Feriae Veritas

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florentia89
00martedì 28 aprile 2009 12:59
Ci sono vacanze e vacanze. Questa di cui parlo è un pò speciale. Parte 1°
Viaggi … a modo mio

FERIAE VERITAS

Parlo di una vacanza speciale. Di immaginazione ce n'è molta ma non avere idea di quanta verità ci sia. Ciò dico nell'osservanza perenne del mio motto "EsseVu", cioè sostanzialmente vero.
Accorperò gli episodi in tre o quattro blocchi, sempre che non percepisca vi siate stufate.

Premessa:
Ecco, dopo alcune avvisaglie si è verificato. Oggi figlie e moglie hanno deciso di nuovo per me, diversamente da come voglia.
Il viaggio Roma -Varese io e mia moglie dovremo farlo in treno, non in auto, sia pure in Eurostar di Prima e navetta da Milano a Varese. Saranno loro a disporre per il trasferimento in loco della Micra-Nissan di casa, vetusta ma ottima come riuscita, prestazioni, stato. E’ un brutto segno, oltretutto non è una prima volta, che pur sempre arriva. Per come la pensano un trasferimento di media distanza in auto non dovrebbe farlo chi è sugli ottanta, uno delle classi di ferro che dovrebbe essere succubo dei problemi di patina e ruggine.
E’ questa una modesta cattiveria, giusta o no, che può verificarsi.
Proseguono con previsioni catastrofali: “io alla guida di un auto, e magari mia moglie? Costituiremmo un pericolo per noi e gli altri!”
Non vale la mia forma accettabile e che io, in teoria, pensi di poter affrontare impegni ben maggiori, quali ad esempio, durata a parte, farei il viaggio a piedi e non in auto (va bene, ho esagerato!).
Oltretutto poco conta che a diciassette - diciotto anni giravo il volante di Volks crucche e Jeep yankees, né che a quaranta feci la maratona Roma – Ostia di trenta e più chilometri. Chiaro, dico ciò per sfida, resta che gli anni sono quelli, non meno. La convenzione afferma che alla mia età un essere umano sia da rottamare, specie se a percepire questo sentore è un familiare medico, e due altri, figlia e figlio, apprensivi anch’essi al massimo.
Come ho detto delle avvisaglie avevano preceduto il diktat, come il veto ad andare un po’ in bici, sulla quale ci sono nato, senza comprendere che ciò, oltre ad essere salutare per le coronarie e consigliato dal cardiologo, si accompagna alla mia prudenza e alle piste ciclabili che utilizzo con soddisfazione le quali, dalla mia zona si dipartono pianeggianti sia verso la campagna rasentando il Tevere, fino in prossimità del mare di Fiumicino.
Le mie velo, una da passeggio, l’altra sportiva, dovrebbero attendere solo l’azione dell’ossido e il degrado del tempo. Difficile oltretutto disfarsene in quanto, pur regalandole, i giovani di oggi, nati col sedere incollato all’auto, nemmeno le degnerebbero d’uno sguardo.
Medesimo discorso si ripete per l’amato scooter Piaggio della fine ottanta, un PK50 per gli intenditori, che a modo suo fila a cinquanta ed è il pronipote della mia Lambretta 125 del 1949, nonché nipote della successiva Freccia Azzurra Ambrosini, mezzo scooter e aeroplano, e figlio del più serio Vespone 150, che mi feci rubare anni or sono solo per parcheggiarlo all’aperto semi nascosto dalla vista di moglie e figli, in quanto la sindrome dell’angoscia incidentale si era già avviata (che vergogna per un sessantenne girare su un accrocco buono per ragazzetti spericolati o adulti incoscienti!).
Eppure poco prima che questo amico di strada mi dicesse addio io, profittando di essere solo in casa per un breve periodo d’assenza di tutti, accantonando per una volta l’auto, volli tornare quello d’una volta. Ci salii e in una settimana traversai una bella fetta d’Italia per andare a trovare una mia zia, sorella di mio padre, ospite in una casa di riposo in cima ad una collina tosco-emiliana. Oltre poi, data l’occasione, per un paio di incontri che da tempo intendevo fare e per alcuni ragionamenti da affrontare con me stesso, sempre desiderati e mai svolti. E che festa e che stupore mi esternarono i ricoverati e le ricoverate lì presenti, lontani dall’umanità e dalle famiglie. E lungi l’idea fossero poi tanto decrepiti. Ce n’erano si di bacucchi, ma una discreta parte mi parvero poco da ricovero, anche prossimi a me quanto ad età , non certo a situazione generale e anni percepiti.
Il viaggio venne riconosciuto da tutti come avventuroso e audace.
Pensare, giungere dalla remota Roma su un cavallo meccanico (il Vespone lo era), affrontando percorsi da Cavalieri della Tavola Rotonda. Un po’ come il viaggio mare – terra compiuto da Odisseo cinquemila e più anni prima. Mi vollero toccare, parlare, vedere, non sapevano cosa offrirmi al di la delle scontate caramelle alla menta, che sapevano di vecchio e di suore, oltre qualche immagine di santi, anche di San Cristoforo, protettore dei viandanti.
Strada di ritorno incontrerò i due che mi ero prefisso, con il risultato che il primo non c’era più, sostituito da uno sgarbato figlio e sgarbato nipote, e l’altro si trovava in stato di decozione tale da fargli ricordare si e no i tempi della Gioventù del Littorio, della Repubblica, del Duce.
Rientro a Roma col motore che fila come l’olio. Il Vespone corre quasi come una utilitaria, anzi la superebbe se non dovesse contare solo su due ruote, oltretutto modeste, e non quattro. Le notti passate fuori, me la presi con calma, le passai in locande lungo la strada e in un’accogliente canonica.
Tornano i miei a Roma e dicono: …”speriamo che il tuo scarafaggio non si sia mosso dal garage. Quando lo dai via fai sempre in tempo, non è un mezzo per chi ha la tua età, anche se ti illudi d’essere nato ieri”…
…”Mamma, guarda che Tommy (il portiere) mi da detto che papy il bolide l’ha usato e come! L’ha visto uscire a tutta birra. Rientrare no! sarà stato dopo la chiusura dei cancelli” … Apriti cielo!
…”Lo immaginavo! incosciente! magari sarai pure andato al mare, una strada di venti chilometri piena di pericoli e incidenti” … Se avessero controllato il contachilometri, ma non lo fecero, ne segnava mille in più.
E per fortuna non c’era ancora la diffusione dei cellulari, così me la cavai con un paio di telefonate alle figlie e figlio, come fossi a Roma.
Non alla moglie però, lei la vede lungo e si sarebbe accorta immediatamente del misfatto anche a distanza. Comunque i primi telefoni portatili già esistevano, ma costavano uno sproposito e li usavano solo ditte e nababbi.
Dopo questo viaggio il Vespone, adocchiato da qualche intenditore, sparirà con il gaudio della famiglia. Come ho accennato l’avevo parcheggiato e sotto casa, onde evitare polemiche con i miei, salvo il portarlo nel box di notte.
Non nascondo che ho nutrito il sospetto siano stati i loro accidenti e anatemi a promuovere il furto, o almeno a facilitarlo parecchio.
Così successivamente, contro tutti e tutto, ecco arrivare il cinquantino odierno, il centoventicinque sarebbe stato un azzardo, una provocazione, per il quale m’inventai l’indispensabilità per il mio ufficio onde poter circolare nel centro di Roma, vietato a tutti salvo una tolleranza per bici, motorini e scooter.
Scuse! In effetti il Vespino mi ha condotto parecchie volte in luoghi di mare e monti prossimi a Roma in quanto, coi suoi quarantacinque effettivi, anche cinquanta (velocità niente male per la mole e motore ridotti), arrivavo sempre spedito alla meta prefissa. Sporadicamente lo usai su distanze maggiori, senza eccedere, pur se lui ha cercato di farmi capire di essere pronto a raggiungere il Polo o l’Equatore in cambio di un po’ di olio, carburante, cura e manutenzione ridicoli rispetto un’auto, per quanto minuscola e utilitaria possa essere.
Torno ad oggi, al viaggio Roma-Varese per il quale sono stato accantonato stante la mia presunta inaffidabilità. In merito c’è anche da dire la Micra è di mia moglie, malgrado la comunione dei beni, e lei questa prerogativa la fa’ pesare pur se, non fosse per me, l’auto sarebbe già dal demolitore per avere lei ignorato ogni pur minima manutenzione e assistenza tecnica, assicurativa, fiscale (alle quali ho sempre provveduto io).
Non basta. Oltre me salta così fuori l’inaffidabilità dell’auto.
…”i suoi anni sono troppi, l’abbiamo comperata nell’anno XX”…
…” potrebbero essersi seccate le guarnizioni (e perché?)”…
…”le auto le cambiano tutti dopo un paio d’anni o poco più”… Avessero chiesto se il motore girasse bene (assolutamente si), se consumasse olio (no), se il chilometraggio fosse elevato (settantamila, quasi da rodaggio), senza considerare sia stata sempre in box e condotta da mia moglie e me!
E già! figlie più che maggiorenni, più che laureate, apprensive della figura paterna, hanno deciso che il viaggio con lo Shuttle del Sol Levante non sia fattibile sia per il caso uomo, sia per il mezzo.
Che fare con questa Alleanza (complice un po’ anche mia moglie)?
Eppure non è che nel tempo io sia stato tenero nel subire imposizioni, non è sia stato possibilista nel prendere decisioni impegnative e pericolose ai tempi del Duce e dopo! Ma ora la situazione è questa e anche mia moglie alla fin fine si rifiuta di salire al nord sull’auto che dovrei condurre io.
In effetti già nel lontano 1950, in epoca di autoveicoli inesistenti e ancora noi fidanzatini, lei si rifiutò di salire su una automobilina alla Paperino, il Volugrafo (nome impossibile, al pari della vetturetta; ne ho parlato), che avevo acquistato nella certezza di vedermi buttare le braccia al collo, sbagliando clamorosamente. Ma allora avevamo dalla nostra la gioventù e il rifiuto si basava soprattutto su motivazioni “estetiche”, e non tecniche, riguardo quel mostriciattolo che poi, in fondo, non era tanto male.
Le figlie, alle quali s’accoda poco convinto il fratello, minacciano il blocco dell’auto o il ritiro delle chiavi, contestandomi che sulla Micra della mamma non possa pretendere nulla. Io avevo infatti una Regata Special che di lati positivi ne presentava parecchi, ma essa, dopo lo sfratto subito dal suo box per l’arrivo della Micra, mi venne sottratta da qualche polacco bisognoso di un sito ove dormire e di un’auto semplice da rubare, come accertato dalla polizia comunale. L’auto sarà ritrovata ma le sue condizioni materiali, oltre le mie psicologiche, mi consigliarono solo di portarla alla demolizione.
In casa restava la Micra muliebre, pertanto decidemmo di non acquistare un ulteriore mezzo, anche perché essa era sufficiente per noi, rimasti in due, mentre io, per le piccole necessità, avevo comunque il Vespino che usavo e uso, oltre le bici di sempre. Per il momento la Pax Familiare ha avuto il sopravvento, pur se condizionata da troppi fattori e magari solo Pax apparente.
Infatti questo fatto, in se modesto, mi ha spinto di nuovo a riflessioni e considerazioni su di me, la vita, il futuro sul quale possa contare.
Sento necessità di un break, di guardarmi in faccia, di stare solo, è indispensabile. Così moglie e figli, dopo il rientro dal nord, troveranno una lettera a loro indirizzata, la quale gli comunicherà sic et simpliciter che per un certo periodo uscirò dal loro ambito. Una settimana, due, forse più, vedremo.
Resteranno relativamente tranquilli, almeno lo spero, in quanto avranno la mia parola che sarà una assenza di riflessione, ricerca di me stesso, un po’ simile alle idee indù le quali suggeriscono agli ultracinquantenni di fare fagotto e cercare lo scopo dell’esistenza umana, prima di uscirne del tutto.
Ho necessità di ragionare, di fare un viaggio nel corso del quale faccia il punto sul mio intimo, sulla vita trascorsa e recente, sugli eventi passati non sempre tranquilli o scevri da preoccupazioni. Vorrei recuperare una libertà e chiarezza che ho sentore siano stati man mano limitati. Va bene! non posso alterare la Carta d’Identità, però a me dell’età anagrafica importa poco.
Ci sono la salute, la forma fisica e mentale, entrambi accettabili.
Problemi fisici ci sono pur stati, è vero, ma superati, e quelli di oggi sono normali, mercé la figlia medico che ha tamponato più situazioni.
Resta che ora, oltre una ipotetica giovinezza fisica, non si è sopita in me la volontà di vita attiva, di ricerca, sportiva, supportandola con una dietetica limitata e sana, per la quale mia moglie è da sempre maestra.
Tornando a noi farò questo passo. Assicurerò non trattarsi di una fuga senile - sentimentale, o voglia di emulare Diogene di Sinope trasformandomi in un barbone cinico. Gli esprimerò la certezza di rivederli presto, attendendomi la comprensione che intenderanno riservarmi. Li pregherò di evitare ricorsi alle autorità, al “Chi l’ha Visto” TV o similari. Ho detto che tornerò, e così sarà.
Insomma qualcosa vicina a quando decisi di andare con la Repubblica del Duce e di anni ne avevo diciassette, finendo poi a fare poco o niente con l’esercito tedesco. Ma quello che è più simpatico per me, quanto sarà terrifico per loro, è che, visto che la Micra l’hanno loro, partirò niente di meno con l’amato PiKappa (lo nomino così, mi piace dargli importanza) controllato, revisionato, bollato, assicurato. Mi accompagneranno una borsa, un sacco con qualcosa di personale, poco altro. Infilerò il casco rosso e metterò un grosso paio di occhiali scuri, che coprano un bel po’ il viso evitando, come accaduto, che qualche ragazzo irrispettoso, superandomi col proprio drago da mille, mi gridi : …”A nonno! ndo’ c..zo vai co’ quer monopattino?” …
Farò attenzione a non affaticare il mezzo della Piaggio che, sono certo, non mi deluderà (funzionano meglio i cinquantini che i loro quadrimotori P108 dell’ultima guerra, che di noie ne diedero a iosa).
Ho pensato di percorrere fra i sessanta–ottanta chilometri giornalieri, anzi, date le mie simpatie per la Roma antica, diciamo un quaranta-cinquanta miglia, quelle che i militi e legionari percorrevano a piedi in un paio di giorni, senza i PiKappa al tempo inesistenti.
Porterò pochi soldi, il Bancomat postale, il cellulare per qualche contatto con familiari e figlia un pò complice. Dove andrò? il piano è indicativo.
Cercherò di rivedere luoghi, magari persone, che mi ricordino qualcosa del passato, oltre degli amici e camerati di un tempo.
Ho pensato di non allontanarmi troppo così, considerando che una bella fetta di mondo l’ho già visitata, devo prendere atto di conoscere poco proprio ciò che ho avuto sempre a portata di mano, cioè il Lazio, penalizzato nei secoli dalla presenza centripeta dell’Urbe romana prima e cristiana poi, che lo ha relegato nella penombra. E allora che Lazio e interland siano e mi attendano, li vedrò finalmente come ho sempre desiderato.
Una volta tanto voglio dedicarmi a Latini, Romani, Sabini, Etruschi, Rutuli, Ernici, Oschi, che mi porteranno ai tempi ancestrali di Roma.
Magari incontrerò di nuovo il mio amico-avo Mancinus, cioè Quinto com’era chiamato e lo chiamo io oggi, anziché il complicato e esatto Mancinus Lucius Hostilius, di cui ne ho parlato nello scritto dedicato alle cinte murarie della città. Spero che il tutto mi aiuti a rivivere i miei tempi e esaminare l’excursus della mia vita. Parlerò con un attento interlocutore, giudice severo, cioè con me stesso, come la figura riflessa in uno specchio che colloqui imparzialmente con l’altra di fronte.
Visiterò i centri maggiori e meno, augurandomi ciò risulti proficuo.
Farò come il mio amico Luciano, l’ingegnere petrolifero di cui ho parlato in Ragazzi di Portoria, innamorato dell’utopia della grande Thule, del mondo tenebroso delle SS iniziatiche, della supremazia ariana nel mondo, che lo spinsero ad affrontare il mare con il battello costruito di proprie mani in base a regole moderne e remote, ove applicherà sia il suo sapere, sia quello di Pitagora e delle conoscenze orientali, allontanandosi poi verso un ignoto brumoso, assistito dai suoi Asi, da Wotan, dalle Valchirie galoppanti.
Con la differenza che lui, come voleva, dal viaggio non è più tornato. L’ho detto, me lo figuro procedere nel silenzio del profondo nord, con il mastro d’ascia orientale che l’accompagnò, fra lontani fiordi, ghiacci, nebbie, cieli gravidi di nubi oscure e turbinose.
No, il mio viaggio sarà modesto e breve; io tornerò, compirò un tentativo infimo di ricerca e introspezione rispetto l’amico ingegnere il quale s’immerse nel nulla dello spazio e del tempo.Tornerò, spero chiarito nei lati che assillano me e ognuno di noi e, pur se l’azione mia e quella del mio amico non siano certo paragonabili, lo scopo sarà il medesimo, un impatto con noi stessi e con quella verità la quale, se c’è, ci circonda e ci compenetra.

La lettera
Amati, moglie, figlie, figlio
Non ci ho creduto fino all’ultimo, poi le perplessità le ho accantonate ed eccomi a scrivere questa lettera. Già mio padre mi insegnò che una delle migliori forme di comunicazione fra familiari era quella scritta, che permette di esprimerci meglio e evitare emotività poco producenti.
Vado al concreto. Nessuno nega io abbia raggiunto la via degli anni avanzati. Ma non mi pesano e m’illudo di sentirne parecchi di meno, pur se qualche disguido è stato superato, tanto da godere una salute e mente non male, volontà di concludere, ricordare, insomma far qualcosa e di più. Stante ciò cosa mi trovo di fronte? Voi figli che cercate solo di tutelarmi. Lo stesso si ripete con la cara moglie, ma lei, pur se più giovane, la posso comprendere.
Come posso accettare ciò io che ho avuto un’esistenza a dir poco attiva, e continuo a tentare di averla tale? Ho dovuto sempre lottare per idee, mete, lavoro, sin da bambino, ragazzo, adulto, marito, padre, nonno.
Nulla mi è stato dato senza ci sia stata una contropartita consistente.
Non ritengo di essere un passivo, ho seguito gli studi che mi sono stati concessi e li ho coltivati una vita, sono andato ragazzo a cercare una bella morte che non giunse, ho svolto qualcos’altro a venti, trenta, quaranta anni (e basta) che non approvereste. Ho sfidato più volte il destino pagando quando qualcosa non andò come dovuto. Ebbene, dopo una vita siffatta, mi vedo considerato un semi-capace. L’ultimo episodio non è determinante, è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il rifiuto che mi trasferissi a Varese in auto l’ho preso male. Mi avete contestato carenze e capacità mancanti.
Senza considerare l’inaffidabilità da voi riferita alla nostra Micra, quella del Sol Levante, non l’ultima, la quale marcia che è un piacere.
Ciò mi ha spinto ad interrogarmi sullo status di vita passato, attuale e futuro, pur modesto sia quest’ultimo, che m’illumini sulle mie possibilità, errori, rapporti, tenuti io con voi e voi con me. Ho deciso così di partire per un viaggio di ricerca assieme ad un amico da sempre caro, cioè me stesso, e confrontarmi con lui senza restrizioni e condizionamenti.
So che vi inquieterete, ma ancor più lo sarete al prendere atto che per muovermi utilizzerò la mia Vespa, per me Pikappa, alla quale sono affezionato quanto è da voi aborrita. Siate tranquilli, userò la massima prudenza, nonché tornerò presto, una settimana? due? più? Non so. Devo sentire che la ricerca sia compiuta e lo sprone al rientro presente.
Per favore non mi cercate ed i messaggi sul cellulare non troverebbero risposta, salvo le emergenze. Anch’io vi avvertirò nel caso d’imprevisti seri. Non interpellate Polizia e Autorità, vi farebbero un sorriso carico di sottintesi e comprensione per me, dovendo essi pur leggere questa missiva. Quindi un abbraccio e un bacio a tutti voi e … aspettatemi. Marito e padre tornerà presto, non è fuggito con nessuno e con nessuna. Collaborate pure voi.

Verso il mare
Eccomi partito, moglie fuori per acquisti, figli impegnati, io via.
Pikappa fila a quarantacinque, non male come inizio.
Tappe odierne Fiumicino, Ostia, Anzio-Nettuno. Non dovrei superare gli ottanta chilometri complessivi. Pochi in più rispetto i preventivati, pur se ci saranno giorni in cui il targhet di marcia sarà maggiore.
Supero Acilia alla cui inaugurazione (1939?) ero presente come balilla, solo che oggi le case coloniche d’allora, assegnate ai romagnoli che bonificarono l’area e in modesta misura ancora esistenti, sono sostituite pressoché totalmente da una miriade di palazzoni dormitorio, anonimi, impersonali, tutti uguali fra loro Ah! Acilia, ti ricordo come allora, non come oggi. Non ti riconosco, non hai più l’aria di Borgo agreste, bensì d’una appendice della non lontana Roma. Qui morì mio padre novantaduenne in un istituto di accoglienza che rasento senza fermarmi, pensando però a lui.
Traverso il piccolo centro e raggiungo la frazione di Ostia Antica, ove la poderosa mole del Castello di Giulio II, un tempo sulla riva marina è ora all’asciutto per alcuni chilometri, dato il cambio dell’alveo del Tevere. Esso mi parla delle difese papali dalle genti nemiche sbarcate dal Tirreno prospiciente, delle lande malariche dei secoli passati, delle urla della guarnigione rinchiusa nella torre al tempo dei Lanzi, morta di fame e di sete.
Proseguo; sguardo dall’esterno ai ruderi della Ostia Romana, che ben conosco, un tempo sul mare, ed eccomi a Fiumicino, cioè a Porto, che declassò Ostia sin dall’epoca imperiale.
Dedicherò poco più di mezz’ora per una visita al grande bacino di Traiano, successivo al porto insabbiato di Claudio, con le possenti strutture sul posto e utilizzato ancora al tempo delle Crociate. Una visita flash al cimitero di Porto mi conferma che esso ha ben poco di diverso dai nostri di oggi del Verano e Prima Porta. Evito il museo dei barconi ritrovati in loco, già visitato
E allora verso Ostia. La taglio velocemente. Passo dinanzi al complesso delle colonie estive GIL che accolse anche me infante, supero lo stadio di calcio il quale, in una maratona Roma-Ostia, alla quale partecipai con mio figlio nella squadra di Abdon Pamic, mi vide giungere fra gli ultimi, comunque non ritirato dalla dura competizione.
Ancora avanti, Pikappa non perde un colpo, può dirsi si metta in moto a comando cerebrale e non con i modestissimi colpi di tacco.
Mare e litorale si snodano sulla destra e sinistra. Ecco la tenuta della Presidenza della Repubblica, Tor Vaianica, altri agglomerati con aria d’abusivismo, e mi approssimo ad Ardea, la città dei Rutuli di Turno, antagonista della prima Roma. Mezz’ora di sosta.
Rivedo, ma non riconosco, i luoghi di scarico dei nostri mezzi militari Wehrmacht di rifornimento ai tedeschi di Anzio.
Qui si svolsero le gesta del Nembo e del Folgore RSI, qui combatterono il mio amico Mario e il fratello Giorgio, parà del Comandante Sala, medaglia oro caduto a Decima, alle porte di Roma.
Poi Tor San Lorenzo, le cui spiagge videro lo sbarco inglese del 1944, il Lido dei Pini, la Lavinio di oggi (quella di Enea è sepolta a Pratica di Mare), la tenuta Borghese di Tor Caldara, altro luogo di sbarco, ove nelle sue prossimità osservai con i tedeschi un mare coperto di navi da combattimento e carico alleate, e nel dopoguerra soggiornai con la roulotte assieme a pochi graditi dal principe Borghese romano e, lui tramite, a quelli del ramo anziate. Ed ora Anzio, la Antium di Coriolano, di Nerone, dei rostri delle navi Volsche inserite nelle colonne del Foro di Roma. Ecco la Piazza ove nel primo dopoguerra rischiai di perdere un mare di soldi (vedere Ragazzi di Portoria), ecco le colonie dei ferrovieri e della GIL che m’accolsero per più estati, la caserma ove erano i soldati albanesi quando l’Albania divenne un protettorato italiano, retta dal nostro Re Vittorio Emanuele III.
Raggiungo il Porto sotto le cui acque giace tutt’oggi l’incrociatore inglese Spartan, con parte dell’equipaggio, affondato nell’incursione di ottocento aerei della Luftwaffe del 29 Gennaio 1944, ove fu colpita anche una nave ospedale, la Saint David mi pare (seguii le ondate di aerei che arrivavano, cadevano (centocinquanta) tornavano). Una puntata d’obbligo a Nettuno, al Castello Borghese e al Campo della Memoria, il quale raccoglie il ricordo e i caduti del battaglione Barbarigo della Divisione Decima. Il campo oggi è chiuso. Mi limito ad una panoramica visiva dalle grate del grande cancello.
Un pensiero ai camerati di allora che m’immagino ricambino.
Per oggi basta. E’ stata una giornata faticosa, specie perché iniziale, pur se mi sono soffermato poco nei siti a me più noti. Mi è bastato rivederli.
Un alberghetto conosciuto mi offre ricovero per la notte, mangio qualcosa.
A casa come avranno preso la lettera e l’allontanamento? d’altronde anche mezzo anticipato e poco creduto, come fosse una burla? Spero accettabilmente e comunque non ne sono troppo preoccupato.
Domani sarò a Littoria (Latina), Terracina, Sperlonga, poi verrà Cassino.
Per quanto concerne la giornata trascorsa, a parte le mie enfasi, si è trattato in effetti dell’aver compiuto il tragitto Roma – Anzio/Nettuno (la Nettunia unica del Duce), passando per Fiumicino, Ostia, Ardea, Lavinio e Litoranea.
Insomma un tragitto che a vent’anni, nel 40 – 50 avremmo fatto fra amici in bici senza problemi e senza gli scooter che non avevamo e non c’erano.
Questo primo tratto mi ha portato a ragionare e chiedermi se fosse giusto l’attaccamento agli uomini del mio tempo, collegati al Fascio giovanile e al nostro Stato complicato, liberale, fascista, papale, monarchico, repubblicano, con mia appendice anche per gli aborriti tedeschi, almeno per molti italiani d’oggi, immemori trattarsi dei nostri alleati più seri da un paio di secoli, per stare ai tempi recenti.. Ebbene, ci ho ragionato, sia la sera, sia durante il viaggio, e sono giunto al convincimento non debba rimproverarmi nulla.
Sono stato figlio dei miei tempi, quelli dell’orgoglio nazionale, Dio e Patria, doveri prima e diritti poi, del Credere – Obbedire - Combattere, Libro e Moschetto. Non conobbi altri principi e non potei giudicarne altre realtà, pur se oggi riconosco che, oltre le tante positività, vi furono parecchi lati dubbi, poco accettabili. E parlando di uomini non mi sento di rinunciare a coloro che mi coinvolsero, Duce in primis, a Borghese, Graziani, Muti, Kesserling, Segni, Almirante, Sogno, De Gasperi, Tambroni, Pella, Zoli, Craxi, a salire nel tempo e a titolo indicativo. Aggiungo i comandanti GIL Capitano Volpi, i tenenti Valle, Bellini, Corvisieri, l’amico coetaneo Raffaele Galluzzo, ucciso barbaramente dai partigiani a Torino. Quando riavremo persone siffatte, esempi nella loro fermezza., onestà intellettuale e materiale, principi morali, etici? No! non ho da rimproverarmi nulla e, pur non rinunciando ad un sano spirito critico, non ripudio uomini e fatti passati, come fatto dalle schiere dei voltagabbana e opportunisti del dopoguerra, conscio che lo status politico da me conosciuto si sarebbe adeguato alle idee, principi, realtà, che dal dopoguerra si sono riproposte e si stanno succedendo. Infine dopo pizza, birra, ragionamenti un bel po’ parziali e coscienza a posto, mi ritiro preparandomi all’indomani e ad un altro ragionamento, magari più diretto e personale.

auroraageno
00martedì 28 aprile 2009 16:12
Incredibile quanto tu sia vitale, Francesco!

Ti ammiro profondamente. Aspetto di leggere anche il resto.

Un bacio

aurora

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