Dio, Papa, Doveri, Diritti, come non soffrire nel vedere questi valori oggi persi pressoché del tutto? Io resto fiero comunque del mio tempo e non posso che dichiararmi pago di essi, che mi condussero a diciassette anni ad un volontariato con la Repubblica del nord per finire nei servizi ausiliari tedeschi.
I miei difetti caratteriali in ogni modo restano, ne sono cosciente, pur se abbia provato con scarsi risultati a combatterli, eliminarli, ridurli.
Riaffermo perciò di essere un bel po’ egoista, egocentrico, presuntuoso, saccente, un po’ ipocrita, vanesio, strafottente, scostante, ma queste qualità non sono quelle del popolo italiano tutto e dei romani in particolare? e non sono io italiano e romano, ritenendomi magari un po’ superiore alla media generale? (ci risiamo con la presunzione!) e, estendendone la visione, non sono quelli dell’umanità tutta, senza più distinzioni?.
E giunto al termine di questa radiografia del mio interno non posso sottacere uno degli eventi che non riuscii a concludere, provocando magari anche dei danni inconsapevoli. Mi riferisco all’aver dovuto interrompere un impegno d’assistenza e affidamento minorile, assunto col Direttore dell’Orfanotrofio S. Antonio di Roma, mio amico. Doveva essere per un ragazzino difficile e invece si evidenziarono gradualmente ben cinque fratelli maschi in difficoltà, ospiti tutti in Istituti vari. Provenivano dalla Libia (l’ho svolto in Ragazzi di Portoria parlando dei coloni libici, non mi ripeto). Gli assistiti da uno divennero subito due e gli altri tre finirono anch’essi per evidenziarsi e orbitare nel nostro ambito.L’assistenza si attenuerà sia per il mio trasferimento nel Nord-Italia, sia per la seconda figlia in crisi di rifiuto dei nuovi venuti.
Infine non sarà più necessaria. Il fratello maggiore, anche interpellandomi, decise di ricompattare il nucleo nel Veneto, regione del padre. Questo impegno mi pose dinanzi a problemi difficili da risolvere e l’interruzione, opportuna sia per loro, ai quali non potevo più dare quanto inizialmente pensato, sia per la mia famiglia che rischiò di sfasciarsi, mi lasciò con la bocca amara, cosa che resta ancora oggi, nel dubbio possa aver lasciato tracce non positive almeno nei primi due, i minori dei cinque. Ed è inutile cerchi di giustificarmi con alibi che mi convinsero poco allora, altrettanto oggi. Si trattò di un intervento da ascrivere a quelli per me non positivi. Fu un fatto della vita che mi rese edotto dei limiti, carenze, necessità di scelte dolorose.
Mi sposto in altro campo ed entro nella onestà e disonestà personale.
Per l’onestà comportamentale ho pochi dubbi, mi ritengo un onesto, spero non immodestamente. Per quella economica altrettanto, avendo avute più occasioni di sperimentarlo nella realtà della vita. Pur se i confini fra onestà e disonestà sono più che labili penso di non errare nel ritenermi scevro da penalizzazioni in questo campo. Come considerazione finale anche sull’onestà, ed a compensazione delle storture presenti nel mio intimo e agire, penso comunque di ritenermi un fedele a uomini, idee, amicizie, affetti, pur riservandomi la facoltà di esternare riserve sull’operato e pensiero altrui.
Chiudo con la convinzione di non dover respingere nulla circa la mia volontà di operare per il futuro, con l’augurio che possa poi concretarlo.Considererò quindi ininfluenti i tentativi di tutela, non dico di consiglio che sempre accetto, posti in essere da parte di moglie, figli, parenti essi siano e, per chiudere il viaggio iniziato come sfida personale, inizio col rifiutare il veto che mi si possa opporre sull’utilizzo del mio tempo libero, ivi compresi l’utilizzo delle bici, dell’auto di famiglia, di Pikappa e del PC amico.
Chiedo solo di essere capito. Io comprenderò i miei familiari e darò la disponibilità per eventuali soluzioni “eque”, qualora necessitasse.
Mi sta bene il “sette più” che mi sono autoassegnato nella materia complessa di “Vita Svolta”. Potendo la riaffronterei con varianti modeste ma con idee e principi similari, quelli della gioventù, della maturità, dell’età avanzata. Il viaggio “Veritas” ha dato i suoi frutti, penso positivi, almeno per me. Rieccomi, ho deciso alfine di non allungare, torno domani.

Meta vicina
Oggi il tragitto è lungo, ma è il termine. Farò una sosta a Maccarese salvo se, strada facendo, non decida diverso. Poi, dopo il break, proseguirò per Roma. Pikappa dovrà marciare per tre-quattro ore almeno ma ciò non mi preoccupa. Si è comportato benissimo. Stanotte ho riposato e mi sono alzato con più comodo. Prendo cappuccio, brioche e via, senza strafare quanto a speditezza, non più di trenta-quaranta insomma e con cautela perché l’Aurelia, ove mi mmetterò per alcune parti, anche se non dovrei, non è una via secondaria e Pikappa impone prudenza coi bolidi incuranti dei mezzi minori.
Nessun problema di marcia. Il motorino non perde un colpo, non risente delle fatiche e tirate dei giorni scorsi. Io mi sento rinfrancato da queste auto-conversazioni e inchieste su me stesso e il mio ambito. Mi sono certamente servite e ne ho trascritti appunti sul blocco che ho con me anche se, devo ammetterlo, non so quanto siano stati effettivamente obiettivi.
Mi approssimo a Civitavecchia, ove m’imbarcai tante volte per la Sardegna in missioni di lavoro nonché speciali, ove conosco un localino nel porto in cui si mangia divinamente il pesce fresco. Non per oggi però. Mi sovviene che il suo sindaco d’un tempo, socialista nenniano, era amico di famiglia e nel 1946 assieme a mio fratello venne impiegato militare in Sicilia in funzione antibanditismo e antiseparatismo. Nei pressi della città è apparsa una delle madonnine, troppe, che hanno versato lacrime e sangue. A parte la conoscenza del fatto che venne riportato dalla stampa, mi ci condusse mia moglie e rammento una situazione di esaltazione mistica, fra la cristiana, pagana o altra, non c’era differenza. Evito di sostarvi, dovrei deviare troppo, e raggiungo Santa Marinella. Breve stop per un caffè. Uno sguardo al centro conosciuto e giù per Santa Severa e Ladispoli, talmente piene d’immigrati russi e slavi che nelle stazioni hanno affisso cartelli aggiuntivi scritti in cirillico. Sfioro Palidoro, ove il carabiniere Salvo d’Acquisto si fece fucilare dai tedeschi, salvando gli ostaggi di una delle tante loro rappresaglie disumane e anche imbecilli, ed ecco la zona della grande tenuta di Maccarese creata e potenziata al tempo del Duce, nonché ancora operante.
Qui mi fermerò. Conosco gente e un posto ove si mangia genuino e ben accolti, già frequentato con moglie e amici. Lo trovo, il mare è prossimo, la giornata è bella (sono stato fortunato, il tempo mi ha sempre assistito), mi trovo quasi solo, un paio di avventori, forse camionisti, seggono in tavoli distanti. Il proprietario mi riconosce e stavolta non dice nulla per Pikappa.
La distanza con Roma è minima e l’utilizzo di un mezzo minore è normalità.
Ci riconosciamo, convenevoli, stretta di mano, menù interessante proposto da lui, ignoro se unico, un paio di bicchieri di bianco, loro fetta di torta e dolci casalinghi. Mi distendo, socchiudo gli occhi alla brezza e pregusto l’aria di casa. Poi uno dei presenti si approssima, ci guardiamo e:

…”Ave Checco, te dissi t’avrei salutato prima che finisse l’avventura e allora ecchime qua, comunque nun t’ho mai lassato, ma nun me so’ fatto sentì. Io que’ li froci de l’etruschi nun l’ho mai digeriti; e daje, fammelo dì almeno nà vorta quello che sò. A noi ce piacevano le donne davanti no l’omini de dietro. Va beh se dice omosessuali? Che c..zo vò dì, ve sete ripuliti ner parla!”
…”E poi devo ditte nun me vedrai più. T’ho incontrato che m’ha fatto piacere, anche se me cianno mandato. Tu a forza de rompe in giro co’ Mancinus qui, Mancinus la’, Mancinus sopra, Mancinus sotto, c’è stato chi m’ha detto de venì a vedé perché te scardavi pe me e Cartagine, ma devo aritornà. Er perché nun lo poi capì, almeno pé adesso”…
…”cavolo che giro avemo fatto, m’hai fatto rivedé un casino de posti che c’ero stato. Anche qui ndo’ stamo adesso c’era n’accampamento nostro. E poi, da quello c’hai scritto io vedo, e l’artri pure, che fai rivive li tempi de la Roma de na vorta, anche se pure co’ li tua te ce sei buttato a pesce. Già te l’ho chiesto, ma chi era sto’ Duce? Mica lo paragonerai a Scipio l’Emiliano, a Piso, a quer cuzza pelata de Giulio Cesare!”…
…”comunque Checco hai da sapè che indo’ me trovo c’è chi dice che er tempo tuo poteva esse già arivato, ciai o no n’ottantina d’anni? E quanti ne voresti campà? Io so’ arivato si e no a settanta e m’ero pure n’po’ rincojonito. Però mo’ stai a scrive un sacco de cose su de noi e Roma, le fai legge e le spieghi, allora hanno deciso che se po’ aspettà, così nasce quarche artro libro. Ma tante vorte lo facessi apposta a scrive pe’ campà de più?”…
…”va be’, cerca però de rimané in gamba come oggi, che scappi de casa e giochi a fa’ er regazzino co’ quer caretto a du’ rote. Perché l’anni conteno poco, che ce fai se li vivi inchiodato su’ na’ sedia e stai su le palle a tutti?”
…”So’ contento d’avette incontrato. Hai fatto bene a fa’ er punto su la vita tua. Nun te fa’ fregà adesso sennò sei finito, te metteno a un cantone e addio! Tieni duro e mantienete indipendente”…
…”e quanno sarà, assieme a tu’ madre e ar Duce che nà vorta conoscerò, ce sarò pure io a datte na’ mano, va beh? ah! insisti pe’ conosce quanno sarebbe? … ma tu sei matto! …sei proprio sicuro? … va be’ se proprio ce tieni senti, è inutile però vedrai ….. ah me dichi pensavi più in la’ ma va bene uguale?”…
…”Ave Checco, me ne vado, un giorno ciarivedremo”…

…”Ciao Quinto, a quando sarà, mi ha fatto piacere incontrarti”...

L’ho immaginato oppure no? Ma Quinto era qui seduto, l’ho visto, ci ho parlato, e poi … e poi … mi ha detto qualcosa … cavolo, non la ricordo. Perché me la sono dimenticata? Ah i sogni!
Da quanti giorni sono assente da casa? tanti, mi pare undici, dodici, o più? o meno? Eccomi di ritorno, aspettatemi, sono sempre io!
Per i cavillosi e curiosi aggiungo che due ore dopo eccomi accolto con baci, abbracci e scuotimenti di capo da tutta la tribù la quale, saputo del mio ritorno, si era riunita per ricevermi, pretendendo però la promessa giurata che in futuro non avrei più ripetuto lo scherzo di adesso e avessi messo a riposo le velleità occulte all’interno della mia mente, quindi note soltanto a me. Quanto a Pikappa, il cinquantino, anche lui ha vinto la sua battaglia, è sempre con me.

Ad Latere
Prima di chiudere è opportuno dia alcune delucidazioni e aggiunga qualche commento. Come ho affermato più volte i miei racconti hanno sempre una base di verità, sempre non espongano una realtà totale.
Essi devono pertanto considerarsi “sostanzialmente veri” come mi piace definirli. Riferendomi a questo viaggio esso si è svolto realmente in epoca recente. La variante è che io chiesi in anticipo il permesso di effettuarlo che venne concesso sogghignando nella certezza io stessi bleffando e non l’avrei mai effettuato. E da esso ne deriverà che mia moglie, non escluso per ripicca, se ne andrà per un bel po’ anche lei in un paesino sul Trasimeno, con sorella e padre, senza chiedere però alcun benestare. Quindi questo testo, oltre ad essere alquanto reale per quanto concerne il “tour”, lo è anche per molti dettagli, con l’aggiunta ovvia di un pizzico di fantasia e incursione nel mondo onirico a proposito del mio amico-avo Mancinus, cioè Tullius Hostilius Mancinus, più proletariamente Quinto, il Comandante romano, eroe di Cartagine, forse mio parente, forse no, pur se l’illusione in me resta.
Ora alcune considerazioni a valere per ognuno, me in primis.
Oggi viaggiamo in ogni dove, il mondo può dirsi non abbia più segreti, per alcuno eppure ciò che ci circonda, ci ha sempre coinvolti, le nostre radici, i nostri progenitori, ci sono sconosciuti in gran parte, se non del tutto..
Parlo in particolare del Lazio, della mia Roma, potrei riferirmi però a qualsiasi regione e città, e magari alla nostra insuperabile Italia.
Conosciamo fin troppo bene siti e paesi remoti, fiumi, montagne, spiagge, sperduti in continenti diversi, quasi cercassimo di minimizzare le nostre possenti basi più che millenarie. Circa la mia riscoperta del Lazio, alla quale mi dedicai con la fuga di cui ho parlato, e in seguito ancor più concretamente, io pensai di abbinarla in contemporanea con la ricerca e l’introspezione affatto facile di me stesso. Su questa pizzeria ci fu chi mi contestò che il confrontarmi col mio intimo potevo farlo in qualche eremo laico o religioso, magari anche chiudendomi in casa, senza girovagare con mete più o meno definite. Al che risposi e rispondo che lo feci e lo rifarei, in quanto cercai di spalancare la mia finestra globale, magari socchiuderla, in un coacervo di sensazioni e reminiscenze che hanno contribuito anch’esse a raggiungere il fine introspettivo o, almeno, ad avvicinarmici il più possibile. Con quali risultati effettivi lo ignoro. E oltre me, oltre al mio doppio affatto acquiescente, oltre all’avo ipotetico che si è scomodato dal suo mondo per farmi compagnia, ho avuto vicini gli studiosi dell’animo Jung e Adler, da me scelti come maestri, i quali evidenziarono la presenza in noi dell’enigmatico inconscio collettivo il quale, a certe condizioni, può essere anche riconosciuto in stato di veglia da chi motivato e di buona volontà. E’ ciò che ho tentato, forse riuscendoci.
Freud l’ho lasciato in pace. La sua fissazione nel riferirsi maniacalmente al solo sesso e ogni sua perversione non fa per me.
Quindi prendo atto che in questi giorni sono tornati alla mia attenzione vicende molteplici e un passato umanamente lungo, trascorso però in un baleno, con la famiglia, i cui componenti hanno effettuato le proprie scelte di vita senza esserne ostacolati in quanto, come ritenei di non essere fermato io nei miei propositi, è altrettanto giusto che i essi non abbiamo subito condizionamen almeno in misura determinante. Altrettanto per mia moglie che ha acquisito una autonomia eccellente, impensabile un tempo e oggi.
Quindi largo ai giovani, largo a uomini e donne attivi, largo agli anziani che desiderino una vita positiva, in quanto permane in tutti una correlazione di affetti, comunanze, interessi, mai eliminabili. Sono cosciente che la via intravista dalla mia finestra non sia un rettilineo a perdita d’occhio, bensì un tratto al termine del quale potrei trovare mia madre, il Duce dei diciotto anni e, come promesso, l’amico Mancinus, Quinto per me, mio avo o meno, il Capo romano che piantò il labaro dell’Urbe su Cartagine. Ce ne fossero altri non mi spiacerebbe. Il viaggio è concluso. Ma sarà poi terminato?

Francesco Mancini
www.avusroom.blogspot.com
www.avus.forumfree.net

florentia89
00martedì 5 maggio 2009 17:53
Allora ........
Il viaggio è concluso. Ribadisco che nel complesso è alquanto veritiero, più di quanto si possa immaginare.
Mi scuso per modesti errori presenti di impostazione, ortografia, battitura, ma ho dovuto adattare il testo originale per una edizione forum e in qualcosa di svarioni sono uncappato.
Ho visto che circa una cinquantina di ingressi mediatici gratificano ogni mio inserto quindi, penso, sarà altrettanto con Feriae Veritas. Ciò premesso sarei grato se qualcuna - qualcuno dei lettori, oltre ovviamente la titolare del forum, la cara Aurora mi esprimesse, anche separatamente, un giudizio breve delle sensazioni e gradimento procurati o meno. Ciò in quanto vorrei inserire nel libro "Diario Tricolore" che si stà definendo questi giorni, un commento terzo per il quale non indicherei alcun nome, al massimo il nick mediatico.
Vi saluto e abbraccio. Ora per un pò di tempo vi lascerò in pace.
auroraageno
00mercoledì 6 maggio 2009 12:47
E' stata una lettura molto interessante, sia per le vicende personali raccontate e sia per l'itinerario storico-turistico-culturale di cui il racconto è ricchissimo.
Sei un uomo coraggioso, Francesco, e personalmente penso tu abbia fatto benissimo a porre in essere il tuo proposito. Molto utile a te e a chi legge o leggerà.

Ti ringrazio sentitamente.

Un abbraccio affettuoso

aurora

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