Le Signore di Missolungi - (continua)
Il lunedì successivo alla visita di Aurelia e Alicia Marshall, la vita a Missolungi era tornata alla normalità. Di conseguenza Missy ebbe il permesso di compiere la consueta passeggiata fino alla biblioteca circolante di Byron. Ma naturalmente la sua uscita non le accordava un piacere totalmente egoistico e privato: camminava armata di due grandi borse per la spesa, una per mano onde bilanciare il peso, e nell’occasione faceva altresì le consuete provviste settimanali.
Quiescente per tutta la settimana durante la quale non si era mossa da casa, il dolore al fianco di Missy tornò a farsi lancinante. Circostanza strana, sembrava affliggerla soltanto quando si permetteva una lunga passeggiata. Ed era uno strazio, un vero tormento.
Quel giorno il suo borsellino era in compagnia di quello di sua madre, insolitamente rigonfio perché a Missy era stato affidato il delicato incarico di comprare il crèpe lilla e la seta blu cobalto, nonché il satin marrone per il suo vestito, nell’emporio di tessuti di Herbert Hurlingford.
Missy detestava il negozio di zio Herbert più di ogni altro a Byron perché il personale era costituito solamente da giovanotti, ovviamente figli o nipoti del proprietario. Anche se si trattava di acquistare corsetti e mutande, bisognava subire le attenzioni dell’uno o dell’altro di questi villanzoni ridacchianti, per i quali la loro mansione era oltremodo divertente e la clientela imbarazzata l’oggetto dei loro lazzi inopportuni. Tuttavia questo comportamento non si esplicava con chiunque: era riservato alle donne le cui risorse finanziarie erano modeste quanto bastava a render loro impensabili gli acquisti a Katoomba o – Dio ne guardi! – a Sydney. Ed era inoltre precipuamente dedicato alle femmine Hurlingford sprovviste d’uomini che potessero esternare reazioni punitive: vecchie zitelle e vedove indigenti appartenenti al clan erano immancabilmente viste come le prede preferite.
Mentre indugiava a osservare James Hurlingford che prelevava dai ripiani le pezze indicate. Missy si domandava quale sarebbe stata la sua reazione se lei, anziché il satin marrone, avesse chiesto del merletto rosso. Ma in realtà il negozio non teneva articoli del genere: i soli tessuti rossi disponibili erano dozzinali, sete artificiali ad uso delle ospiti di Caroline Lamb Place. Pertanto, oltre al crèpe lilla e alla seta blu cobalto, Missy comprò un bellissimo taglio di satin semilucido nella tonalità designata come tabacco. Se quella stoffa fosse stata di un altro colore, le sarebbe piaciuta alla follia, ma dal momento che era marrone avrebbe anche potuto essere iuta da imballaggio. Missy non aveva mai avuto un abito che non fosse marrone. Era un colore così vantaggioso: non si notava lo sporco, non scoloriva, non passava mai di moda, non era mai sciatto, banale, volgare.
“Vestiti nuovi per il matrimonio?” domandò James maliziosamente.
“Sì.” rispose Missy, e intanto si chiedeva come mai quel James avesse il potere di farla sentire sempre così a disagio: che fossero i suoi modi eccessivamente effeminati?
“Dunque, vediamo,” cinguettò James, “se provassi a divertirmi a indovinare? Il crèpe è per zia Drusie, la seta è per zia Octie e di conseguenza il satin, il satin marrone, non può essere che per Missy, la cuginetta marroncina!”
Evidentemente nel suo cervello perdurava la visione dell’irraggiungibile abito di pizzo rosso, perché all’improvviso il rosso fu il solo colore che Missy fu in grado di vedere, e dai recessi della memoria tirò fuori l’unica frase insultante del suo repertorio.
“Oh, va’ a farti fottere, James!” sbottò Missy con voce adirata.
Se il suo manichino di legno avesse improvvisamente preso vita e lo avesse baciato sulla bocca, James non sarebbe rimasto così sbalordito. Misurò e tagliò i tessuti con inconsueta alacrità, accordando distrattamente a ciascuna signora una jarda in più; né avrebbe potuto indurre Missy a uscire dal negozio più in fretta di così. Il guaio era che non avrebbe potuto confidare quella squallida esperienza ai suoi fratelli o cugini, perché molto probabilmente quei bastardi avrebbero riecheggiato le parole di Missy.
La biblioteca circolante era a due sole porte di distanza. Di conseguenza, allorché Missy ne varcò la soglia, portava ancora sulle guance i segni della collera e sbatté la porta alle sue spalle.
Una sollevò lo sguardo, esterrefatta, e scoppiò a ridere. “Tesoro, non ti ho mai vista così in forma! Se non mi sbaglio, sei in bestia!”
Missy sospirò profondamente due volte, nel tentativo di ritrovare la calma. “Oh, è stato soltanto mio cugino James Hurlingford. Gli ho detto di andare a farsi fottere.”
“Hai fatto benissimo! Era ora che qualcuno gli dicesse il fatto suo.” Poi Una ridacchiò. “Del resto, mi sembra che la tua esortazione sia proprio quello che gli ci vuole, sempre che a provvedere sia un soggetto di sesso maschile.”
Queste parole andarono dritte filate al cervello di Missy, ma l’allegra battuta di Una non mancò di sortire il suo effetto, e Missy finì per scoprirsi capace di ridere anche lei. “Oddio, oddio, non posso certo dire di essermi comportata come una signora, non ti pare?” domandò, più stupita che inorridita. “Non so proprio che cosa mi abbia preso!”
Il volto raggiante che la guardava assunse all’improvviso un’espressione astuta, ma non di un’astuzia disonesta: era la furbizia di una fata persa nell’irrealtà. “Pagliuzze e cammelli,” intonò Una con voce cantilenante, “crune d’aghi e giorni impossibili, vermi roteanti e turbini raccolti. Ci sono tante cose, in te, Missy Wright, delle quali non sospetti nemmeno l’esistenza.” Si appoggiò allo schienale della sedia e prese a canticchiare con voce sommessa, come un’allegra birichina. “Ma ormai è cominciato e non lo si può fermare.”
Venne fuori la storia dell’abito di pizzo rosso, il desiderio ardente d’indossare qualcosa che non fosse eternamente marrone, la sconfitta di dover ammettere che nessun altro colore le donava, cosicché in quel giorno memorabile, in cui finalmente avrebbe potuto conquistarsi un vestito di un’altra tinta, avrebbe dovuto una volta di più rassegnarsi a quel colore anonimo. Una l’ascoltava, partecipe, comprensiva, e quando Missy si fu sfogata sino in fondo, sollevò lo sguardo e la fissò in volto.
“Il rosso vivo ti starebbe a meraviglia.” disse Una. “Che peccato! Be’, non importa, non importa.” Poi aggiunse, cambiando argomento: “Ti ho tenuto in disparte un altro romanzo: ti assicuro che non appena ne avrai letto le prime due pagine, dell’abito rosso non tiricorderai neppure. E’ la storia di una giovane donna sventurata, avversata dai suoi familiari, fino a che un giorno scopre di essere gravemente malata di cuore. Da anni ama in silenzio un giovanotto che però è fidanzato con un’altra. Allora lei prende la lettera dello specialista in malattie di cuore, nella quale il medico dichiara che presto morirà, e la consegna a questo giovane, scongiurandolo di sposarla, di sposare lei e non l’altra ragazza perché le rimangono solamente sei mesi di vita, dopo di che lui potrà convolare egualmente a nozze con la sua promessa. Lui è un fannullone, uno scialacquatore, ma è in attesa di qualcuno che lo metta sulla retta via, solo che ovviamente non lo sa. Fatto sta che il giovanotto accondiscende a sposarla e insieme vivono sei mesi di felicità. L’uomo scopre che sotto lo squallido aspetto di lei si nasconde una donna incantevole, e l’amore che sua moglie gli porta ha il potere di redimerlo completamente. Finché un giorno, mentre il sole splende e gli uccelli cinguettano, lei muore tra le braccia dell’amato. Mi piacciono i libri dove si muore così, l’una tra le braccia dell’altro, non ti pare? La sua ex fidanzata va a trovarlo dopo i funerali perché ha ricevuto una lettera della moglie scomparsa nella quale le spiega perché mai egli l’abbia abbandonata. Così lei gli perdona, e gli dice che è pronta a sposarlo non appena terminato il periodo di lutto. Ma lui balza in piedi, sconvolto dal dolore, corre al fiume e si getta tra i flutti invocando il nome della sposa scomparsa. Dopo di che anche l’ex fidanzata si butta nella corrente gridando alto il nome di lui. Oh, Missy! E’ così triste! Ho pianto per giorni interi.”
“Lo prendo.” disse Missy senza un attimo di esitazione. Pagò i suoi debiti, il che valse ad assicurarle un immediato sollievo, poi cacciò Cuore turbato in fondo a una delle borse per la spesa.
“Ci vediamo lunedì prossimo.” disse Una, e si accostò alla porta dalla quale indugiò a salutarla agitando un braccio fino a quando Missy scomparve.
Quando percorreva a piedi e in solitudine le cinque miglia che separavano i negozi di Byron da Missolungi, la distanza le sembrava più che dimezzata. Infatti, camminando si abbandonava a sogni ad occhi aperti, fantasticando di rivestire ruoli e di vivere eventi del tutto estranei alla sua realtà. Fino al giorno in cui Una aveva cominciato a prestar servizio alla biblioteca, i personaggi nei quali s’immedesimava avevano i precisi connotati di Alicia, e tali fantasie si esplicavano intorno a sartorie, negozi di modiste e sale da tè frequentati da solenni esponenti della nobiltà locale, mentre gli uomini nelle loro vite erano un misto di beau idéal Hurlingford e di Sigfrido in stivali, bombette e completi tre pezzi. Oggi nondimeno la sua fantasia aveva qualcosa di meglio su cui lavorare; e qualunque fosse il personaggio coinvolto in qualsivoglia avventura che le fluttuava nella mente, verosimilmente presentava qualche punto di affinità con l’ultimo romanzo contrabbandatole da Una più di quanto non ne mostrasse con questo o quell’aspetto della vita di Byron.
Pertanto, quel lunedì, durante la prima metà del percorso, Missy si tramutò in una tizianesca bionda di meravigliosa bellezza con straordinari occhi verde acqua. Due uomini si struggevano d’amore per lei: un duca (biondo e aitante) e un principe indiano (bruno e aitante). In tale veste, sparava alle tigri dai palanchini montati sulla groppa di elefanti sontuosamente addobbati, senza l’assistenza di nessuno, e parimenti da sola si poneva al comando di un’armata composta da devoti sudditi del consorte per debellare i predoni musulmani, edificava scuole, ospedali e nidi d’infanzia, mentre i due spasimanti sfocavano alquanto in secondo piano, come il ragno maschio al qualenon è concesso entrare nella sfera della femmina.
Ma a metà strada, nel punto in cui Gordon Road si staccava dal lungo percorso sinuoso di Noel Street, aveva inizio la sua valle. A quel punto Missy interrompeva sempre i suoi sogni ad occhi aperti e per contro accentrava l’attenzione su se stessa. Era una splendida giornata, come sovente avviene nelle Blue Mountains, quando i venti si concedono una sosta. Rispondendo all’appello della valle, Missy attraversava la via portandosi sul lato opposto e più lontano di Gordon Road. Una volta arrivata, sollevava il viso verso quel cielo benevolo e dilatava le narici per inalare l’inebriante aroma della macchia.
Nessuno aveva mai assegnato un nome alla valle, ancorché d’ora in poi, alla maniera della gente di Byron, sarebbe stata designata senza alcun dubbio come la valle di John Smith. Paragonata alla Jamieson Valley, alla Grose Valley e alla stessa Megalong Valley, non si poteva dire che fosse molto ampia. Ma a modo suo era perfetta, simile a una grande ciotola, a una conca scavata circa millecinquecento piedi sotto il crinale di tremila piedi sul quale sorgevano Byron e le altre città delle Blue Mountains. La forma era quella di un ovale simmetrico, che fletteva una delle due curve strette esattamente oltre il punto in cui Gordon Road terminava, mentre quella opposta e simmetrica si situava circa cinque miglia a est, dove la sua grande parete di sostegno, ovunque ininterrotta, veniva drammaticamente spezzata da una profonda fenditura attraverso la quale scrosciava il fiume senza nome che correva a unirsi alle pianure costiere di Nepean-Hawkesbury. Lungo tutto il profilo perimetrale cadeva a picco un’impressionante bastionata di arenaria color arancio scuro, e sotto questa voragine una coltre di rocce franate da tempo immemorabile e ricoperta di pini digradava in curva verso il corso del fiume che aveva formato la valle in età remota. E, contemplandola dall’alto, la valle appariva interamente rivestita di lussureggiante vegetazione, un oceano azzurrino di eucalipti.
Nelle mattine invernali, una nube candida e lucente colmava la vallata, simile a latte turbinante, sotto il limitare superiore del crinale, poi, di colpo, non appena il calore del sole aumentava, quella nuvola si sollevava e in un batter d’occhio si dissolveva e spariva. A volte la nube calava dall’alto, e le cime degli alberi spuntavano come dita divaricate, fino a quando riusciva a sottrarle alla vista, occultandole sotto una coltre spettrale. Per contro, all’approssimarsi del tramonto, d’inverno come d’estate, le rocce cominciavano ad assumere colorazioni più calde, più intense: prima rosa acceso, poi cremisi, poi un viola che più tardi si spegneva nell’indaco misterioso della notte. Ma ancora più strabiliante era lo spettacolo raramente offerto dalla neve, allorché tutti i dirupi, tutte le sporgenze delle pareti rocciose si fregiavano di un candido profilo che ne esaltava l’aspetto, e gli alberi fronzuti, mossi dal vento, scuotevano la loro cipria di gelido umidore con la stessa rapidità con la quale cadeva su di loro, insofferenti a quel tocco estraneo.
La sola via d’accesso al fondo della valle era un sentiero ripidissimo, terrificante, largo appena quanto bastava per consentire il transito a un carretto, e quel sentiero risaliva al sommo del crinale appena oltre il punto terminale di Gordon Road. Cinquant’anni prima, qualcuno si era dato la pena di tagliare quel sentiero per depredare la foresta pluviale sottostante dei suoi maestosi cedri e dei suoi terebinti; ma dopo che una squadra composta di ottanta buoi, del loro mandriano, di due taglialegna e di un barroccio in grado di trasportare un tronco enorme ebbe riguadagnato il margine superiore della valle, lo sfruttamento del suo patrimonio erboreo cessò improvvisamente. C’erano boschi più accessibili dai quali trarre del legname prezioso, e a poco a poco il sentiero venne dimenticato, non altrimenti dell’intera vallata. In effetti i visitatori preferivano portarsi più a sud, fino alla Jamieson Valley, che spostarsi a nord, a vedere questa cugina meno solenne, priva com’era di chioschi di rinfreschi e di punti panomarici opportunamente attrezzati.
Quel malaugurato dolore al lato sinistro del fianco si fece risentire non appena Missy ebbe girato l’angolo, ormai a due passi da Missolungi, e dieci secondi dopo avvertì una fitta lancinante al petto, come un colpo d’ascia. Barcollò e posò a terra le due borse rigonfie della spesa per portarsi le mani al cuore, come a voler estirpare quell’atroce, angosciosa sofferenza. Poi scorse il nitido profilo di Missolungi e in preda al terrore corse verso casa. In quel preciso momento, John Smith girava l’angolo all’altro lato della strada, e avanzava a grandi passi, il capo chino e pensieroso.
Era a dieci iarde dal cancello che si apriva nella siepe, quando si accasciò a terra, lunga distesa, in avanti. Nessuno se ne accorse, tra le pareti di Missolungi, perché erano le cinque in punto, e gli accordi dell’organo di Drusilla irrompevano nell’aria aperta come un’eruzione soffocante di calde ceneri vulcaniche.
Ma John Smith se ne avvide, e accorse. Sul momento gli venne fatto di pensare che quella piccola, strana creatura fosse incespicata mentre si affrettava a rientrare per evitare d’incontrarlo, ma quando s’inginocchiò e le volse il viso verso l’alto, bastò un’occhiata a quel volto terreo e a quei capelli bagnati di sudore per convincerlo che le cose stavano altrimenti. La pose quasi a sedere, la schiena appoggiata contro la sua coscia, strofinandole il dorso, disorientato, confuso, invano desideroso di conoscere un sistema per immetterle l’aria nei polmoni. Sapeva che bisognava evitare di coricarla a terra supina, ma le sue nozioni si fermavano qui. Lei sollevò le mani per afferrarsi al braccio dell’uomo che la reggeva senza sforzo dietro le spalle. Tutto il corpo di Missy ansimava, nella fatica di respirare, e i suoi occhi erano rivolti verso l’alto, in cerca di quelli di lui, nell’invocazione silenziosa di un aiuto ch’egli non era in grado di offrirle. Stupefatto, intento a contemplare lo straordinario susseguirsi di orrore, di intimo sgomento, di sommesse sofferenze, cominciò a pensare ch’ella fosse ormai prossima alla morte.
Poi, con rapidità impressionante, il color grigio svanì e un colorito più sano le si andò diffondendo sulla pelle, e le mani di Missy si abbandonarono sul braccio dell’uomo.
“Per favore!” sussurrò con voce rotta, lottando per rimettersi in piedi.
Lui invece si rialzò prontamente, le passò un braccio sotto le gambe e la sollevò. Non sapeva dove abitasse, ma non dubitava che le avrebbero dato soccorso nella squallida casa che sorgeva oltre la siepe. Pertanto la trasportò di peso oltre il cancello e su per il vialetto, invocando aiuto a tutta voce e augurandosi di essere udito oltre il clangore di quell’organo tonante.
E fu udito, infatti, perché due signore uscirono immediatamente dalla casa: due signore che lui non conosceva ma che non si perdettero in chiacchere, cosa che lui non mancò di apprezzare. L’una gli fece un cenno silenzioso, additando la porta di casa, mentre l’altra si affrettava a portarsi davanti a loro per fargli strada e invitarlo ad accomodarsi nel salotto, gravato dal suo carico.
“Del brandy.” tagliò corto Drusilla, chinandosi per slacciare gli abiti della figlia. Missy non portava il busto perché non ne aveva bisogno, ma la cintura era stretta e il vestito le arrivava fino al collo.
“Avete un telefono?” domandò John Smith.
“Purtroppo no.”
“Allora, se mi dite dove abita, andrò io stesso a chiamare il medico.”
“Abita all’angolo tra Gordon Road e Noel Street. E’ il dottor Neville Hurlingford.” rispose Drusilla. “Gli dica che Missy sta male. E’ mia figlia.”
John Smith se ne andò seduta stante, lasciando a Drusilla e a Octavia il compito di somministrarle il brandy che ogni avveduta massaia teneva in uno sportello della credenza di cucina, pronto per l’uso in caso di collassi e mancamenti.
Quando il dottor Neville Hurlingford arrivò, ed era ormai trascorsa circa un’ora, Missy si era quasi completamente ripresa. John Smith non aveva fatto ritorno con lui.
“Strano, veramente strano.” disse il dottor Hurlingford a Drusilla, in cucina. Octavia stava aiutando Missy a coricarsi.
L’episodio aveva profondamente scosso Drusilla, abituata com’era a dare per scontato che tutte le persone di sua conoscenza godessero come lei di una salute di ferro: le ossa di Octavia erano una vecchia storia che ormai non faceva più testo.. Pertanto preparò tranquillamente il tè e bevve la sua tazza con animo più sereno di quello con il quale il dottor Neville Hurlingford sorbì la sua.
“Il signor Smith ti ha spiegato cos’è successo?” domandò.
“Ti dirò, Drusilla, che a dispetto delle voci esagerate che circolano in questi giorni, il signor Smith mi è sembrato una persona per bene, un uomo assennato, dotato di senso pratico. A sentir lui, Missy si è portata le mani al petto, è corsa attraverso la strada in preda al panico e si è accasciata al suolo. Era pallida come un morto, madida di sudore e faticava a respirare. L’attacco è durato un paio di minuti, e lei si è ripresa abbastanza in fretta. Il respiro è tornato regolare e le guance hanno ripreso il loro colorito. Questo, a quanto ho potuto concludere, è successo quando il signor Smith l’ha trasportata in casa. Poco fa, esaminandola, non ho riscontrato niente di anormale, ma può darsi che sia in grado di accertare qualcosa di più quando sarà a letto e avrò modo di visitarla più a fondo.”
“Come sai anche tu, non ci sono malattie di cuore nel nostro ramo della famiglia.” disse Drusilla, che si sentiva tradita.
“Ma nella sua struttura fisica ha preso anche da suo padre, Drusilla, e potrebbe aver ereditato un cuore debole da quella parte. Non ha avuto altri attacchi come questo?”
“Che noi se ne sappia, no.” rispose Drusilla, cui era stata mossa una giusta obiezione. “Ma si tratta proprio del cuore?”
“Francamente non lo so. Può darsi.” Ma si capiva ch’era dubbioso. “Sarà bene che adesso vada a darle un’altra occhiata.”
Missy giaceva nel suo lettino a occhi chiusi, ma non appena ebbe udito il passo per nulla familiare del dottor Hurlingford, sollevò le palpebre e lo guardò, con un’espressione che rivelava, inequivocabilmente, disappunto.
“E allora, Missy,” disse il dottor Hurlingford, sedendo guardingo sul bordo del letto, “mi vuoi spiegare cos’è successo?”
Drusilla e Octavia assistevano a qualche distanza. Lui sarebbe stato ben lieto di poterle allontanare, conscio del fatto che la loro presenza inibiva Missy, ma il decoro e le convenzioni sociali glielo impedivano. Da quando Missy era al mondo l’aveva vista non più di due o tre volte, cosicché di lei sapeva solamente quel poco ch’era noto a tutti: era la sola donna bruna nella storia degli Hurlingford e si era vista condannata al nubilato prima ancora dell’adolescenza.
“Non so proprio cosa mi sia successo.” rispose Missy, mentendo.
“Suvvia, qualcosa devi pur ricordarti.”
“Mi è mancato il respiro e sono svenuta. E’ stato per questo, immagino.”
“Il signor Smith dice che non è stato questo.”
“Il signor Smith si sbaglia. Dov’è? E’ forse qui?”
“Hai avvertito dolore?” chiese ancora il medico, insoddisfatto e incurante di rispondere alla domanda rivoltagli da Missy.
Alla mente di lei affiorò la visione raggelante della propria persona ridotta allo stato di cronica invalidità tra le pareti di Missolungi, con tutto quello che ne sarebbe conseguito: l’ulteriore, pesante aggravio finanziario, il senso di colpa che avrebbe provato ogni giorno di quella sua esistenza consumata a letto, l’impossibilità di uscire e di compiere le sue passeggiate, al di là della sua valle, fino a Byron e alla biblioteca. No, sarebbe stato insopportabile!
“Non ho sentito alcun dolore.” insisté Missy.
Il dottor Hurlingford la guardò con espressione incredula, ma per essere un Hurlingford non mancava di un certo intuito, ed egli stesso non ignorava quale vita l’avrebbe attesa se le fosse stato diagnosticato un attacco di cuore. Di conseguenza rinunciò ad incalzare ulteriormente la povera ragazza, si limitò a estrarre il suo stetoscopio a imbuto, di foggia assai antiquata, e auscultò il cuore, che gli rinviò un battito sostanzialmente regolare. Poi sentì i polmoni. Erano a posto.
“Oggi è lunedì. Vieni a trovarmi venerdì.” concluse il medico alzandosi in piedi. Accarezzò Missy sul capo, con l’intento di rassicurarla, e passò in anticamera dove Drusilla stava appostata in attesa. “Non ho trovato niente di di anormale.” le disse. “Dio solo sa cos’è accaduto. Io non ci capisco niente. Ad ogni modo assicurati che venga da me venerdì, e se nel frattempo succedesse qualcosa mandami a chiamare senza indugio.”
“Niente medicine?”
“Mia cara Drusilla, come potrei prescrivere delle medicine per una malattia misteriosa? E’ magra come una mucca con i vermi, ma al tempo stesso ha l’aria di essere sana. Lasciatela in pace, lasciatela dormire e datele cibo nutriente in abbondanza.”
“Deve restare a letto fino a venerdì?”
“Non direi. Rimanga pure coricata fino a domattina, ma dopo converrà lasciare che si alzi. Non ho niente da obiettare a permettere che conduca una vita normalmente attiva, sempre ammesso che non si sobbarchi incombenze gravose.”
Drusilla non aveva il diritto di sentirsi dire altro. Non le rimase che condurre alla porta lo zio medico, dopo di che ripercorse in punta di piedi l’anticamera, si accostò alla porta della camera di Missy, spiò all’interno, vide che Missy dormiva e allora si ritirò in cucina, dove Octavia sedeva a tavola, intenta a bere il tè avanzato dal dottore.
In effetti, appariva molto colpita: le due mani che dovette usare per portarsi la tazza alla bocca erano scosse da un tremito convulso.
“Secondo zio Neville non c’è nulla di serio.” disse Drusilla, lasciandosi cadere su una sedia. “Missy deve restare a letto per il resto del pomeriggio, ma domattina potrà alzarsi e far quello che vuole, senza peraltro affaticarsi. Venerdì lo zio la visiterà ancora.”
“Oh, santo cielo!” Una lacrima pallida e pesante corse lungo la guancia larga e smunta di Octavia, che se ne stava a capo chino, fissandosi le dita nodose. “Vado a fare qualcosa in giardino, ma non me la sento di mungere la vacca.”
“Ci penso io.” disse Drusilla. Si portò le mani al capo e sospirò. “Non metterti in angustie, sorella cara, in un modo o nell’altro ce la caveremo.”
Il temuto disastro! Già Drusilla vedeva le sue preziose duecento sterline dissolversi in cure, medici, ospedali. Ciò che la esasperava più di ogni altra cosa era il fatto di ritrovarsi in alto mare quando ormai credeva di aver raggiunto finalmente la riva della salvezza. Se non avesse già tagliato il crepe lilla, il satin marrone e la seta blu cobalto, il giorno dopo li avrebbe riportati di filato all’emporio di Herbert. Era ovvio, no?
All’ora di cena, Drusilla portò a Missy un’enorme scodella d’orzo e brodo di manzo, e sedette sul bordo del letto fino a quando sua figlia non l’ebbe suo malgrado ingurgitata tutta. Dopo, grazie a Dio, venne lasciata sola con se stessa. Il lungo sonno del tardo pomeriggio le aveva tolto ogni voglia di dormire, cosicché Missy indugiò a pensare. Al suo malore e a ciò che poteva significare. A John Smith. Al futuro. E tra il malore e il futuro, due deserti di amara desolazione, John Smith svettava, baldanzoso, trionfante, cosicché lei accantonò il malore e il futuro per concentrarsi completamente su John Smith.
Che persona amabile! Ed era anche un uomo interessante. Con quanta facilità e naturalezza l’aveva sollevata da terra e trasportata in casa! La valanga d’informazioni di seconda mano che i romanzi di Una avevano ultimamente riversato su di lei le furono improvvisamente di vero beneficio. Missy si rese conto che per la prima volta era finalmente innamorata. Ma la speranza non era affatto inclusa nel soave e consolante flusso di pensieri che questa rivelazione implicava. A questo mondo le Alicie potevano elaborare progetti e tramare complotti per approdare al loro scopo. Alle Missy non era concesso. Le Missy non la sapevano abbastanza lunga sugli uomini, e il poco che ne sapevano rimaneva nel reame del generico. Gli uomini per loro erano intoccabili, tutti, senza esclusione, compresi gli ex carcerati. Tutti gli uomini godevano di potere, di libertà, di privilegi, di facoltà di scelta. E presumibilmente gli ex galeotti avevano risorse in tutti i sensi superiori a quelle del povero Willie Hurlingford, al riparo com’era da ogni vento avverso che si fosse avventato su di lui. Ma in tutta franchezza Missy non credeva che John Smith avesse quei trascorsi: dopotutto, Una lo aveva conosciuto durante i suoi anni di Sidney, e presumibilmente questo significava ch’egli era vissuto quanto meno ai margini della buona società; a meno che ad onta della sua amicizia con il marito di Una, non avesse fatto il garzone di panetteria, o l’uomo che consegna il ghiaccio o il carbone a domicilio.
Sì, ma con lei era stato così gentile! Gentile con una nullità come Missy Wright. Pur essendo in preda a quella sofferenza acuta e conturbante, era stata pienamente conscia della sua presenza, e del pari aveva avvertito l’arcano fluire di una forza che dall’uomo si riversava in lei, e che, fantasticava, aveva avuto il potere di cacciare la morte gettandola in un canto come fosse spazzatura.
John Smith, pensava Missy, se fossi giovane e carina non mi potresti sfuggire più di quanto il povero, piccolo Willie abbia avuto modo di sottrarsi ad Alicia! Ti inseguirei senza pietà fino a quando fossi riuscita a catturarti. Ovunque tu andassi io ti raggiungerei. Col piede più agile proteso in avanti io ti farei lo sgambetto, e quando ti avessi preso in trappola saprei amarti a tal punto e così bene, che una volta per sempre perderesti la voglia di sbarazzarti di me.
L’indomani John Smith venne di persona a informarsi sulla salute di Missy, Ma Drusilla lo intrattenne sulla porta di casa, e non permise che captasse la voce o l’immagine di lei. Dopotutto, lo aveva compreso subito, si trattava di una semplice visita di cortesia, cosicché lo ringraziò molto gentilmente, ma senza soverchio calore nella voce, dopo di che indugiò sulla soglia a guardarlo mentre lui si allontanava lungo il vialetto di mattoni che portava al cancello, con le mani penzoloni lungo i fianchi e le labbra che fischiettavano un motivetto salace.
“Questa è bella!” disse Octavia, uscendo dal salottino da cui aveva spiato John Smith attraverso un lembo sollevato delle tende. “Lo dirai a Missy che è venuto a chiedere di lei?”
“Eperchè dovrei dirglielo?” domandò Drusilla sorpresa.
“Oh, be’…”
“Cara Octavia, si direbbe che anche tu abbia letto quegli orrendi romanzetti dozzinali che ultimamente Missy ha preso in prestito alla biblioteca!”
“Come, come? Legge quella roba?”
Drusilla rise. “Sai, da quando mi sono accorta che tremava tutta nello sforzo di nascondere la copertina dei suoi libri, ho deciso di dimenticare le norme che le avevamo imposto su ciò che doveva leggere e non leggere. Dopotutto, sono passati quindici anni! E ho pensato: perché quella poverina non deve leggersi un romanzo, se ci tiene tanto? Cos’altro ha che le piaccia, come io mi godo la mia musica?”
Drusilla nobilmente si astenne dall’aggiungere che Octavia quanto meno godeva dei suoi reumatismi, e a sua volta Octavia, che in altre circostanze avrebbe potuto obiettare chiaro e tondo che anche lei era affatto priva di cose in grado di darle allettamento, decise saggiamente di lasciar cadere l’argomento. Domandò invece alla sorella: “E hai intenzione di dirle che d’ora in avanti può leggere romanzi?”
“Nemmeno per sogno. Se lo facessi le toglierei gran parte del piacere. Se le accordassi la piena libertà di leggerli, acquisterebbe il distacco sufficiente per rendersi conto che sono un vero orrore.” Drusilla aggrottò la fronte. “Ciò che mi sorprende è come Missy sia riuscita a persuadere proprio Livilla a concederglieli in prestito. D’altra parte non posso chiederlo a Livilla senza svelare il segreto, e non voglio assolutamente guastare il piacere di Missy. In fondo, mi sembra di cogliere in tutto questo un’ombra di sfida, e la cosa mi lascia sperare che nonostante tutto Missy abbia un tantino di spina dorsale.”
Ma Octavia non condivideva l’opinione della sorella. “Non vedo niente di lodevole,” obiettò, “in una sfida che la induce a esercitare il sotterfugio!”
Dalle labbra di Drusilla sfuggì un piccolo suono, a mezza via tra il grugnito e il miagolio, ma poi sorrise, alzò le spalle e si avviò precedendo Octavia, verso la cucina.
Il venerdì mattina, Drusilla accompagnò Missy dal dottore. Arrivarono per tempo, a piedi, caldamente vestite di ovvio color marrone.
La sala d’aspetto dell’ambulatorio, semibuia e puzzolente di muffa, era completamente deserta. La signora Hurlingford, che svolgeva le mansioni d’infermiera del marito, le fece accomodare accordando a Drusilla una frase di cordiale benvenuto e limitandosi a concedere a Missy un’occhiata tra il vago e l’indifferente. Un paio di minuti dopo, il medico fece capolino dalla porta del suo studio.
“Entra pure, Missy. No, Drusilla, tu resta qui a chiacchierare con tua zia.”
Missy entrò, sedette e attese circospetta, all’erta.
Lui esordì con un attacco frontale. “Non credo assolutamente,” prese a dire, “che ti sia semplicemente mancato il fiato. Avresti avvertito una fitta di dolore. Voglio vederci chiaro, bando alle storie.”
Allora Missy spiattellò tutto. Gli riferì del male che avvertiva al lato sinistro del fianco, di come l’affliggesse solamente quando camminava a lungo e di gran fredda, e del fatto che quel giorno si era manifestato all’improvviso, con un accesso terribilmente doloroso che le aveva mozzato il respiro.
Pertanto lui tornò a visitarla, dopo di che sospirò. “Non trovo assolutamente nulla che non sia in ordine.” le disse. “Lunedì, quando ti ho esaminata per la prima volta, non c’era il minimo residuo che rivelasse un disturbo cardiaco, e oggi è lo stesso. Tuttavia, da quanto mi ha riferito il signor Smith, è chiaro che hai avuto un vero attacco. Quindi, per esser più sicuro, ti mando da uno specialista a Sidney. Se riesco ad ottenere un appuntamento, ci andresti con Alicia, che il martedì fa sempre un salto in città? Risparmierebbe a tua madre lo strapazzo di accompagnarti.”
C’era forse stato un guizzo d’intesa nei suoi occhi? Missy non poteva esserne certa, ma gli rivolse egualmente un’espressione grata. “Grazie. Andrò ben volentieri con Alicia.”
In effetti, quel venerdì fu una giornata lieta, perché nel pomeriggio Una capitò a Missolungi con il calesse di Livilla. Portava con sé una mezza dozzina di romanzi avvolti in un’anonima carta da pacchi nocciola.
“Ho saputo ch’eri malata solamente stamani, quando la moglie di Neville Hurlingford è venuta in biblioteca.” disse sedendosi nel salotto buono, dove Octavia l’aveva fatta accomodare, abbagliata dalla sua eleganza e dalla sicurezza del suo portamento.
Né Drusilla né Octavia proposero alle due giovani donne di lasciarle da sole a conversare, non per il gusto di guastar loro un piacere, ma perché erano sempre avide di compagnia, specie quando era rappresentata da un volto completamente nuovo. E che volto, per giunta! Forse era meno bello di quello di Alicia, ma in compenso, a loro modo di vedere – e sebbene quel pensiero fosse un po’ sleale – dei due era il più attraente. Inoltre la sua comparsa riuscì grata a Drusilla, perché valse a fornire una risposta al fastidioso interrogativo circa il modo in cui, di punto in bianco, Missy era riuscita a farsi prestare dei romanzi.
“Grazie per i libri.” disse quest’ultima, sorridendo all’amica. “Quello che ho portato a casa lunedì è quasi finito, ormai.”
“Ti è piaciuto?” le domandò Una.
“Oh, moltissimo.”
Ed era vero: la morte dell’eroina con l’amato bene non avrebbe potuto capitare in un momento più opportuno. In verità, la protagonista era spirata tra le braccia dell’uomo del suo cuore, ma in compenso lei, Missy, era quasi morta tra le braccia dell’uomo che amava.
Una era una ragazza dai modi impeccabili. Quando ebbe bevuto il tè accompagnato da semplici biscotti fatti in casa, si era ormai conquistata il cuore di Octavia e di Drusilla. Non aver nulla di meglio da offrire era umiliante, ma l’apprezzamento ostentato da Una nei confronti di quei modestissimi dolciumi le indusse a domandarsi cosa apprezzasse e prediligesse la loro visitatrice.
“Oh, sono così stufa di torte alla crema e rotoli all’asparago!” esclamò Una, affascinando ulteriormente le sue ospiti con il suo leggiadro sorriso. “Siete proprio brave! E molto sagge! Questi biscottini sono davvero squisiti, e talmente più adatti alla mia digestione! Quasi tutte le signore di Byron sommergono i dolci in un mare di crema o marmellata, e naturalmente gli ospiti non possono rifiutarli senza offenderle.”
“Che cara ragazza!” osservò Drusilla quando Una se ne fu andata.
“Simpaticissima.” convenne Octavia di rincalzo.
“Può venire ancora.” disse Drusilla a Missy.
“Tutte le volte che vuole.” precisò Octavia, che aveva fatto i biscotti.
(continua)