GIUSEPPE UNGARETTI - antologia

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_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:37




Giuseppe Ungaretti nasce il 10 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori lucchesi, trasferiti in Africa per lavorare alla costruzione del canale di Suez. A due anni il poeta subisce il primo lutto in famiglia: la morte del padre.
Il periodo egiziano lascia nella mente dello scrittore ricordi esotici, uniti a esperienze giovanili di consolidate amicizie, come quella con il compatriota Enrico Pea, fondatore del circolo anarchico la «Baracca rossa».
Nel 1912 Ungaretti si trasferisce a Parigi: studia per due anni alla Sorbona, segue le lezioni di filosofia di Bergson, ma non si laurea. Frequenta gli ambienti dell’avanguardia, venendo a contatto con Apollinaire, Picasso, Braque, e con gli italiani De Chirico, Modigliani, Soffici, Papini, Palazzeschi, Marinetti e Boccioni.

Rientra in Italia nel 1914, si abilita all'insegnamento della lingua francese e lavora a Milano. Questo è il periodo in cui inizia la sua attività poetica. Allo scoppio della guerra, è attivo come interventista, si arruola come volontario ed è mandato a combattere sul fronte del Carso. Questa esperienza di trincea spinge Ungaretti a una profonda riflessione sull’effimera condizione umana e sul valore della fratellanza tra gli uomini: è l’uomo presente alla sua/fragilità. Nasce quindi in mezzo ai morti la sua prima raccolta (Il porto sepolto, 1916): «nel mio silenzio, ho scritto, lettere piene d'amore».
Dal 1918 al 1921 vive a Parigi, lavora presso l’Ambasciata italiana ed è corrispondente per il giornale fascista il «Popolo d’Italia». Durante il suo soggiorno francese sposa Jeanne Dupoix e pubblica con Vallecchi la prima edizione di Allegria di Naufragi (1919). Il nome della raccolta indica la gioia del sopravvissuto alla tempesta, di colui che, avendo visto la morte vicina, sa apprezzare la vita: «E subito riprende il viaggio, come dopo il naufragio, un superstite lupo di mare». Ungaretti è dunque il poeta delle emozioni forti, che richiedono un’immediatezza espositiva, giocata sull’impiego di analogie e sulla rottura delle regole della metrica tradizionale. La punteggiatura è annullata, la disposizione della parola nello spazio bianco del foglio assume un’importanza fondamentale che concorre a scandire il ritmo nella declamazione poetica. Ogni parola racchiude in sé un concetto, per questo l’autore opera una scelta ben calibrata del lessico, che con la sua semplicità riesce a rendere con pienezza tutta l’amarezza e il dolore della sua prima produzione.
A causa della precaria condizione economica, nel 1923 si trasferisce vicino Roma, a Marino, e viene impiegato al Ministero degli Esteri. Nel 1925, Ungaretti firma il Manifesto degli intellettuali fascisti.
Nel 1931 esce l'edizione definitiva, de l’Allegria, il volume pubblicato originariamente nel 1916 con il titolo Il Porto Sepolto, quindi nel 1919 con il titolo Allegria di naufragi e di nuovo nel 1923 con la prefazione di Benito Mussolini.
La raccolta Sentimento del tempo, datata 1933, segna l’inizio dell’avvicinamento alla fede religiosa, che rappresenta per lo scrittore l’ultimo appiglio dell'uomo smarrito di fronte alle angosce esistenziali e al dolore della morte. Il recupero fideistico da parte dello scrittore comporta la ripresa di una metrica più tradizionale che vede l’impiego dell’endecasillabo e del settenario.
Dopo un periodo di lavoro come corrispondente della «Gazzetta del Popolo», che lo vede impegnato in diversi viaggi all’estero, nel 1936 è chiamato in Brasile a insegnare letteratura italiana all’Università di San Paolo. Durante il soggiorno americano, il poeta, che in pochi anni aveva visto la morte della madre e del fratello, è ora colpito da un lutto ben più grave, la morte del figlio di nove anni. A questo tragico evento sono dedicati molti dei versi raccolti nella prima parte de Il dolore, in cui l’uomo ungarettiano lotta per conservare la fede di fronte agli imperscrutabili disegni divini: «In cielo cerco il tuo felice volto, ed i miei occhi in me null'altro vedano, quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...»
Nel 1942, a causa del conflitto mondiale, ritorna in Italia: gli sono conferiti il titolo di Accademico d'Italia e la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Roma. Alla fine della guerra, dopo una serie di difficoltà legate al suo collaborazionismo con il regime fascista, è confermato docente universitario e Mondadori comincia a pubblicare le sue poesie: Il dolore (1947), La Terra promessa (1950), Un grido e paesaggi (1952), Il taccuino del vecchio (1961) e Vita di un uomo (1969). Questa ultima raccolta racchiude tutta la sua produzione poetica, inclusi i suoi saggi critici e le sue traduzioni, tra cui Gòngora, Mallarmé e Blake.
Ungaretti termina così la sua opera letteraria, un anno prima della sua scomparsa.
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:38
ETERNO



Tra un fiore colto e l'altro donato


l' inesprimibile nulla

_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:39
NOIA



Anche questa notte passerà

Questa solitudine in giro
titubante ombra dei fili tranviari
sull' umido asfalto

Guardo le teste dei brumisti
nel mezzo sonno
tentennare


_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:40
LEVANTE



La linea
vaporosa muore
al lontano cerchio del cielo

Picchi di tacchi picchi di mani
e il clarino ghirigori striduli
e il mare è cenerino
trema dolce inquieto
come un piccione

A poppa emigranti soriani ballano

Aprua un giovane è solo

Di sabato sera a quest' ora
Ebrei
laggiù
portano via
i loro morti
nell' imbuto di chiocciola
tentennamenti
di vicoli
di lumi

Confusa acqua
come il chiasso di poppa che odo
dentro l'ombra
del
sonno





_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:40

TAPPETO



Ogni colore si espande e si adagia
negli altri colori

Per essere più solo se lo guardi


_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:47
NASCE FORSE



C' è la nebbia che ci cancella

Nasce forse un fiume quassù

Ascolto il canto delle sirene
del lago dov' era la città





Le poesie " Eterno", " Noia", "Levante", "Tappeto", "Nasce forse" sono tratte da:
Giuseppe Ungaretti, Vita d' un uomo,Tutte le poesie, L'Allegria, Mondadori editore, a cura di Leone Piccioni.
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:49
Da L'ALLEGRIA

AGONIA

Morire come le allodole assetate
sul miraggio

O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia

Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato

_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:50
Veglia

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:51
Fratelli

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli
Mariano il 15 luglio 1916
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:52
San Martino del Carso

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato


Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:53
Mattina


M'illumino
d'immenso.


Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:54
Allegria di naufragi

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare




Versa il 14 febbraio 1917
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 17:55
Soldati


Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.



Bosco di Courton luglio 1918
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 18:00









La madre
1930

E il cuore quando d'un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d'ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia.
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 18:13
Dove la luce
1930

Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del mare e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d'ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.

Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov'è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d'oro.

L'ora costante, liberi d'età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 18:14
Da "Il dolore"

Giorno per giorno

1940-1946



4
Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...

7
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...

8
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto

9
Inferocita terra, immane mare
Mi separa dal luogo della tomba
Dove ora si disperde
Il martoriato corpo...
Non conta... Ascolto sempre più distinta
Quella voce d'anima
Che non seppi difendere quaggiù...
M'isola, sempre più festosa e amica
Di minuto in minuto,
Nel suo segreto semplice...

13
Non più furori reca a me l'estate,
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!...




_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 18:18
TUTTO HO PERDUTO

da IL DOLORE - da TUTTO HO PERDUTO



Tutto ho perduto dell'infanzia
E non potrò mai più
Smemorarmi in un grido.

L'infanzia ho sotterrato
Nel fondo delle notti
E ora, spada invisibile,
Mi separa da tutto.

Di me rammento che esultavo amandoti,
Ed eccomi perduto
In infinito delle notti.

Disperazione che incessante aumenta
La vita non mi è più,
Arrestata in fondo alla gola,
Che una roccia di gridi.


1937
_fiordineve_
00lunedì 22 febbraio 2010 18:48
NATALE

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare






Napoli, il 26 dicembre 1916
_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 17:56
STELLE



Tornano in alto ad ardere le favole.

Cadranno colle foglie al primovento.

Ma venga un altro soffio,
Ritornerà scintillamento nuovo.

1927
_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 17:57
SILENZIO



Conosco una città
che ogni giorno s'empie di sole
e tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio
delle cicale

Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell'aria torbida
sospesi


Mariano, il 27 giugno 1916
_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 17:58
SENTIMENTO DEL TEMPO


E per la luce giusta,
Cadendo solo un'ombra viola
Sopra il giogo meno alto,
La lontananza aperta alla misura,
Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Ma ora l'ascolto,
T'affretta, tempo, a pormi sulle labbra
Le tue labbra ultime.

1931
_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 17:59
Il lampo della bocca

Migliaia d'uomini prima di me,
ed anche più di me carichi d'anni,
Mortalmene ferì
Il lampo d'una bocca.

Questo non è motivo
che attenuerà il soffrire.

Ma se mi guardi con pietà,
e mi parli, si diffonde una musica,
dimentico che brucia la ferita.
_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 18:00
SENTIMENTO DEL TEMPO
da IL SENTIMENTO DEL TEMPO - da INNI


E per la luce giusta,
Cadendo solo un'ombra viola
Sopra il giogo meno alto,
La lontananza aperta alla misura,
Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Ma ora l'ascolto,
T'affretta, tempo, a pormi sulle labbra
Le tue labbra ultime.

1931
_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 18:01
RICORDO D'AFRICA
da IL SENTIMENTO DEL TEMPO - PRIME



Non più ora tra la piana sterminata
E il largo mare m'apparterò, né umili
Di remote età, udrò più sciogliersi, chiari,
Nell'aria limpida, squilli; nè più
Le grazie scerbe andrà nudando
E in forme favolose esalterà
Folle la fantasia,
Nè dal rado palmeto Diana apparsa
In agile abito di luce,
Rincorrerò
(In un suo gelo altiera s'abbagliava,
Ma le seguiva gli occhi nel posarli
Arroventando disgraziate brame,
Per sempre
Infinito velluto).

E' solo linea vaporosa il mare
Che un giorno germogliò rapace,
E nappo d'un miele, non più gustato
Per non morire di sete, mi pare
La piana, e a un seno casto, Diana vezzo
D'opali, ma nemmeno d'invisibile
Non palpita.

Ah! questa è l'ora che annuvola e smemora.

1924

_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 18:03
PERCHE'?
da L'ALLEGRIA - IL PORTO SEPOLTO



Ha bisogno di qualche ristoro
il mio buio cuore disperso

Negli incastri fangosi dei sassi
come un'erba di questa contrada
vuole tremare piano alla luce

Ma io non sono
nella fionda del tempo
che la scaglia dei sassi tarlati
dell'improvvisa strada
di guerra

Da quando
ha guardato nel viso
immortale del mondo
questo pazzo ha voluto sapere
cadendo nel labirinto
del suo cuore crucciato

Si è appiattito
come una rotaia
il mio cuore in ascoltazione
ma si scopriva a seguire
come una scia
una scomparsa navigazione

Guardo l'orizzonte
che si vaiola di crateri

Il mio cuore vuole illuminarsi
come questa notte
almeno di zampilli di razzi

Reggo il mio cuore
che s'incaverna
e schianta e rintrona
come un proiettile
nella pianura
ma non mi lascia
neanche un segno di volo

Il mio povero cuore
sbigottito
di non sapere

Carsia Giulia, 1916
_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 18:04
NOSTALGIA
da L'ALLEGRIA - IL PORTO SEPOLTO




Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa

Su Parigi s'addensa
un oscuro colore
di pianto

In un canto
di ponte
comtemplo
l'illimitato silenzio
di una ragazza
tenue

Le nostre
malattie
si fondono

E come portati via
si rimane

Locvizza, il 28 settembre 1916
_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 18:05
MIO FIUME ANCHE TU
da IL DOLORE - da ROMA OCCUPATA 1.



Mio fiume anche tu, Tevere fatale,
Ora che notte già turbata scorre;
Ora che persistente
E come a stento erotto dalla pietra
Un gemito d'agnelli si propaga
Smarrito per le strade esterrefatte;
Che di male l'attesa senza requie,
Il peggiore dei mali,
Che l'attesa di male imprevedibile
Intralcia animo e passi;
Che singhiozzi infiniti, a lungo rantoli
Agghiacciano le case tane incerte;
Ora che scorre notte già straziata,
Che ogni attimo spariscono di schianto
O temono l'offesa tanti segni
Giunti, quasi divine forme, a splendere
Per ascensione di millenni umani;
Ora che già sconvolta scorre notte,
E quanto un uomo può patire imparo;
Ora ora, mentre schiavo
Il mondo d'abissale pena soffoca;
Ora che insopportabile il tormento
Si sfrena tra i fratelli in ira a morte;
Ora che osano dire
Le mie blasfeme labbra:
"Cristo, pensoso palpito,
Perchè la Tua bontà
S'è tanto allontanata?"

Ora che pecorelle cogli agnelli
Si sbandano stupite e, per le strade
Che già furono urbane, si desolano;
Ora che prova un popolo
Dopo gli strappi dell'emigrazione,
La stolta iniquità
Delle deportazioni;
Ora che nelle fosse
Con fantasia ritorta
E mani spudorate
Dalle fattezze umane l'uomo lacera
L'immagine divina
E pietà in grido si contrae di pietra;
Ora che l'innocenza
Reclama almeno un eco,
E geme anche nel cuore più indurito;
Ora che sono vani gli altri gridi;
Vedo ora chiaro nella notte triste.

Vedo ora nella notte triste, imparo,
So che l'inferno s'apre sulla terra
Su misura di quanto
L'uomo si sottrae, folle,
Alla purezza della Tua passione.

Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l'uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell'amore non vano.

Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell'umane tenebre,
Fratello che t'immoli
Perennemente per riedificare
Uamnamente l'uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D'un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.
_fiordineve_
00martedì 23 febbraio 2010 18:06
LINDORO DI DESERTO
da L'ALLEGRIA - IL PORTO SEPOLTO



Dondolo di ali in fumo
mozza il silenzio degli occhi

Col vento si spippola il corallo
di una sete di baci

Allibisco all'alba

Mi si travasa la vita
in un ghirigoro di nostalgie

Ora specchio i punti di mondo
che avevo compagni
e fiuto l'orientamento

Sino alla morte in balia del viaggio

Abbiamo le soste di sonno

Il sole spegne il pianto

Mi copro di un tiedipo manto
di lind'oro

Da questa terrazza di desolazione
i braccio mi sporgo
al buon tempo

Cima Quattro, il 22 dicembre 1915
_fiordineve_
00sabato 27 febbraio 2010 02:14
SENTIMENTO DEL TEMPO

E per la luce giusta,
Cadendo solo un'ombra viola
Sopra il giogo meno alto,
La lontananza aperta alla misura,
Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Ma ora l'ascolto,
T'affretta, tempo, a pormi sulle labbra
Le tue labbra ultime.

1931


_fiordineve_
00sabato 27 febbraio 2010 02:15
Il lampo della bocca


Migliaia d'uomini prima di me,
ed anche più di me carichi d'anni,
Mortalmene ferì
Il lampo d'una bocca.

Questo non è motivo
che attenuerà il soffrire.

Ma se mi guardi con pietà,
e mi parli, si diffonde una musica,
dimentico che brucia la ferita.

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