I coloni italiani di Libia

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florentia89
00sabato 11 aprile 2009 17:39
I dimenticati
I Coloni Libici

La guerra è finita da poco. Sembra che la pace sia consolidata e le storture del dopo rientrate. Un giorno il direttore della Mensa dei “disoccupati” o dei “poveri”, per noi “del Duce” (ne ho parlato), sita nel retro della basilica di Sant’Antonio da Padova in via Merulana, verso il quale sono pure obbligato per i piaceri ricevuti per i nostri assistiti, mi chiede: ...”Senti, un favore. Sai che dirigo anche l’orfanotrofio maschile. Ho un ragazzo difficile, scappa di continuo e lo ritroviamo con difficoltà, allertando anche la polizia. Lo dovresti prendere sotto la tua protezione così, se sparisce, potrebbe venire da te, anziché finire fra sbandati o sconosciuti, e sarà più facile rintracciarlo, polizia compresa”… Non posso dir di no, né mi dispiace dare una mano.
Vedo il ragazzino, ci scambio due parole, poi il direttore-frate mi propone di andare con loro, io e famiglia, in vacanza per una quindicina di giorni in un convento semi-abbandonato in Toscana, sotto il Monte Amiata, ove porteranno gli orfani, così potrò prenderci un po’ di confidenza. Andiamo con mia moglie, due figlie, un figlio. Soggiorno in atmosfera medioevale. Il convento, enorme, è occupato da non più di cinque-sei frati, oltre noi, penso non ce ne siano di più. Il Priore mi ricorda il severo religioso di “In Nome della Rosa”, un altro è per metà ortolano e metà creatore di eccelse opere di bricolage, che realizza in una stanzone vasto e alto quanto un cinematografo, qualche altro si vede e non si vede. Siamo ospitati in alcuni locali ove di notte mi immagino file di incappucciati oranti dei secoli andati.
Il giorno faccio un po’ da assistente ai ragazzi e al ragazzino, che mi si attacca e affeziona morbosamente. Comunque decidiamo, con mia moglie, di affidarcelo a metà, come a noi richiesto, e chiediamo qualche informazione.
E’ figlio di una coppia di ex coloni libici, il papà padovano, la mamma siciliana. Dopo la guerra, con tutte le traversie passate, si trovarono in un mare di difficoltà ma accadde di più grave. La mamma si innamorò di un libico, alquanto affine alle sue genti sicule, e il marito padovano pare sia stato fatto fuori. Non è che ciò venne accertato ma il rapporto della polizia libica lascia pochi dubbi. Il papà è morto per la puntura di uno scorpione immesso nelle lenzuola del letto. Dicono che in loco è uno dei sistemi usuali per uccidere qualcuno senza problemi con la giustizia. Così la mamma si era allontanata col suo libico abbandonando cinque figli, tutti maschi e, al momento del mio interessamento, ne aveva generati altrettanti col libico. I fratelli, dei quali il minore al momento dell’abbandono aveva meno di due anni, vennero trasferiti nella casa degli anziani di Tripoli, allora ancora funzionante, così cresceranno fra i “vecchi”, con quali risultati psicologici è da immaginare.
La storia è difficile da digerire e spiega il carattere e l’irrequietezza che poi trovammo con qualche preoccupazione. Il ragazzino lo chiamerò Carmelo.
Passano alcuni giorni e dico a Carmelo che l’accoglierò un mese in casa, poi tornerà all’orfanatrofio per seguire la scuola, ma sarà nuovamente con noi ogni settimana per due-tre giorni, e mi occuperò anche dei suoi studi e di quanto possa servirgli. Ciò premesso notiamo, io e mia moglie, che un altro ragazzino più piccolo, di tipo nordico, biondo, il contrario di Carmelo, bruno, aspetto del sud, ci guarda e cerca di inserirsi nel nostro gruppetto. Chiedo al Direttore e lui, con qualche perplessità, mi dice che è .... il fratellino minore.
Avrà non più di sei anni, contro gli otto-nove di Carmelo. Che fare? Mi sento un verme al dividerli, così i semi-affidati diventano due. Non mi dilungo su un menage difficile con chi non era abituato ad alcuna regola. Frigorifero movimentato in tutte le ore diurne e notturne, rifiuto di accettare qualcosa di usato di mio figlio, pur se in perfette condizioni, assenza di buongiorni, buonanotte e similari, sia con noi che con altri di famiglia. Attaccamento di entrambi a me e rifiuto di mia moglie, che pur faceva il possibile per loro.
Carmelo e l’altro, Andrea, affermavano io potessi ben essere il loro padre, dato che non l’avevano più, ma mia moglie non sarebbe mai stata la loro mamma in quanto questa l’avevano in Libia e presto, trovato un lavoro, sarebbero tornati da lei a Misurata (la mamma verrà in Italia per curarsi, ma non vedrà alcun figlio). In più avverrà un fatto per noi imbarazzante.
Mia figlia minore entra in crisi di accettazione dei due, ha quasi attacchi isterici, di perenne rifiuto e esaurimento. Che fare? Non posso sottovalutare il problema. Anche mia moglie è preoccupata. Mi devo barcamenare con la pazienza di Giobbe e la giustizia di Salomone. Poi, non bastasse, si fa vivo un terzo fratello, ospite di un Istituto per grandicelli, che chiede anche lui qualche favore e protezione per sfangare una non facile vita. Quante complicanze!
Non finiranno perché si farà vedere il quarto fratello, il penultimo, che ha problemi di tutti i generi proprio perché più adulto, pur se cerca di gestirli meglio che può. Nei limiti del possibile e dell’impossibile cerco di far qualcosa, quasi nulla, un po’ per tutti. Conoscerò infine il “quinto”e ultimo di loro, sui diciotto anni, ormai responsabile del proprio operato, che mi chiede un parere e propone una soluzione, dato che si è stabilito in una cittadina veneta nella quale vivono parenti della mamma, ove sta iniziando a svolgere modesti lavori. Ebbene, il suo intendimento è riunire i fratelli, dei quali uno o due possono dare già una mano in qualcosa, mentre i minori saranno finalmente in una vera famiglia, aiutati sia da loro, sia dall’assistenza pubblica e privata. L’idea mi piace. Ho modo di visitare la nuova dimora. I parenti della moglie, simili in tutto a un clan nord-africano, vivono in un fatiscente fabbricato periferico, un tempo casa colonica, in condizioni per noi penose, fra un mare di figli minori o meno. Dei cinque fratelli riuniti, salvo Carmelo, gli altri sono sul biondo, altini, nordisti al cento per cento. Così l’esperimento parte, pare funzioni, e poi il destino mi vedrà trasferito in siti lontani, pur se resto in contatto iniziale col nuovo padre di tutti, cioè il fratello maggiore, forse troppo giovane per una responsabilità così elevata e nel contempo troppo “anziano” per quanto passato in precedenza. Il sodalizio romano cessa e mia figlia ritroverà l’equilibrio interno che si era molto compromesso.
Ebbene Duce, questi erano i figli dei tuoi coloni. Mi fecero vedere una foto del papà e della mamma su un autocarro, ove era affisso un cartello con i numeri delle due famiglie e il villaggio di destinazione, la quale includeva anche Italo Balbo che da sotto parlava al padre. Ne ho trovata una similare, non la loro, e lho inserita nel testo. Pensa al dramma dei cinque minori in terra ormai straniera, ostica, con un re strano che contava poco, di nome Idriss, e poi un colonnello che butterà fuori tutti gli italiani a calci nel sedere.
Il dramma è stato incommensurabile. I loro genitori, gli altri, tutti, avevano creduto in te, in Italo Balbo e, come la miriade degli altri coloni, si trovarono in una ciclone esistenziale più grande di loro. Non scuso certo la mamma per avere abbandonato cinque figli, specie poi se quello sospettato dalla polizia fosse vero, ma devo riconoscere che anche per lei la tragedia fu immane.
Duce, molti di loro, rimpatriati, si ricorderanno di te, altri saranno sfiduciati, provati, i giovanissimi invece non ebbero la possibilità di conoscerti. E poi in Italia non sempre ci fu chi dette loro una mano, sia pur modesta, come tentai di fare io. La pubblica purtroppo lasciava a desiderare.
So che potresti addebitarmi di non essere andato a fondo in questa assistenza ma ci fu qualche santo che fece venir fuori il quinto fratello, novello padre della famiglia di Misurata, provincia italiana d’oltre mare.
Se puoi cerca di aiutare Carmelo il siculo e i quattro biondi fratelli del nord.
Ho cercato di rivederli, non li ho più trovati. Sembrerebbe siano ora in Germania. Comunque ho desistito per non riaprire vecchie piaghe

Francesco Mancini
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auroraageno
00sabato 11 aprile 2009 17:52
Molto toccante..!

Grazie, Francesco. Ti sei sempre dato da fare con tutti e in tutti i modi..... Il tuo Duce sarà contento di te.

Un caro saluto

aurora

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