LE SIGNORE DI MISSOLUNGI - romanzo completo

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auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 10:38
Introduzione:


Una piccola città australiana, Byron, ai primi del Novecento, chiusa su se stessa, ancora pionieristica nell'aura e nello spirito rigidamente anglosassone. E dominata da un clan, o meglio da una casta: quella degli Hurlingford, dilaganti e prevaricanti per motivazioni che affondano nelle origini stesse del nucleo urbano e, in senso più lato, per ragioni di ceto e di censo. Ma, come spesso avviene in seno ai vasti e ramificati gruppi familiari, non tutto rispecchia euritmia nei sentimenti, equilibrio nei valori morali e nella sorte materiale. Trionfano, al contrario, stridenti contrasti, l'arroganza della ricchezza e la mesta dignità dell'indigenza, insomma la patente disparità dei pesi e delle misure.
Drusilla, anziana vedova, sua sorella Octavia, anziana nubile, sua figlia Missy, anziana fanciulla da marito cui compete ormai il triste e sardonico epiteto di zitella, non si sono potute giovare dello sfruttamento delle terme locali, né degli opimi introiti assicurati dall'albergo, dagli empori, dalle botteghe e dal pacchetto azionario connesso all'impianto d'imbottigliamento dell'acqua cura-malanni. Vivono, umbratili e schive, al margine della povertà, in un cottage fatiscente denominato pomposamente Missolungi (Byron, e tutto ciò che atteneva al grande poeta, erano una vera "fissa" del primo Sir William Hurlingford, fondatore della città e capo della dinastia).
Tuttavia anche a Byron può accadere qualcosa d'imprevedibile. L'apparizione inopinata di una persona (o personaggio) nuova nell'aspetto, nell'animo, nell'esperienza umana e nei cliché comportamentali agisce da elemento catalizzatore, da 'deus machina'.
Missy, per tanto tempo condizionata dagli schemi di un'educazione amorosamente repressiva, e come tale dagli esiti nefasti, forza il blocco di uno status che parrebbe immutabile, afferma i molteplici aspetti di una personalità insospettata e pur latente. Scopre se stessa, il suo corpo, l'amore. E con il proprio ruolo sovverte altresì il sonnacchioso e corrotto tran-tran di un'intera comunità. Gli ultimi saranno i primi, come ammoniscono le Sacre Scritture? E c'è, nel destino delle signore di Missolungi, un quid imponderabile, magari il gioco capriccioso del caso, forse un intervento extra-naturale?




Rialitando in un'Australia "d'antan", Collen McCullough ha scritto un racconto-apologo nel quale un pungente realismo e una gustosa ricostruzione d'epoca - non scevri da sottili veleni come, in chiave stilistica, da garbati e calibrati arcaismi - sfociano peraltro in un clima squisitamente favolistico e recano un messaggio morale, pur mediati e rifratti dalla lente deformante di una sensibilità affatto moderna. E nel tutto si fondono, in mirabile equilibrio, tenerezza e malizia, chiarezza concettuale e gusto della parola...... R.M. .....
















auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 10:45
Le Signore di Missolungi - di Colleen Mc Cullough
Edizione Euroclub Italia - su licenza di Gruppo Editoriale Fabbri
Bompiani Sonzogno. Etas S.p.A
Prima ristampa febbraio 1989


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Le Signore di Missolungi


di Colleen Mc Cullough






A mia madre,
che finalmente ha coronato il sogno
di vivere nelle Blue Mountains.






Tu sai spiegarmi, Octavia, perché la nostra sorte non vuole mai mutarsi in meglio?” domandò la signora Drusilla Wright a sua sorella. E subito aggiunse con un sospiro: “Dobbiamo rifare il tetto.”
La signorina Octavia Hurlingford lasciò cadere le mani in grembo, scosse il capo in atteggiamento sconsolato e fece eco a quel sospiro. “Mio Dio, ne sei sicura?”
“Denys lo è.”
Dal momento che Denys Hurlingford, loro nipote, gestiva il negozio di ferramenta ed era altresì titolare di una remunerativa attività di idraulico, in questo genere di cose la sua opinione era legge.
“Quanto costerà un tetto nuovo? Ed è proprio necessario rifarlo per intero? Non basterebbe sostituire le lamiere più rovinate?”
“Non c’è una sola lamiera che valga la pena conservare. Così almeno dice Denys, per cui temo che la spesa sarà sulle cinquanta sterline.”
Cadde un cupo silenzio, mentre ciascuna delle due sorelle si spremeva il cervello alla ricerca di una fonte alla quale attingere la somma necessaria. Sedevano l’una accanto all’altra su un divano imbottito di crine di cavallo, i cui giorni migliori si perdevano in un passato così lontano, che nessuno ne serbava memoria. Drusilla Wright stava confezionando un orlo a giorno lungo il bordo di un indumento di lino, ed eseguiva il suo lavoro con raffinata perizia e meticolosa attenzione, mentre Octavia Hurlingford lavorava all’uncinetto, e il lavoro che pendeva sotto il piccolo utensile era pari per squisita accuratezza a quello dell’orlo a giorno.
“Potremmo usare le cinquanta sterline che mio padre ha depositato in banca quando sono nata.” propose la terza occupante della stanza, ansiosa di fare ammenda per il fatto di non risparmiare un centesimo di suo. Anch’essa lavorava, seduta su un basso sgabello: confezionava un pizzo con una navetta per le guarnizioni e un gomitolo di filo écru, e muoveva le dita con tale consumata maestria da applicarsi alla sua incombenza senza nemmeno riflettere, senza neppure guardare.
“Grazie, ma non è possibile.” disse Drusilla.
E tale fu l’epilogo della sola conversazione svoltasi il venerdì nel corso delle due ore di lavoro pomeridiano, quando di lì a poco la pendola in anticamera fece udire quattro rintocchi. Poi, mentre le ultime vibrazioni indugiavano ancora nell’aria, in ossequio a un inveterato automatismo, le tre signore si accinsero a riporre i loro lavori manuali, Drusilla il suo cucito, Octavia il suo crochet e Missy il suo merletto. Ognuna delle signore introdusse il suo lavoro in altrettante borse di flanella grigia, chiuse da un cordone, perfettamente identiche fra loro, dopo di che ciascuna mise la propria borsa in una credenza di mogano vecchia e sgangherata e sedette sotto la finestra.
Questa routine non cambiava mai. Assolutamente mai. Alle quattro, le due ore di lavoro nel salotto meno buono si concludevano immancabilmente, e aveva inizio un’altra sessione di lavoro, ma di tutt’altro genere. Drusilla si avvicinava all’organo, suo unico tesoro, suo unico svago, mentre Octavia e Missy andavano in cucina dove preparavano la cena e finivano di sbrigare le faccende domestiche.
Mentre si radunavano nel vano della porta, simili a tre galline indecise sulla gerarchia del pollaio, non si stentava a capire che Drusilla e Octavia erano sorelle. Erano entrambe di altissima statura, e avevano un volto ovale, ossuto, di un biondo anemico, slavato. Tuttavia, se Drusilla era massiccia e muscolosa, Octavia appariva contratta e rattrappita per effetto di un’artrite deformante che l’affliggeva da tempo immemorabile. Quanto a Missy, aveva in comune con loro la statura, ancorché in misura un po’ ridotta, essendo alta solo un metro e settanta contro il metro e settantasette di sua zia e il metro e ottantre di sua madre. Né aveva altro in comune con loro, dal momento che lei era bruna e le altre due bionde, che lei non aveva seno e le altre due erano formose, che lei aveva lineamenti minuti e le altre due lineamenti assai marcati.
La cucina era una grande stanza spoglia che si apriva dietro la stanza d’ingresso centrale, sempre immersa nella penombra, e con il legno verniciato di marrone che ne rivestiva le pareti recava il suo contributo alla generale atmosfera di cupa malinconia.
“Sbuccia le patate prima di andare a cogliere i fagioli, Missy.” disse Octavia mentre si legava in vita l’ampio grembiule che proteggeva il suo abito marrone dai pericoli connessi alle operazioni culinarie. Missy prese a sbucciare le tre patate reputate sufficienti e Octavia attizzò il carbone che bruciava sommesso nel focolare della nera cucina economica di ferro che occupava l’intero vano del caminetto. Poi aggiunse un po’ di legna, variò l’apertura della valvola per aumentare il tiraggio e posò sul fornello un voluminoso bollitore di metallo. Infine si avvicinò alla dispensa e ne trasse gli ingredienti per il porridge della mattina dopo.
“Oh, perbacco!” esclamò un momento dopo, mostrando un sacchetto di carta marrone con due forellini agli angoli inferiori da cui fuoriusciva un lieve turbinio di avena che cadeva fluttuando sul plancito, simile a fiocchi di neve. “Guarda! Sono stati i topi!”
“Non preoccuparti, stasera metterò le trappole.” rispose Missy senza manifestare soverchio interesse per la cosa. Mise le patate in una piccola casseruola piena d’acqua e aggiunse una presa di sale.
“Le trappole non servono alla nostra colazione, per cui farai bene a chiedere a tua madre il permesso di andare dallo zio Maxwell a comprare dell’altra avena.”
“Non potremmo farne a meno, per una volta tanto?” A Missy l’avena non piaceva affatto.
“D’ inverno?” Octavia piantò gli occhi addosso a Missy come fosse impazzita all’improvviso. “Ragazza mia, una buona scodella di porridge costa una sciocchezza e ti tiene in forma per tutta la giornata. Dunque sbrigati, per l’amor del cielo!”
Al di là della porta che dalla cucina metteva in anticamera, le note dell’organo erano assordanti. Drusilla suonava in modo ignobile, ma come esecutrice aveva ricevuto sempre e soltanto elogi. Nondimeno, l’insistenza nel suonare con siffatta, costante inettitudine esigeva una totale assenza di rimorso, e con ciò si spiegava come ogni pomeriggio, tra le quattro e le sei dei giorni feriali, Drusilla muovesse all’assalto di Bach con i tonanti clangori di un cavaliere armato che sfidi il suo avversario in un torneo. C’era tuttavia una qualche utilità in tutto ciò, dal momento che ogni domenica Drusilla infliggeva la sua assoluta mancanza di talento alla vasta comunità degli Hurlingford nella chiesa anglicana di Byron: fortunatamente nessuno degli Hurlingford aveva il minimo orecchio per la musica, e tutti indistintamente ritenevano di godere di un ottimo servizio durante la funzione.
Sedeva impettita, la schiena rigida, le palpebre serrate, la testa reclina, la bocca serrata.
“Mamma?” Era un sussurro appena avvertibile, un filamento di suono in lizza con tutto quel fragore.
E tuttavia bastò. Drusilla aprì gli occhi e volse il capo, più rassegnata che incollerita.
“Sì?”
“Mi dispiace interromperti, ma abbiamo bisogno di andare a comprare un po’ di avena prima che zio Maxwell chiuda. I topi hanno attaccato il sacco.”
Drusilla sospirò. “Portami il borsellino, allora.”
Il borsellino venne rintracciato, e un mezzo scellino sgusciò fuori dai suoi flaccidi recessi. “Avena sciolta, mi raccomando! In quella di marca, tutto il prezzo va nella confezione fantasia.”
“No, mamma! L’avena di marca ha un sapore migliore. E’ molto più buona, e per cuocerla non c’è bisogno di una notte intera.” Una vaga speranza si fece strada nel cuore di Missy.
“Anzi, guarda: se tu e zia Octavia mangiaste l’avena di marca, io ne farei a meno, per compensare la differenza nella spesa.”
Drusilla ripeteva sempre a sua sorella e a se stessa che viveva solamente in attesa del giorno in cui quella sua timida figliola avrebbe manifestato qualche sintomo di ribellione. Ora, tuttavia, quell’umile tentativo di indipendenza venne a urtare contro un muro di autorità che la madre non sapeva di avere innalzato di persona. . Per cui disse, inorridita: “Farne a meno? Assolutamente no! Il porridge è il nostro sostentamento invernale, ed è molto più a buon mercato del fuoco di carbone.” Poi la sua voce assunse un’intonazione più cordiale, da donna che si rivolge a un’altra donna in termini di parità.
“Che temperatura c’è?”
“Meno due.” esclamò Missy, dopo aver consultato il termometro.
“E allora mangiamo in cucina e restiamoci per tutta la serata.” gridò Drusilla. Dopo di che riprese a martoriare Bach.




(continua)



auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 10:47
Le Signore di Missolungi - (continua)




Iimbacuccata nel suo cappotto di saia marrone, protetta da una sciarpa morbida e da un berretto di lana marrone lavorata a maglia, con il mezzo scellino estratto dal borsellino di sua madre infilato in un dito di uno dei guanti di lana marrone, Missy uscì di casa e scese quasi di corsa il lindo vialetto pavimentato a mattoni che portava al cancello d’ingresso. Nella piccola borsa per la spesa c’era il libro preso in prestito alla biblioteca: le occasioni per rimediare un salto in più alla biblioteca erano assai rare e molto distanziate, e qualora fosse riuscita a sgattaiolarvi, nessuno doveva sapere che aveva fatto qualcos’altro, oltre a recarsi da zio Maxwell a comprare l’avena. Stasera sarebbe toccato a sua zia Livella rifornire di novità la libreria, e al posto di un romanzo d’amore ci sarebbe stata la possibilità di scegliere a miglior livello, ma agli occhi di Missy un libro qualunque era sempre meglio che non averne affatto. E poi lunedì prossimo ci sarebbe stata Una, cosicché Missy avrebbe potuto ottenere un romanzo.
L’aria era impregnata di una lieve, sottile bruma scozzese, a mezza via tra nebbia e pioggia, e costellava di gocce d’acqua larghe e tonde la siepe di ligustro lungo i confini della casa denominata Missolungi. Non appena ebbe posto piede in Gordon Road, Missy prese a correre, e rallentò mutando quell’andatura in un semplice passo spedito solo quando arrivò all’angolo, perché quella maledetta fitta al fianco sinistro tornava a farsi sentire, e le faceva veramente male. Nondimeno, il rallentare valse a mitigare subito quel suo penoso fastidio, cosicché si mise a camminare più tranquillamente e cominciò a provare quella sensazione di euforia che sempre la coglieva ogni qual volta poteva concedersi quell’ineffabile regalo, ossia cogliere a volo l’occasione di evadere da sola dai confini di Missolungi. Riaccelerando il passo non appena la fitta scomparve, prese a guardare attorno a sé, a contemplare le cose a lei ben note che Byron aveva da offrire nel tardo e caliginoso pomeriggio di una breve giornata invernale.
Tutto, nella città di Byron, traeva il nome da un aspetto della vita del poeta, ivi inclusa la casa di sua madre, Missolungi, così battezzata dal luogo in cui Lord Byron aveva prematuramente cessato di vivere. Questa bizzarra toponomastica urbana era imputabile al bisnonno di Missy, il primo Sir William Hurlingford, che aveva fondato la sua città subito dopo aver letto Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, e tanto si compiacque di aver scoperto un capolavoro della letteratura ch’egli era in grado di capire, da sentirsi successivamente indotto a far ingurgitare a tutti i conoscenti dosi massicce e indigeste di Byron. Pertanto Missolungi era situata in Gordon Road, che sboccava in Noel Street, e Noel Street raggiungeva Byron Street, l’asse viario più importante dell’abitato. Sul lato migliore della città, George Street si apriva un varco tra le case serpeggiando per qualche miglio prima di superare il crinale e scendere nella vasta lamieson Valley. C’era persino un violetto cieco chiamato Caroline Lamb Place, situato, inutile dirlo, sul lato sbagliato della linea ferroviaria (non altrimenti della casa denominata Missolungi). Qui abitavano una dozzina di donne molto licenziose, spartite in tre case diverse, e qui affluivano molti visitatori di sesso maschile, provenienti sia dal campo dei cavatori di sabbia sopra la ferrovia, sia dal grande impianto d’imbottigliamento che deturpava la periferia meridionale della città.
Una delle manifestazioni più curiose e singolari della sconcertante personalità del primo Sir William era il fatto che, sul letto di morte, avesse ingiunto in termini categorici alla sua progenie di non interferire con il corso della Natura alterando la funzione di Caroline Lamb Place. Di conseguenza, il luogo in questione rimase chiaramente in ombra, un’ombra che non aveva nulla a che vedere con quella dei castagni. Invero, Sir William era stato un fedele adepto di quello che lui definiva “un metodo sistematico di assegnare un nome alle cose”, e aveva impartito alle figlie altrettanti nomi latini perché godevano di largo apprezzamentonegli alti ranghi della società. I suoi discendenti avevano perpetuato questa consuetudine, cosicché la famiglia annoverava un’Augusta, un’Aurelia, un’Antonia. Solamente una branca della famiglia aveva tentato di allargare ulteriormente questa politica cominciando, all’arrivo del quinto figlio, a chiamare i maschi con un numero latino, e in tal modo glorificando l’albero genealogico degli Hurlingford con un Quintus, un Sextus, un Septimus, un Octavius e un Nonus. Decimus morì all’atto della nascita e nessuno si stupì della cosa.
Ah, che meraviglia! Missy si fermò per contemplare, estasiata, una grande ragnatela tessuta fra i morbidi tentacoli di bianca foschia che levitavano, pulsanti, dalla valle invisibile, al capo opposto di Gordon Road. Al centro della ragnatela c’era un grosso ragno rilucente: una femmina, apologeticamente scortata dal suo piccolo-compagno-del-momento. Missy peraltro non provò repulsione: solamente invidia. Quella creatura fortunata non si limitava a dominare con intrepida sicurezza il suo universo, ma impugnava il suo stendardo di suffragetta imponendo il suo volere al marito e abusandone a proprio piacimento, e perfino divorandolo non appena avesse compiuto il suo dovere fecondando le uova. Ah, com’era fortunata, la signora ragno! Se qualcuno demoliva il suo mondo, lei serenamente lo ricostruiva in conformità a caratteristiche istintive, innate, così belle, così eteree, che la sua durata effimera non aveva importanza alcuna. E quando la nuova tela fosse stata portata a compimento, lei vi avrebbe disposto la serie successiva di mariti, come una festa mobile. Il marito del momento, di contenuta robustezza, sarebbe appena un tantino spostato dal centro, mentre i suoi successori sarebbero diventati sempre più piccini, a mano a mano che si allontanavano dalla Madre, nel punto focale di quell’esile trama.
Il tempo! Missy riprese a correre, voltando in Byron Street e dirigendosi verso la fila di negozi che scendevano, sui due lati di un isolato, verso il centro della città, poco prima che Byron Street assumesse un aspetto grandioso, in corrispondenza dei giardini pubblici, della stazione ferroviaria, della fronte marmorea dell’albergo e dell’imponente facciata in stile egizio del Byron Waters Baths.
C’erano la drogheria e il magazzino di alimentari di Maxwell Hurlingford; la bottega di ferramenta di Denys Hurlingford; il negozio di modista di Aurelia Marshall, nata Hurlingford; la fucina e il distributore di benzina di Walter Hurlingford; l’emporio di abiti e tessuti di Herbert Hurlingford; la rivendita di giornali e la cartoleria di Septimus Hurlingford; la Weeping Willow Tea Room di Julia Hurlingford; la biblioteca circolante di Livella Hurlingford; la macelleria di Roger Hurlingford Witherspoon; la pasticceria e la tabaccheria di Percival Hurlingford, e il Milk Bar, nonché l’Olympus Café di Nikos Theodoropoulos.
Come si addiceva alla sua importanza primaria, Byron Street era asfaltata fino all’incrocio con Noel Street e Caroline Lamb Place. Era dotata di una mangiatoia da cavalli in granito decorato e levigato, dono del primo Sir William, e di pali per legarvi i cavalli, lungo la schiera di negozi protetti da tendoni. Vi si allineavano, inoltre, dei vecchi e fronzuti alberi di sapodilla, e il tutto riusciva a suscitare un’impressione di placida prosperità.
Erano ben poche le abitazioni private, nell’area centrale di Byron. La città tirava a campare grazie ai turisti estivi, desiderosi di sottrarsi al calore e all’umidità delle pianure costiere, e ai visitatori che affluivano in ogni momento dell’anno, ansiosi di mitigare le loro tormentose afflizioni reumatiche immergendosi nelle calde acque termali che un capriccio geologico aveva situato nel sottosuolo di Byron. Di conseguenza, lungo Byron Street si susseguivano in gran numero pensioncine e camere d’affitto, gestite per lo più – inutile precisarlo – dagli Hurlingford. I Byron Waters Baths offrivano un comfort più che soddisfacente a chi non fosse troppo parsimonioso. A sua volta il vasto e prestigioso Hurlingford Hotel vantava la sua dotazione di stanze da bagno private, ad uso esclusivo dei suoi ospiti, mentre per quanti fruivano di scarse risorse pecuniarie, ed erano pertanto costretti ad accontentarsi di una camera con prima colazione in una delle pensioni a modica tariffa, esistevano le spartane ma pulitissime Terme Byron, appena girato l’angolo di Noel Street.
Ma anche quanti erano troppo poveri per recarsi comunque nella città di Byron potevano soddisfare le loro necessità. Il secondo Sir William aveva inventato la Bottiglia Byron (com’era nota in tutto il territorio dell’Australia e del Pacifico meridionale): una bottiglia da una pinta artisticamente affusolata, trasparente come puro cristallo e colma d’acqua attinta alla migliore delle fonti di Byron, sapida, un tantino effervescente e dall’effetto immancabilmente ma non aggressivamente lassativo. Vichy? All’inferno! era il commento di quanti avevano avuto la fortuna di potersi recare in Francia. Perché in effetti la Bottiglia Byron non si accontentava di essere più efficace: era decisamente molto più a buon mercato. Senza contare un penny rifuso per ogni bottiglia vuota. E per finire, un oculato acquisto di azioni della vetreria aveva recato il tocco finale a questa industria locale, tanto contenuta nei costi di gestione quanto peraltro notevolmente lucrativa. E continuò invero a prosperare, assicurando ingentissimi introiti a tutti i discendenti maschi del secondo Sir William. Il terzo Sir William, nipote del primo e figlio del secondo, era attualmente a capo dell’impero della Byron Bottle Company, e svolgeva le sue mansioni con l’impietosa rapacità di cui avevano dato prova i suoi omonimi predecessori.
Maxwell Hurlingford, discendente in linea diretta dal primo Sir William e pertanto dotato di un cospicuo patrimonio personale, non aveva necessità alcuna di gestire una drogheria e un magazzino di derrate commestibili. Nondimeno negli Hurlingford l’istinto e l’acume commerciale erano duri a morire, e i principi calvinisti sui quali si fondava il clan esigevano che un uomo dovesse lavorare per essere nella grazia del Signore. In verità, la rigida aderenza a questa norma avrebbe dovuto fare di Maxwell Hurlingford un santo sulla terra, mentre invece era riuscito solamente a farne un angelo in strada e un demonio in casa.
Quando Missy entrò spingendo la porta del negozio, echeggiò il tintinnio un po’ fesso di una campanella, perfetta descrizione del suono che Maxwell Hurlingford aveva escogitato onde gratificare la sua austerità e soddisfare la sua prudenza. Il monito della piccola campana valse a farlo emergere all’istante dai recessi del retrobottega, ove trovavano collocazione la crusca, il frumento, la pula, l’orzo, il mangime e l’avena, il tutto in sacchi di canapa accatastati l’uno sopra l’altro. Giacché Maxwell Hurlingford non si limitava a provvedere alle esigenze di sostentamento della popolazione umana di Byron: assicurava del pari le provviste di cibo ai cavalli, alle vacche, ai somari, alle pecore, ai porcelli. Come aveva detto una volta uno spirito burlone di Byron, Maxwell Hurlingford era quello che si assumeva l’incarico di tenere tutti quqnti in carreggiata.
Il volto di Maxwell era atteggiato all’espressione consueta, ovvero arcigna, e nella mano destra reggeva una grossa mestola di legno dalla quale pendevano ispidi filamenti di foraggio.
“Guarda, guarda!” ringhiò all’indirizzo di Missy, agitandole davanti la mestola in una imitazione inconsapevole di sua sorella Octavia che stringeva in pugno i suoi sacchetti di avena aggrediti dai topi. “Ci sono tignole dappertutto.”
“Oddio! Anche nell’avena?”
“Dappertutto!”
“Allora sarà meglio che tu mi dia un pacchetto di avena di marca, zio Maxwell.”
“Meno male che i cavalli non sono molto schizzinosi.” borbottò posando la mestola e rintanandosi dietro il banco.
La campanella tornò a squillare, richiamata violentemente in vita, e dalla porta entrò un uomo con prorompente decisione, in un turbine d’aria gelida e nebbiosa.
“Maledizione,” bofonchiò il nuovo venuto, “fa più freddo che sulle tette di una matrigna.” E batté violentemente le mani l’una contro l’altra.
“Attento a come parla, ci sono delle signore!”
“Uff!” sbuffò il nuovo venuto, trascurando di far seguire a questo monito un’opportuna espressione di scusa. Al contrario, si sporse sul banco e guardando con un ghigno cattivo la stupefatta Missy esclamò: “Signore? Al plurale? Io qui di signore ne vedo solamente mezza!”
Né Missy né zio Maxwell furono in grado di stabilire se questa frase fosse semplicemente un’allusione impertinente alla carenza di statura di lei, in una città popolata da giganti, o se invece avesse inteso insultarla grossolanamente, lasciando intendere che Missy non era affatto una signora. Fatto sta che, nel lasso di tempo richiesto a zio Maxwell per fare appello alle estrinsecazioni della sua ben nota lingua biforcuta, l’uomo stava già sciorinando la lista assai nutrita delle sue richieste.
“Voglio sei sacchi di crusca e di mangime, un sacco di farina, un pacco di zucchero, una scatola di cartucce calibro dodici, un pezzo di pancetta affumicata, sei scatole di lievito, dieci libbre di burro in scatola, dieci libbre di uva passa, dodici latte di melassa, sei scatole di marmellata di susine e una scatola da dieci libbre di biscotti misti Amott.”
“Sono le cinque meno cinque, e io chiudo alle cinque in punto.” disse zio Maxwell, asciutto.
“E allora farebbe bene a sbrigarsi, non le pare?” disse l’altro, in tono tutt’altro che gradevole.
La scatola di avena di marca era posata sul banco. Missy estrasse il mezzo scellino dal dito del suo guanto e lo tese, aspettando invano che zio Maxwell si degnasse di darle il resto, e mancando del coraggio necessario per domandargli come mai un quantitativo così esiguo di un cibo basilare avesse un prezzo tanto elevato, ancorché presentato in una confezione fantasia di così gradevole aspetto. Alla fine prese il pacco, girò sui tacchi e se ne andò, ma non prima di aver scoccato un’altra occhiata allo sconosciuto.
Aveva un barroccio trainato da due cavalli. Chiaramente era suo, perché era legato fuori del negozio, e quando Missy era entrata non c’era. Anche l’equipaggio era di bell’aspetto. I cavalli avevano il manto perfettamente lucido e strigliato e il barroccio aveva tutta l’aria di esser nuovo, con i raggi delle ruote evidenziati da una striscia di vernice gialla su un fondo di vivido marrone.
Quattro minuti alle cinque. Se l’ordine di arrivo nella bottega di zio Maxwell fosse stato inverso, lei avrebbe potuto appellarsi alla maleducazione e all’imponente ordinazione dello sconosciuto a titolo di scusa per essere in ritardo, e pertanto fare un salto alla biblioteca.




(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 10:51
Le Signore di Missolungi - (continua)





A Byron non esisteva una biblioteca pubblica. A quel tempo, poche città australiane potevano vantarne una. Provvedeva tuttavia a sostituirla una biblioteca circolante di proprietà privata. Livilla Hurlingford era vedova e aveva un figlio che le costava molto. Le necessità economiche unite all’esigenza di salvaguardare il suo aspetto rispettabile l’avevano indotta ad aprire questa sorta di sala di lettura, sempre ampiamente rifornita, e il successo incontrato dalla sua iniziativa nonché i conseguenti introiti l’avevano spinta a ignorare le leggi puritane che imponevano la chiusura dei negozi di Byron alle cinque pomeridiane di ogni giorno feriale, giacché la massa della sua clientela preferiva scambiare i libri approfittando delle ore serali.
I libri erano l’unico lusso, il solo passatempo che Missy poteva concedersi. Aveva il permesso di spendere a propria discrezione il denaro da lei ricavato vendendo il burro e le uova in soprannumero prodotti entro i confini di Missolungi, e Missy si serviva per intero di quella modesta somma per prendere in prestito i libri alla biblioteca di zia Livilla. Sua madre e sua zia disapprovavano pienamente la cosa, ma avendo dichiarato qualche anno prima che Missy doveva aver modo di disporre di qualche soldo oltre le cinquanta sterline che suo padre le aveva destinato al momento della nascita, Drusilla e Octavia erano troppo corrette per annullare quel decreto per la semplice ragione che Missy si era rivelata una scialacquatrice.
A patto che lei sbrigasse la sua parte di mansioni domestiche – e lei vi ottemperava senza sgarrare di un filo – nessuno obiettava al fatto che Missy leggesse tutti i libri che voleva, mentre incontrava la più acerba opposizione se manifestava il desiderio di andare a fare due passi nella macchia. Fare una passeggiata nella macchia equivaleva a collocare la sua persona scarsamente desiderabile sulla strada del delitto e della rapina, sicché non poteva esserle concesso, in qualsivoglia circostanza. Pertanto Drusilla aveva ordinato a sua cugina Livilla di fornire a Missy esclusivamente buoni libri: niente romanzi senza eccezione alcuna, bando alle biografie scurrili o scandalose, nulla che potesse riguardare il sesso maschile. E a tale imperativo zia Livilla ottemperava con rigoroso ossequio, perché condivideva le idee di Drusilla su ciò che doveva o non doveva leggere una donna nubile.
Nel corso dell’ultimo mese Missy aveva celato un suo colpevole segreto. Era stata rifornita di romanzi a volontà. Zia Livilla si era trovata un’assistente alla quale affidava la biblioteca il lunedì, il martedì e il sabato, consentendole in tal modo di tirare il fiato per quattro giorni di seguito, lontano dalle querule laganze dei locali che protestavano perché avevano letto tutti i libri posati sugli scaffali o dei visitatori che sugli scaffali non trovavano ciò che rispecchiava i loro gusti. Ovviamente, la nuova assistente era una Hurlingford, sebbene non fosse una Hurlingford di Byron. Veniva dai quartieri eleganti di Sidney.
Raramente la gente notava la taciturna Missy, così tristemente inibita, ma Una – questo era il nome della nuova assistente – sembrava avere prontamente individuato in lei le doti necessarie per farsene una buona amica. Così, fin dall’inizio del loro rapporto Una era riuscita a conquistarsi la confidenza di Missy in misura davvero sorprendente. Di Missy conosceva ormai tutto: abitudini, vicende personali, ansie, aspirazioni, sogni. Non solo: aveva escogitato un metodo infallibile grazie al quale Missy poteva ottenere i frutti proibiti in prestito, senza che zia Livilla se ne potesse accorgere, cosicché lei poteva usufruire di romanzi d’ogni genere, dai più avventurosi ai più sfrenatamente romantici e sentimentali.
Ma stasera era di turno zia Livilla, cosicché il suo libro sarebbe stato della vecchia specie. Nondimeno, allorché Missy spinse la porta a vetri che metteva nella saletta tutta pervasa di un tepore confortante, dietro il banco sedeva Una, e della temuta zia Livilla non c’era neanche l’ombra.
Ad accattivare la simpatia di Missy era stato peraltro qualcosa di più della indubbia vivacità di Una, del suo spirito di comprensione, della sua gentilezza d’animo. Era altresì una bellissima ragazza, dalla figura impeccabile, di statura sufficientemente alta per designarla come di puro ceppo Hurlingford. Quanto all’abbigliamento, a Missy ricordava quello della cugina Alicia, sempre vestita all’ultima moda, sempre con gusto impeccabile, sempre al limite dell’appariscente. Artica per biondezza di capelli, per chiarore d’occhi e carnagione, Una s’ingegnava di non apparire calva e assolutamente slavata, in conformità al destino di tutte le donne Hurlingford, fatta eccezione per Alicia (la quale splendeva di tale straordinaria venustà che Dio, quando si era fatta adulta, le aveva regalato ciglia e sopracciglia scure) e per Missy (completamente bruna). Ma ancora più sorprendente della spiccata qualità del biondo di Una era una sua curiosa, luminosa peculiarità, un fresco, delizioso fulgore che risiedeva non tanto nella carnagione quanto all’interno della sua persona: questa sua essenza pervasa di luce s’irraggiava dalle unghie, lunghe ed ovali, e parimenti dai capelli, raccolti nelle ultime ciocche tutt’attorno al capo e culminanti in un ciuffo rilucente, così biondo da sembrare quasi bianco. Intorno a lei, l’aria assumeva uno splendore che appariva al tempo stesso reale ed irreale. Affascinante! La diuturna ignoranza d’ogni proiezione sull’umanità, ad esclusione degli Hurlingford, aveva lasciato Missy del tutto impreparata al fenomeno di una persona dotata di un fulgore individuale. Ora invece, nell’esiguo lasso di tempo di un mese, ne aveva conosciute due: Una, con la sua luminescenza, e lo sconosciuto nella bottega di zio Maxwell, con quella nube azzurra e frizzante di energia che gli crepitava intorno.
“Ciao, cara!” esclamò Una, vedendo Missy. “Tesoro, ho un romanzo per te che ti piacerà alla follia. E’ la storia di una giovane nobildonna indigente, che si vede costretta ad accettare un posto di governante nella casa di un duca. Lei si innamora del duca, che la mette nei pasticci, dopo di che si rifiuta di aver cura della sventurata perché i soldi li ha tutti sua moglie. Per cui la fa imbarcare su una nave e la spedisce in India, dove il bambino muore di colera subito dopo la nascita. Ma poi un maragià, un uomo di straordinaria bellezza, s’innamora follemente di lei, perché ha i capelli rosso oro e gli occhi verde acqua, mentre logicamente tutte le sue dozzine di mogli e concubine sono brune. Lui la rapisce, nell’intento di farne il suo trastullo, ma non appena la donna è in suo potere si rende conto di provare troppo rispetto per quella povera creatura. Così la sposa e scaccia tutte le altre donne perché, dice, è un gioiello così raro che non può avere rivali, e lei diventa una potente maharani. A questo punto il duca arriva in India al comando del suo reggimento di ussari per sedare una rivolta indigena scoppiata fra le colline. Riesce nel suo intento, ma viene ferito mortalmente sul campo di battaglia. Lei lo fa trasportare nel suo palazzo di alabastro, dove il duca muore, ma non prima che la sua antica fiamma lo abbia perdonato per averla così crudelmente ingannata. Frattanto il maragià comprende che lei lo ama più di quanto avesse mai amato il duca. Non è una storia fantastica? Ti piacerà moltissimo, ne sono assolutamente certa!”
Il racconto per esteso dell’intreccio non riusciva mai a distogliere Missy da un libro. Pertanto accettò prontamente Rapsodia d’amore e lo depose in fondo alla borsa della spesa, e nel compiere quel gesto annaspò alla ricerca del minuscolo borsellino. Ma il borsellino non c’era.
“Ho paura di aver lasciato il borsellino a casa.” disse a Una, mortificata come può esserlo soltanto una persona molto povera e molto orgogliosa. “Oddio, eppure ero sicura di averlo messo nella borsa! Be’, allora sarà meglio che il libro lo tenga tu fino a lunedì.”
“Santo cielo, tesoro, aver dimenticato i soldi non è poi la fine del mondo. Prendilo adesso, il libro, altrimenti lo beccherà qualcun altro, ed è così bello che starà in giro per mesi. Mi pagherai la volta prossima.”
“Grazie.” disse Missy, conscia del fatto che non avrebbe dovuto imbarcarsi in una serie di azioni contrarie ai precetti di Missolungi, ma impotente al cospetto della sua bramosia di libri. Con un sorriso impacciato, si affrettò verso la porta del negozio.
“Ma no, cara, aspetta.” la supplicò Una. “Fermati a chiacchierare, te ne prego!”
“Mi dispiace, ma non posso, credimi.” disse Missy, in tono desolato.
“Sì che puoi.” ribatté Una, ostinata.
Missy, consapevole che rifiutare un favore a qualcuno verso il quale siamo in debito era impossibile, capitolò. “E va bene, ma un minuto solo.”
“Voglio sapere se hai già messo gli occhi su John Smith.” disse Una, mentre le unghie rilucenti fluttuavano intorno alle chiome altrettanto rilucenti, e gli occhi cerulei erano percorsi da vividi bagliori.
“John Smith? Chi è questo John Smith?”
“Quel tizio che ha comprato la tua valle, la settimana scorsa.”
La valle di Missy non era esattamente la “sua” valle. Semplicemente si estendeva oltre il limite estremo di Gordon Road, ma lei l’aveva sempre considerata sua, e più di una volta aveva manifestato a Una il desiderio di attraversarla a piedi. Chinò il volto.
“Oh, che peccato!”
“Macché, è una fortuna, invece. Era ora che qualcuno varcasse la soglia degli Hurlingford.”
“Ad ogni modo,” disse Missy, “non ho mai sentito nominare questo John Smith e sono certa di non averlo mai veduto.” Si voltò e fece l’atto di andarsene.
“Come puoi dire di non averlo mai veduto se non vuoi nemmeno fermarti per sapere che faccia ha?”
Davanti agli occhi di Missy emerse all’improvviso la visione dello sconosciuto nella bottega di zio Maxwell, li chiuse e disse in tono più deciso del solito: “E’ molto alto, molto robusto, con i capelli color del rame e anche la barba, con qualche striatura bianca. E’ trasandato nel vestire e bestemmia come un turco. Ha una bella faccia, ma gli occhi sono ancora più belli del volto.”
“E’ lui, è lui.” squittì Una. “Ma allora l’hai visto! E dove? Dimmelo, raccontami tutto!”
“E’ entrato poco fa nel negozio di zio Maxwell, e ha comprato un mucchio di cose.”
“Davvero? Allora vuol dire che sta per trasferirsi nella valle.” E Una guardò Missy con un sorrisetto malizioso. “Giurerei che non ti è dispiaciuto affatto, non è così, furbacchiona?”
“E’ vero, non mi è per niente dispiaciuto.” confermò Missy arrossendo.
“Anche a me è piaciuto, quando l’ho visto per la prima volta.” disse Una con falsa indifferenza.
“Da quanto tempo lo conosci?”
“Oh, sono secoli, ormai. Be’, diciamo anni. E’ stato a Sidney.”
“Ma allora lo conosci?”
“Oh, benissimo.” rispose Una con un sospiro.
La profluvie di romanzi che Missy aveva letto nel corso dell’ultimo mese aveva incrementato in larga misura la sua educazione sentimentale. Pertanto Missy si sentì autorizzata a domandare: “Ti sei forse innamorata di lui?”
Ma Una scoppiò a ridere. “No, tesoro, nemmeno per idea. Non l’ho mai amato, in quanto a questo puoi esserne sicura.”
“Viene da Sidney?” chiese Missy, sollevata.
“Da Sidney e da tanti altri posti.”
“Era tuo amico?”
“No, di mio marito.”
Questa, per Missy era una notizia del tutto inaspettata.
“Oh, scusami, Una Non sapevo che fossi vedova.”
Una rise ancora. “Ma no, cara, non sono vedova. I santi mi hanno concesso la grazia di non costringermi a vestire di nero. No, Fallace… voglio dire, mio marito… è ancora vivo e vegeto. Be’, diciamo che mio marito ha divorziato dal nostro matrimonio… e da me, naturalmente. Mi sembra il miglior modo per descrivere la situazione.”
In tutta la sua vita, Missy non aveva mai conosciuto una divorziata. Gli Hurlingford non mettevano fine ai matrimoni, ma li trasformavano in paradiso, in inferno oppure in limbo. “Dev’essere stato molto pensoso per te.” disse in tono pacato, decisa a non sembrare compassata o scandalizzata.
“Soltanto io so quanto sia stato difficile, carissima.” La luce di Una scomparve. “A dir la verità era stato un matrimonio di convenienza. Gli andava a genio la mia condizione sociale, o meglio era piaciuta a suo padre, e in quanto a me i suoi quattrini mi andavano benone.”
“Non ne eri innamorata?”
“Vedi, tesoro, il mio problema – ed è un problema che mi ha causato un sacco di guai – è che non sono mai riuscita ad amare nessuno nemmeno la metà di me stessa.” Fece una smorfia e quella luce interiore riapparve: aveva riacquistato il suo normale grado di intensità. “Intendiamoci. Fallace aveva le carte perfettamente in regola in tutte le cose che contano, ed era assolutamente presentabile. Ma il padre!… Il padre era un omuncolo, un mostro che puzzava di pomata ordinaria per capelli e di tabacco ancora più scadente, e in quanto a maniere ignorava le norme più elementari dell’educazione. Ma smaniava di vedere suo figlio arrivare al vertice della società australiana, per cui profuse tempo e denaro per produrre il tipo di figlio al quale gli Hurlingford non avrebbero avuto nulla da obiettare. In realtà il figlio amava la vita semplice, non aveva nessuna voglia di sedersi in vetta alla piramide e ha tentato soltanto perché voleva un bene dell’anima a quell’essere odioso di suo padre.”
“E poi cos’è successo?” domandò Missy.
“Il padre di Fallace è morto poco dopo il fallimento del nostro matrimonio. Un mucchio di gente era persuasa che fosse morto di crepacuore, e che una delle cause fosse Fallace. Quanto a me, ha finito per odiarmi come nessun uomo ha mai odiato una donna. Ho fatto di tutto perché mi odiasse così.”
“Non ci credo.” disse Missy, sincera.
“Francamente posso capire che tu non sia disposta a crederlo. Eppure è vero. Da quando è successo, e ormai sono passati vari anni, sono stata costretta a riconoscere di essere stata una carogna, un mostro di egoismo. Avrebbero dovuto annegarmi appena nata.”
“Per carità, Una, non parlare così!”
“Non è il caso di compiangermi, tesoro, ti assicuro che non lo merito.” disse Una, con la brillante energia che le era abituale. “Quello che è vero è vero, non c’è altro da dire. Ed eccomi qui, in un posto fuori del mondo come Byron, a scontare i miei peccati.”
“E tuo marito?”
“Oh, lui sta bene. Finalmente ha trovato il modo di fare tutto quello che aveva sempre desiderato per sé.”
Missy moriva dalla voglia di farle almeno altre cento domande, sulla possibilità che lei e Wallace si rappacificassero, e su John Smith, sul misterioso John Smith. Ma la piccola pausa che seguì la conclusione del discorso di Una fu come un sussulto e valse a riportare indietro il tempo. Un frettoloso arrivederci, e Missy corse via prima che Una potesse trattenerla un’altra volta.
Per tutte le cinque miglia che la separavano da casa, corse quasi sempre. E in effetti si sarebbe detto che le fossero spuntate le ali ai piedi perché, quando senza fiato entrò in cucina, scoprì sua madre e sua zia pienamente disposte ad accettare la storia dell’ordinazione interminabile di John Smith come una scusa sufficiente per il suo ritardo. Drusilla aveva munto la vacca. Quanto ad Octavia, dal momento che le condizioni del suo scheletro la rendevano inadeguata a una simile incombenza, aveva colto i piselli che ora sobbollivano in un angolo del caminetto, mentre tre costolette d’agnello rosolavano in padella. Le tre signore di Missolungi sedettero puntuali a tavola per consumarvi il pasto. Le attendeva l’occupazione conclusiva e più importante della loro giornata: la rammendatura delle calze, degli indumenti intimi, di tutta la loro lavatissima e consumatissima biancheria.
Il pensiero spartito fra John Smith e la penosa storia personale di Una, Missy porgeva un orecchio sonnacchioso e distratto alle parole di Octavia e di Drusilla, che indulgevano alla notturna vivisezione di qualsivoglia notizia giunta alle loro persone, affamate di avvenimenti e informazioni. Quella sera, dopo un esordio basato sullo sconosciuto che Missy aveva incontrato nel negozio di zio Maxwell e sulle inerenti, sconnesse dissertazioni (Missy non aveva tenuto per sé quanto aveva sommariamente appreso da Una), proseguirono parlando dell’evento più importante tra quanti facevano capolino dal calendario sociale e mondano di Byron, ossia le imminenti nozze di Alicia.
“Dovrò indossare il vestito di seta marrone, Drusilla.” disse Octavia, scacciando una lacrima di sincera costernazione.
“E io dovrò mettere il vestito di gros-grain marrone, e Missy metterà il suo abito di lino marrone. Santo Dio, sono stufa: sempre marrone, marrone, marrone!” esclamò Drusilla.
“Ma nelle nostre circostanze, il marrone è il colore più adatto.” la confortò Octavia, senza molto successo.
“Ma una volta, solo una volta!” esclamò Drusilla con violenza disperata, conficcando rabbiosamente l’ago nel suo rocchetto di filo, e piegando la federa dal rammendo invisibile con un impeto veemente e appassionato, quale non aveva mai sperimentato nell’arco di tutta la sua vita. “Preferirei di gran lunga essere idiota invece che una donna di buon senso! Domani è sabato, cosicché sarò costretta ad ascoltare Aurelia, eternamente incerta tra il satin color rubino e il velluto color zaffiro per il suo abito da cerimonia. E tornerà a domandare il mio parere per l’ennesima volta, e io… be’, mi piacerebbe proprio ammazzarla!”
Missy aveva una stanza tutta per sé, rivestita di legno e color marrone come tutto il resto della casa. Il pavimento era ricoperto di linoleum screziato marrone, il letto aveva una coperta marrone, la finestra un avvolgibile marrone. E c’erano anche, un brutto bureau decrepito, e un armadio ancor più brutto e ancor più vecchio. Niente specchi, seggiole, tappeti. Dalle pareti, peraltro, pendevano tre quadri. Uno era un dagherrotipo scolorito che ritraeva, incredibilmente vizzo e rattrappito, il primo Sir William Hurlingford, suppergiù all’epoca della guerra di secessione americana. Un altro incorniciava un precoce saggio di ricamo (il primissimo exploit di Missy, eseguito in modo impeccabile) che annunciava: Il diavolo insidia chi pecca per ignavia. Quanto al terzo, ritraeva in una cornice a passe-partout la regina Alexandra, rigida e corrucciata, ma tuttora, agli occhi acritici di Missy, donna di rara bellezza.
D’estate la stanza era una fornace, essendo esposta a sud e a ovest, mentre d’inverno era una ghiacciaia, perché riceveva in pieno i venti più impietosi. Ma il fatto che Missy occupasse quel locale non era la conseguenza di una crudeltà premeditata. Semplicemente era la più giovane e aveva dovuto accontentarsi del peggio. Del resto, a Missolungi nessuna camera era veramente confortevole.
Livida di freddo, Missy si sfilò l’abito di cotone, la sottoveste di flanella, le calze e le mutande di lana a gamba lunga, e ripiegò con cura gli indumenti prima di riporre quelli intimi in un cassetto e di appendere il vestito a un gancio fissato al plafone dell’armadio. Solamente l’abito di lino marrone della festa era appeso in modo confacente, perché gli attaccapanni erano merce estremamente preziosa. Il serbatoio di Missolungi conteneva appena 500 galloni, il che faceva dell’acqua un bene di valore ancora più inestimabile: i corpi venivano sottoposti ad abluzioni quotidiane e le tre signore condividevano la stessa scarsa acqua nella vasca da bagno, ma mutande e calze dovevano attendere due giorni.
La sua camicia da notte era di flanella grigia, pungente, a maniche lunghe e chiusa fino al collo. E strusciava per terra perché prima era stata di Drusilla. Il letto, però, era caldo. Il giorno del trentesimo compleanno di Missy, sua madre aveva annunciato che, quando faceva freddo, avrebbe avuto diritto a un mattone arroventato, perché ormai non era più nel fiore della prima giovinezza. E quando si era verificato questo evento, pur accolto con gioia, Missy aveva abbandonato per sempre ogni speranza, lungamente coltivata, di potersi rimediare, prima o poi, un’esistenza tutta per sé oltre i confini di Missolungi.
Il sonno non tardava a venire, perché Missy conduceva una vita attiva, ancorché sterile sul piano emotivo. Ma i brevi momenti che intercorrevano tra l’istante in cui si adagiava in quel delizioso tepore e il sopravvenire dell’inconscio costituivano l’unico momento della giornata in cui poteva fruire di piena e assoluta libertà. Per questo Missy lottava per rimanere sveglia il più a lungo possibile.
Esordiva domandandosi quale fosse realmente il suo aspetto fisico. In casa esisteva un solo specchio, quello del bagno, ed era fatto categorico divieto di indugiarvi davanti, in contemplazione della propria immagine riflessa. Pertanto l’impressione che Missy aveva di se stessa era offuscata dal senso di colpa che le derivava dal timore di essersi trattenuta troppo a lungo a guardarsi nello specchio. Beninteso, sapeva di essere abbastanza alta di statura, di essere troppo magra, di avere i capelli ritti e bruni, gli occhi tra il nero e il castano, il naso non troppo funzionante – ahimè – a causa di una caduta da bambina. Sapeva che la bocca le pendeva sul lato sinistro e risaliva in una piega verso destra, ma ignorava che questa sua caratteristica rendeva i suoi rari sorrisi singolarmente affascinanti, e conferiva alla sua espressione, solitamente assorta e solenne, qualcosa di tragicomico, come di clownesco. La vita le aveva insegnato a pensare a se stessa come a una persona alla buona, senza la minima pretesa; e tuttavia qualcosa la distoglieva dall’accettare pienamente questa idea. Nessuna prova logica aveva il potere di persuaderla fino in fondo di questa sua realtà. Di conseguenza, ogni notte tornava a chiedersi quali fossero le sue autentiche sembianze.
Pensava che le sarebbe piaciuto avere un gatto. Zio Percival, quello che gestiva lo spaccio di dolciumi e di tabacchi ed era di gran lunga il più amabile degli Hurlingford, il giorno in cui Missy aveva compiuto undici anni le aveva regalato un buffo micetto nero. Ma subito sua madre glielo aveva sottratto affidandolo a un tizio perché lo annegasse, e aveva spiegato a Missy con innegabile sincerità che non potevano permettersi un’altra bocca da sfamare, nemmeno una bocca tanto piccola. Quel gesto non era stato fatto senza comprensione per i sentimenti della figlia, e non era stato compiuto senza rincrescimento, ma agire altrimenti non era stato possibile. Missy non aveva protestato. Non aveva pianto, neppure da sola, a letto. In un certo senso, il micio non aveva avuto il tempo di acquistare sufficiente realtà per motivare un dolore disperato. Tuttavia, a tanti anni di distanza, le sue dita rammentavano ancora la sensazione provocata al contatto con quel pelo morbido e lanoso. Il vibrante ron-ron di piacere quando il piccolo animale veniva preso in grembo e accarezzato. Soltanto le mani ricordavano. Ogni altra parte di lei si era sforzata di dimenticare.
Sognava di ottenere il permesso di passeggiare nella macchia, nella valle di fronte a Missolungi, e questo era sempre il sogno ad occhi aperti che si convertiva placidamente nei sogni vissuti da dormiente e che non riusciva mai a rievocare. Se indossava abiti, non la impacciavano. Non si infradiciavano se lei passava a guado le acque ruscellanti di una roggia, né si sporcavano se le avveniva di strusciare contro dei massi ricoperti di muschio. E non erano color marrone, mai. Gli uccellini campanari le roteavano intorno al capo cinguettando. Farfalle variopinte svolazzavano in gran copia tra baldacchini di felci gigantesche che facevano apparire il cielo un immenso drappo di seta profilato di merletto. Ovunque regnava la pace, senza intrusione di alcun essere umano.
Più tardi aveva cominciato a contemplare la morte, che sempre più le era apparsa come un consumarsi devotamente auspicabile. La morte regnava dappertutto, e visitava i giovani e le persone di mezz’età non meno degli anziani. Difterite, polmonite, mal sottile, convulsioni, infarti, apoplessia, paralisi. Perché mai lei avrebbe dovuto essere al riparo dalla sua mano? La morte non era per nulla una prospettiva paventata; non lo è mai, agli occhi di coloro che non vivono, ma si limitano ad esistere.
Ma quella sera rimase sveglia, nel suo groviglio di occhiate, di mici, di passeggiate nel bosco e di attese della morte, ad onta dell’estrema stanchezza dovuta a quella fuga precipitosa da casa e a quel dolore all’anca sinistra che sembrava causarle sofferenze sempre più acute. Giacché Missy era stata indotta a dedicare un po’ di tempo al pensiero di John Smith, di quello sconosciuto dai modi alquanto bruschi che aveva comprato la sua valle, almeno a quanto asseriva Una. Il vento mutava, c’era una nuova forza a Byron. Era convinta che Una non sbagliasse sul suo conto, che egli intendesse davvero trasferirsi nella vallata. Che non era più sua, adesso, ma apparteneva a lui. Con le palpebre socchiuse si sforzava di evocare l’immagine dell’uomo, alta, robusta, massiccia, con quella massa di capelli rosso cupo che gli coprivano il cranio e gli scendevano sulle guance, e quei due incredibili nastri bianchi nella barba. Era impossibile indovinarne l’età a causa del volto segnato dalle intemperie, sebbene lei propendesse a credere che fosse tra i quarantacinque e i cinquant’anni. I suoi occhi erano color dell’acqua passata sopra uno strato di foglie putrescenti, chiari come il cristallo e tuttavia di un color bruno ambrato. Ah, che bell’uomo!
E quando nel corso di quel suo pellegrinaggio notturno tornò una volta di più alla sua passeggiata nella macchia, lui le si pose al fianco e la scortò fino alla soglia del sonno.





(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 10:54
Le Signore di Missolungi - (continua)




La povertà che imperversava a Missolungi con crudeltà implacabile era imputabile al primo Sir William, che aveva generato sette figli e nove figlie, in gran parte in gran parte sopravissuti per dar vita a ulteriore progenie. La politica di Sir William era consistita nel distribuire i suoi beni terreni esclusivamente tra i figli maschi, lasciando alle femmine una dote costituita solamente da una casa e da cinque acri annessi di ottimo terreno. In apparenza, sembrava una politica avveduta, volta a scoraggiare eventuali cacciatori di dote e ad assicurare però alle figlie la condizione di proprietarie terriere e al tempo stesso uno strumento di tutela della loro indipendenza. Per nulla riluttanti (dal momento che implicava maggior denaro per loro), i figli del primo Sir William avevano perseverato nella linea di condotta paterna, e successivamente così si erano comportati anche i loro figli. Sennonché, col passare dei decenni, le case erano diventate sempre più disagevoli, sempre più difettose e precarie nella muratura, e i cinque acri di ottimo terreno avevano perso gradatamente la loro preclara qualità.
Il risultato, due generazioni dopo, fu che il gruppo familiare degli Hurlingford era spartito in settori nettamente differenziati: maschi ricchi sfondati, senza distinzione, femmine facoltose in virtù di matrimoni fortunati e un altro gruppo di donne depauperate con l’inganno della loro terra, o costrette a vendere i loro beni al di sotto del valore reale, oppure in perpetua lotta come Drusilla Hurlingford Wright, per conservarli e sopravviverne.
Aveva sposato un certo Eustace Wright, tubercolotico erede di una grossa azienda commerciale legata a cospicui interessi nell’ambito delle industrie manifatturiere. Inutile dire come, all’epoca del matrimonio, Drusilla non aveva minimamente sospettato che Eustace fosse malato di tubercolosi, come d’altronde il diretto interessato. Ma dopo la sua morte, sopravvenuta a distanza di due anni, il padre di Eustace, sopravissuto al figlio, aveva deciso di lasciare l’intera sua proprietà al figlio secondogenito, anziché a una vedova che non aveva altri eredi al di fuori di una bimbetta malaticcia. Perciò, quello che era iniziato come un eccellente esordio nella vita matrimoniale si era risolto in un’amara e totale delusione. Il vecchio Wright aveva tenuto conto del fatto che dopotutto Drusilla possedeva la casa e cinque acri di terreno, e che per giunta apparteneva a un dovizioso clan familiare che si sarebbe sentito in dovere di provvedere alle sue necessità, non foss’altro per ragioni di decoro. Ma il vecchio Wright aveva trascurato di considerare l’indifferenza degli Hurlingford nei riguardi delle femmine del clan sole e sprovviste di potere.
Così Drusilla sbarcava a stento il lunario. Aveva preso con sé Octavia, la sorella nubile, che aveva venduto la sua casa e i suoi cinque acri al fratello Herbert per poter contribuire in denaro all’andamento domestico in casa di Drusilla. E qui stava il nodo di tutta la faccenda. Dal momento che vendere a un estraneo era inconcepibile, i membri maschi del clan ne traevano cospicui vantaggi. La somma ingenerosa che Herbert aveva accordato ad Octavia in cambio della sua proprietà venne immediatamente investita da lui stesso in nome della sorella, ma sebbene i suoi investimenti dessero per solito un buon reddito, questo in particolare non rendeva un soldo. Le rare e timide indagini compiute da Octavia al riguardo furono in un primo tempo sdegnosamente respinte, dopo di che provocarono le più colleriche e indignate reprimende.
Naturalmente, come era impensabile che una donna del clan Hurlingford potesse disporre dei suoi beni per cederli a un estraneo, così era inconcepibile che screditasse la famiglia andando a lavorare, a meno che non si potesse rimediarle un’incombenza nell’ambito immediato dell’alveo familiare. Pertanto Drusilla, Octavia e Missy, vuoi perché la mancanza di capitali impediva loro di esercitare un’attività lucrativa grazie al possesso di un’azienda commerciale, vuoi perché la totale carenza di talento pratico autorizzava i parenti a considerarle inabilitate a dedicarsi a un lavoro, erano costrette a starsene a casa.
Se mai Drusilla aveva vagheggiato l’ipotesi che Missy, crescendo, sarebbe stata in grado di sottrarre le signore di Missolungi alle loro ristrettezze grazie a un matrimonio finanziariamente clamoroso, dovette accantonare ogni sogno al riguardo prima che Missy compisse dieci anni. La bambina se ne stava sempre in casa ed era tutt’altro che espansiva. Quando ebbe vent’anni, sua madre e sua zia si erano ormai rassegnate ad accettare quelle circostanze come destinate a non subire mutamenti di sorta fino a quando fossero state seppellite nelle rispettive tombe. A suo tempo Missy avrebbe ereditato la casa e i cinque acri di sua madre, ma non avrebbe avuto nulla di suo per accrescere questo peculio immobiliare, perché apparteneva agli Hurlingford solo per parte materna, e come tale era ineleggibile.
Con tutto ciò riuscivano a campare. Avevano una mucca che produceva un latte straordinariamente ricco e cremoso, e che metteva al mondo dei vitelli stupendi, una giovenca di razza Jersey che avevano conservato perché era superlativa, una mezza dozzina di pecore, tre dozzine di galline a piume rosse Rhode Island, una dozzina fra anatre e oche e due scrofe bianche che partorivano i migliori porcellini da carne del distretto perché non se ne stavano chiuse in un recinto ma potevano pascolare in libertà e mangiavano altresì gli avanzi della sala da tè di Julia e quelli della tavola e dell’orto di Missolungi. L’orto, retaggio personale di Missy, produceva qualcosa tutto l’anno perché Missy aveva il pollice verde. E c’era anche un piccolo frutteto: dieci meli di diverse varietà, un pesco, un ciliegio, un pruno, un albicocco e quattro peri. Niente agrumi, però: a Byron d’inverno faceva troppo freddo. Vendevano la frutta, le uova e il burro a Maxwell Hurlingford a un prezzo inferiore a quello che avrebbero potuto esigere da un altro compratore, ma era inammissibile che cedessero i loro prodotti a chicchessia che non fosse un Hurlingford.
Il cibo non mancava: era il denaro a far loro difetto, impossibilitate a guadagnarsi uno stipendio e defraudate da coloro che per dovere avrebbero dovuto essere loro di sostegno, dipendevano per il denaro liquido, indispensabile per acquistare utensili, indumenti e medicine, e per rabberciare il tetto, dalla vendita di una pecora, di un vitello o da una figliata di porcelli, e quella sempiterna vigilanza finanziaria impediva loro di sottrarsi a quello stato di perpetua tensione. L’affetto che le due vecchie provavano per Missy si manifestava esteriormente in un solo modo: permettendole il denaro ricavato dalle sue uova e dal suo burro per l’acquisizione in prestito di libri.
Per colmare il loro tempo libero, le signore di Missolungi cucivano, rammendavano, lavoravano senza posa a maglia o all’uncinetto. Grate dei doni in lana, filo e tessuto che ricevevano a Natale o al loro compleanno, ricambiavano trasformando in regali quanto ne ricavavano, ma in massima parte i loro lavori si andavano ammonticchiando nella camera degli ospiti.
Il fatto che si arrendessero così supinamente a un regime e a un codice di vita imposti loro da persone che ignoravano cosa fossero la solitudine, le amare sofferenze dei ricchi immiseriti non implicava che mancassero per questo di spirito o forza d’animo. Semplicemente erano nate e vissute prima che le grandi guerre portassero a compimento la rivoluzione industriale, in un’epoca in cui il lavoro retribuito e il tenore di vita che ne derivava tradivano la loro concezione della vita, della famiglia, della femminilità.
Mai la loro povertà riusciva tanto amara a Drusilla Wright come il sabato mattina, quando si recava a piedi a Byron, ne attraversava l’abitato e poi ne usciva, raggiungendo il quartiere ove le residenze degli Hurlingford più abbienti si abbarbicavano ai fianchi delle splendide colline che si allungavano tra la città e un braccio della Jamieson Valley. Andava a bere una tazza di tè mattutino da sua sorella Aurelia, non senza ricordare, mentre arrancava alla volta dell’abitazione di quest’ultima, che quando erano entrambe giovanissime e fidanzate ufficialmente, lei, Drusilla, veniva considerata quella che, tra le due, aveva concluso l’affare più opimo e redditizio, sul mercato matrimoniale. Compiva da sola quel pellegrinaggio perché Octavia zoppicava troppo per coprire sette miglia a piedi. Quanto al contrasto fra Missy e la figlia di Aurelia, Alicia, era troppo penoso per poterlo sopportare. D’altronde mantenere un cavallo era impensabile: i cavalli distruggono letteralmente i pascoli e i cinque acri di Missolungi andavano preservati dal pericolo sempre incombente della siccità. Se non avevano modo di camminare, alle signore di Missolungi non rimaneva che starsene a casa.
Anche Aurelia si era sposata fuori dei confini parentali, ma dando prova di ben altra avvedutezza, e i fatti lo avevano dimostrato. Edmund Marshall era il direttore generale dell’impianto d’imbottigliamento. Fruiva infatti di un autentico talento per l’amministrazione pratica: una dote della quale tutti gli Hurlingford erano assai deficitari. Ed ecco, infatti, che Aurelia abitava in una palazzina in stile Tudor di venti stanze, al centro di quattro acri di giardino coltivato a pruni, rododendri, azalee e ciliegi ornamentali che ogni anno, a settembre, tramutavano il luogo in una visione fiabesca e prolungavano la loro fioritura per un mese. Aurelia aveva servitori, cavalli, carrozze, perfino un’automobile. I suoi figli, Ted e Randolph, facevano apprendistato nell’azienda paterna ed erano due giovani molto promettenti. Ted nell’ambito amministrativo e Randolph in veste di sovrintendente.
Aurelia aveva anche una femmina, una ragazza dotata di tutto ciò che mancava alla figlia di Drusilla. Una sola peculiarità valeva ad accomunarle, ed era il fatto che fossero entrambe nubili e avessero la stessa età: trentatré anni. Ma se Missy era quello che era perché nessuno le aveva mai proposto di mutare il suo stato sociale, Alicia non aveva marito per una motivazione quanto mai clamorosa e straziante: il fidanzato che aveva accettato come tale a diciannove anni aveva perso la vita, ucciso da un elefante imbizzarrito adibito a bestia da soma, poche settimane prima delle nozze, e Alicia aveva stentato a riprendersi dal colpo. Montgomery Massey era stato l’unico rampollo ed erede di una famiglia di piantatori di tè di Ceylon, famosa quanto ricca. E Alicia lo aveva pianto in piena consapevolezza della portata sociale che aveva rivestito il suo promesso sposo.
Per un anno si era vestita sempre e soltanto di nero, e nei due anni successivi non si era spinta oltre il grigio tortora e il lilla, i colori del cosiddetto mezzo lutto. Poi, a ventidue anni, aveva annunciato che il periodo di isolamento era concluso aprendo un negozio di modista. Suo padre acquistò una vecchia merceria che il tempo e l’emporio di tessuti di Herbert Hurlingford avevano resa superflua, e Alicia mise a profitto il suo innegabile buon gusto. Le convenzioni esigevano che la piccola azienda fosse intestata alla madre, ma nessuno, e men che meno la madre in questione, si illudeva sulla persona che di fatto gestiva gli affari. Il negozio, che si chiamava Chez Chapeau Alicia, ottenne un clamoroso successo fin dagli inizi dell’attività, e attirò clientela perfino da Sidney, perché le creazioni di Alicia, in paglia, tulle, seta, erano originali, alla moda e avevano il dono di abbellire chi le indossava. Impiegava nel laboratorio due parenti di sesso femminile prive di doti e di beni, mentre zia Cornelia, nubile, aveva funzione di commessa e limitava il suo ruolo nella ditta al disegno dei modelli e al deposito degli introiti in banca.
Poi, quando tutti cominciavano a credere che Alicia avrebbe pianto Montgomery Massey sino al giorno in cui fosse passata anch’essa a miglior vita, annunciò il suo fidanzamento con William Hurlingford, figlio ed erede del terzo Sir William. Aveva trentadue anni, ma il suo futuro sposo ne aveva solamente diciannove. La data delle nozze venne fissata al primo ottobre, allorché la fioritura primaverile rendeva il ricevimento in giardino de rigueur. Finalmente la lunga attesa sarebbe giunta al termine. E se l’attesa era stata lunga, la colpa era della moglie del terzo Sir William, Lady Billy, che nell’apprendere la lieta novella aveva tentato di prendere a frustate Alicia con una sferza da cavallo. Il terzo Sir William non aveva potuto esimersi dal proibire alla coppia di unirsi in matrimonio fino a quando lo sposo non avesse compiuto ventun anni.
Era dunque senza letizia in cuore che Drusilla Wright risaliva il vialetto di Mon Repos, ricoperto di ghiaia perfettamente rastrellata, e si attaccava al battente della porta d’ingresso della casa di sua sorella con un vigore derivante da un misto di frustrazione e di invidia. Il domestico venne ad aprire, informò con altezzoso sussiego che la signora Marshall era nel salottino e ivi la condusse, imperturbabile.
L’interno di Mon Repos era affascinante come la facciata e il giardino: boiseries di legno chiaro d’importazione, tappezzerie di seta e di velluto, tendaggi di broccato, tappeti di Axminster, mobilia stile Regency, il tutto disposto ai fini di esaltare le mirabili proporzioni dei locali. Non era certo il caso di usare la vernice marrone in un luogo come quello, dove appariva evidente che prudenza ed economia non regnavano affatto.
Le due sorelle si scambiarono un bacio sulle guance, più simili fra loro nei modi di quanto ognuna somigliasse a Octavia o a Julia o a Cornelia o ad Augusta o ad Atonia, perché l’una e l’altra possedevano un certo grado di altera freddezza, e i loro sorrisi apparivano in tutto e per tutto uguali. Inoltre, a dispetto delle contrastanti circostanze sociali, le legava un affetto che non provavano per alcun’altra sorella. Soltanto l’irriducibile orgoglio di Drusilla impediva ad Aurelia di aiutarla finanziariamente.
Esauriti i convenevoli, sedettero su due sedie ricoperte di velluto ai lati di un tavolinetto intarsiato, e si misero in attesa che la cameriera servisse loro il tè e due dozzine di pasticcini posati su un vassoio in porcellana, dopo di che vennero al dunque.
“Non è proprio il caso di farne una questione di orgoglio, Drusilla. So benissimo che hai un disperato bisogno di denaro. Non c’è un motivo plausibile perché tutti quei vostri bellissimi lavori debbano ammonticchiarsi nella tua camera degli ospiti invece di far parte del corredo di Alicia. Non puoi venirmi a raccontare che li tieni in serbo per Missy, sai benissimo che Missy ha rinunciato da anni a sposarsi. Alicia vuole comprarla da te, la sua biancheria di corredo, e io sono pienamente d’accordo con la sua decisione.” Aurelia parlava con fermezza.
“Inutile dirti che sono lusingata.” rispose Drusilla, asciutta. “Ma io non posso vendere quella roba a te. Alicia può chiederci tutto ciò che vuole, naturalmente, ma in regalo.”
“Non dire sciocchezze.” ribatté la padrona di casa. “Facciamo cento sterline e lasciamo che Alicia scelga quel che vuole.”
“Scelga quel che vuole, ma sarà il nostro regalo.”
La discussione si prolungò per qualche tempo, ma poi la povera Drusilla fu costretta ad arrendersi. Il suo orgoglio era in lotta con un senso di sollievo così consolante, che alla fine ne fu sconfitto. E dopo aver bevuto tre tazze di fragrante Lapsang Souchong e aver mangiato avidamente quasi tutto il piatto di pasticcini glassati bianchi e rosa, le due sorelle passarono dalla goffaggine della loro disparità sociale al calore confidenziale della loro consanguineità.
“Billy dice che è un tipo da galera.” disse freddamente Aurelia.
“A Byron? Un individuo simile? Come ha potuto permettere Billy che succedesse un fatto del genere?”
“Non ha potuto far nulla per impedirlo, sorella cara. Sai quanto me che questo è un mito, si sa che gli Hurlingford sono proprietari di di ogni singolo acro di terreno, tra Leura e Lawson. Se il nostro uomo, a quel che sembra, è stato in grado di comprare la valle, e se ha pagato il suo debito nei riguardi della società, e sembra che anche questo sia vero, non c’è niente che Billy o chiunque altro possa fare per eliminarlo dalla circolazione.”
“Ma quando è successo, tutto questo?”
“La settimana scorsa. O così almeno dice Billy. Ma la valle non è mai appartenuta agli Hurlingford. Secondo Billy era terra della Corona. Sembra che l’errore risalga al primo Sir William. E’ stata tutta un’impressione sbagliata, così nessuno in famiglia si è mai sognato di verificare i fatti, il che peggiora le cose. Se avessimo saputo prima, qualche Hurlingford l’avrebbe già comprata da un pezzo. Per secoli è stata terra di nessuno, e adesso questo tizio l’ha comprata all’asta a Sydney, senza che noi altri sapessimo nemmeno ch’era in vendita. Tutta la valle, capisci? Tutta quanta, e a un prezzo stracciato, capisci? Billy è verde di rabbia.”
“Come avete fatto a sapere tutto questo?” domandò Drusilla.
“Il tizio è entrato nel negozio di Maxwell all’ora di chiusura. E’ stato ieri. Pare che ci fosse anche Missy, in quel momento.”
Il volto di Drusilla si rischiarò di colpo. “Ah, dunque era lui!”
“Sì.”
“E’ stato Maxwell a scoprire tutto, immagino. Quello riuscirebbe a strappare informazioni anche da un sordomuto.”
“Già. Oh, ma quel tipo non è stato per niente abbottonato. Ha parlato della cosa molto apertamente, anche troppo, secondo Maxwell. Ma tu lo sai come la pensa Maxwell, secondo lui tutti gli uomini sono degli imbecilli sempre pronti a raccontare i fatti loro.”
“Quello che non riesco a capire è come mai chiunque non sia un Hurlingford desideri comprare la valle. Non so se mi spiego. Essere proprietario della valle avrebbe un significato per un Hurlingford, dal momento che è a Byron. Ma lui non può coltivarla in proprio. Impiegherebbe dieci anni a liberare dei terreni arativi, e poi è così umido laggiù che non riuscirebbe a sbarazzarla dalle erbe infestanti. E non può nemmeno diboscarla perché la strada è troppo stretta. Ma allora, perché l’ha comprata?”
“Secondo Maxwell, vuole semplicemente vivere da solo nella macchia e ascoltare il silenzio. Be’, se non è un tipo da galera, bisogna ammettere però che è un po’ picchiato.”
“Ma che cosa ha indotto Maxwell a pensare che sia un ex carcerato?”
“Appena il tipo ha finito di caricare la merce sulla carretta e se n’è andato, Maxwell ha telefonato a Billy, e Billy ha cominciato subito a svolgere le sue indagini. Sai come si chiama? Figurati, John Smith!” Aurelia sbuffò con aria sarcastica. “Io ti domando, è mai possibile che un tale si faccia chiamare John Smith se non ha qualcosa di losco da nascondere?”
“Potrebbe essere il suo vero nome.” disse Drusilla.
“Pooh! E’ un nome che capita di leggere, ma ne hai mai conosciuto uno davvero? Billy è convinto che questo John Smith sia… un… come lo chiamano gli americani?”
“Non ne ho la più vaga idea.”
“Be’, non ha importanza, questa non è l’America. Comunque è un falso nome. Dalle indagini di Billy risulta che il tipo in questione non figura in alcuno schedario dell’anagrafe. E la valle l’ha pagata in oro. E’ tutto quello che siamo stati in grado di stabilire sul suo conto.”
“Potrebbe essere un minatore di Solala o di Bendino che ha avuto un colpo di fortuna.”
“No. In Australia, da anni e anni le miniere d’oro sono in mano a gruppi finanziari, e non ci sono stati grossi ritrovamenti individuali.”
“Incredibile!” esclamò Drusilla, tendendo un braccio, quasi distrattamente, per prendere uno degli ultimi due pasticcini. “Maxwell o Billy non hanno detto nient’altro?”
“Be’, John Smith ha comprato una notevole quantità di commestibili e ha pagato in oro. Lo ha prelevato da una specie di cinturone che teneva sotto la camicia, e per giunta sotto non indossava biancheria. Fortunatamente, Missy se n’era già andata, perché Maxwell giura che quel tipo avrebbe rialzato ugualmente la camicia. Ha perfino bestemmiato davanti a Missy e ha detto qualcosa da cui si deduceva che a suo giudizio Missy non era certamente una signora! Senza provocazione, ti assicuro!”
“Non ne dubito.” commentò Drusilla asciutta, prendendo l’ultimo pasticcino dal vassoio.
In quel momento Alicia Marshall entrò nella stanza. Sua madre posò su di lei uno sguardo fiero e raggiante e sua zia le elargì un acido sorriso. Perché, perché Missy non era come Alicia?
Alicia Marshall era indubbiamente una creatura leggiadra. Alta, le forme sinuose e tuttavia composte, aveva gli occhi chiari, la carnagione e la pelle di un biondo angelico, mani e piedi di giuste proporzioni e il collo eburneo di un cigno. Vestiva, come sempre, con gusto impeccabile e indossava la sua gonna di seta verdazzurro (asole ricamate e corta sopragonna appuntata, secondo gli ultimi dettami della moda) con grazia e garbo incomparabili. Uno dei suoi cappelli, una massa caotica di tulle parimenti verdazzurro e di rose verdoline, adornava la profusione delle chiome d’oro chiaro. Nondimeno, come per un miracolo ciglia e sopracciglia erano castane. Alicia infatti, non altrimenti da Una, si guardava dal rivelare che le scuriva artificialmente.
“Zia Drusilla sarebbe lieta di provvedere di persona alla tua biancheria di corredo, Alicia.” annunciò Aurelia, trionfante.
Alicia si tolse il cappello con cautela e lentamente si sfilò i lunghi guanti di capretto verdazzurro, incapace di rispondere mentre era assorta in quell’incombenza estremamente delicata. Solo quando ebbe posato i due capi di cui si era spogliata in un luogo al riparo di qualsivoglia possibile danno e si fu seduta nelle immediate vicinanze dei medesimi, fece udire la sua voce il cui timbro piatto e amorfo risultava singolarmente sgradevole.
“Davvero gentile da parte tua, zia.” disse.
“La gentilezza non c’entra affatto, cara nipote, dal momento che tua madre è decisa a pagarmi ad ogni costo.” disse Drusilla in tono compassato. “Che ne diresti di venire a Missolungi, sabato mattina, e di scegliere quanto più ti aggrada? Ti offrirò una tazza di tè.”
“Grazie, zia.”
“Vuoi che ti ordini del tè appena fatto?” domandò Aurelia ad Alicia, con una vibrazione d’ansia nella voce. Quella sua figlia lata, ambiziosa, volitiva la spaventava un poco.
“No, grazie, mamma. Sono venuta solo un momento, per sapere se per caso avessi scoperto qualcosa su quello sconosciuto in mezzo a noi, come Willie insiste a chiamarlo.” E Alicia arricciò il labbro grazioso.
Pertanto le notizie vennero fornite e discusse una seconda volta, dopo di che Drusilla si alzò per accomiatarsi.
“Allora sabato mattina, a Missolungi.” disse alle due congiunte, in tono quasi supplice, dopo di che si affidò alla custodia del domestico.
Sulla via del ritorno a casa, catalogò mentalmente il contenuto della camera degli ospiti e dei molteplici armadi, terrorizzata al pensiero che, per qualità e quantità, non fosse all’altezza dell’equa somma pattuita in ragione di cento sterline. Cento sterline! Una manna del cielo! Naturalmente occorrerà non spenderla. Bisognerà versarla in banca per aumentare il tasso d’interesse e lasciarvela fino a quando capitasse un disastro. Quale specie di disastro, Drusilla lo ignorava. Ma la vita, dietro ogni angolo, ne riservava uno: malattie, danni e riparazioni alla proprietà, aumento dei tassi e delle imposte, morte fisica. Sì, una parte di quella somma sarebbe stata destinata a rabberciare il tetto, ma se non altro, per pagarlo, non sarebbero state costrette a vendere la giovenca Jersey. Protesa verso il futuro con la sua copiosa ancorché non ancora concepita progenie, la giovenca in questione valeva assai più di cinquanta sterline, per le signore di Missolungi. Percival Hurlingford, un uomo di buon cuore con una moglie parimenti amabile, aveva sempre concesso loro le prestazioni del suo prezioso toro di ugual razza senza esigere in cambio alcun compenso, e del pari risaliva a lui il dono della loro prima vacca Jersey.
Sì, c’era di che sentirsi soddisfatti. Forse Alicia, con la sua capacità di influenzare la moda, avrebbe dato inizio ad una nuova consuetudine tra le ragazze del clan Hurlingford: forse, in futuro, altre promesse spose avrebbero acquistato a Missolungi il loro corredo nuziale, e la cosa sarebbe stata condonata come una forma di commercio accettabile, da parte di degne signore, il che non sarebbe avvenuto se davvero avessero fatto le sarte, giacché una siffatta attività le avrebbe esposte ai capricci di questa o di quell’altra anziché a quelli della ristretta cerchia familiare.
“Dunque, Octavia,” esordì quella sera Drusilla, rivolgendosi alla sorella claudicante, non appena ebbero messo mano ai loro lavori di maglia e uncinetto e Missy si fu nascosta dietro le pagine di un libro, “la settimana prossima sarebbe bene esaminare attentamente tutto ciò che abbiamo, per accertarci che sia degno di esser preso in visione da Aurelia e Alicia. Missy, bisognerà che tu provveda da sola alla casa, al giardino e alle bestie, e dal momento che ti sai destreggiare con i dolci, dovresti preparare qualcosa per il tè. Farai dei pasticcini alla crema e alla marmellata, un pan di Spagna e una torta di miele ai chiodi di garofano.”
Ciò premesso, per sua tranquillità e soddisfazione, Drusilla passò a un argomento molto più stuzzicante: l’apparizione di John Smith. Per una volta tanto, la conversazione attirò l’attenzione di Missy più del solito libro, sebbene simulasse di continuare a leggere, e quando andò a letto era munita di ulteriori informazioni da mettere in relazione e aggiungere a quelle fornite da Una.
Perché, dopotutto, John Smith non poteva essere il suo vero nome? Naturalmente, alla base della sfiducia e dei sospetti degli Hurlingford si situava il suo acquisto della valle. E va bene, John Smith, tanto meglio per te! pensava Missy. Era ora che qualcuno desse una scrollata agli Hurlingford. Si addormentò con un sorriso sulle labbra.
Il gran daffare dei preparativi che precedettero la visita delle due Marshall era per la maggior parte inutile, circostanza della quale le signore di Missolungi erano pienamente consapevoli. Tuttavia quel mutamento di ritmo non le disturbava, perché recava in sé la virtù della novità e della sregolatezza. Soltanto Missy, confinata in casa, soffriva di qualche rimpianto, dovuto alla mancanza di libri associata al timore che Una la considerasse poco corretta, dopo aver ottenuto, il precedente venerdì, quel libro in prestito fuori del dovuto pagamento.
Le ghiottonerie che Missy si era data tanta pena di cucinare non furono gustate dalle signore alle quali erano destinate. Alicia “teneva d’occhio la linea”, secondo la sua espressione, e in quei giorni anche la genitrice, che alla cerimonia nuziale della figlia intendeva indossare un vestito d’alta moda. Ma non per questo i dolciumi finirono in pasto ai porci: più tardi Drusilla e Octavia se ne rimpinzarono. Infatti, sebbene andassero matte per i dolci, raramente se li potevano concedere perché ciò avrebbe implicato una spesa in più.
L’enorme quantità di biancheria dispiegata davanti ai loro occhi lasciò Aurelia e Alicia sbalordite; e al termine di un’ora assai piacevole trascorsa a discutere le scelte finali, Aurelia cacciò a viva forza non cento, ma duecento sterline nelle mani di Drusilla riluttante.
“Niente storie.” disse, nel suo tono più imperioso. “E’ Alicia che fa un affare.”
“Credo, Octavia,” disse poi Drusilla, quando le visitatrici se ne furono andate a bordo della loro automobile guidata da un autista, “che ora potremo permetterci tutte e tre di farci un abito nuovo per andare al matrimonio di Alicia. Un vestito di crépe lilla per me, con un bordo di perline e un bolero di perline uguali. Ho quelle che fanno proprio al caso. Ricordi? Le aveva comprate la nostra cara mamma per adornare il suo abito nuovo da mezzo lutto, pochi giorni prima di morire. Sono proprio quelle che ci vogliono. E penso che tu potresti comprare quella seta blu cobalto che hai visto nel reparto tessuti dell’emporio di Herbert e che ti piace tanto. Non sei d’accordo? Missy potrebbe cucirti degli inserti di pizzo intorno al collo e ai polsi. Saresti elegantissima!” Drusilla s’interruppe e indugiò a meditare, la fronte aggrottata, osservando quella sua figlia smunta. “Il vero problema sei tu, Missy, tesoro. Sei troppo scura per le tinte pallide, per cui credo che…”
Oh, per favore, che non sia marrone! pregava Missy in cuor suo. Voglio un vestito rosso vivo! Un abito di pizzo, di quel rosso che confonde la vista quando lo si guarda. E’ così che lo voglio, il mio vestito!
“… sarà marrone!” esclamò Drusilla, concludendo finalmente la sua frase. “Sì, mi rendo conto che non è gradevole.” aggiunse con un sospiro, “ma vedi, Missy, il fatto è che nessun colore ti dona anche soltanto la metà del marrone. In nero sembra che tu abbia l’itterizia, in color pastello c’è da credere che tu sia malata, in blu marino ti si direbbe sulla soglia della morte, e in quanto alle tonalità autunnali ti fanno sembrare una pellerossa.”
Missy non diceva una parola, dal momento che la logica di quel discorso era incontestabile, ignara di quanto la sua docilità contrariasse Drusilla, che da parte sua avrebbe gradito quanto meno la formulazione di un suggerimento, sebbene il rosso vivo non sarebbe stato confacente in qualsivoglia circostanza. Era il colore delle prostitute, né più né meno di quanto il marrone fosse la tinta riservata alle donne povere e oneste.
Tuttavia quella sera nulla aveva il potere di affliggere a lungo Drusilla, che pertanto non tardò a recuperare il suo buonumore. “A dir la verità,” disse con aria gioiosa, “penso che potremmo permetterci anche un paio di stivaletti nuovi! Faremo un figurone, al matrimonio!”
“Scarpe.” disse Missy all’improvviso.
“Scarpe?” ripeté Drusilla smarrita.
“Niente stivaletti, mamma, per favore. Compriamoci delle scarpe, delle scarpette eleganti, con il tacco a spillo e una gala sul davanti.”
E’ probabile che Drusilla fosse disposta a prendere in considerazione l’idea, ma il grido sfuggito dal cuore di Missy venne prontamente soffocato da Octavia che, pur invalida, e fors’anche per questo, legiferava in notevole misura tra le pareti della casa denominata Missolungi.
“Scarpe?” sbottò Octavia. “Per noialtre che abitiamo oltre la fine di Gordon Road? Tu, cara ragazza, devi avere la testa fuori posto. Quanto potrebbero durare, delle scarpe, in mezzo alla polvere e al fango? A noi occorrono stivali. Stivali solidi, con stringhe solide e tacchi spessi e solidi. Gli stivali durano! Le scarpe non sono fatte per chi deve camminare a piedi!”
E il discorso si concluse qui.









(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 10:57
Le Signore di Missolungi - (continua)





Il lunedì successivo alla visita di Aurelia e Alicia Marshall, la vita a Missolungi era tornata alla normalità. Di conseguenza Missy ebbe il permesso di compiere la consueta passeggiata fino alla biblioteca circolante di Byron. Ma naturalmente la sua uscita non le accordava un piacere totalmente egoistico e privato: camminava armata di due grandi borse per la spesa, una per mano onde bilanciare il peso, e nell’occasione faceva altresì le consuete provviste settimanali.
Quiescente per tutta la settimana durante la quale non si era mossa da casa, il dolore al fianco di Missy tornò a farsi lancinante. Circostanza strana, sembrava affliggerla soltanto quando si permetteva una lunga passeggiata. Ed era uno strazio, un vero tormento.
Quel giorno il suo borsellino era in compagnia di quello di sua madre, insolitamente rigonfio perché a Missy era stato affidato il delicato incarico di comprare il crèpe lilla e la seta blu cobalto, nonché il satin marrone per il suo vestito, nell’emporio di tessuti di Herbert Hurlingford.
Missy detestava il negozio di zio Herbert più di ogni altro a Byron perché il personale era costituito solamente da giovanotti, ovviamente figli o nipoti del proprietario. Anche se si trattava di acquistare corsetti e mutande, bisognava subire le attenzioni dell’uno o dell’altro di questi villanzoni ridacchianti, per i quali la loro mansione era oltremodo divertente e la clientela imbarazzata l’oggetto dei loro lazzi inopportuni. Tuttavia questo comportamento non si esplicava con chiunque: era riservato alle donne le cui risorse finanziarie erano modeste quanto bastava a render loro impensabili gli acquisti a Katoomba o – Dio ne guardi! – a Sydney. Ed era inoltre precipuamente dedicato alle femmine Hurlingford sprovviste d’uomini che potessero esternare reazioni punitive: vecchie zitelle e vedove indigenti appartenenti al clan erano immancabilmente viste come le prede preferite.
Mentre indugiava a osservare James Hurlingford che prelevava dai ripiani le pezze indicate. Missy si domandava quale sarebbe stata la sua reazione se lei, anziché il satin marrone, avesse chiesto del merletto rosso. Ma in realtà il negozio non teneva articoli del genere: i soli tessuti rossi disponibili erano dozzinali, sete artificiali ad uso delle ospiti di Caroline Lamb Place. Pertanto, oltre al crèpe lilla e alla seta blu cobalto, Missy comprò un bellissimo taglio di satin semilucido nella tonalità designata come tabacco. Se quella stoffa fosse stata di un altro colore, le sarebbe piaciuta alla follia, ma dal momento che era marrone avrebbe anche potuto essere iuta da imballaggio. Missy non aveva mai avuto un abito che non fosse marrone. Era un colore così vantaggioso: non si notava lo sporco, non scoloriva, non passava mai di moda, non era mai sciatto, banale, volgare.
“Vestiti nuovi per il matrimonio?” domandò James maliziosamente.
“Sì.” rispose Missy, e intanto si chiedeva come mai quel James avesse il potere di farla sentire sempre così a disagio: che fossero i suoi modi eccessivamente effeminati?
“Dunque, vediamo,” cinguettò James, “se provassi a divertirmi a indovinare? Il crèpe è per zia Drusie, la seta è per zia Octie e di conseguenza il satin, il satin marrone, non può essere che per Missy, la cuginetta marroncina!”
Evidentemente nel suo cervello perdurava la visione dell’irraggiungibile abito di pizzo rosso, perché all’improvviso il rosso fu il solo colore che Missy fu in grado di vedere, e dai recessi della memoria tirò fuori l’unica frase insultante del suo repertorio.
“Oh, va’ a farti fottere, James!” sbottò Missy con voce adirata.
Se il suo manichino di legno avesse improvvisamente preso vita e lo avesse baciato sulla bocca, James non sarebbe rimasto così sbalordito. Misurò e tagliò i tessuti con inconsueta alacrità, accordando distrattamente a ciascuna signora una jarda in più; né avrebbe potuto indurre Missy a uscire dal negozio più in fretta di così. Il guaio era che non avrebbe potuto confidare quella squallida esperienza ai suoi fratelli o cugini, perché molto probabilmente quei bastardi avrebbero riecheggiato le parole di Missy.
La biblioteca circolante era a due sole porte di distanza. Di conseguenza, allorché Missy ne varcò la soglia, portava ancora sulle guance i segni della collera e sbatté la porta alle sue spalle.
Una sollevò lo sguardo, esterrefatta, e scoppiò a ridere. “Tesoro, non ti ho mai vista così in forma! Se non mi sbaglio, sei in bestia!”
Missy sospirò profondamente due volte, nel tentativo di ritrovare la calma. “Oh, è stato soltanto mio cugino James Hurlingford. Gli ho detto di andare a farsi fottere.”
“Hai fatto benissimo! Era ora che qualcuno gli dicesse il fatto suo.” Poi Una ridacchiò. “Del resto, mi sembra che la tua esortazione sia proprio quello che gli ci vuole, sempre che a provvedere sia un soggetto di sesso maschile.”
Queste parole andarono dritte filate al cervello di Missy, ma l’allegra battuta di Una non mancò di sortire il suo effetto, e Missy finì per scoprirsi capace di ridere anche lei. “Oddio, oddio, non posso certo dire di essermi comportata come una signora, non ti pare?” domandò, più stupita che inorridita. “Non so proprio che cosa mi abbia preso!”
Il volto raggiante che la guardava assunse all’improvviso un’espressione astuta, ma non di un’astuzia disonesta: era la furbizia di una fata persa nell’irrealtà. “Pagliuzze e cammelli,” intonò Una con voce cantilenante, “crune d’aghi e giorni impossibili, vermi roteanti e turbini raccolti. Ci sono tante cose, in te, Missy Wright, delle quali non sospetti nemmeno l’esistenza.” Si appoggiò allo schienale della sedia e prese a canticchiare con voce sommessa, come un’allegra birichina. “Ma ormai è cominciato e non lo si può fermare.”
Venne fuori la storia dell’abito di pizzo rosso, il desiderio ardente d’indossare qualcosa che non fosse eternamente marrone, la sconfitta di dover ammettere che nessun altro colore le donava, cosicché in quel giorno memorabile, in cui finalmente avrebbe potuto conquistarsi un vestito di un’altra tinta, avrebbe dovuto una volta di più rassegnarsi a quel colore anonimo. Una l’ascoltava, partecipe, comprensiva, e quando Missy si fu sfogata sino in fondo, sollevò lo sguardo e la fissò in volto.
“Il rosso vivo ti starebbe a meraviglia.” disse Una. “Che peccato! Be’, non importa, non importa.” Poi aggiunse, cambiando argomento: “Ti ho tenuto in disparte un altro romanzo: ti assicuro che non appena ne avrai letto le prime due pagine, dell’abito rosso non tiricorderai neppure. E’ la storia di una giovane donna sventurata, avversata dai suoi familiari, fino a che un giorno scopre di essere gravemente malata di cuore. Da anni ama in silenzio un giovanotto che però è fidanzato con un’altra. Allora lei prende la lettera dello specialista in malattie di cuore, nella quale il medico dichiara che presto morirà, e la consegna a questo giovane, scongiurandolo di sposarla, di sposare lei e non l’altra ragazza perché le rimangono solamente sei mesi di vita, dopo di che lui potrà convolare egualmente a nozze con la sua promessa. Lui è un fannullone, uno scialacquatore, ma è in attesa di qualcuno che lo metta sulla retta via, solo che ovviamente non lo sa. Fatto sta che il giovanotto accondiscende a sposarla e insieme vivono sei mesi di felicità. L’uomo scopre che sotto lo squallido aspetto di lei si nasconde una donna incantevole, e l’amore che sua moglie gli porta ha il potere di redimerlo completamente. Finché un giorno, mentre il sole splende e gli uccelli cinguettano, lei muore tra le braccia dell’amato. Mi piacciono i libri dove si muore così, l’una tra le braccia dell’altro, non ti pare? La sua ex fidanzata va a trovarlo dopo i funerali perché ha ricevuto una lettera della moglie scomparsa nella quale le spiega perché mai egli l’abbia abbandonata. Così lei gli perdona, e gli dice che è pronta a sposarlo non appena terminato il periodo di lutto. Ma lui balza in piedi, sconvolto dal dolore, corre al fiume e si getta tra i flutti invocando il nome della sposa scomparsa. Dopo di che anche l’ex fidanzata si butta nella corrente gridando alto il nome di lui. Oh, Missy! E’ così triste! Ho pianto per giorni interi.”
“Lo prendo.” disse Missy senza un attimo di esitazione. Pagò i suoi debiti, il che valse ad assicurarle un immediato sollievo, poi cacciò Cuore turbato in fondo a una delle borse per la spesa.
“Ci vediamo lunedì prossimo.” disse Una, e si accostò alla porta dalla quale indugiò a salutarla agitando un braccio fino a quando Missy scomparve.
Quando percorreva a piedi e in solitudine le cinque miglia che separavano i negozi di Byron da Missolungi, la distanza le sembrava più che dimezzata. Infatti, camminando si abbandonava a sogni ad occhi aperti, fantasticando di rivestire ruoli e di vivere eventi del tutto estranei alla sua realtà. Fino al giorno in cui Una aveva cominciato a prestar servizio alla biblioteca, i personaggi nei quali s’immedesimava avevano i precisi connotati di Alicia, e tali fantasie si esplicavano intorno a sartorie, negozi di modiste e sale da tè frequentati da solenni esponenti della nobiltà locale, mentre gli uomini nelle loro vite erano un misto di beau idéal Hurlingford e di Sigfrido in stivali, bombette e completi tre pezzi. Oggi nondimeno la sua fantasia aveva qualcosa di meglio su cui lavorare; e qualunque fosse il personaggio coinvolto in qualsivoglia avventura che le fluttuava nella mente, verosimilmente presentava qualche punto di affinità con l’ultimo romanzo contrabbandatole da Una più di quanto non ne mostrasse con questo o quell’aspetto della vita di Byron.
Pertanto, quel lunedì, durante la prima metà del percorso, Missy si tramutò in una tizianesca bionda di meravigliosa bellezza con straordinari occhi verde acqua. Due uomini si struggevano d’amore per lei: un duca (biondo e aitante) e un principe indiano (bruno e aitante). In tale veste, sparava alle tigri dai palanchini montati sulla groppa di elefanti sontuosamente addobbati, senza l’assistenza di nessuno, e parimenti da sola si poneva al comando di un’armata composta da devoti sudditi del consorte per debellare i predoni musulmani, edificava scuole, ospedali e nidi d’infanzia, mentre i due spasimanti sfocavano alquanto in secondo piano, come il ragno maschio al qualenon è concesso entrare nella sfera della femmina.
Ma a metà strada, nel punto in cui Gordon Road si staccava dal lungo percorso sinuoso di Noel Street, aveva inizio la sua valle. A quel punto Missy interrompeva sempre i suoi sogni ad occhi aperti e per contro accentrava l’attenzione su se stessa. Era una splendida giornata, come sovente avviene nelle Blue Mountains, quando i venti si concedono una sosta. Rispondendo all’appello della valle, Missy attraversava la via portandosi sul lato opposto e più lontano di Gordon Road. Una volta arrivata, sollevava il viso verso quel cielo benevolo e dilatava le narici per inalare l’inebriante aroma della macchia.
Nessuno aveva mai assegnato un nome alla valle, ancorché d’ora in poi, alla maniera della gente di Byron, sarebbe stata designata senza alcun dubbio come la valle di John Smith. Paragonata alla Jamieson Valley, alla Grose Valley e alla stessa Megalong Valley, non si poteva dire che fosse molto ampia. Ma a modo suo era perfetta, simile a una grande ciotola, a una conca scavata circa millecinquecento piedi sotto il crinale di tremila piedi sul quale sorgevano Byron e le altre città delle Blue Mountains. La forma era quella di un ovale simmetrico, che fletteva una delle due curve strette esattamente oltre il punto in cui Gordon Road terminava, mentre quella opposta e simmetrica si situava circa cinque miglia a est, dove la sua grande parete di sostegno, ovunque ininterrotta, veniva drammaticamente spezzata da una profonda fenditura attraverso la quale scrosciava il fiume senza nome che correva a unirsi alle pianure costiere di Nepean-Hawkesbury. Lungo tutto il profilo perimetrale cadeva a picco un’impressionante bastionata di arenaria color arancio scuro, e sotto questa voragine una coltre di rocce franate da tempo immemorabile e ricoperta di pini digradava in curva verso il corso del fiume che aveva formato la valle in età remota. E, contemplandola dall’alto, la valle appariva interamente rivestita di lussureggiante vegetazione, un oceano azzurrino di eucalipti.
Nelle mattine invernali, una nube candida e lucente colmava la vallata, simile a latte turbinante, sotto il limitare superiore del crinale, poi, di colpo, non appena il calore del sole aumentava, quella nuvola si sollevava e in un batter d’occhio si dissolveva e spariva. A volte la nube calava dall’alto, e le cime degli alberi spuntavano come dita divaricate, fino a quando riusciva a sottrarle alla vista, occultandole sotto una coltre spettrale. Per contro, all’approssimarsi del tramonto, d’inverno come d’estate, le rocce cominciavano ad assumere colorazioni più calde, più intense: prima rosa acceso, poi cremisi, poi un viola che più tardi si spegneva nell’indaco misterioso della notte. Ma ancora più strabiliante era lo spettacolo raramente offerto dalla neve, allorché tutti i dirupi, tutte le sporgenze delle pareti rocciose si fregiavano di un candido profilo che ne esaltava l’aspetto, e gli alberi fronzuti, mossi dal vento, scuotevano la loro cipria di gelido umidore con la stessa rapidità con la quale cadeva su di loro, insofferenti a quel tocco estraneo.
La sola via d’accesso al fondo della valle era un sentiero ripidissimo, terrificante, largo appena quanto bastava per consentire il transito a un carretto, e quel sentiero risaliva al sommo del crinale appena oltre il punto terminale di Gordon Road. Cinquant’anni prima, qualcuno si era dato la pena di tagliare quel sentiero per depredare la foresta pluviale sottostante dei suoi maestosi cedri e dei suoi terebinti; ma dopo che una squadra composta di ottanta buoi, del loro mandriano, di due taglialegna e di un barroccio in grado di trasportare un tronco enorme ebbe riguadagnato il margine superiore della valle, lo sfruttamento del suo patrimonio erboreo cessò improvvisamente. C’erano boschi più accessibili dai quali trarre del legname prezioso, e a poco a poco il sentiero venne dimenticato, non altrimenti dell’intera vallata. In effetti i visitatori preferivano portarsi più a sud, fino alla Jamieson Valley, che spostarsi a nord, a vedere questa cugina meno solenne, priva com’era di chioschi di rinfreschi e di punti panomarici opportunamente attrezzati.
Quel malaugurato dolore al lato sinistro del fianco si fece risentire non appena Missy ebbe girato l’angolo, ormai a due passi da Missolungi, e dieci secondi dopo avvertì una fitta lancinante al petto, come un colpo d’ascia. Barcollò e posò a terra le due borse rigonfie della spesa per portarsi le mani al cuore, come a voler estirpare quell’atroce, angosciosa sofferenza. Poi scorse il nitido profilo di Missolungi e in preda al terrore corse verso casa. In quel preciso momento, John Smith girava l’angolo all’altro lato della strada, e avanzava a grandi passi, il capo chino e pensieroso.
Era a dieci iarde dal cancello che si apriva nella siepe, quando si accasciò a terra, lunga distesa, in avanti. Nessuno se ne accorse, tra le pareti di Missolungi, perché erano le cinque in punto, e gli accordi dell’organo di Drusilla irrompevano nell’aria aperta come un’eruzione soffocante di calde ceneri vulcaniche.
Ma John Smith se ne avvide, e accorse. Sul momento gli venne fatto di pensare che quella piccola, strana creatura fosse incespicata mentre si affrettava a rientrare per evitare d’incontrarlo, ma quando s’inginocchiò e le volse il viso verso l’alto, bastò un’occhiata a quel volto terreo e a quei capelli bagnati di sudore per convincerlo che le cose stavano altrimenti. La pose quasi a sedere, la schiena appoggiata contro la sua coscia, strofinandole il dorso, disorientato, confuso, invano desideroso di conoscere un sistema per immetterle l’aria nei polmoni. Sapeva che bisognava evitare di coricarla a terra supina, ma le sue nozioni si fermavano qui. Lei sollevò le mani per afferrarsi al braccio dell’uomo che la reggeva senza sforzo dietro le spalle. Tutto il corpo di Missy ansimava, nella fatica di respirare, e i suoi occhi erano rivolti verso l’alto, in cerca di quelli di lui, nell’invocazione silenziosa di un aiuto ch’egli non era in grado di offrirle. Stupefatto, intento a contemplare lo straordinario susseguirsi di orrore, di intimo sgomento, di sommesse sofferenze, cominciò a pensare ch’ella fosse ormai prossima alla morte.
Poi, con rapidità impressionante, il color grigio svanì e un colorito più sano le si andò diffondendo sulla pelle, e le mani di Missy si abbandonarono sul braccio dell’uomo.
“Per favore!” sussurrò con voce rotta, lottando per rimettersi in piedi.
Lui invece si rialzò prontamente, le passò un braccio sotto le gambe e la sollevò. Non sapeva dove abitasse, ma non dubitava che le avrebbero dato soccorso nella squallida casa che sorgeva oltre la siepe. Pertanto la trasportò di peso oltre il cancello e su per il vialetto, invocando aiuto a tutta voce e augurandosi di essere udito oltre il clangore di quell’organo tonante.
E fu udito, infatti, perché due signore uscirono immediatamente dalla casa: due signore che lui non conosceva ma che non si perdettero in chiacchere, cosa che lui non mancò di apprezzare. L’una gli fece un cenno silenzioso, additando la porta di casa, mentre l’altra si affrettava a portarsi davanti a loro per fargli strada e invitarlo ad accomodarsi nel salotto, gravato dal suo carico.
“Del brandy.” tagliò corto Drusilla, chinandosi per slacciare gli abiti della figlia. Missy non portava il busto perché non ne aveva bisogno, ma la cintura era stretta e il vestito le arrivava fino al collo.
“Avete un telefono?” domandò John Smith.
“Purtroppo no.”
“Allora, se mi dite dove abita, andrò io stesso a chiamare il medico.”
“Abita all’angolo tra Gordon Road e Noel Street. E’ il dottor Neville Hurlingford.” rispose Drusilla. “Gli dica che Missy sta male. E’ mia figlia.”
John Smith se ne andò seduta stante, lasciando a Drusilla e a Octavia il compito di somministrarle il brandy che ogni avveduta massaia teneva in uno sportello della credenza di cucina, pronto per l’uso in caso di collassi e mancamenti.
Quando il dottor Neville Hurlingford arrivò, ed era ormai trascorsa circa un’ora, Missy si era quasi completamente ripresa. John Smith non aveva fatto ritorno con lui.
“Strano, veramente strano.” disse il dottor Hurlingford a Drusilla, in cucina. Octavia stava aiutando Missy a coricarsi.
L’episodio aveva profondamente scosso Drusilla, abituata com’era a dare per scontato che tutte le persone di sua conoscenza godessero come lei di una salute di ferro: le ossa di Octavia erano una vecchia storia che ormai non faceva più testo.. Pertanto preparò tranquillamente il tè e bevve la sua tazza con animo più sereno di quello con il quale il dottor Neville Hurlingford sorbì la sua.
“Il signor Smith ti ha spiegato cos’è successo?” domandò.
“Ti dirò, Drusilla, che a dispetto delle voci esagerate che circolano in questi giorni, il signor Smith mi è sembrato una persona per bene, un uomo assennato, dotato di senso pratico. A sentir lui, Missy si è portata le mani al petto, è corsa attraverso la strada in preda al panico e si è accasciata al suolo. Era pallida come un morto, madida di sudore e faticava a respirare. L’attacco è durato un paio di minuti, e lei si è ripresa abbastanza in fretta. Il respiro è tornato regolare e le guance hanno ripreso il loro colorito. Questo, a quanto ho potuto concludere, è successo quando il signor Smith l’ha trasportata in casa. Poco fa, esaminandola, non ho riscontrato niente di anormale, ma può darsi che sia in grado di accertare qualcosa di più quando sarà a letto e avrò modo di visitarla più a fondo.”
“Come sai anche tu, non ci sono malattie di cuore nel nostro ramo della famiglia.” disse Drusilla, che si sentiva tradita.
“Ma nella sua struttura fisica ha preso anche da suo padre, Drusilla, e potrebbe aver ereditato un cuore debole da quella parte. Non ha avuto altri attacchi come questo?”
“Che noi se ne sappia, no.” rispose Drusilla, cui era stata mossa una giusta obiezione. “Ma si tratta proprio del cuore?”
“Francamente non lo so. Può darsi.” Ma si capiva ch’era dubbioso. “Sarà bene che adesso vada a darle un’altra occhiata.”
Missy giaceva nel suo lettino a occhi chiusi, ma non appena ebbe udito il passo per nulla familiare del dottor Hurlingford, sollevò le palpebre e lo guardò, con un’espressione che rivelava, inequivocabilmente, disappunto.
“E allora, Missy,” disse il dottor Hurlingford, sedendo guardingo sul bordo del letto, “mi vuoi spiegare cos’è successo?”
Drusilla e Octavia assistevano a qualche distanza. Lui sarebbe stato ben lieto di poterle allontanare, conscio del fatto che la loro presenza inibiva Missy, ma il decoro e le convenzioni sociali glielo impedivano. Da quando Missy era al mondo l’aveva vista non più di due o tre volte, cosicché di lei sapeva solamente quel poco ch’era noto a tutti: era la sola donna bruna nella storia degli Hurlingford e si era vista condannata al nubilato prima ancora dell’adolescenza.
“Non so proprio cosa mi sia successo.” rispose Missy, mentendo.
“Suvvia, qualcosa devi pur ricordarti.”
“Mi è mancato il respiro e sono svenuta. E’ stato per questo, immagino.”
“Il signor Smith dice che non è stato questo.”
“Il signor Smith si sbaglia. Dov’è? E’ forse qui?”
“Hai avvertito dolore?” chiese ancora il medico, insoddisfatto e incurante di rispondere alla domanda rivoltagli da Missy.
Alla mente di lei affiorò la visione raggelante della propria persona ridotta allo stato di cronica invalidità tra le pareti di Missolungi, con tutto quello che ne sarebbe conseguito: l’ulteriore, pesante aggravio finanziario, il senso di colpa che avrebbe provato ogni giorno di quella sua esistenza consumata a letto, l’impossibilità di uscire e di compiere le sue passeggiate, al di là della sua valle, fino a Byron e alla biblioteca. No, sarebbe stato insopportabile!
“Non ho sentito alcun dolore.” insisté Missy.
Il dottor Hurlingford la guardò con espressione incredula, ma per essere un Hurlingford non mancava di un certo intuito, ed egli stesso non ignorava quale vita l’avrebbe attesa se le fosse stato diagnosticato un attacco di cuore. Di conseguenza rinunciò ad incalzare ulteriormente la povera ragazza, si limitò a estrarre il suo stetoscopio a imbuto, di foggia assai antiquata, e auscultò il cuore, che gli rinviò un battito sostanzialmente regolare. Poi sentì i polmoni. Erano a posto.
“Oggi è lunedì. Vieni a trovarmi venerdì.” concluse il medico alzandosi in piedi. Accarezzò Missy sul capo, con l’intento di rassicurarla, e passò in anticamera dove Drusilla stava appostata in attesa. “Non ho trovato niente di di anormale.” le disse. “Dio solo sa cos’è accaduto. Io non ci capisco niente. Ad ogni modo assicurati che venga da me venerdì, e se nel frattempo succedesse qualcosa mandami a chiamare senza indugio.”
“Niente medicine?”
“Mia cara Drusilla, come potrei prescrivere delle medicine per una malattia misteriosa? E’ magra come una mucca con i vermi, ma al tempo stesso ha l’aria di essere sana. Lasciatela in pace, lasciatela dormire e datele cibo nutriente in abbondanza.”
“Deve restare a letto fino a venerdì?”
“Non direi. Rimanga pure coricata fino a domattina, ma dopo converrà lasciare che si alzi. Non ho niente da obiettare a permettere che conduca una vita normalmente attiva, sempre ammesso che non si sobbarchi incombenze gravose.”
Drusilla non aveva il diritto di sentirsi dire altro. Non le rimase che condurre alla porta lo zio medico, dopo di che ripercorse in punta di piedi l’anticamera, si accostò alla porta della camera di Missy, spiò all’interno, vide che Missy dormiva e allora si ritirò in cucina, dove Octavia sedeva a tavola, intenta a bere il tè avanzato dal dottore.
In effetti, appariva molto colpita: le due mani che dovette usare per portarsi la tazza alla bocca erano scosse da un tremito convulso.
“Secondo zio Neville non c’è nulla di serio.” disse Drusilla, lasciandosi cadere su una sedia. “Missy deve restare a letto per il resto del pomeriggio, ma domattina potrà alzarsi e far quello che vuole, senza peraltro affaticarsi. Venerdì lo zio la visiterà ancora.”
“Oh, santo cielo!” Una lacrima pallida e pesante corse lungo la guancia larga e smunta di Octavia, che se ne stava a capo chino, fissandosi le dita nodose. “Vado a fare qualcosa in giardino, ma non me la sento di mungere la vacca.”
“Ci penso io.” disse Drusilla. Si portò le mani al capo e sospirò. “Non metterti in angustie, sorella cara, in un modo o nell’altro ce la caveremo.”
Il temuto disastro! Già Drusilla vedeva le sue preziose duecento sterline dissolversi in cure, medici, ospedali. Ciò che la esasperava più di ogni altra cosa era il fatto di ritrovarsi in alto mare quando ormai credeva di aver raggiunto finalmente la riva della salvezza. Se non avesse già tagliato il crepe lilla, il satin marrone e la seta blu cobalto, il giorno dopo li avrebbe riportati di filato all’emporio di Herbert. Era ovvio, no?
All’ora di cena, Drusilla portò a Missy un’enorme scodella d’orzo e brodo di manzo, e sedette sul bordo del letto fino a quando sua figlia non l’ebbe suo malgrado ingurgitata tutta. Dopo, grazie a Dio, venne lasciata sola con se stessa. Il lungo sonno del tardo pomeriggio le aveva tolto ogni voglia di dormire, cosicché Missy indugiò a pensare. Al suo malore e a ciò che poteva significare. A John Smith. Al futuro. E tra il malore e il futuro, due deserti di amara desolazione, John Smith svettava, baldanzoso, trionfante, cosicché lei accantonò il malore e il futuro per concentrarsi completamente su John Smith.
Che persona amabile! Ed era anche un uomo interessante. Con quanta facilità e naturalezza l’aveva sollevata da terra e trasportata in casa! La valanga d’informazioni di seconda mano che i romanzi di Una avevano ultimamente riversato su di lei le furono improvvisamente di vero beneficio. Missy si rese conto che per la prima volta era finalmente innamorata. Ma la speranza non era affatto inclusa nel soave e consolante flusso di pensieri che questa rivelazione implicava. A questo mondo le Alicie potevano elaborare progetti e tramare complotti per approdare al loro scopo. Alle Missy non era concesso. Le Missy non la sapevano abbastanza lunga sugli uomini, e il poco che ne sapevano rimaneva nel reame del generico. Gli uomini per loro erano intoccabili, tutti, senza esclusione, compresi gli ex carcerati. Tutti gli uomini godevano di potere, di libertà, di privilegi, di facoltà di scelta. E presumibilmente gli ex galeotti avevano risorse in tutti i sensi superiori a quelle del povero Willie Hurlingford, al riparo com’era da ogni vento avverso che si fosse avventato su di lui. Ma in tutta franchezza Missy non credeva che John Smith avesse quei trascorsi: dopotutto, Una lo aveva conosciuto durante i suoi anni di Sidney, e presumibilmente questo significava ch’egli era vissuto quanto meno ai margini della buona società; a meno che ad onta della sua amicizia con il marito di Una, non avesse fatto il garzone di panetteria, o l’uomo che consegna il ghiaccio o il carbone a domicilio.
Sì, ma con lei era stato così gentile! Gentile con una nullità come Missy Wright. Pur essendo in preda a quella sofferenza acuta e conturbante, era stata pienamente conscia della sua presenza, e del pari aveva avvertito l’arcano fluire di una forza che dall’uomo si riversava in lei, e che, fantasticava, aveva avuto il potere di cacciare la morte gettandola in un canto come fosse spazzatura.
John Smith, pensava Missy, se fossi giovane e carina non mi potresti sfuggire più di quanto il povero, piccolo Willie abbia avuto modo di sottrarsi ad Alicia! Ti inseguirei senza pietà fino a quando fossi riuscita a catturarti. Ovunque tu andassi io ti raggiungerei. Col piede più agile proteso in avanti io ti farei lo sgambetto, e quando ti avessi preso in trappola saprei amarti a tal punto e così bene, che una volta per sempre perderesti la voglia di sbarazzarti di me.
L’indomani John Smith venne di persona a informarsi sulla salute di Missy, Ma Drusilla lo intrattenne sulla porta di casa, e non permise che captasse la voce o l’immagine di lei. Dopotutto, lo aveva compreso subito, si trattava di una semplice visita di cortesia, cosicché lo ringraziò molto gentilmente, ma senza soverchio calore nella voce, dopo di che indugiò sulla soglia a guardarlo mentre lui si allontanava lungo il vialetto di mattoni che portava al cancello, con le mani penzoloni lungo i fianchi e le labbra che fischiettavano un motivetto salace.
“Questa è bella!” disse Octavia, uscendo dal salottino da cui aveva spiato John Smith attraverso un lembo sollevato delle tende. “Lo dirai a Missy che è venuto a chiedere di lei?”
“Eperchè dovrei dirglielo?” domandò Drusilla sorpresa.
“Oh, be’…”
“Cara Octavia, si direbbe che anche tu abbia letto quegli orrendi romanzetti dozzinali che ultimamente Missy ha preso in prestito alla biblioteca!”
“Come, come? Legge quella roba?”
Drusilla rise. “Sai, da quando mi sono accorta che tremava tutta nello sforzo di nascondere la copertina dei suoi libri, ho deciso di dimenticare le norme che le avevamo imposto su ciò che doveva leggere e non leggere. Dopotutto, sono passati quindici anni! E ho pensato: perché quella poverina non deve leggersi un romanzo, se ci tiene tanto? Cos’altro ha che le piaccia, come io mi godo la mia musica?”
Drusilla nobilmente si astenne dall’aggiungere che Octavia quanto meno godeva dei suoi reumatismi, e a sua volta Octavia, che in altre circostanze avrebbe potuto obiettare chiaro e tondo che anche lei era affatto priva di cose in grado di darle allettamento, decise saggiamente di lasciar cadere l’argomento. Domandò invece alla sorella: “E hai intenzione di dirle che d’ora in avanti può leggere romanzi?”
“Nemmeno per sogno. Se lo facessi le toglierei gran parte del piacere. Se le accordassi la piena libertà di leggerli, acquisterebbe il distacco sufficiente per rendersi conto che sono un vero orrore.” Drusilla aggrottò la fronte. “Ciò che mi sorprende è come Missy sia riuscita a persuadere proprio Livilla a concederglieli in prestito. D’altra parte non posso chiederlo a Livilla senza svelare il segreto, e non voglio assolutamente guastare il piacere di Missy. In fondo, mi sembra di cogliere in tutto questo un’ombra di sfida, e la cosa mi lascia sperare che nonostante tutto Missy abbia un tantino di spina dorsale.”
Ma Octavia non condivideva l’opinione della sorella. “Non vedo niente di lodevole,” obiettò, “in una sfida che la induce a esercitare il sotterfugio!”
Dalle labbra di Drusilla sfuggì un piccolo suono, a mezza via tra il grugnito e il miagolio, ma poi sorrise, alzò le spalle e si avviò precedendo Octavia, verso la cucina.
Il venerdì mattina, Drusilla accompagnò Missy dal dottore. Arrivarono per tempo, a piedi, caldamente vestite di ovvio color marrone.
La sala d’aspetto dell’ambulatorio, semibuia e puzzolente di muffa, era completamente deserta. La signora Hurlingford, che svolgeva le mansioni d’infermiera del marito, le fece accomodare accordando a Drusilla una frase di cordiale benvenuto e limitandosi a concedere a Missy un’occhiata tra il vago e l’indifferente. Un paio di minuti dopo, il medico fece capolino dalla porta del suo studio.
“Entra pure, Missy. No, Drusilla, tu resta qui a chiacchierare con tua zia.”
Missy entrò, sedette e attese circospetta, all’erta.
Lui esordì con un attacco frontale. “Non credo assolutamente,” prese a dire, “che ti sia semplicemente mancato il fiato. Avresti avvertito una fitta di dolore. Voglio vederci chiaro, bando alle storie.”
Allora Missy spiattellò tutto. Gli riferì del male che avvertiva al lato sinistro del fianco, di come l’affliggesse solamente quando camminava a lungo e di gran fredda, e del fatto che quel giorno si era manifestato all’improvviso, con un accesso terribilmente doloroso che le aveva mozzato il respiro.
Pertanto lui tornò a visitarla, dopo di che sospirò. “Non trovo assolutamente nulla che non sia in ordine.” le disse. “Lunedì, quando ti ho esaminata per la prima volta, non c’era il minimo residuo che rivelasse un disturbo cardiaco, e oggi è lo stesso. Tuttavia, da quanto mi ha riferito il signor Smith, è chiaro che hai avuto un vero attacco. Quindi, per esser più sicuro, ti mando da uno specialista a Sidney. Se riesco ad ottenere un appuntamento, ci andresti con Alicia, che il martedì fa sempre un salto in città? Risparmierebbe a tua madre lo strapazzo di accompagnarti.”
C’era forse stato un guizzo d’intesa nei suoi occhi? Missy non poteva esserne certa, ma gli rivolse egualmente un’espressione grata. “Grazie. Andrò ben volentieri con Alicia.”
In effetti, quel venerdì fu una giornata lieta, perché nel pomeriggio Una capitò a Missolungi con il calesse di Livilla. Portava con sé una mezza dozzina di romanzi avvolti in un’anonima carta da pacchi nocciola.
“Ho saputo ch’eri malata solamente stamani, quando la moglie di Neville Hurlingford è venuta in biblioteca.” disse sedendosi nel salotto buono, dove Octavia l’aveva fatta accomodare, abbagliata dalla sua eleganza e dalla sicurezza del suo portamento.
Né Drusilla né Octavia proposero alle due giovani donne di lasciarle da sole a conversare, non per il gusto di guastar loro un piacere, ma perché erano sempre avide di compagnia, specie quando era rappresentata da un volto completamente nuovo. E che volto, per giunta! Forse era meno bello di quello di Alicia, ma in compenso, a loro modo di vedere – e sebbene quel pensiero fosse un po’ sleale – dei due era il più attraente. Inoltre la sua comparsa riuscì grata a Drusilla, perché valse a fornire una risposta al fastidioso interrogativo circa il modo in cui, di punto in bianco, Missy era riuscita a farsi prestare dei romanzi.
“Grazie per i libri.” disse quest’ultima, sorridendo all’amica. “Quello che ho portato a casa lunedì è quasi finito, ormai.”
“Ti è piaciuto?” le domandò Una.
“Oh, moltissimo.”
Ed era vero: la morte dell’eroina con l’amato bene non avrebbe potuto capitare in un momento più opportuno. In verità, la protagonista era spirata tra le braccia dell’uomo del suo cuore, ma in compenso lei, Missy, era quasi morta tra le braccia dell’uomo che amava.
Una era una ragazza dai modi impeccabili. Quando ebbe bevuto il tè accompagnato da semplici biscotti fatti in casa, si era ormai conquistata il cuore di Octavia e di Drusilla. Non aver nulla di meglio da offrire era umiliante, ma l’apprezzamento ostentato da Una nei confronti di quei modestissimi dolciumi le indusse a domandarsi cosa apprezzasse e prediligesse la loro visitatrice.
“Oh, sono così stufa di torte alla crema e rotoli all’asparago!” esclamò Una, affascinando ulteriormente le sue ospiti con il suo leggiadro sorriso. “Siete proprio brave! E molto sagge! Questi biscottini sono davvero squisiti, e talmente più adatti alla mia digestione! Quasi tutte le signore di Byron sommergono i dolci in un mare di crema o marmellata, e naturalmente gli ospiti non possono rifiutarli senza offenderle.”
“Che cara ragazza!” osservò Drusilla quando Una se ne fu andata.
“Simpaticissima.” convenne Octavia di rincalzo.
“Può venire ancora.” disse Drusilla a Missy.
“Tutte le volte che vuole.” precisò Octavia, che aveva fatto i biscotti.




(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 10:59
Le Signore di Missolungi - (continua)





La domenica pomeriggio Missy annunciò che non aveva voglia di leggere, che preferiva andare a fare una passeggiata nella macchia. Il tono della sua voce era così calmo, che lì per lì sua madre la fissò, disorientata.
“Una passeggiata?” si decise a chiedere, dopo una breve pausa. “Una passeggiata nella macchia? Assolutamente no! Potresti fare qualche brutto incontro.”
“Non farò cattivi incontri.” replicò Missy, paziente. “A Byron non ci sono mai stati rapinatori o stupratori di donne.”
“Come fa a sapere, signorina,” saltò su Octavia, “che a Byron non ci sono mai stati rapinatori o stupratori? E’ una questione di elementare prudenza, mettitelo in testa. E se per caso un personaggio del genere si aggira, non trova nessuna da molestare perché noi Hurlingford le nostre ragazze le teniamo in casa, al sicuro, dove dovresti startene anche tu.”
“Se proprio non vuoi cambiare idea, bisognerà che venga con te.” disse Drusilla, nel tono di una martire.
Missy scoppiò a ridere. “Oh, mamma! Vuoi venire con me, impegnata come sei a ricamarti l’abito? No, vado da sola, chiuso il discorso.”
E uscì di casa senza soprabito e senza una sciarpa che la proteggesse dal vento.
Drusilla e Octavia si scambiarono un’occhiata.
“Voglio sperare che di malato non abbia il cervello.” disse Octavia con voce lamentosa.
Drusilla in cuor suo formulò lo stesso auspicio, ma a voce alta dichiarò con energia: “Se non altro, non si può certo dire che questa sfida sappia di sotterfugio!”
Nel frattempo Missy aveva varcato il cancello, e anziché a destra era svoltata a sinistra, per scendere fino al punto in cui Gordon Road si riduceva a un’esigua carrareccia che s’inoltrava nel folto della macchia. Un’occhiata alle spalle le confermò che nessuno la inseguiva. La tarchiata bruttezza di Missolungi spiccava a distanza, con la porta ermeticamente chiusa.
Era ancora pieno giorno e il sole scottava, sebbene filtrato dalle fronde. In quel punto, al sommo del crinale, il ceduo non era molto fitto, perché il terriccio era scarso e qualunque pianta vi crescesse doveva lottare, affondando le radici, per afferrarsi all’arenaria sottostante. Di conseguenza le angofore e gli eucalipti erano bassi, stenti, e il sottobosco rado. Era ormai primavera; perfino lassù nelle Blue Mountains arrivava precocemente, e due o tre giornate tiepide erano sufficienti perché le prime gemme si convertissero in minuscoli globi gialli e lanuginosi.
La valle si allungava alla destra di Missy e s’intravedeva attraverso gli alberi. Dov’era la casa di John Smith, semmai ne avesse una? La visita di sua madre, il sabato, a zia Aurelia non aveva fruttato ulteriori informazioni su John Smith, fatta eccezione per la clamorosa notizia secondo la quale egli si era affidato a un’impresa edile di Sidney perché gli costruisse una vasta residenza alla base del dirupo, utilizzando grandi blocchi di arenaria tagliati e squadrati sul posto. Ma Missolungi non sembrava convalidare la possibilità di realizzare qualcosa di simile, e si piazzava, bassa e tarchiata, lungo la sola strada che i costruttori di un simile edificio avrebbero dovuto percorrere. Inoltre era chiaro che zia Aurelia aveva per la testa pensieri molto più importanti e inquietanti di John Smith: sembrava infatti che gli alti ranghi della Byron Bottle Company fossero alquanto allarmati circa alcuni misteriosi movimenti nelle quote azionarie.
Missy non aveva la minima speranza di incontrare John Smith in cima al crinale: era domenica, infatti; cosicché decise di stabilire dove si spingesse quella strada, oltre il limitare superiore della valle. Quando alla fine raggiunse il luogo interessato, colse una certa logica dietro l’aspetto del sito, perché una frana di proporzioni gigantesche aveva scagliato rocce e massi lungo una sorta di rampa che si sviluppava dalla sommità al fondo della valle, attenuando così la pendenza del dirupo. In piedi, all’imbocco del sentiero, poteva intravederne il tracciato che si svolgeva giù per la frana in una serie di zigzag. Sì, la discesa era certamente pericolosa, ma non impossibile per un carro come quello che possedeva John Smith.
Tuttavia Missy era troppo timida e impacciata per avventurarsi laggiù, per il timore non tanto d’inciampare quanto d’imbattersi nella tana di John Smith. Si spinse dunque nel fitto della macchia, al sommo del crinale, seguendo un sentierino aperto, forse, dal passaggio degli animali che andavano all’abbeverata. E in effetti, a mano a mano che il tempo passava, il rumore di uno scroscio d’acqua finì col prevalere sul sempiterno stormire fievole e lamentoso prodotto dai rami dei tuteli nelle giornate di calma e di sereno. Il suono dell’acqua si faceva sempre più nitido e vicino, fino a quando si tramutò in un fragore impressionante. Poi, giunta al torrente ammutolì sorpresa: sebbene infatti fosse abbastanza largo e profondo, scorreva tra le sponde rivestite di felci senza un gorgoglio. Eppure il rombo di una caduta d’acqua persisteva.
Deviò a sinistra e seguì il corso del torrente, immersa, finalmente, in un’atmosfera incantata. Il sole, brillando sulla superficie dell’acqua, si riverberava in migliaia di minuscole particelle di luce. Le libellule si libravano con le loro ali di mica iridescente e i pappagalli variopinti spiccavano il volo dagli alberi di entrambe le sponde.
Poi, all’improvviso, il torrente sparì. Parve svanire nel nulla, oltre una balza arrotondata in curva. Missy arretrò rapidamente, l’orecchio teso al rombo della cascata. Era giunta alla testa della valle, e il torrente che l’aveva scavata penetrava nelle sue viscere nel solo modo possibile, scendendo in fondo, in fondo, in fondo. Procedette con cautela lungo la sponda per circa un quarto di miglio, fino a quando pervenne a un luogo ove una grande roccia si protendeva dalla rupe. Vi si sedette, proprio in punta, le gambe che pendevano nel vuoto, a contemplare intimorita la massa d’acqua scrosciante. Non poteva scorgerne il fondo; riusciva solamente a intravedere la fuga turbinosa attraverso l’aria animata dal vento, e l’arcobaleno che spiccava contro una groppa muscosa alle sue spalle, e il fresco pulviscolo che sprigionava nell’atto di cadere, come un grido, un’invocazione di soccorso.
Parecchie ore trascorsero veloci, rapide come l’acqua. Missy cominciò a tremare: era tempo di tornare a Missolungi.
Poi, nel punto in cui il sentiero si congiungeva con la strada che scendeva nella valle di John Smith, Missy incontrò John Smith in persona. Guidava il suo barroccio e veniva da Byron, e lei vide, non senza sorpresa, ch’era carico di ceste, di sacchi, di utensili e macchinari di ferro. Evidentemente, in qualche luogo c’era un negozio aperto di domenica!
Subito l’uomo tirò le redini e balzò a terra con un largo sorriso. “Buongiorno.” disse. “Si sente meglio?”
“Sì, grazie.”
“Sono contento d’incontrarla così, perché cominciavo a domandarmi se lei appartenesse ancora al mondo dei viventi. Sua madre mi aveva assicurato ch’era ancora viva, quando sono venuto a informarmi sulla sua salute, ma non ha voluto che me ne rendessi conto coi miei occhi.”
“Lei era venuto a domandare come stavo?”
“Sì, martedì scorso.”
“Oh, la ringrazio tanto!” esclamò con fervore.
Lui inarcò le sopracciglia, ma rinunciò a interrogarla. Invece lasciò il suo mezzo di trasporto dove si trovava e si volse per rifare un tratto di strada già percorso, risalendolo a piedi con lei, verso Missolungi.
“Mi sembra di capire che non era niente di grave.” disse John Smith dopo qualche tempo durante il quale si erano limitati a camminare l’uno di fianco all’altra senza dir parola.
“Non lo so.” disse Missy, captando le emanazioni di pietà e di solidarietà sprigionate dalla sua persona dotata di palese salute fisica. “Mi farò visitare da un medico di Sidney, abbastanza urgentemente. Uno specialista in malattie di cuore, se non sbaglio.” Perché mai si era espressa così?
“Ah.” disse lui, disorientato.
“Dove abita esattamente, signor Smith?” domandò Missy per cambiare argomento.
“Be’, laggiù, in fondo, nella direzione dalla quale proveniva, c’è una cascata.” rispose l’uomo senza reticenza, e in un tono di voce che valse a rivelarle come lui, vuoi per la sua salute cagionevole, vuoi perché era così palesemente innocua, avesse deciso di considerarla solo una buona amica. “Vicino al punto in cui scroscia la cascata c’è una vecchia capanna da taglialegna. Ora però voglio costruirmi una casa ancora più addossata alla cascata. Voglio costruirla con dei blocchi di arenaria che taglierò e squadrerò sul posto. Sono appena tornato da Sidney dove ho preso un motore per azionare una grossa sega elettrica. In questo modo potrò tagliare i blocchi molto più in fretta, e con migliori risultati. E andrà benissimo anche per il legname.”
Missy chiuse gli occhi, e senza capacitarsene emise un profondo sospiro. “Ah, come la invidio!” disse poi.
L’uomo abbassò su di lei uno sguardo incuriosito. “E’ strano che una donna dica una cosa simile.”
“Davvero?” disse lei, riaprendo gli occhi.
“Di solito alle donne non piace essere tagliate fuori dalle case, dai negozi, dalle altre donne.” Il suo tono era alquanto aspro.
“Be’, forse lei ha ragione, per la maggior parte dev’essere così,” osservò Missy, pensierosa, “ma in questo senso io non conto proprio come donna. Ecco perché la invidio. La pace, la libertà, l’isolamento… potessi averli anch’io!”
In quel momento cominciò a vedersi la fine del sentiero, e parimenti Missolungi con il suo tetto di lamiera ondulata rossiccia.
“Lei fa tutti i suoi acquisti a Sidney?” chiese Missy, tanto per dir qualcosa, dopo di che se la prese mentalmente con se stessa per aver fatto una domanda tanto sciocca. La prima volta che lo aveva veduto, non era forse stato nella bottega di zio Maxwell?
“Quando posso, sì,” rispose lui, evidentemente senza collegarla allo zio Maxwell, “ma è una grossa sfacchinata attraversare le Blue Mountains con il barroccio carico, e io ho soltanto questi due cavalli. Ad ogni modo, Sidney per gli acquisti è infinitamente meglio di Byron. Senza contare che non ho mai visto un posto così pieno di ficcanaso.”
Missy fece un risolino. “Non se la prenda troppo con loro, signor Smith. Lei non si limita a rappresentare una novità: lei li ha derubati di qualcosa che avevano sempre ritenuto una loro proprietà esclusiva, anche se non l’avevano maidesiderata o non ci avevano pensato mai.”
John Smith scoppiò a ridere, evidentemente solleticato dal fatto che lei avesse sollevato l’argomento. “La mia valle, dice? Avrebbero potuto comprarla , la vendita non era un segreto. Era pubblicizzata sul giornale di Katoomba e su tutti quelli di Sidney. Ma sono meno furbi di quanto credono di essere, la spiegazione è tutta qui.”
“Lei, laggiù, deve sentirsi un re.”
“Proprio così, signorina Wright.” Le sorrise, si portò una mano al cappellaccio malconcio da boscaiolo, si volse e se ne andò.
Missy percorse come in volo il resto del tragitto e arrivò a casa in perfetto orario per mungere la vacca. Drusilla e Octavia evitarono di interpellarla sulla sua passeggiata nella macchia. Drusilla perché si era sentita più soddisfatta di quello sfoggio d’indipendenza che preoccupata delle eventuali conseguenze, e Octavia perché era persuasa che i processi cerebrali di Missy fossero alterati dalla malattia che l’affliggeva, quale che ne fosse la natura.
In effetti, dal momento che alle quattro non vi era ancora alcun segno di Missy, le due signore rimaste a Missolungi avevano avuto un battibecco. Octavia sosteneva che occorresse avvisare la polizia.
“No, no, no!” sbottò Drusilla, quasi con violenza.
“Ma dobbiamo, Drusilla. E’ malata di mente. Ha qualcosa al cervello, io lo so. Quando mai nella sua vita si è comportata in questo modo?”
“Ci ho pensato fin da quando Missy ha avuto quell’attacco, sai?
E non esito a confessarti che quando il signor Smith ce l’ha portata in casa tra le braccia, ero terrorizzata. Il pensiero di perderla così, in un modo tanto ingiusto… Non sono mai stata tanto felice in vita mia come quando zio Neville mi ha detto che secondo lui non aveva niente di serio. Dopo di che ho cominciato a riflettere: quale sarebbe la sorte di Missy, ho pensato, se capitasse qualche cosa a me? Octavia, dobbiamo incoraggiare Missy a rendersi indipendente da noi! Non è colpa sua se Dio non l’ha dotata della bellezza di Alicia o della mia forza di carattere, e ora mi rendo conto che la subordinazione alla mia forza di carattere non ha recato giovamento a Missy. Spetta a me decidere su tutto, e lei accondiscende a tutto senza ribellarsi. Per troppo tempo ho preso io ogni decisione che la riguardasse, e non intendo continuare così.”
“Non dire stupidaggini!” protestò Octavia. “Missy non ha buon senso. Una che vuol comprare scarpe invece che stivali, figuriamoci! Una che legge romanzi e va da sola a passeggiare nella macchia! Tu per il futuro dovresti proporti di essere più severa anziché meno. Il mio parere è questo.”
Drusilla sospirò. “Octavia, quando noi eravamo giovani portavamo scarpe, non stivali. Nostro padre era un uomo generoso, non ci mancava niente. Andavamo in carrozza, avevamo un sacco di denaro extra. E se poi le cose hanno assunto un’altra piega, io e te quanto meno possiamo guardarci alle spalle e rievocare il piacere di indossare un abito grazioso, un bel paio di scarpine, di andare a un party, di divertirci, insomma. Missy invece non sa cosa significhi portare bei vestiti, calzare belle scarpe. Non che mi senta in colpa, perché questo stato di cose non dipende dalla mia volontà, ma quando mi sono resa conto che avrebbe potuto anche morire… be’, ho deciso che le avrei concesso tutto quello che desiderava, per quanto io almeno mi posso permettere. Le scarpe no, non me le posso permettere, specie se ci saranno da pagare delle pesanti parcelle mediche. Ma se vuole leggere romanzi o andare a passeggio nella macchia, lo faccia pure.”
“Sciocchezze, sciocchezze, sciocchezze! Tu devi continuare come hai sempre fatto. Missy ha bisogno di essere guidata.”
Drusilla non aveva il potere di distogliere Octavia da questa visione delle cose.
Ignara delle riflessioni che travagliavano sua madre, Missy decise che dopo cena non si sarebbe immersa nella lettura di uno dei nuovi romanzi. Preferì dedicarsi al chiacchierino.
“Zia Octavia,” domandò, “quanto pizzo pensi di utilizzare per il vestito nuovo? Credi che basterà? Posso fartene ancora, non è certo un problema, ma ho bisogno di saperlo subito.”
Octavia tese la sua mano nodosa e Missy vi depose tutto il pizzo avvoltolato, lasciando che sua zia lo stendesse pezzo per pezzo, sulle sue ginocchia.
“E’ uno splendore, Missy.” uggiolò Octavia, estasiata. “Guarda anche tu, Drusilla!”
Drusilla ne prese un lembo dal grembo della sorella e lo sollevò per osservarlo alla fioca luce della lampada. “Sì, è proprio bello. Devo dire, Missy, che fai continui progressi.”
“Be’,” rispose la figlia in tono grave, “è perché finalmente ho imparato a districarmi dalle difficoltà.”
Per un istante le due vecchie signore parvero smarrite, poi Octavia scoccò un’occhiata allusiva alla sorella e scosse lievemente il capo. Ma Drusilla preferì ignorarla.
“Evidentemente.” rispose alla figlia, con una certa solennità.
Prevalse il pensiero delle nozze di Alicia. Octavia mise in disparte i sommovimenti cerebrali di Missy. “Basterà questo pizzo, Drusilla?” domandò con un po’ di ansia nella voce.
“Per quello che avevo pensato inizialmente, certo può bastare, ma mi è venuta un’idea migliore. Mi piacerebbe aggiungere un po’ dello stesso pizzo intorno al bordo del bolero. Adesso è così di moda! Missy, sei disposta a fare questo lavoro in più? Se non ti va, dillo francamente.”
Questa volta fu Missy ad assumere un’espressione sconcertata. In tutta la sua vita non era mai accaduto che sua madre lasciasse a lei una decisione, o che si domandasse se quello che chiedeva non fosse per caso eccessivo. Ah, ma certo, era per via della malattia di cuore! Che cosa sorprendente! “Per carità, non mi pesa affatto.” si affrettò a rispondere.
“Ah, grazie, allora!” esclamò Octavia, raggiante. Poi si aggrondò. “Se potessi aiutarti a cucire, Drusilla. Hai troppo lavoro tu!”
Drusilla con un sospiro contemplò il crepe che le stava ammucchiato in grembo. “Non dartene pensiero, Octavia. Missy provvede a tutti i lavoretti secondari, alle asole, agli orli, agli spacchi. Ammetto però che sarebbe fantastico avere una macchina per cucire Singer.”
Non era, ovviamente, nemmeno da pensarci. Le signore di Missolungi confezionavano i loro indumenti all’antica, punto per punto, interamente a mano. Drusilla provvedeva al taglio e ai principali lavori di cucito, mentre le finiture erano compito di Missy. Octavia non era in grado di usare uno strumento minuscolo e sottile come l’ago.
“Sono così spiacente che il tuo abito debba essere marrone.” disse Drusilla alla figlia, in tono quasi di scusa. “Ma il tessuto è veramente bello e ti starà benissimo, aspetta e vedrai. Vorresti che lo adornassi con un po’ di perline?”
“Per rovinare il taglio? Mamma, tu gli abiti li tagli a meraviglia, e il taglio basterà, senza altri ornamenti inutili.”
Quella sera, a letto, Missy giacque sveglia nell’oscurità e mentalmente rievocò in ogni particolare il più bel pomeriggio di tutta la sua vita. Giacché lui non si era limitato a salutarla, era sceso dal barroccio e aveva deciso di percorrere un tratto di strada al suo fianco, chiacchierando con lei come fosse stata una vecchia amica anziché un membro fra i tanti dell’uggiosa ghenga Hurlingford. E che piacevole aspetto aveva. Semplice, senza pretese, ma simpatico. E a differenza di tanti rispettabili esponenti maschili del clan Hurlingford, non puzzava di sudore stantio, ma profumava di sapone d’ottima qualità. Se n’era accorta subito, perché nelle rare circostanze in cui le signore di Missolungi ricevevano in dono questo sapone costosissimo, non lo usavano per detergersene il corpo (a tale scopo il Sunlight poteva benissimo bastare!) ma lo celavano tra la loro biancheria riposta nei cassetti. Quanto alle mani, ancorché rovinate dagli attrezzi, erano pulite. E anche i suoi capelli erano impeccabili, senza traccia di brillantina o di pomate dozzinali, ma ravvivati soltanto dalla loro naturale lucentezza, simile a quella del pelo di un gatto che abbia appena finito di leccarsi. Un uomo orgoglioso e dignitoso, John Smith.
Ma più di ogni altra cosa, di lui le piacevano gli occhi, di un castano dorato traslucido, e così ridenti! Non poteva, non avrebbe mai potuto credere alle fole che circolavano sulla sua persona, tali da suggerire immagini di disonestà o bassezza. Al contrario, si sentiva pronta a scommettere sulla sua pelle che fosse un uomo di indefettibili principi etici, di rigorosa dirittura morale. Riusciva a concepire che un uomo simile potesse uccidere, se fosse stato provocato oltre i limiti della tolleranza, ma non riusciva a ravvisare in lui un ipotetico ladro o truffatore.
Ah, John Smith, io ti amo, ti amo alla follia! E ti ringrazio dal profondo del cuore per essere tornato a Missolungi a domandare come stavo.





(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:01
Le Signore di Missolungi - (continua)





A un mese soltanto dalle nozze, Alicia Marshall si avvicinava giorno dopo giorno alla più eloquente e perfetta manifestazione del suo rigoglio fisico, e intendeva godersi fino all’ultimo minuto anche quel mese conclusivo della sua parabola ascendente. La data degli sponsali era stata fissata diciotto mesi prima, né le era mai accaduto di mettere in dubbio la stagione o le condizioni meteorologiche. Sta di fatto che, sebbene nelle Blue Mountains la primavera fosse a volte tardiva o piovosa o eccessivamente ventosa, questa, in ottemperanza agli auspici di Alicia, si andava avvicinando recando seco il felice incantesimo dell’Eden.
“Non potrebbe essere altrimenti.” disse Aurelia a Drusilla, con una sfumatura nella voce dalla quale era lecito dedurre che, per una volta, la madre di Alicia sarebbe stata lieta che i progetti di sua figlia prendessero una piega storta.
L’appuntamento di Missy con il cardiologo di Sidney era stato fissato, ma con una settimana di ritardo sulla data da lei sperata. Fu una fortuna, invece, perché il martedì in cui, secondo quanto programmato dal dottor Hurlingford, avrebbe dovuto essere visitata dallo specialista, Alicia rinunciò alla consueta spedizione settimanale in città. Aveva infatti fissato per il giovedì il suo ricevimento prenuziale, e i preparativi non lasciavano spazio a programmi di alcun genere, nemmeno alle ambite commissioni a Sidney. In effetti, il trattenimento in questione non era una cosetta rimediata, a base di regali casalinghi e di ciance da connette. Si trattava al contrario di un party oltremodo formale, al quale venivano invitate le parenti d’ogni età della sposa, e in tale circostanza ognuna di costoro aveva modo di vedere e di apprendere ciò che da loro ci si attendeva, nel Gran Giorno. Nel corso del festeggiamento, Alicia intendeva annunciare il nome delle sue damigelle e mostrare le decorazioni del ricevimento, nonché gli addobbi prescelti per la cerimonia in chiesa.
La sola nota stridente venne dal padre e dai fratelli di Alicia, che respinsero i suoi tentativi di assicurarsi il loro aiuto con una stizzita e scortese impazienza che non aveva precedenti.
“In nome del cielo, smettila, Alicia!” sbottò il padre con una veemenza nella voce che lei non rammentava di avere mai udito sino a quel momento, “fatti quel tuo dannato ricevimento di nozze, ma non tirarci in ballo! Ci sono delle faccende femminili che francamente sono seccanti, e questo è uno dei casi!”
“Ah, benissimo!” rispose Alicia, offesa, con le stringhe del busto che scricchiolavano pericolosamente. E andò a lamentarsi da sua madre.
“Temo che in questo momento sia bene comportarci con estrema prudenza, mia cara.” disse Aurelia, con espressione inquieta.
“Cosa diamine succede?”
“Esattamente non lo so, tranne che c’entrano le quote azionarie della Byron Bottle Company. Mi pare d’intuire che siano scomparse.”
“Non dire sciocchezze! Le azioni non scompaiono!”
“Non escono dalla famiglia? E’ questo che intendi dire?” domandò Aurelia, con aria incerta. “Mah! Sono cose al di là della mia comprensione. Io non capisco nulla, di affari!”
“Willie non me ne ha parlato.”
“Willie potrebbe non saperlo ancora, cara. Per ora, se non sbaglio, non si è occupato molto dell’azienda. Dopotutto, ha appena terminato l’università.”
Alicia sbuffò, come per liberarsi di quell’argomento seccante, e andò a impartire istruzioni al domestico: desiderava che davanti alla porta di casa ci fosse solamente personale femminile ad accogliere le ospiti, dal momento che il party era riservato alle signore.
Naturalmente venne anche Drusilla, portandosi Missy appresso. La povera Octavia, che moriva dalla voglia di presenziare al ricevimento, all’ultimo momento, già tutta in ghingheri, si era vista costretta a restare a casa perché Aurelia aveva dimenticato di inviare a Missolungi la carrozza promessa. Drusilla indossava il suo gros-grain marrone, ben lieta di sapere che, grazie a questo espediente, avrebbe evitato di riproporre quel suo abito a tutta prova anche al matrimonio, ossia a pochi giorni di distanza. Quanto a Missy, portava il suo vestito di lino marrone, e in testa il cappellino alla marinara che da quindici anni si vedeva costretta a sfoggiare ogni qual volta le circostanze le imponevano l’uso del cappello, incluse le domeniche, in chiesa. Un cappello nuovo era previsto per ciascuna in occasione delle nozze, sebbene ne fosse già escluso l’acquisto da Che Chapeau Alicia. L’essenziale era stato acquistato all’emporio di zio Herbert, e alla cura dei dettagli finali si sarebbe provveduto a Missolungi.
Alicia era incantevole in un leggiadro abito di crèpe albicocca, arricchito da ricami blu lavanda e da un vistoso mazzo di fiori in seta del medesimo colore, appuntato all’altezza di una spalla. Ecco, pensava Missy, se potessi indossare un abito così! Sono sicura che reggerei all’albicocca. Ne sono assolutamente certa! E anche a quel tono di blu, che si avvicina al lilla.
Più di cento donne erano state invitate al party. Si agitavano per la casa in piccoli gruppi, in cerca di facce, a caccia di pettegolezzi. Poi, alle quattro, si radunarono come galline sul trespolo nella sala da ballo, dove parteciparono a una sontuosa imbandigione: un favoloso tè a base di tartine alla crema e alla marmellata, di petit-fours, di sandwich ai cetrioli, di éclairs, di focaccine e di Napoléons deliziosamente zuccherini e appiccicosi. C’era persino una ricca scelta fra tè di vari aromi: Darjeeling, Earl Grey, Lapsang Souchong e al gelsomino!
Le donne Hurlingford erano per tradizione bionde, per tradizione alte, per tradizione incapaci di parlare con sincerità. Volgendo lo sguardo su quella turba muliebre e porgendo l’orecchio al loro chiacchiericcio, Missy si rese conto che quelle osservazioni non mancavano di un loro fondamento. Era il primo avvenimento mondano attinente alla sua famiglia al quale fosse stata invitata, probabilmente perché escluderla sarebbe stato ineducato, dal momento che tra le convenute c’erano parecchie donne meno strettamente imparentate con gli sposi. In chiesa, la domenica, la presenza in massa di femmine Hurlingford era in certo qual modo annacquata da un numero press’a poco equivalente di maschi Hurlingford. Ma qui, nella sala da ballo di zia Aurelia, quel consesso strettamente femminile era allo stato puro, e soverchiante.
L’aria risuonava di participi e di infiniti opportunamente tenuti in serbo e sfoggiati nelle grandi occasioni, nonché di numerose altre squisite finezze lessicali in gran parte decadute nell’uso da più di cinquant’anni. Circonfuse dallo splendore e dalla nobile grazia della casa di Alicia, nessuna osava dire “non posso”, “non mi va” o non ho fatto”. Per giunta, osservò Missy, lei era, letteralmente, la sola ad avere i capelli neri. C’erano, qua e là, delle chiome semiscure (le grigie e le bianche non spiccavano affatto), ma i suoi capelli corvini erano come un pezzo di carbone in un campo innevato. Ora capiva perché sua madre le aveva imposto di non togliersi il cappello per tutta la durata del ricevimento. Ovviamente, infatti, anche quando un Hurlingford, maschio o femmina che fosse, si sposava al di fuori del nucleo familiare, si premurava di scegliere un partner biondo. Il padre di Missy era stato biondo, ma a detta di Drusilla suo nonno era bruno come un dago, termine spregiativo, ma a quel tempo comunemente usato e ritenuto accettabile per designare uno spagnolo o un italiano.
“Scorre del sangue sassone nelle nostre vene, mie care Augusta e Atonia.” flautò Drusilla, rivolta alle sorelle che vedeva meno di frequente.
Aurelia si dedicava quasi esclusivamente a Lady Billy, che per quel pomeriggio, e non senza proteste amareggiate, era stata privata del cavallo. Lady Billy se ne stava seduta, encefaliticamente inespressiva, perché non aveva figlie e non provava interesse alcuno per le donne. Viste così, en masse, la spaventavano e la irritavano, e il dolore più cocente della sua vita era stato l’acquisizione di Alicia Marshall in qualità di potenziale nuora. Indifferente al fatto di trovarsi a combattere una battaglia solitaria, Lady Billy si era drasticamente opposta alle nozze del piccolo Willie con la cugina in secondo grado Alicia, affermando che non sarebbero mai stati una coppia affiatata e che la loro prole sarebbe stata fragile e malaticcia. Ma Sir William (detto Billy) non teneva in alcun conto la moglie, come del resto non teneva in alcun conto chicchessia; e dal momento che Alicia gli aveva sempre fatto gola, preconizzava con piacere il giorno in cui, contemplando i commensali seduti alla sua tavola, avrebbe gioito del volto mirabile e della bionda chioma di Alicia. Infatti era stato deciso che, almeno per qualche mese, i novelli sposi avrebbero abitato a Hurlingford Lodge con Sir William e la di lui consorte. Il dono di nozze di Sir William era un ottimo appezzamento di terreno, dell’estensione di dieci acri, ma la casa che vi doveva essere edificata non era ancora giunta a compimento.
Lasciata liberamente ai suoi pensieri, Missy volse lo sguardo intorno a sé, alla ricerca di Una. Scoprì zia Lavilla, ma di Una non c’era neanche l’ombra. Strano, strano davvero.
“Non vedo Una.” disse Missy ad Alicia, quando quella fulgida creatura le passò accanto con un sorriso di smagliante condiscendenza.
“Chi?” domandò Alicia, fermandosi.
“Una, la cugina di zia Livilla… lavora alla biblioteca.”
“Che sciocchina, non c’è alcun Hurlingford a Byron che porti questo nome.” rispose Alicia, che non godeva fama di accanita lettrice. E sia affrettò ad andarsene, a spargere qua e là la sua magica presenza, superficiale e appena avvertibile come il velo di marmellata sul pudding di un convitto.
E a questo punto Missy comprese tutto. Ma certo, era tutto molto semplice: Una era divorziata! Era una peccatrice! Zia Livilla si era esposta sino a offrire un tetto a sua cugina, ma non avrebbe mai osato spingere tanto avanti i suoi istinti umanitari da permetterea una cugina divorziata di accedere alla buona società di Byron. Pertanto era evidente che zia Livilla aveva preferito ignorare Una. Adesso, a ripensarci, Una era stata l’unica fonte d’informazione per Missy. Nelle rare circostanze, dall’arrivo di Una in poi, in cui Missy aveva trovato zia Livilla in biblioteca, quest’ultima non aveva nemmeno menzionato il nome della sua nuova assistente, e Missy, che di zia Livilla aveva una soggezione assoluta, non era mai riuscita a trovare il coraggio di alludere a Una.
“Ah, è proprio tutto splendido, non trovi?” saltò su Drusilla, con la sorella Cornelia a rimorchio, adeguandosi perfettamente allo stile della conversazione.
“Assolutamente splendido.” disse Missy, accomodandosi sul divano che aveva trovato sotto il ciuffo di frasche di una grande kentia in vaso.
Drusilla e Cornelia sedettero, provviste almeno di un singolo esemplare dei molteplici pasticcini elargiti al buffet.
“E’ così cara, così assennata, Alicia! E’ proprio una brava ragazza!” ciangottò Cornelia, che considerava un alto privilegio fare la commessa per Alicia in cambio di una paga miserabile, e non aveva la minima idea di quanto Alicia approfittasse della sua gratitudine e della sua devozione. Fino al giorno in cui Chez Chapeau Alicia aveva aperto i battenti. Cornelia aveva venduto la sua casa e i suoi cinque acri a Herbert, solo che nel suo caso aveva accondisceso alla vendita per aiutare la sorella Julia a pagare la sua sala da tè quando Julia l’aveva rilevata da Herbert.
“Silenzio.” sussurrò Drusilla. “Alicia vuole dirci qualcosa.”
Alicia parlò infatti, le gote accese, gli occhi scintillanti come acquemarine. La formulazione del nome di dieci damigelle d’onore venne salutata da battimani e gridolini di giubilo. La prima damigella svenne per l’emozione suscitata da tanto onore: cadde lunga distesa e fu necessario farla rinvenire con i sali. Secondo i desideri di Alicia, gli abiti delle sue assistenti nuziali avrebbero dovuto accoppiarsi in un rosa di cinque gradazioni riverse, dal rosa pallidissimo al ciclamino intenso. Pertanto, quando la sposa in bianco si fosse recata all’altare, si sarebbe trovata fiancheggiata da cinque damigelle per lato, il cui abbigliamento digradava dal rosa pallido della coppia più vicina al rosa carico della coppia più lontana.
“Siamo tutte bionde, tutte press’a poco della stessa figura e della stessa statura.” fu la spiegazione fornita da Alicia. “Credo che l’effetto sarà piacevolissimo.”
“Non è un’idea estremamente originale?” bisbigliò Cornelia, fiera del privilegio di essere stata tra le prime confidenti. “Lo strascico di Alicia sarà in pizzo di Alençon, lungo venti piedi e tagliato a ruota.”
“Magnifico davvero.” sospirò Drusilla, memore del fatto che anche il suo strascico nuziale era stato di pizzo, e ancor più lungo di quello di Alicia, ma decisa a non farne parola.
“Ho notato che Alicia ha operato la sua scelta esclusivamente fra le vergini.” osservò Missy, il cui dolore al fianco aveva cominciato a importunarla dopo le sette miglia percorse a piedi da Missolungi, ed ora si stava facendo tormentoso. Uscire dalla stanza era impossibile, ma non poteva nemmeno trattenersi oltre. quieta e silenziosa, su quel divano. Per distrarsi e dimenticare la sua sofferenza fisica prese a conversare. “Molto corretto da parte sua,” aggiunse “ma io sono vergine, questo è un fatto, e non sono stata scelta.”
“Sssh!” la zittì Drusilla.
“Missy, tesoro, tu sei troppo bassa e troppo bruna.” mormorò Cornelia, sinceramente addolorata per sua nipote.
“Niente affatto, senza scarpe sono uno e sessantotto.” obiettò Missy, senza compiere il minimo sforzo per cambiare il tono di voce. “Solo in mezzo a una collezione di Hurlingford mi si può considerare bassa!”
“Sssh!” la zittì Drusilla una seconda volta.
Nel frattempo Alicia era passata all’argomento fiori, e stava informando l’uditorio, magicamente appeso alle sue labbra, che ogni bouquet sarebbe stato da dozzine di orchidee rosa, che sarebbero arrivate con il treno da Brisbane entro apposite scatole refrigerate.
“Orchidee! Che volgare ostentazione!” esclamò Missy ad alta voce.
“Sssh!” sibilò Drusilla, disperata.
A questo punto Alicia, avendo sparato le sue cartucce, infine tacque.
“Verrebbe fatto di meravigliarsi che tenga tanto a rivelare tutto così presto,” disse Missy, senza rivolgersi a nessuno in particolare, “ma probabilmente pensa che, se non lo facesse, una buona metà di questi particolari cadrebbe nell’indifferenza generale.”
Alicia si avanzò verso di loro, ridente, raggiante, elettrizzata, le mani piene di schizzi di abiti nuziali e di campioni di tessuti.
“E’ davvero un peccato che tu sia così bassa e così bruna, Missy.” disse, molto vezzosamente. “Mi sarebbe piaciuto scegliere anche te, ma non puoi non renderti conto che, come damigella, proprio non andavi.”
“Be’, io credo che sia davvero un peccato che tu non sia così bassa e così bruna.” disse Missy, altrettanto vezzosamente. “Circondata da tutte queste donne della tua stessa altezza, del tuo stesso colore, e con tutte quelle sfumature di rosa, finirai per sbiadire in mezzo a quella specie di tappezzeria.”
Alicia ebbe un sussulto. Drusilla ebbe un sussulto. Cornelia ebbe un sussulto.
Missy si alzò con disinvolta e indolente noncuranza, e cercò di spianare le pieghe che si erano formate sulla sua camicetta di lino marrone. “Be’, credo che ora me ne andrò.” annunciò in tono vivace. “Un bel party, Alicia, niente da dire, ma senza alcun tratto che lo distingua dagli altri. Perché imbandite a tutti le solite, scontatissime cibarie? Avrei apprezzato un buon sandwich alle uova e al curry, per cambiare, una volta tanto!”
E prima ancora che gli astanti avessero il tempo di riprendersi dalla sorpresa, Missy era scomparsa. Poi, quando Drusilla ci riuscì, si vide costretta a nascondere un sorriso, e fece finta di non sentire quando Alicia dichiarò che bisognava richiamare indietro Missy e costringerla a chiedere scusa. Alicia aveva quel che si meritava. Perché non avrebbe potuto essere gentile, una volta tanto, accettando di guastare l’impeccabile gruppo delle damigelle nuziali includendo nel medesimo la sventurata Missy? Ma ciò che maggiormente sorprendeva era il fatto che l’analisi di Missy colpiva pienamente nel segno. Alicia sarebbe impallidita in quella tappezzeria, o meglio in tutto quel bianco e quel rosa delle ghirlande, dei bouquets e dei festoni con i quali si proponeva di addobbare la chiesa.
Ma appena fuori della porta d’ingresso di Mon Repos, la sofferenza e il senso di soffocamento ebbero il sopravvento. Decisa ad esalare l’ultimo respiro in un pudico isolamento, Missy abbandonò il vialetto coperto di ghiaia e corse dietro casa. Inutile dire che le concezioni di Aurelia Marshall in fatto di giardini non prevedevano folti di arbusti o boschetti, sicché la povera Missy poteva fruire di ben pochi anfratti ove rintanarsi senza correre il rischio di essere veduta. Il più consistente di questi ultimi era costituito da un gruppo di rododendri situato sotto una delle finestre a pianterreno. E qui Missy si lasciò cadere, semiseduta, semisdraiata, la schiena appoggiata ai rossi mattoni del muro, dietro gli arbusti. Il dolore era insopportabile, e tuttavia doveva sopportarlo. Chiuse gli occhi e si disse che non voleva morire fino a quando non le fosse stato concesso di spirare tra le braccia di John Smith, come l’eroina di Cuore turbato. I rododendri di zia Aurelia: che luogo deprimente, per farsi trovare stecchita!
Missy non morì. Di lì a poco il dolore scemò e lei si scosse. Si udivano voci poco lontane, e dal momento che i rododendri erano poco frondosi a causa della potatura autunnale, non voleva correre il rischio che i conversatori girassero l’angolo e si accorgessero di lei. Di conseguenza si voltò, si mise sulle ginocchia e cominciò a tirarsi in piedi. Solo allora si accorse che le voci provenivano dalla finestra proprio sopra di lei.

“Hai mai visto un cappello così mostruoso?” chiese una voce che Missy riconobbe per quella di Lavinia, la figlia minore di zia Augusta. Inutile dire che Lavinia faceva parte del gruppo delle damigelle.
“Quel cappello così mostruoso l’ho visto tante volte, per essere esatti in chiesa, la domenica.” rispose la voce adirata di Alicia. “Però secondo me la persona che vi sta sotto è ancora più orrenda del cappello.”
“E’ così sciatta!” intervenne una terza voce che apparteneva alla prima damigella, ossia a Marcia, la figlia di zia Antonia. “Sinceramente, Alicia, sei troppo generosa a definirla semplicemente orrenda. Sarebbe più corretto dire che Miss Wright è una nullità, anche se il cappello, di per sé, è indubbiamente un vero orrore.”
“Sì, hai ragione.” concesse Alicia. La frecciata inattesa di Missy le bruciava ancora. Lei impallidire in mezzo a una tappezzeria? Figuriamoci! Inutile dire che Missy aveva torto marcio. Eppure Alicia sentiva che a quel punto il favoloso effetto visivo della sua cerimonia nuziale aveva cessato di piacerle. Missy aveva piantato il suo pungiglione con venefica, subdola astuzia, e Alicia se ne rendeva conto solamente ora.
“Ma è proprio indispensabile tener conto di Missy Wright?” domandò Portia, una cugina di grado più lontano.
“Dal momento che sua madre è sorella di mia madre, non credo proprio di poterla ignorare.” dichiarò Alicia in tono squillante. “Non so perché la mamma insista a compatire zia Drusilla, ma non ho mai rinunciato a distoglierla da questo atteggiamento. Riconosco che lo spirito di carità di mia madre è altamente lodevole, ma vi confesso che il sabato mattina, quando zia Drusie viene a ingozzarsi dei nostri pasticcini, cerco sempre di non essere in casa. Signore Iddio, è incredibile quello che riesce a ingurgitare. La mamma fa preparare dalla cuoca due dozzine di pasticcini, e quando zia Drusie se ne va se ne sono andati anche loro. Tutti, capite? Tutti. Fino all’ultimo!” E Alicia fece udire una risatina secca, per nulla divertita. “Ormai è diventata una favola, in casa. Perfino tra la servitù!”
“Be’, sono poveri in canna, se non sbaglio!” interloquì Lavinia, che a scuola era stata brava in storia, cosicché approfittò dell’occasione per dare sfoggio della sua erudizione. “Mi sono sempre domandata perché la plebaglia francese abbia mandato Maria Antonietta alla ghigliottina semplicemente per aver detto che se non avevano pane, avrebbero potuto mangiare brioches. Insomma, secondo me, se una persona è poverissima ha tutte le ragioni per cogliere l’occasione al volo e rimpinzarsi di dolciumi… E infatti, basta guardare zia Drusilla!”
“Poveri lo sono,” confermò Alicia, “e dal momento che Missy è la loro unica speranza, credo proprio che continueranno ad esserlo.”
Questa frase suscitò uno scroscio di risa.
“E’ un peccato che non si possa far fuori le persone come si decidere di abbattere le case.” deplorò un’altra voce, quella di una cugina di quarto o quinto grado che si chiamava Junia. La delusione per non essere stata eletta damigella aveva concentrato il suo veleno naturale in due gocce micidiali.
"In effeti, cara Junia, oggigiorno siamo anche troppo benevoli con questa gente." incalzò Alicia. "Dobbiamo smettere di sopportare le varie zie Drusie e Octie e Julie e Cornie, e la cara cugina Missy e tutta la brigata delle vedove e delle zitelle. Prendete il mio matrimonio. Ci sono loro e rovinano tutto. Ma la mamma salta su a dire che siamo tenuti a invitarle, che non possiamo farne a meno, ed è inutile dire che saranno le prime ad arrivare e le ultime ad andarsene. E' un po' quello che succede con i foruncoli e i brufolini: saltano sempre fuori quando proprio non sarebbe il caso. Ad ogni modo, la mamma ha avuto un'idea luminosa che ci risparmierà quegli odiosi vestiti marrone. Ha comprato il mio corredo a zia Drusie per duecento sterline. E per la verità devo riconoscere che fanno dei lavori estremamente raffinati, così almeno la mamma non ha sprecato i suoi quattrini, grazie a Dio. Federe ricamate chiuse con minuscoli bottoni rivestiti di stoffa, e ogni bottone coperto da una specie di bocciolo di rosa. Splendide, niente da dire! Comunque, l'idea della mamma ha funzionato, perché zio Herbert ci ha raccontato sottobanco che Missy è andata in negozio a comprare tre tagli d'abito: uno lilla per zia Drusie e uno blu per zia Octie. Qualcuno indovina di che colore è quello per la cugina Missy?"
"Marrone!" risposero tutte ad una voce, e fece eco un accesso di ilarità.
"Ho un'idea!" esclamò Lavinia, quando le risa cessarono. "Perché non dai a Missy uno dei tuoi abiti smessi, di un colore che le doni?"
"Sei impazzita?" rispose Alicia, sprezzante. "Piuttosto, preferirei morire. Vedere uno dei miei vestiti indosso a quella seccherellona che sembra una spagnola o una messicana? Se ci tieni tanto, cara Lavinia, perché non le dai tu uno dei tuoi vecchiumi?"
"Per la semplice ragione," rispose Lavinia in tono acido, "che io non sono nella tua posizione finanziaria, cara Alicia! Del resto spetta a te pensarci, dal momento che il suo aspetto fisico ti infastidisce tanto! Hai un sacco di vestiti color ambra, oro antico, albicocca. Credo che un vestito di queste tonalità starebbe benissimo a Missy."
A questo punto Missy era riuscita a mettersi carponi, uscendo dal folto dei rododendri e portandosi sul viale. Avanzò così, ginocchioni, fino a togliersi dalla visuale della finestra, dopo di che riuscì ad alzarsi in piedi e corse via. Le lacrime le rigavano le guande, ma non si curava di fermarsi ad asciugarle: era sopraffatta dalla collera e dalla vergogna e non le importava che qualcuno la vedesse.
Qualunque cosa potesse venir detta sul suo conto da chicchessia non aveva il potere di offenderla. Tale quanto meno era sempre stato il suo pensiero ogni qual volta le era avvenuto di riflettere su tutto ciò che di offensivo o di sprezzante potesse venir detto sulla sua persona. E in effetti non si poteva dire che fosse risentita sul piano personale. Ciò che invece la esacerbava erano le cose ignobili che Alicia e le sue amiche avevano detto di sua madre e di tutte quelle povere zie nubili, persone degnissime, onorate, lavoratrici, grate per ogni attenzione di cui fossero oggetto, ma fiere di non accettare tutto ciò che che esalasse sentore di compassionevole beneficenza. Come osava Alicia parlare di donne infinitamente più degne di ammirazione con tanto cinismo, con tanta gratuita acredine? Chissà come si sarebbe comportata Alicia, se si fosse trovata nella loro situazione!
Mentre percorreva le vie di Byron, afflitta dal dolore al fianco che improvvisamente si era rifatto sentire, Missy pregava in cuor suo che la biblioteca fosse aperta, perché in tal caso di turno vi sarebbe stata Una. Ah, come avvertiva il bisogno di Una questa sera! Ma le vetrine erano scure, e un cartello applicato alla porta diceva semplicemente: CHIUSO.

Octavia se ne stava seduta nella cucina di Missolungi. Si era rimessa i suoi indumenti da lavoro, e sulla stufa cuoceva adagio adagio il suo poco cibo dentro un pentolino. Stufato. Le sue mani deformi lavoravano agili e veloci con gli aghi da calza, dando vita a uno scialle da sera lieve ed evanescente come una ragnatela, destinato ad essere il regalo di nozze all'ingrata Alicia.
"Ah!" esclamò, posando il lavoro quando Missy entrò in casa. "Ti sei divertita, cara? E c'è anche tua madre con te?"
"Non mi sono divertita affatto, per cui ho preferito precedere la mamma." disse Missy senza dilungarsi, dopo di che prese il secchio del latte e si dileguò.
La mucca attendeva paziente di essere riportata nella stalla. Missy sporse una mano per accarezzare il muso scuro e vellutato, e a lungo fissò i suoi occhi in quelli castani della bestia, dolci e sgranati.
"Buttercup, sei molto più simpatica di Alicia, tu, e francamente non capisco perché dire di una donna che è una vacca sia un insulto imperdonabile. D'ora in avanti, le donne che gli altri chiamano vacche io le chiamerò Alicia." Missy rivolse queste parole all'animale mentre lo conduceva nella stalla; qui Buttercup prese posto docilmente nella nicchia della mungitura e si lasciò mungere senza recalcitrare, senza protestare, anche se le mani di Missy erano fredde, come succedeva molto spesso. E questo, d'altronde, era il motivo per il quale Buttercup dava del latte squisito. Le buone mucche danno del buon latte.





(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:09
Le Signore di Missolungi - (continua)





Quando Missy rientrò in casa, Drusilla era tornata. Era loro abitudine versare gran parte del latte appena munto in certi grandi recipienti bassi e larghi, conservati in ombra, nella veranda posteriore della casa. Mentre versava il latte, udì sua madre intrattenere zia Octavia con la descrizione entusuasta del party nuziale di Alicia.
"Ah, sono proprio contenta che almeno una di voi si sia divertita." disse Octavia. "Tutto quello che sono riuscita a farmi dire da Missy è che il ricevimento non le è piaciuto affatto.. Probabilmente è soltanto perché non ha amici."
"E' vero, e a nessuno dispiace quanto a me. Ma la morte del mio Eustace ha tolto a Missy ogni possibilità di avere delle sorelle o dei fratelli, e questa casa è così fuori di Byron, che nessuno se la sente di avventurarsi sin qui per venire a farci visita regolarmente."
Missy attendeva che venissero svelate anche le colpe di cui si era macchiata, ma Drusilla non menzionò i suoi peccati. Ritrovò il coraggio e varcò la soglia. Dal giorno del suo attacco di cuore aveva trovato il coraggio di affermare la sua personalità e, stando almeno alle apparenze, anche a sua madre riusciva più facile accettare quei sintomi d'indipendenza senza precedenti. Ma in realtà non era stato il disturbo cardiaco a provocare quella svolta, in lei. La vera responsabile era Una. Sì, tutto risaliva all'arrivo di Una, alla sua schiettezza, alla sua franchezza, al suo rifiuto di subire le imposizioni di chicchessia. Una avrebbe detto a un idiota presuntuoso come James Hurlingford di andare a farsi fottere. Una non avrebbe esitato, se le fosse passato per la testa, a dire ad Alicia quattro paroline secche, di quelle che il destinatario si ricorda fatalmente per un pezzo. Una avrebbe preteso che il prossimo la trattasse sempre con il dovuto rispetto. E in certo qual modo tutto questo aveva fatto presa su un'allieva improbabile come Missy Wright.
Quando Missy entrò, Drusilla si alzò in piedi. Era raggiante.
"Missy," esclamò, "ci crederesti? Quando stavo per venir via, Alicia mi è venuta incontro e mi ha dato questo, perché tu possa indossarlo il giorno del suo matrimonio." Girò intorno alla sedia sulla quale poco prima sedeva e raccolse una grande scatola posata sul pavimento. "Mi ha assicurato che il colore ti avrebbe donato a meraviglia, sebbene personalmente non avrei mai pensato di scegliere per te una tinta simile. Suvvia, dà un'occhiata."
Missy se ne stava in piedi, voltandole le spalle, mentre sua madre frugava nella scatola e ne dissepelliva un abito di organza rigido e spiegazzato, che si affrettò a scuotere e a tendere verso la figlia, per sottoporlo alla sua abbacinata ammirazione. In effetti era un bel vestito di colorazione indefinibile, un misto di beige, di giallo e di ambra, senza che richiamasse esattamente una di queste tinte. Un occhio esperto avrebbe capito subito, dalla foggia del collo e della gonna arricciata, ch'era passato di moda da cinque o sei anni buoni. Nondimeno era un abito bellissimo, e procedendo a cambiamenti sostanziali sarebbe stato, per Missy, l'ideale.
"E il cappello? Guarda che splendore!" squittì Drusilla, estraendo dalla scatola un cappello di paglia grande come una ruota e dando un'aggiustata alla massa caotica di organza, identica a quella del vestito, che lo ricopriva. "Hai mai visto un cappello come questo? Non è un vero splendore? Missy, tesoro, avrai anche un paio di scarpe. E se non sono pratiche, pazienza."
A questo punto Missy non poté più reggere al peso dell'angoscia e dell'indignazione. Fece un passo avanti, a braccia tese, per accogliervi la munifica elargizione di Alicia, e subito sua madre vi depose l'abito e il cappello.
"Indosserò il mio vestito nuovo di satin marrone, i miei robusti stivaletti e il mio cappello di lana fatto in casa." annunciò a denti stretti, dopo di che girò sui tacchi e si diresse a grandi passi verso la porta sul retro, con tutta quell'organza che le volteggiava attorno come i tentacoli sommersi di una medusa.
Non era ancora completamente buio. Mentre si avviava a grandi passi verso la stalla della mucca, all'orecchio di Missy pervenivano, da un punto imprecisato alle sue spalle, le grida concitate e inorridite della madre e della zia. Ma quando le due donne la raggiunsero, non c'era più niente da fare: abito e cappello sguazzavano nell'obbrobio del concime, e Missy, armata di una vanga, era impegnata ad ammucchiare tutto il letame disponibile sopra il bel gesto di sua cugina Alicia.
Drusilla si sentiva indicibilmente offesa. "Come hai potuto, Missy? Come hai potuto fare una cosa simile? E pensare che, per una volta tanto, potevi vestirti come una bellezza!"
Missy appoggiò la vanga alla parete della stalla e si strofinò le palme delle mani, soddisfatta. "Toccherebbe a te, prima che a chiunque altro, capire come mai ho potuto." disse. "Nessuno ha un orgoglio più irriducibile del tuo, nessuno ha la tua prontezza nel riconoscere nel più benevolo dei doni una forma di beneficenza mascherata. E allora perché vuoi negarmi la mia parte di questo orgoglio? L'avresti accettato, il regalo, per te? E allora perché vorresti che lo accettassi io? Credi davvero che Alicia abbia agito per farmi cosa grata? Nemmeno per idea! Alicia vuole soltanto che il suo matrimonio riesca perfetto in ogni minimo dettaglio, fino all'abitodell'ultimo invitato, e io invece rovinavo le cose! Così ha deciso di fare una congrua beneficenza a Missy Wright per ottenere lo scopo che le sta così a cuore. Tante grazie, ma io preferisco fare la cenerentola nello stile di casa mia che la principessa vestita di seta per ottemperare alle intenzioni di Alicia. E glielo dirò chiaro e tondo in faccia!"
Glielo disse infatti, il giorno dopo. Sebbene Drusilla si fosse alzata nel cuore della notte e si fosse recata furtivamente nella stalla, armata di una lampada, l'abito e il cappello erano scomparsi dal luogo immondo cui sua figlia li aveva destinati, e non li vide mai più. Né scoprì mai quale sorte avessero subito, perché gli eventi maturati in quel memorabile venerdì mattina in casa Marshall furono così sconvolgenti che nessuno si premurò di rivelarglielo.
Missy arrivò all'ingresso di Mon Repos verso le dieci di mattina, oberata da un pacco assai voluminoso ma incartato con grande cura, che lei reggeva nondimeno con palese disinvoltura con un dito infilato in un anello dello spago. Se il domestico avesse avuto nozione della costernazione che già regnava tra le mura del salottino, è assai dubbio che Missy avrebbe avuto la possibilità di portarsi oltre la soglia. Ma il domestico non era informato al riguardo. onde poté recare il suo modesto contributo personale all'atmosfera generale di catastrofe.
Il salottino, che non era invero molto piccolo, era alquanto affollato da persone corpulente, allorché Missy vi mise piede portandosi appresso il suo involto. C'erano zia Aurelia, zio Edmund e Alicia, nonché Ted e Randolph, il terzo Sir William e il piccolo Willie, suo rampollo ed erede. Lady Billy non c'era perché assisteva una cavalla in procinto di figliare.
"Non capisco!" stava dicendo Edmund Marshall nel momento in cui Missy rivolgeva al domestico un sorriso e un gesto per lasciargli intendere che si sarebbe annunciata da sola, non appena fosse stato possibile. "Non capisco proprio. Com'è possibile che ci siano sfuggite tutte queste azioni? Come può essere successo? Chi diavolo le ha vendute e chi diavolo le ha comprate?"
"Da quanto hanno potuto stabilire i miei agenti," disse il terzo Sir William, "ogni singola azione che non fosse in possesso di un vero e proprio Hurlingford è stata comprata a un prezzo parecchie volte superiore al suo valore attuale, dopo di che il misterioso compratore ha cominciato a operare scorrerie tra le azioni di proprietà degli Hurlingford. Come o quando o perché, non mi è dato di saperlo, ma fatto sta che è riuscito a scoprire tutti gli Hurlingford bisognosi di denaro e tutti gli Hurlingford che non sono legati a Byron, e ha fatto delle offerte che nessuno poteva rifiutare."
"Non diciamo ridicolaggini!" sbottò Ted. "Per il denaro che ha pagato, non riuscirà mai a recuperare lo sborso. Voglio dire che la Byron Bottle Company è una piccola azienda che funziona bene, ma non è una miniera d'oro e neppure l'elisir di lunga vita. D'altro canto i prezzi che ha pagato sono quelli che uno speculatore è disposto a pagare sulla base di una sicura informazione, secondo la quale l'impresa in questione vale tanto oro quanto pesa."
"Sì, sono d'accordo," disse Sir William, "ma non sono in grado di risponderti perché non so come siano andate le cose."
"Insomma, siamo ridotti a piccoli azionisti. E' questo che vuoi dire, zio Billy?" domandò Alicia, che conosceva a fondo le procedure e la terminologia del mondo degli affari, ed era altresì un'azionista più che rispettabile della Byron Bottle Company, dal momento che Chez Chapeau Alicia aveva messo una discreta quota di capitale nelle sue mani e la sua avida natura l'aveva lusingata convincendola a entrare nei più sicuri reami della speculazione.
"Mio Dio, no, non ancora!" esclamò Sir William. Poi, meno fiducioso, si affrettò ad aggiungere: "Riconosco tuttavia che la situazione può diventare precaria, a meno di non riuscire a tamponare l'emorragia delle azioni che stiamo perdendo o a metterci in condizione di acquistarne altre."
"Ci sono, qui a Byron, piccoli azionisti dai quali potremmo comprarle per primi?" domandò Randolph.
"Be', qualcuno c'è, specie tra le donne, e due o tre fra le vecchie zitelle che le hanno ereditate per caso, anche se in realtà non ne avevano diritto. Naturalmente a loro non è mai stato pagato un dividendo."
"E come ci sei riuscito, zio Billy?" chiese ancora Randolph.
"Sir William sbuffò con aria sprezzante. "Cosa vuoi che sappiano, di azioni e cose del genere, certe vecchie pollanche imbecilli come Julia, Cornelia od Octavia? Volevo evitare che pensassero di possedere qualcosa che rivestiva un discreto valore, così ho dato loro ad intendere che le azioni non avevano valore perché per diritto appartenevano a Maxwell o a Herbert. Comunque, invece di fare tante storie, mi sono limitato a informarle che per correggere l'errore era sufficiente destinarle per testamento ai figli di Maxwell e di Herbert."
"Zio, sei un genio!" esclamò Alicia, ammirata.
Sir William le scoccò una delle sue occhiate insistenti e lascive. Alicia cominciava a domandarsi se dopotutto non sarebbe stato facile tenere zio Billy a portata di mano, una volta compiuto il gran passo nuziale e dopo il trasferimento tra le pareti di Hurlingford Lodge, ma rimandò quella decisione a più tardi.
"Dunque, la prima cosa che ora dobbiamo fare è entrare in possesso delle quote delle vecchie streghe." disse Edmund Marshall, alquanto tetro in volto. "Però, Billy, devo essere pienamente sincero con te: al momento non so proprio dove rimediare della liquidità immediata. Dovrei tagliare drasticamente le spese, il che non sarebbe gradito ai miei familiari. C'è in ballo il matrimonio di Alicia, sai com'è..."
"Se è per questo, mio caro, sono anch'io sulla stessa barca." rispose Sir William, desolato, con le parole che sembravano serrarglisi in gola. "Senza contare queste dannate voci di una guerra in Europa. La gente che propaga dicerie del genere ha un potere veramente micidiale!"
"Ma perché comprare le azioni?" domandò Alicia. E nella sua voce si coglieva un lieve accento di disprezzo al cospetto della loro dabbenaggine. "Basta che andiate da zia Cornie e da zia Octie a domandargliele. Ve le daranno senza batter ciglio!"
"E va bene, con loro possiamo agire così. E anche con Drusilla, immagino. Cosa diamine aveva in testa Malcolm Hurlingford , quando ha deciso di lasciare delle quote azionarie alle sue figlie? Lo domando a voi! Ha sempre avuto un debole per le figlie femmine, e c'è soltanto da ringraziare il cielo che Maxwell e Herbert non abbiano ereditato le tendenze del padre. In quanto a questo, sono diversissimi." Sir William sospirò, impaziente. "Sì, faremo un discreto raccolto. Tuttavia, anche se, come sostiene Alicia, le vecchie streghe mollassero le loro azioni senza protestare, poi dovremmo affrontare i mezzi Hurlingford e i vari congiunti, i quali con ogni probabilità non sarebbero disposti a separarsi dalle loro azioni senza un'adeguata contropartita finanziaria. Ad ogni modo, vedremo di riuscirci, sempre ammesso che non entrino nel giro del misterioso compratore, perché noi non siamo in grado di competere con prezzi del genere."
"Cosa potremmo vendere sui due piedi per raccogliere fondi?" domandò Alicia, asciutta.
Tutti si voltarono a guardarla, mentre Missy, fino a quel momento inosservata, s'intrufolava guardinga, passando dal suo cantuccio vicinoalla porta (contro la quale la sua figura e il suo abito marrone non acquistavano il minimo risalto) a un altro anfratto più sicuro, dietro una delle grandi kentie che zia Aurelia aveva sparso in ogni stanza della sua bellacasa.
"Tanto per cominciare," disse Sir William, "Ci sono i maledetti cavalli di Lady Billy." Ed emise un sospiro di sollievo.
"E i miei gioielli." incalzò Aurelia, risoluta.
"E anche i miei." le fece eco Alicia, scoccando un'occhiata risentita a sua madre, che l'aveva preceduta nel formulare quella nobile profferta.
"Il fatto è," intervenne Edmund, "che il compratore misterioso, o forse i compratori, sembra sapere chi possegga le azioni della Byron Bottle molto meglio di quanto lo si sappia noi, che ne siamo il consiglio d'amministrazione. Quando ho consultato l'elenco degli azionisti, in molti casi ho dovuto constatare che le azioni erano passate dalla persona titolare in altre mani, per lo più di nipoti dei due sessi. Si tratta sempre di parenti, è vero, ma che in pratica sono degli estranei. Non mi era mai passato per la testa che un Hurlingford potesse rinunciare a un diritto acquisito con la nascita prima di passare a miglior vita!"
"I tempi cambiano." sospirò Aurelia. "Quando ero una ragazza, il clan Hurlingford era una leggenda. Oggi invece si direbbe che almeno qualcuno tra i giovani abbia perduto il senso della famiglia e se ne infischi."
"Li abbiamo viziati troppo." disse Sir William. Si schiarì la gola, batté le mani sulle cosce e annunciò con grande decisione: "E va bene, concediamoci un paio di giorni di riflessione, e lunedì cominciamo a raccogliere tutta la liquidità possibile."
"Chi si assume l'incarico di interpellare le zie?"
"Alicia." rispose Sir William, senza un attimo di esitazione. "Ma sarà bene che aspetti ancora un poco, quando la data delle nozze sarà più vicina. Così sarà più facile imbrogliarle, facendo credere loro che si tratti di un dono di nozze."






(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:13
Le Signore di Missolungi - (continua)





"E se per caso il compratore misterioso fosse più tempestivo di noi e riuscisse ad abbordarle prima?" domandò Ted, che era sempre molto apprensivo, e che pertanto non aveva tardato a sentirsi pienamente responsabilizzato del caso.
"C'è una cosa della quale puoi essere assolutamente sicuro, caro Ted," gli rispose Sir William, "e cioè che nessuna di quelle vecchie galline si sognerebbe mai di staccarsi da qualcosa che appartiene agli Hurlingford a favore di un estraneo senza prima consultarsi con me o con Herbert. Il compratore potrebbe offrir loro anche una fortuna, e quelle insisterebbero ugualmente per consigliarsi prima con Herbert o con me." E Sir William era così convinto del suo asserto che sorrise compiaciuto.
Approfittando della confusione generale, nel momento in cui quel gruppo di persone allarmate e inquiete si sforzava di trovare un pretesto per porre fine al convegno, Missy s'introdusse di botto, imponendosi vistosamente a tutti. E tutti, in effetti, la notarono immediatamente, sebbene concordassero nel non gradire affatto quella sua estemporanea apparizione.
"Che cosa vuoi?" domandò Alicia sgarbata.
"Sono venuta a dimostrarti quanto apprezzo la tua carità, e a dirti che sarò ben lieta di venire alle tue nozze vestita di marrone come sempre." disse Missy avanzando in mezzo alla stanza e lasciando cadere il pacco sulla tavola, proprio davanti ad Alicia. "Ecco qua. Grazie tante. Anzi, niente grazie."
Alicia la guardò come avrebbe guardato l'escremento di un cane che il suo piede avesse scansato per miracolo. "Non ti va? Figurati! Come preferisci!"
"Come preferisco, appunto!"
Sollevò lo sguardo su Alicia, che era molto più alta di lei (diceva di essere sul metro e settantadue, ma lo superava di parecchio), con un ghignetto sarcastico. "Coraggio, Alicia, aprilo: l'ho tinto di marrone appositamente per te."
"Cos'hai... fatto?" Alicia cominciò ad annaspare coi nodi dello spago, e Randolph le venne in aiuto col suo temperino. Una volta reciso lo spago, l'involto si aprì quasi spontaneamente e ne emersero il bellissimo cappello e il favoloso abito di organza sconciamente imbrattati di ciò che aveva in tutto e per tutto l'aspetto - e l'odore - di sterco vaccino e suino, sanissimo, molliccio.
Alicia si lasciò sfuggire un grido di orrore che persistette e si prolungò fino a diventare un fievole lamento, dopo di che si allontanò di scatto dalla tavola, mentre la madre, il padre, i fratelli, lo zio e il fidanzato vi si affollavano attorno per guardare.
"Sei una schifosa!" urlò alla raggiante cugina Missy. "Sei una canaglia, una sgualdrina!"
"Ma no, ma no, nemmeno per idea!" rispose Missy, divertita e soddisfatta.
"Anzi, sei molto peggio. E puoi considerarti fortunata che io sia troppo signora, perché questo m'impedisce di dirti cosa realmente sei!" sbraitò ancora Alicia, quasi soffocando, incapace di stabilire con se stessa cosa l'avesse sconvolta maggiormente: se l'orrendo crimine o colei che lo aveva perpretato.
"Invece tu puoi considerarti sfortunata che io non sia una signora," disse Missy, "perché questo mi permetterà di dirti cosa realmente sei, cara Alicia. Ho solo tre giorni più di te, di conseguenza sei molto più vicina ai trentaquattro che non ai trentatré. E adesso, eccoti qua, montone vestito da agnello, sfacciata come poche, sul punto di sposare un moccioso che ha la metà dei tuoi anni, o poco più. Come età, suo padre andrebbe meglio! Non sei altro che una cinica cacciatrice di bambocci! Quando Montgomery Massey è andato al Creatore prima che tu riuscissi a trascinarlo all'altare, sfuggendo così a un destino più ingrato della morte, non hai più avvistato all'orizzonte qualcuno che valesse anche soltanto un decimo di quel che valeva lui. E allora hai cominciato a far la posta a Willie, poverino, che aveva ancora i ricciolini e giocava al cerchio con il vestito da marinaretto, e hai deciso che un giorno saresti diventata Lady Willie. Non dubito che, se le circostanze te lo avessero permesso, saresti stata altrettanto felice di diventare Lady Billy anziché Lady Willie, e forse anche di più, perché avresti conquistato il titolo senza perdere tempo. Ammiro la tua faccia tosta, Alicia, ma non ammiro te. E provo compassione per Willie, poveraccio, lo aspetta una vita grama, è un fantoccio conteso da sua moglie e da sua madre."
L'oggetto di tanta pietà se ne stava in piedi con gli altri familiari, e contemplava Missy a bocca aperta come se lei fosse emersa nuda dai recessi di una torta gigantesca e si fosse messa a ballare il can-can. Aurelia aveva ceduto a un attacco isterico, ma gli altri membri dell'uditorio di Missy erano a tal punto stupefatti, da non essersi accorti delle sue condizioni.
Sir William fu il primo a riaversi dallo sbalordimento. "Esci da questa casa!"
"E' quello che sto per fare." rispose Missy che non nascondeva la sua soddisfazione.
"Non ti perdonerò mai!" strillò Alicia. "Come ti permetti? Come osi?"
"Va' a farti fottere nel didietro, Alicia," disse Missy. "Grosso com'è, dev'essere di soddisfazione." Dopo di che si volse e se ne andò.
Fu, come suol dirsi, la goccia che fa traboccare il vaso. Alicia si irrigidì fino a diventare dura come un bastone; dalla bocca le sfuggì un suono strano, tra il gemito e il gorgoglio, e cadde lunga distesa, raggiungendo sua madre sul pavimento.

Ah, che soddisfazione! Ma non appena ebbe disceso il declivio di George Street che portava nel centro di Byron, l'euforia divertita di Missy venne meno. Al confronto con l'argomento della conversazione in corso durante la prima e inosservata fase della sua permanenza nel salottino, l'esibizione del profanato abbigliamento di Alicia era una bazzecola. Quelle povere donne! Non che Missy la sapesse più lunga, sul mondo degli affari e delle aziende, della madre e di zia Octavia, ma non le mancava l'intelligenza necessaria per intuire l'insidia celata nelle parole di Sir William. E sapeva altresì delle azioni, perché Drusilla conservava le sue e quelle di zia Octavia dentro un armadio, in una piccola cassaforte di metallo, unitamente ad altri documenti come quelli legali relativi alla proprietà di Missolungi e dei cinque acri di terreno. Dieci azioni per ciascuno. In totale, venti. Il che probabilmente stava a significare che anche zia Julia e zia Cornelia ne possedevano dieci per ciascuna. Dividendi. Si trattava, evidentemente, di un versamento periodico in denaro, di un pagamento da effettuarsi a intervalli, una quota sui profitti dell'azienda.
Perché mai gran parte degli uomini di sua conoscenza erano così spregevoli? Sir William era smanioso di proseguire nell'odiosa politica del primo Sir William, in modo che gli sventurati membri femminili della famiglia, che conducevano un'esistenza grama in dignitosa e tormentosa povertà, non si giovassero dei frutti derivanti dall'imbottigliamento di un'acqua che, a ben vedere, era un dono di Dio e non degli Hurlingford. Zio Maxwell era un ladro della peggior specie, ricco di suo, ma non per questo meno smanioso di rubare sulle uova, sul burro, sugli ortaggi dei suoi parenti poveri, perché aveva dato ad intendere che vendere ad altri sarebbe stato un atto di imperdonabile slealtà. Zio Herbert aveva comprato non poche delle famose case con gli annessi cinque acri a un prezzo nettamente inferiore al valore di mercato, dimostrando così di appartenere alla stessa razza di suo fratello Maxwell. Solo che era peggiore, perché rubava anche su quel poco che aveva versato ai venditori, dicendo che l'investimento posto in atto per accrescere la somma da lui concessa aveva fatto fiasco.
Tuttavia Missy doveva riconoscere, per obiettività di critica, che non soltanto i maschi erano deprecabili. Se le varie Aurelia, Augusta e Antonia, sposatesi in seno alle fortune familiari, avessero saputo esercitare una maggiore pressione sui mariti, forse le cose sarebbero cambiate. Anche i tiranni possono essere tiranneggiati dalle mogli.
Insomma, bisognava far qualcosa. Cosa, però? Missy era incerta se raccontare tutto quanto a casa, oppure no. Poi concluse che non l'avrebbero creduta e che, quand'anche l'avessero creduta, sua madre e sua zia avrebbero finito per farsi privare dei loro legittimi diritti. Qualcosa andava fatto, e subito, prima che Alicia cominciasse a ronzare attorno per assicurarsi le azioni, perché non c'era dubbio che lo avrebbe fatto.
Quel giorno la biblioteca era aperta. Missy sbirciò dalla finestra, persuasa di scorgere all'interno la faccia arcigna e malmostosa di Livilla. Vide Una, invece, cosicché si volse e tornò sui suoi passi.
"Missy! Che bella sorpresa! Non mi aspettavo di vederti, oggi!" esclamò Una, sorridendo, come se davvero fosse stata una festa per lei l'inattesa apparizione dello sgorbio, della ciabatta di famiglia.
"Sono furente!" disse Missy, e sedette sulla scomoda seggiola ad uso di chi indugiava a sfogliare i libri, facendosi vento con la mano.
"Cosa ti succede?"
Missy si rese conto all'improvviso di non poter esporre quel piccolo consesso di parenti stretti allo sprezzo di una persona lontanamente imparentata con il ramo di Byron del clan degli Hurlingford. Pertanto si vide costretta al compromesso dell'evasività. "Oh, niente." fu la sua laconica risposta.
Una preferì non insistere. Si limitò a sorridere annuendo e irraggiando quella simpatia che pareva promanare dalla pelle, dalle unghie, dai capelli, e che aveva il potere di attutire gli impeti di collera.
"Ti andrebbe un goccio di tè, prima di affrontare la lunga camminata per tornare a casa?" domandò alzandosi in piedi.
Quella tazza di tè assunse le proporzioni di un elisir di lunga vita. "Oh, sì, grazie!" propruppe Missy con trasporto.
Una scomparve dietro l'ultimo scaffale, in fondo alla grande stanza, dove in un minuscolo cubicolo c'era tutto il necessario per preparare la bevanda. Non c'era invece una toilette, come d'altronde era la norma in quasi tutti i negozi di Byron, perché sembrava logico aspettarsi che gli avventori si servissero del Byron Waters Baths, e si affrettassero a raggiungerli in caso d'impellente necessità.
Parve a Missy una buona idea ingannare l'attesa dando un'occhiata ai romanzi. Si portò dunque in fondo al locale e prese a scorrere i libri posati su uno scaffale che sporgeva fino a rasentare il bordo dello scrittoio di zia Livilla. Fu allora che il suo occhio, scivolando di lato, oltre la scrivania, dove lo scaffale si allungava ulteriormente, notò un fascio di scartoffie dall'aspetto familiare. Era un pacco di certificati azionari della Byron Bottle Company.
Una ricomparve. "Il bollitore è sul fuoco, ma ci vorrà parecchio su un fornello a spirito." I suoi occhi seguirono lo sguardo di Missy, poi si fissarono sul volto dell'amica. "Non è fantastico?" disse.
"Cosa?"
"Il denaro che viene offerto in cambio delle azioni della Byron Bottle. Dieci sterline l'una! Mai vista una cosa simile! Sai, Wallace aveva qualche azione delle mie, e quando ci siamo separati me le ha restituite, dicendo che non voleva trattenere la pur minima cosa che gli ricordasse gli Hurlingford. Io possiedo soltanto dieci azioni, ma al momento posso disporre di un centinaio di sterline, e ti dirò (resti fra te e me), in questo momento zia Livvie è abbastanza a corto di quattrini, così l'ho persuasa a cedermi le sue venti azioni, dopo di che le venderò insieme con le mie."
"Ma come ha fatto zia Livilla a entrare in possesso delle azioni?"
"E' stato Richard a dargliele quando non era in grado di pagarla in denaro liquido e aveva un bisogno di soldi così disperato che era costretto a chiedergliene in prestito. Povero Richard! Punta sempre sul cavallo sbagliato! E lei, quando si tratta di riscuotere i suoi crediti, è di una pignoleria incredibile, anche quando si dia il caso che il debitore sia suo figlio in persona. Così lui le ha intestato un certo numero delle sue azioni della Byron Bottle, ed è servito a chiuderle la bocca."
"Come sarebbe a dire? Ne possiede ancora?"
"Certamente. Tesoro, è un uomo, lui! E' un maschio Hurlingford! Credo però che ora le abbia vendute tutte, perché è stato lui a segnalarmi questo compratore mandato da Dio."
"Ma come potete cedere delle azioni a un estraneo?"
"Attraverso una procura. Guarda." Una prese un formulario in carta rigida, formato protocollo. "Lo compri in cartoleria, come quello per fare testamento. Dopo di che lo compili, riportando ogni dettaglio, lo firmi e lo firmano anche le persone che autorizzi ad agire in tuo nome, oltre a un altro che lo sottoscrive come testimone."
"Ho capito." rispose Missy, dimenticando d'ispezionare lo scaffale dei romanzi. "Senti Una, hai l'indirizzo di qualcuno che compri le azioni della Byron Bottle Company?"
"Be, puoi farlo anche qui, anche se io lunedì porto a vendere di persona tutta la baracca a Sidney. C'è da esser più sicuri. Ecco perché oggi sono in biblioteca, lunedì ho bisogno di essere libera." Una si alzò per andare a preparare il tè.
Missy rifletteva. E se avesse tentato di entrare in possesso delle azioni delle zie prima che Alicia ci si buttasse sopra? Perché permetterle di uscire vincente da quella sfida quando nella sfida appena conclusa la perdente era stata lei?
Quando Una tornò con il vassoio, Missy aveva preso la sua decisione.
"Oh, grazie." disse, prendendo la sua tazza. "Una, è proprio indispensabile che tu vada a Sidney lunedì? Non potresti spostare a martedì?"
"Se credi... perché no?"
"Ho un appuntamento martedì mattina con uno specialista di Macquarie Street." spiegò Missy con qualche cautela. "Avrei dovuto andarci con Alicia, ma... non credo, tutto sommato, che gradisca la mia compagnia. Può darsi che abbia da vendere qualcuna di quelle azioni, e se potessi venire con te mi sarebbe meno difficile. Sono stata solo due volte a Sidney, da bambina, cosicché non conosco la città."
"Ma certamente, facciamo pure martedì. Sarà divertente!" E Una parve brillare di una luce improvvisa, interiore.
"Tuttavia ho paura di doverti chiedere anche un altro favore."
"Ma certo, tesoro. Cosa vuoi?"
"Ti spiacerebbe andare in cartoleria, qui accanto, a comprarmi quattro di questi formulari di procura? Sai com'è, se andassi io stessa, c'è da giurarci che zio Septimus vorrebbe sapere perché mai mi servono dei formulari del genere, dopo di che si precipiterebbe a spifferare tutto a zio Billy o a zio Herbert o a zio Maxwell, e francamente le cose che mi riguardano preferirei tenerle per me."
"Finisco il tè e vado. Ti lascio qui a badare alla biblioteca."
Si accordarono dunque in questi termini. Inoltre Una sarebbe andata a Missolungi domenica, alle cinque, per firmare i formulari quale testimone. Per fortuna, questa volta Missy aveva portato con sé il borsellino, e nel borsellino c'erano due scellini. I formulari erano cari, infatti. Costavano tre pence ciascuno.
"Grazie." disse Missy, riponendo nella borsa della spesa i formulari arrotolati.
Aveva scelto anche due o tre libri da farsi dare in prestito.
"Mio Dio!" esclamò Una. "Sei sicura di volere Cuore turbato una seconda volta? Ma se mi hai detto che la settimana scorsa lo hai letto e riletto fino a impararlo a memoria!"
"Sì, è vero... eppure me lo voglio rileggere ancora." E Cuore turbato finì nella borsa, in compagnia dei formulari.
"Allora ci vediamo domenica pomeriggio a Missolungi. Non preoccuparti, zia Livilla non ha mai obiezioni a prestarmi il calesse e il cavallo." E Una l'accompagnò fino alla soglia, dove depose un lieve bacio sulla guancia di Missy, per nulla abituata a questo tipo di effusioni. "Su con la vita, cara, vedrai che ce la faremo." disse alla sua amica, dopo di che spinse Missy nella via.

"Mamma," disse Missy quella sera, in cucina, mentre sedeva al caldo in compagnia della madre e di zia Octavia, "le hai ancora quelle azioni della Byron Bottle Company che il nonno per testamento ha lasciato a te e alla zia?"
Drusilla, sospettosa, sollevò gli occhi dal suo lavoro di ricamo. Sebbene il recente sovvertimento gerarchico fosse in gran parte opera sua, stentava ancora ad accettarlo.
Inoltre non aveva tardato a individuare prontamente i modi più sottili e ambigui che Missy aveva ultimamente adottato. Comprese dunque che nell'aria c'era qualcosa di nuovo.
"Sì, le abbiamo ancora." disse.
Missy posò il suo lavoro di chiacchierino in grembo e fissò la madre con espressione estremamente seria. "Mamma," le domandò, "hai fiducia in me?"
Drusilla sbatté le palpebre. "Naturalmente." disse.
"Quanto costa una macchina per cucire nuova?"
"Francamente non lo so. Venti o trenta sterline, immagino, o fors'anche molto di più."
"Se avessi altre cento sterline oltre alle duecento che ti ha dato zia Aurelia in cambio del corredo per Alicia, te la compreresti una Singer?"
"Be', sicuramente ne sarei tentata."
"E allora dammi le tue azioni della Byron Bottle e permetti che le venda per tuo conto. A Sidney posso ricavare dieci sterline per ogni azione."
Drusilla e Octavia avevano interrotto il lavoro.
"Missy, cara, non hanno alcun valore." disse dolcemente Octavia.
"Non è vero che non hanno valore." rispose Missy. "La verità è che siete state ingannate da zio Billy, da zio Herbert e da tutti quanti gli altri. Loro avrebbero dovuto, a intervalli periodici, versarvi i cosiddetti dividendi, perché la Byron Bottle Company è un'azienda oltremodo prospera."
"Macché, ti sbagli." insisté Octavia, con un cenno di diniego del capo.
"Non mi sbaglio affatto. Se anni fa voi due, zia Julia e zia Cornelia foste andate a Sidney a consultarvi con un legale disinteressato, oggi sareste più ricche, questa è la verità."
"Non avremmo mai potuto agire a dispetto degli uomini." disse risoluta Octavia. "Avrebbe significato infrangere il nostro patto di fiducia. Loro sanno tutto molto meglio, ed è per questo che si occupano delle cose che riguardano anche noi. Fanno parte della nostra famiglia!"
"E come no?" sbottò Missy, sarcastica, a denti stretti. "Zia Octavia, i tuoi cari uomini hanno speculato sul fatto che sono della famiglia fin da quando gli Hurlingford hanno cominciato a esistere! Si servono di voi! Vi usano, vi sfruttano! Quando mai avete ottenuto il giusto prezzo da zio Maxwell, in cambio delle uova, del burro, degli ortaggi? Credete davvero a tutte le fandonie che racconta, alla bubbola che anche lui non ha fortuna, che lo hanno imbrogliato in questo o in quel mercato e che di conseguenza non può pagarvi meglio? E' ricco come Creso, invece! E quando mai avete avuto le prove che zio Herbert ha perso davvero i vostri soldi in un investimento errato? E' pieno di quattrini, ecco che cos'è! Non è stato zio Billy in persona a darvi ad intendere che queste azioni non hanno il minimo valore?"
La fissità dello sguardo silenzioso di Drusilla era passata dalla meraviglia al dubbio, dalla volontà di non udire al desiderio di saperne di più. E alla fine di quell'esposto gravido di veemenza appassionata, anche Octavia cominciava visibilmente a tentennare. Se a smantellare l'antico assetto fosse stata la Missy di un tempo, probabilmente si sarebbero affannate a metterla a tacere senza un attimo di esitazione; ma la nuova Missy disponeva di un'autorità che conferiva alle sue parole il suggello inoppugnabile della verità.
"Ascoltatemi," proseguì Missy in tono più pacato, "io sono in grado di vendere le vostre azioni della Byron Bottle a dieci sterline l'una, e so perfettamente che un'occasione del genere è rara come i denti in bocca a una gallina, perché io ero presente quando zio Billy e zio Edmund ne parlavano, e adesso vi racconto quello che stavano dicendo. Loro non sapevano che io stavo ascoltando, altrimenti non avrebbero fiatato. Hanno detto di voi quello che pensano, e hanno usato espressioni cariche di disprezzo. Credete a me, non ho frainteso le parole che ho sentito, e non esagero, ve lo posso assicurare. E in quel momento ho deciso che bisognava farla finita, che per una volta sareste state voi ad averla vinta, voi, zia Julia e zia Cornelia. Quindi datemi le vostre azioni e permettetemi di venderle per voi, perché vi renderanno dieci sterline ciascuna. Se invece le offrirete a zio Billy o a zio Herbert o a zio Maxwell, vi imbroglieranno inducendovi a cederle senza darvi niente in cambio."
Drusilla sospirò. "Preferirei non crederti, Missy, ma invece ti credo. E in fondo quello che dici, a ben vedere, non è poi una sorpresa."
Octavia, che si sarebbe altrimenti battuta con cieca lealtà, decise di cambiare bandiera. Infantile com'era, necessitava di precise direttive.
"Drusilla, pensa! Una Singer! Sarebbe tutto molto più facile, per te!"
"Sì, mi piacerebbe averla." ammise Drusilla.
"In quanto a me, confesso che mi piacerebbe avere in banca cento sterline tutte mie. Mi sembrerebbe di esser meno di peso!"
Drusilla capitolò. "E va bene, Missy. Prendi pure le azioni e valle a vendere."
"Sì, ma voglio anche quelle di zia Julia e di zia Cornelia."
"Lo immaginavo."
"Potrei venderle alle stesse condizioni, dieci sterline l'una. Ma anche loro devono prepararsi a darmele senza fare parola a zio Billy e a tutti gli altri. Devono tacere, assolutamente!"
"Cornelia si troverebbe sicuramente avvantaggiata da una somma di denaro come questa." disse Octavia, rivolta alla sorella, sentendosi sempre più euforica e ormai decisa a confinare nel limbo dell'oblio i suoi parenti di sesso maschile, perché le riusciva più facile che dolersi della loro perfidia e piangere sulle loro abiette insidie. "Potrebbe finalmente farsi operare ai piedi da quel famoso chirurgo di Sidney, quell'ortopedico tedesco. Sta troppo tempo in piedi. E in quanto a Julia, sai che il suo caso è disperato, ora che l'Olympus Café ha aggiunto un locale sul retro, con tavolini di marmo e un pianista che suona tutti i pomeriggi. Se avesse cento sterline, potrebbe rendere la sua sala da tè ancora più elegante di quel locale."
"Cercherò di convincerle." disse Drusilla.
"Benissimo, se ci riuscirai, dovranno venire qui a Missolungi domenica pomeriggio, alle cinque, e che portino le loro azioni. Firmerete una procura."
"Una procura? Che cos'è?"
"E' un pezzo di carta con il quale mi autorizzate ad agire in vostro nome."
"E perché proprio domenica alle cinque?" domandò Octavia.
"Perché a quell'ora la mia amica Una verrà a firmare i documenti come testimone."
"Ah, quella cara ragazza!" Poi Octavia ebbe un'ispirazione. "Le preparerò un po' dei miei biscotti."
Missy fece una risatina. "Per una volta tanto, zia Octavia, credo proprio che potremo permetterci un tè domenicale da leccarsi i baffi. Possiamo benissimo servire a Una i tuoi biscotti casalinghi, ma compreremo pasticcini, fondants, paste alla crema con la glassa, caramelle ripiene e anche... anche i lamingtons!"
Su quel menu, le due signore non trovarono nulla da ridire.





(continua)

auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:15
Le Signore di Missolungi - (continua)





Quando il martedì mattina, alle sei in punto, Missy arrivò alla stazione ferroviaria di Byron, recava con sé quaranta azioni della Byron Bottle Company, e quattro procure debitamente sottoscritte dalle interessate e dalla testimone. Avevano scoperto che Una, ad onta del suo sesso, era un giudice di pace con le carte perfettamente in regola (di tanto in tanto, aveva precisato, agiva come tale a Sidney) e pertanto aveva applicato ai documenti il sigillo pressoché ufficiale della legalità.
Una aspettava sul marciapiede del binario, e anche Alicia. Non insieme, però, perché Alicia era al capo opposto, all'altezza della locomotiva, dove sostavano le carrozze di prima classe.
"Spero che non ti dispiaccia viaggiare in seconda classe." disse Missy con una certa ansia nella voce. "La mamma è stata molto generosa con me. Mi ha dato dieci scellini per le mie spese personali e una ghinea per lo specialista, ma non voglio spendere più dello stretto necessario."
"Cara mia, i tempi in cui viaggiavo in prima sono passati da un pezzo." Una si affrettò a tranquillizzarla. "E poi fa freddo a quest'ora del mattino, e nessuno insisterà per tenere aperti i finestrini, col risultato di far entrare la fuliggine."
Gli occhi di Missy incontrarono quelli di Alicia. Alicia sbuffò, sprezzante, e ostentatamente le voltò le spalle. Tanto meglio, pensò Missy, lontanissima da ogni pentimento.
Le rotaie presero a vibrare, e poco dopo il treno arrivò in stazione. Lo precedeva una mostruosa locomotiva nera, un gigante dal quale prorompevano densi fiotti di vapore, con un tozzo fumaiolo che emetteva una colonna di fumo sporco e vorticoso.
"Sai che cosa mi piace fare?" disse Una a Missy, quando ebbero trovato due posti liberi, uno dei quali vicino al finestrino.
"No, cosa?"
"Conosci il ponte che passa sopra Noel Street, vicino all'impianto d'imbottigliamento?"
"Certo che lo conosco."
"Mi piace sostare proprio al centro e sporgermi dal parapetto nel momento in cui passa un treno. Woosh! C'è fumo dappertutto, ma è così divertente! Sembra di scendere all'inferno."
Anche tu sei così divertente, pensò Missy. Non ho mai conosciuto nessuno come te, così gaia, così piena di vita.
Quando il treno arrivò sotto la volta della Central Station, le lancette dell'orologio sulla piattaforma segnavano le nove meno venti. L'appuntamento in Macquarie Street era per le dieci, , pertanto Una dichiarò che avevano tutto il tempo che volevano per sorbire una tazza di tè al buffet della stazione. Alicia le seguì dappresso, camminando tra la folla. Evidentemente aveva indugiato a bella posta, perché di norma i passeggeri di prima classe precedevano di molto chi viaggiava in coda al treno.
"Non è quella la famigerata Alicia Marshall?" domandò Una.
"Sì."
Una emise un suono incomprensibile.
"Che te ne pare?" domandò Missy, incuriosita.
"Flaccida e banale, tesoro. Se un bottegaio tiene tutta quanta la sua merce in vetrina, sai come va a finire, non è vero?"
"Sì, lo so, ma dimmelo con le tue parole."
Una proruppe in una risata. "Ma, tesoro, lo sai, la roba scolorisce! La continua esposizione alla luce del sole è micidiale. Le concedo ancora un anno al massimo, dopo di che nemmeno il busto più impietoso riuscirà a farla sembrare snella. Diventerà una botte, una grassona neghittosa, e svilupperà un carattere terribile. Ci credo che l'uomo che sposerà sia un povero ragazzino. Avrebbe bisogno di un marito che la mettesse alla frusta e la trattasse come spazzatura."
"Temo che il povero Willie sia troppo moscio." sospirò Missy, senza riuscire a comprendere perché mai Una trovasse la sua osservazione così deliziosamente buffa.
Infatti Una continuò a ridere con accessi improvvisi per tutta la durata del percorso in tram lungo Castlereagh Street, ma si rifiutò di spiegare a Missy il perché di tanta ilarità, e quando raggiunsero l'edificio di Macquarie Street in cui si trovava lo studio del cardiologo, Missy aveva ormai rinunciato a scoprire quel mistero.
Alle dieci in punto, l'altezzosa infermiera del dottor George Parkinson in un locale onusto di paraventi mobili, impressionanti di candore e pulizia. Le fu ingiunto di togliersi tutti gli indumenti, compresi i mutandoni, e di avvolgere il suo corpo spanito in un apposito lenzuolo bianco, infine di stendersi sul lettino in attesa del dottore.
Missy non poté fare a meno di pensare che quello era davvero un modo insolito di aspettare una persona, ma quasi subito si accorse di essere sovrastata dalla faccia del dottor Parkinson. E subito si domandò che aspetto avesse costui, qualora i pelosi anfratti delle sue narici non fossero stati il tratto più vistoso della sua persona. Vegliato dall'infermiera in tacita assistenza, tamburellò le dita sul torace, le guardò con sgarbata indifferenza i miseri seni poco sviluppati, le auscultò i polmoni e il cuore con uno stetoscopio più sottile e affusolato di quello del dottor Hurlingford, le tastò il polso, le ispezionò la gola con l'ausilio di una spatola che le causò un conato di vomito affatto intempestivo, le conficcò quattro rigide e impazienti ai lati del collo e sotto il mento, poi cominciò a palparle il ventre rientrante con un moto rotatorio delle mani.
"Esame interno, infermiera." disse seccamente il medico.
"Davanti o dietro?" domandò la donna.
"Tutti e due."
Missy ebbe l'impressione di subire una grave operazione chirurgica senza il benefico intervento del cloroformio, ma il peggio ancora doveva venire. Il dottor Parkinson la fece girare a pancia sotto e prese a scavare e a premere con le mani lungo la cordigliera della sua colonna vertebrale, fino a quando, in un punto in cui le scapole sporgevano come due patetici simulacri d'ali, borbottò ripetutamente qualcosa d'incomprensibile.
"Ah ah!" esclamò, con il tono di chi abbia finalmente scovato un tesoro.
Senza alcun preavviso, Missy venne afferrata alla testa, ai piedi e alla vita dalla forza associata del medico e dell'infermiera.
Ciò che fecero si concluse così in fretta che Missy non ebbe il tempo di capire come fosse andata la faccenda. Avvertì soltanto uno stridore, uno scricchiolio tanto più orripilante in quanto lo udiva sia dentro la testa, sia all'esterno.
"Può rivestirsi, signorina Wright, poi esca da quella porta." le ordinò il dottor Parkinson, e varcò lui stesso la soglia in questione, scortato dalla sua infermiera.
Scossa e impaurita, Missy obbedì a quelle disposizioni.
Osservato nella giusta prospettiva, il medico rivelò un volto assai piacevole, con due occhi azzurri pieni di gentilezza e di schietto interesse.
"Può tornare a casa oggi stesso, signorina Wright." le disse tamburellando con le dita sopra una lettera che giaceva sul suo scrittoio, insieme con numerose altre carte e documenti.
"E' tutto a posto?" domandò Missy.
"Perfettamente a posto, il suo cuore è sano. Solo che lei ha un nervo malamente contratto vicino alla sommità della spina dorsale, e le lunghe passeggiate provocano le sue proteste, tutto qui."
"Sì, ma... non riuscivo a respirare!" mormorò Missy, sbalordita.
"Paura, signorina Wright, solo paura! Quando il nervo si contrae e si attorciglia, il dolore diventa lancinante, ed è possibile che nel suo caso inibisca qualche muscolo respiratorio. Ma non ha motivo di preoccuparsi. Poco fa le ho manipolato la colonna vertebrale, e questo dovrebbe bastare, sempre che lei si adatti a rallentare il passo ogni qualvolta percorre lunghe distanze a piedi. Ma se il dolore persistesse egualmente, le suggerisco di appendersi ad una sbarra, di farsi legare due mattoni ai piedi e di tentare di issarsi fino a toccare la sbarra con il mento, contrastando il peso dei mattoni."
"E non c'è altro che non va?"
"Si direbbe che sia contrariata." disse il dottor Parkinson con scherzoso sarcasmo. "Suvvia, signorina Wright, davvero preferirebbe avere una malattia di cuore anziché un nervo infiammato?"
Era una domanda alla quale Missy non aveva intenzione di rispondere, quanto meno non ad alta voce. Come poteva aspirare a morire tra le braccia di John Smith a causa di un nervo dolorante della colonna vertebrale? Come malanno, non era molto più romantico dei brufoli.
Il dottor Parkinson si appoggiò allo schienale della sedia e indugiò a guardarla, pensieroso, tamburellando con la penna sul ripiano di carta assorbente. Evidentemente si trattava di una sua abitudine, perchè il ripiano era costellato di minuscole macchioline azzurre, e di tanto in tanto, forse per noia, aveva cominciato a collegare tra loro i puntini più distanziati disegnando un groviglio senza senso.
"Mestruazioni!" disse all'improvviso, forse con l'intenzione di risollevarle il morale spingendo la sua indagine in ogni direzione. "A quali intervalli ha le mestruazioni, signorina Wright?"
Lei arrossì e si arrabbiò con se stessa per essere arrossita.
"Ogni sei mesi circa."
"Con perdite abbondanti?"
"No, molto scarse."
"Dolori, crampi?"
"No."
"Hmmm." Il dottor Parkinson cominciò a unire qualche puntino sul ripiano.
"Mal di testa?"
"Mai."
"Le capita spesso di svenire?"
"No."
"Hmmm." Increspò le labbra con tale successo che il labbro superiore riuscì a sfiorare la punta del naso. "Signorina Wright," disse alla fine, "la sua malattia potrà essere curata solo il giorno in cui si troverà un marito e metterà al mondo due bambini. Non credo che potrebbe sfornarne più di due, perché dubito che lei possa restare incinta molto facilmente, ma alla sua età è ora che si decida."
"Se trovassi qualcuno che si decidesse, le assicuro che da parte mia non faticherei a decidermi, dottore." rispose Missy, categorica.
"Le chiedo scusa."
In quel preciso e inopportuno momento, l'infermiera del dottor Parkinson fece capolino dalla porta e inarcò la fronte per lasciargli intendere qualcosa.
Lui si alzò di scatto per uscire. "Un momento solo, scusi."
Per lo spazio di circa un minuto, Missy rimase seduta a domandarsi se non fosse il caso di alzarsi e di andarsene, poi decise che era più corretto attendere per essere formalmente congedata.. Il nome del dottor Neville Hurlingford le balzò agli occhi dall'angolo superiore di una lettera posata sullo scrittoio, al centro di una costellazione di puntini collegati fra loro e di un grappolo di altri punti fittamente raggruppati. Indipendentemente, o quasi, dalla sua volontà, la mano di Missy si sporse a prendere la lettera.
"Caro George." diceva. "Strano davvero che debba inviarti due pazienti nel corso della stessa settimana, mentre in sei mesi non te ne ho mandato neanche uno. Ma questa è la mia vita, e l'esercizio della mia professione, a Byron. Ti scrivo per presentarti Missy Wright, una povera zitellina che ha avuto un attacco di dolori al petto, accompagnato da grave difficoltà respiratoria, al termine di una lunga passeggiata a passo rapido. Questo singolo attacco lasciava adito al plausibile sospetto che si trattasse di una manifestazione isterica, sebbene la paziente fosse pallidissima e in sudorazione. Nondimeno, il ritorno alla normalità è stato pressoché immediato, circostanza davvero sorprendente. E quando l'ho visitata, poco dopo, non ho avuto modo di riscontrare alcun residuo, alcuno strascico. Insisto a sospettare che si sia trattato di isteria, perché le circostanze specifiche della sua vita la prospettano come una diagnosi del tutto verosimile. Conduce un'esistenza misera e monotona (cfr. lo sviluppo dei suoi seni). Tuttavia, per essere più tranquillo, gradirei che tu la esaminassi allo scopo di poter escludere che sia afflitta da una seria malattia."
Missy posò la lettera e chiuse gli occhi. Dunque tutto il mondo la guardava così, con occhi compassionevoli e sprezzanti? E come poteva l'orgoglio opporsi a tanto sprezzo e a tanta compassione quando l'uno e l'altra non escludevano una sincera comprensione? Missy, come sua madre, era orgogliosa. "Misera." "Monotona." "Una povera zitellina." "Allo scopo di poter escludere che sia afflitta da una seria malattia." Come se la miseria, la monotonia e lo zitelaggio non fossero di per se stessi delle afflizioni molto gravi!
Riaprì gli occhi, stupita di accorgersi che non contenevano una lacrima. Al contrario, erano asciutti e luccicavano di collera. Dopo di che prese a frugare tra le scartoffie che ingombravano la scrivania del dottor Parkinson, per vedere se vi fosse quanto meno l'abbozzo di un eapporto sulle sue condizioni di salute. Ne trovò due, peraltro senza nomi atti a distinguerli sul piano personale. Uno comportava una lista di dati qualificati come "normali", l'altro era una litania tecnica che informava su una situazione disastrosa, strettamente connessa al cuore. Poi scoprì l'inizio di una lettera al dottor Hurlingford.
"Caro Neville." diceva. "Grazie per avermi segnalato la signora Anastasia Gilroy e la signorina Wright. Sono convinto che non ti dispiacerà se formulo in questa lettera la mia opinione su entrambe le pazienti."
Il testo della missiva si interrompeva qui. Anastasia Gilroy? Dopo aver passato mentalmente in esame un certo numero di non Hurlingford residenti a Byron, Missy mise a fuoco l'immagine di una donna suppergiù della sua età, dall'aria malaticcia, che abitava in un cottage fatiscente di fianco all'impianto d'imbottigliamento, con un marito ubriacone e un nugolo di mocciosi abbandonati a loro stessi.
Dunque, il secondo rapporto clinico riguardava la signora Gilroy? Missy lo riprese in mano e cercò di decifrare il gergo e i simboli che colmavano la metà superiore del foglio. La parte inferiore era abbastanza chiara, anche per lei.
Diceva: "Non sono in grado di proporre una cura atta a mutare o a modificare questa prognosi. La paziente soffre di un'affezione valveolare plurima ormai avanzata. Se non subentra un ulteriore deterioramento delle condizioni cardiache, le do sei mesi, massimo un anno di vita. D'altronde, non vedo la necessità di raccomandare la degenza a letto, perché immagino che la paziente ignorerebbe la mia prescrizione, tenuto conto della sua natura e della sua situazione domestica."
Riguardava forse la signora Gilroy? Dio, se ci fosse stato sopra il nome! Ma avrebbe potuto benissimo riguardare lei, essere un rapporto tenuto in serbo per poi accluderlo alla lettera indirizzata a Neville Hurlingford. Non c'erano altri rapporti, in mezzo a tutta quella confusione. Ma perché quel rapporto non riguardava Missy Wright? La morte, bruscamente allontanata da lei, all'improvviso le sembrava dolce e desiderabile. No, non era giusto! La signora Gilroy aveva dei bambini che avevano un bisogno disperato di lei, mentre non c'era nessuno che avesse disperatamente bisogno di Missy Wright.
Dall'altra parte della porta giunse un suono di voci. Missy ripiegò la relazione con gesti rapidi e precisi e la chiuse nel suo borsellino.
"Mi scusi tanto, signorina Wright, sono proprio mortificato." esclamò il dottor Parkinson, rientrando di slancio nello studio, tanto da far volare in ogni direzione le carte sparpagliate sulla scrivania. "Ouò andare, può andare. Però aspetti una settimana prima di tornare dal dottor Hurlingford, intesi?"
A Sidney faceva più caldo ed era più umido che nelle Blue Mountains, e la giornata era bella e soleggiata. Uscendo in Macquarie Street al fianco di Una, Missy sbatté le palpebre, abbagliata dall'intensa luce.
"Sono quasi le undici e mezzo." disse Una. "Se per prima cosa andassimo a vendere i nostri certificati? L'indirizzo è in Bridge Street, basta girare l'angolo e ci siamo."
Andarono, e fu tutto molto semplice. Nondimeno, il piccolo ufficio e il suo squallido impiegatuccio non lasciarono trapelare alcun indizio circa l'identità del misterioso acquirente. L'aspetto più singolare di tutta la faccenda stava poi nel fatto che il pagamento era effettuato in sovrane d'oro, non in comuni banconote. Quattrocento monete d'oro pesavano parecchio, e Missy ebbe agio di scoprirlo non appena le ripose dentro la sua borsa.
"Non possiamo camminare a lungo tirandoci appresso un peso simile." disse Una. "Che ne diresti di mangiare un boccone all'Hotel Metropole? E' a un tiro di schioppo, poi prenderemo il tram che porta alla Central Station e rientreremo a casa puntualmente."
In tutta la sua vita, Missy non aveva mai pranzato in un ristorante, nemmeno nella sala da tè della zia Julia, né aveva mai messo piede all'interno dell'Hurlingford Hotel. Di conseguenza l'opulenta vastità del Metropole, con le sue colonne di marmo e i suoi lampadari di cristallo, la lasciò letteralmente stupefatta, e in qualche modo le ricordò la casa di zia Aurelia, perché appariva piacevolmente ravvivata da tocchi di vegetazione, grazie a una profusione di kentie in vaso. Quanto al cibo, Missy non aveva mai mangiato niente di più squisito dell'insalata di polpa di granchio che Una ordinò per lei.
"Credo che riuscirei perfino a ingrassare, se potessi mangiare tutti i giorni così." proruppe Missy, estasiata.
Una le sorrise senza compatimento, ma con sincera comprensione. "Povera Misssy, la vita ti è passata accanto senza che tu te ne accorgessi, nevvero? Invece a me la vita è passata sopra come un treno in corsa. Bang, bum, crac! E la povera Una è finita lunga distesa con la faccia dentro l'acqua. Be', non importa. Fatti coraggio, cara! La vita per te non sarà sempre vuota. Ti prometto che cambierà. Mettiti in mente che prima o poi c'è qualcosa di buono in serbo per chiunque. Ma non permettere che la vita ti calpesti, perché si rischia di passarla anche peggio."
Missy avrebbe voluto dire a Una quanto le fosse simpatica, ma era troppo inibita per trovare la formula giusta. Cercò pertanto un argomento di conversazione più abbordabile.
"Non mi hai domandato che cos'ha detto il medico."
Gli occhi vividi e azzurri di Una scintillarono. "Che cos'ha detto?"
Missy emise un sospiro. "Ho il cuore sano come un corallo."
"Ne sei sicura?"
Missy comprese l'allusione dell'amica, e ne sorrise.
"Sì, sì, d'accordo, ha qualche trafittura. Ma non si tratta di una malattia."
"Io invece credo che sia la più grave malattia del mondo."
"Nei testi di medicina non figura."
"Se davvero John Smith ti piace tanto, perché non glielo fai capire?"
"Io? Spetterebbe a me?"
"Ma certo, cara, a te. Vedi, il tuo guaio è che sei stata allevata, come del resto tutta la città, nella convinzione che chi non assomiglia ad Alicia Marshall e non si comporta come lei non potrà mai suscitare l'interesse di un uomo. Ma, tesoro, non è che Alicia Marshall faccia impazzire di passione tutti gli uomini che incontra! Ci sono uomini che hanno molto più gusto e più discernimento, e io so che John Smith è uno di questi." Una sorrise con aria sbarazzina. "In effetti," aggiunse, "secondo me John Smith è l'uomo che fa proprio per te."
"E' sposato?"
"Lo è stato, ma adesso è libero... sua moglie è morta."
"Oh, davvero? E lei era simpatica?"
Una ebbe un attimo di riflessione. "Be', posso dirti che a me era simpatica, ma a molti non piaceva."
"E a lui piaceva?"
"All'inizio credo di sì, ma col tempo penso proprio che non l'amasse più molto."
"Oh!"
Una chiese il conto e non volle ascoltare le proteste di Missy. "Cara, le tue contrattazioni di stamani non ti hanno fruttato niente sul piano personale, mentre le mie mi hanno reso cento fantastiche sterline che intendo sperperare come fossi l'amante di un re. Di conseguenza pagare il pranzo è un piacere che mi compete."
All'angolo della via, nel punto in cui sostarono in attesa del tram, c'era un negozio di abbigliamento dall'apparenza molto raffinata, ma, con grande sorpresa di Missy, Una non ne fu minimamente attratta.
"Prima di tutto, tesoro," le spiegò, "con cento sterline non riusciresti a comprare nemmeno l'odore di un vestito. In secondo luogo, i vestiti sono deprimenti quanto i prezzi sono semplicemente esorbitanti. Niente abiti rossi, qui. E' un negozio molto rispettabile!"
"Un giorno riuscirò ad avere il mio vestito di pizzo e il mio cappello rosso." annunciò Missy. "E non m'importa se non avrò un aspetto rispettabile."






(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:19
Le Signore di Missolungi - (continua)






"Non ho alcuna malattia di cuore." disse Missy alla madre e alla zia. "Sembra proprio che il mio cuore sia perfetto."
Le due facce che guardavano ansiosamente Missy si rilassarono all'istante.
"Oh, che bella notizia!" esclamò Octavia.
"E allora cos'è stato?" domandò Drusilla.
"Ho un nervo accavallato alla spina dorsale."
"Oh, Dio! E non si può curarlo?"
"No, Ma il dottor Parkinson è convinto di avermi già curata. Ho creduto che la testa mi schizzasse via dal collo. Si è udito uno scricchiolio sinistro, e a partire da quel momento avrei dovuto sentirmi meglio. Si chiama manipolazione, a quanto pare. O almeno mi sembra che abbia detto così. Ma se mi venisse un altro attacco, dovreste fissarmi due mattoni ai piedi e io dovrei tirarmi su fino ad appoggiare il mento a una sbarra orizzontale." Missy rise sommessa. "Solo al pensiero, preferisco rinunciare a lamentarmi!"
Solo in virtù di una faticosa oscillazione del braccio le riuscì di posare la borsa sulla tavola. "Ed ora guardate: qui c'è qualcosa di molto più importante!" Disfece quattro cilindri accuratamente avvolti nella carta. "Cento sterline per te, mamma, tutte in oro. E altrettante per zia Octavia, zia Julia e zia Cornelia."
"Questo è un miracolo." disse Drusilla.
"No, è giustizia un tantino in ritardo." la corresse Missy. "E adesso comprerai la Singer?"
Prudenza e desiderio erano in lotta nel cuore di Drusilla, fino a quando annunciò una tregua esternando la sua indecisione. "Be', prometto che ci penserò."
Quando fu ora di andarsi a coricare, Missy constatò che non aveva sonno. Ma giacque egualmente soddisfatta, ad occhi aperti, e cominciò a pensare a John Smith. Era stato sposato, ma sua moglie era morta. E sicuramente non aveva bambini, giacché altrimenti li avrebbe avuti con sé, almeno di tanto in tanto. Che tristezza, rifletteva Missy. Secondo lei, questa era una prova che non aveva amato sua moglie a sufficienza. Fu indotta a concludere che la società di Sidney non favoriva serene unioni coniugali: bastava pensare a Una e a Wallace, a John Smith e a sua moglie. Però in compenso la signora Smith non aveva subito il marchio del divorzio; e a quel punto, per la prima volta nella sua vita soffocata dalle convenzioni, Missy si domandò se il marchio del divorzio non fosse preferibile al suggello finale della morte.
A mezzanotte aveva elaborato il suo piano e preso le sue decisioni. Avrebbe agito l'indomani stesso. Dopotutto, cos'aveva da perdere? Se il suo progetto non avesse dato i frutti da lei auspicati, avrebbe continuato a vivere per altri trentatré anni come aveva vissuto fino ad oggi, ma certamente valeva la pena di tentare.
Nella sua mente all'improvviso oberata dal sonno, un piccolo pensiero fu riservato a John Smith, vittima senza sospetti. Agiva correttamente? La risposta non tardò a giungere: sì. Missy si voltò e si addormentò, senza ulteriori dubbi.

Drusilla decise di portare le quattrocento sterline a Byron senza l'assistenza di alcuno, e la mattina dopo uscì di casa alle nove, con quel grosso peso nella borsa che tuttavia le pareva lieve come una piuma. Era al settimo cielo, non soltanto per sé, ma anche per le sorelle.
Nelle ultime settimane aveva avuto più fortuna che nei quarant'anni precedenti, e cominciava a pensare che la buona fortuna fosse un rivoletto destinato a convertirsi in un ruscello, anziché una pozza che veniva assorbita dalla sabbia. Ma non deve giovare solo a me, giurò a se stessa. In un modo o nell'altro devo far sì che arrida a tutti noi.
Mentre Octavia spignattava allegramente in cucina, con gesti pacati Missy ripose i suoi modesti indumenti nella vecchia sacca da viaggio sdrucita che serviva alle signore di Missolungi nelle rare circostanze in cui abbisognavano di una sacca, Sulla coperta del letto lasciò un biglietto per la madre, poi uscì dalla porta principale, percorse il vialetto, uscì dal cancello e anziché voltare a destra piegò a sinistra.
Questa volta non esplorò timidamente il tratto iniziale della discesa che portava nella valle di John Smith. Al contrario la imboccò con decisione, servendosi della sacca e di un bastone per mantenersi in equilibrio in quel brecciame ingannevole. In fondo alla frana, tuttavia, il percorso diventava più facile perché la strada s'inoltrava nei declivi boscosi, ai piedi delle rupi. Il freddo non era intenso come aveva previsto, perché in alto il bastione roccioso era investito dalle folate di vento, mentre sul fondo della valle tutto era calmo e silenzioso.
A quattro miglia dal punto in cui iniziava la discesa, il terreno boscoso dei declivi più ripidi si convertiva in una sorta di giungla, fitta di liane, di felci, di ogni specie di rampicanti, perfino di palme di parecchie varietà. C'erano dappertutto uccellini campanari, ma per quanto Missy si sforzasse, non riusciva a scorgerli. Nondimeno i loro richiami colmavano l'aria di delicati cinguettii argentini, nitidi, fievoli e tuttavia squillanti come voci d'elfi, in nulla simili al canto degli uccelli. E altri si univano e si mescolavano a quel coro, ed erano le prolungate carole delle gazze, i trilli acuti delle code di ventaglio che turbinavano in volo, quasi sfiorando il volto di Missy, e sembravano darle il benvenuto in quel loro regno.
Alla terza ora di cammino l'aria si fece molto umida. Il sole stentava a filtrare attraverso il baldacchino delle foglie, il sentiero era reso scivoloso dal muschio, dal fango, dai detriti fradici della foresta. Quando la prima sanguisuga cadde su di lei, e subito attaccò il suo corpo viscido e serpeggiante alla sua mano, Missy provò l'impulso di urlare e di correre in fondo come una forsennata, specie dopo essersi resa conto che i suoi sforzi per liberarsi dell'intrusa erano vani. Invece rimase silenziosa e immobile fino a quando la peluria, che le si era rizzata sul collo e sulle braccia, tornò ad ammorbidirsi, quindi decise di impartirsi una severa lezione: se quelle creature repellenti vivevano nella foresta di John Smith, doveva imparare ad affrontarle accettando la loro presenza, affinché agli occhi di lui non apparisse una sciocca donnicciola. La sanguisuga aveva cominciato a gonfiarsi, ad arrotondarsi e, come scoprì quando cominciò a tastare la pelle esposta sul collo e sulla faccia, era stata raggiunta da svariate sorelle non meno vampiresche. Che orrore! Non c'era verso di cacciarle! Pertanto si rimise in cammino, nella speranza che, procedendo, le sanguisughe sarebbero diminuite. E quella speranza risultò fondata. Soddisfatta, la sanguisuga che per prima si era attaccata al suo braccio si staccò da sé e cadde mollemente sul terreno, e così del pari fecero le altre. Missy si rese conto allora che il sangue continuava a fluire dalle ferite e che non c'era verso di fermarlo. Chissà che aspetto orribile aveva, con tutto quel sangue che grondava! Sogni contro realtà: lezione numero uno.
Poco dopo il fragore del fiume cominciò a colmare la distanza, e il coraggio di Missy cominciò a perdere sangue come le piaghe lasciate dalle sanguisughe. Per coprire le poche centinaia di iarde che ancora le restavano, occorrevano più forza e decisione di quanto richiesto da tutto il resto della spedizione.
Ecco, aveva raggiunto l'ultima curva del sentiero. Vide una piccola capanna di cannicci ricoperti di creta e di fango, con un tetto di assicelle in legno inclinato da una parte, che aveva tutta l'aria di essere stato costruito più di recente. Tuttavia il comignolo era in arenaria, e un esile pennacchio di fumo contaminava il turchino perfetto del cielo. Dunque, lui era in casa!
Dal momento che presentarglisi davanti inopinatamente non rientrava nei suoi propositi, Missy si fermò al limitare della radura e ripetutamente lo chiamò a gran voce. Due cavalli che brucavano in un recinto s'interruppero e sollevarono la testa, guardandola un istante incuriositi, prima di riprendere il loro pasto interminabile, ma di John Smith non c'era neanche l'ombra. Evidentemente era in qualche posto, poco lontano da lì. Sedette sul ceppo di un albero abbattuto.
L'attesa non fu lunga, perché Missy era arrivata poco prima dell'una e lui fischiettando fece ritorno alla capanna per mandar giù un boccone. Ma anche quando arrivò nella radura, non la vide, perché Missy sedeva coperta dalla mole dei cavalli, e si era diretto verso il fiume che fluiva in cascate fragorose dietro la capanna.
"Signor Smith!" gridò Missy.
Lui si fermò di colpo, per un istante non si mosse, poi si voltò. "Oh, santiddio!" esclamò.
Quando le fu vicino, la sgridò severamente, senza alcuna espressione di benvenuto nello sguardo.
"Cosa diamine è venuta a fare, qui?"
Missy aspirò una copiosa boccata d'aria, della quale avvertiva l'impellente necessità. Doveva dire tutto adesso, o mai più.
"Mi vorrebbe sposare, signor Smith?" gli domandò, scandendo le parole.
La collera di lui venne meno all'istante, cedendo il posto a un'espressione di manifesto divertimento.
"Senta," le disse, "la strada è molto lunga, quindi tanto vale che entri in casa a bersi una tazza di tè." Gli occhi gli brillavano. Puntò un dito a indicare il sangue che le imbrattava il viso. "Sanguisughe, vero? Mi stupisce che ce l'abbia fatta a coprire un tragitto tanto lungo."
Con una mano sotto il gomito la guidò con passo pacato, senza aggiungere parola, ma continuando a ridere sommessamente. La capanna era priva di veranda, inconsueta in quell'angolo del mondo e, come Missy constatò non appena si fu inoltrata nella penombra dell'interno, il pavimento era di terra battuta e l'arredo di una semplicità spartana. Tuttavia, per essere l'abitazione di uno scapolo, tutto appariva pulito e ordinato. Non c'erano piatti sporchi né suppellettili sparse qua e là. Un'intera batteria di pentole da cucina occupava parte del vano del camino, l'altra metà era libera. C'erano una panca di legno sulla quale sedersi per lavare i panni e le stoviglie, nonché una tavola di legno grezzo e due sedie dallo schienale rigido. Quanto al letto, era fatto di assi sulle quali posavano tre materassi ammucchiati uno sull'altro e una trapunta di piuma, destinata a tenerlo al caldo con qualunque tempo. Una pelle bovina tesa su una solida armatura in legno fungeva da poltrona, mentre gli abiti pendevano da alcuni pioli, parimenti in legno, inchiodati di fianco al letto, alla parete. Nessuna tenda velava la finestra, i cui vetri sembravano essere stati applicati di recente.
"Dal resto, a che scopo tenere le tende?" domandò Missy ad alta voce.
"Come, come?" disse lui, volgendosi a guardarla mentre accendeva due lampade a cherosene con un legnetto al quale aveva appiccato il fuoco cacciandolo un istante nella stufa.
"Che meraviglia vivere in una casa dove le tende sono inutili!" disse Missy.
L'uomo posò una delle lampade sul tavolo e l'altra su una cassetta d'arance, accanto al letto, poi si affrettò a preparare il tè.
"C'è abbastanza luce," disse Missy, "anche senza accendere le lampade."
"Lei si è seduta davanti alla finestra, signorina Wright, e io voglio che la sua faccia sia completamente illuminata."
Missy si chiuse nel silenzio, lasciando che i suoi occhi vagassero qua e là, a loro discrezione, da John Smith alla sua abitazione, e dalla sua abitazione a John Smith. Come sempre la sua persona suggeriva un'impressione di pulito, sebbene dalle braccia e dagli indumenti sporchi di polvere e terriccio, come pure da un graffio leggero che gli attraversava il polso e il dorso della mano sinistra, si potesse facilmente arguire che per l'intera mattinata era stato impegnato in qualche incombenza molto faticosa.
Servì il tè in uno sgargiante boccale di ferro smaltato e i biscotti nella loro grossolana scatola di latta, ma senza scusarsene e senza la minima goffaggine nei gesti. E dopo che lui l'ebbe servita e Missy gli ebbe detto che non desiderava altro, prese il suo boccale e una manciata di biscotti, si avvicinò alla poltrona di cuoio e la rigirò in modo da poterla guardare dritta in faccia.
"Perché diamine vorrebbe sposarmi, signorina Wright?"
"Perché io l'amo." disse Missy, attonita.
Questa risposta lo lasciò disorientato. Bruscamente distolse lo sguardo, aggrottando la fronte e spostandolo sulla finestra che si apriva alle spalle di lei, come se non avesse voluto svelarle quello che si celava nei suoi occhi.
"Ma è ridicolo." disse alla fine, mordicchiandosi un labbro.
"Io direi che è logico."
"Mia cara, lei non può amare un uomo che non conosce affatto. Le ripeto che è ridicolo."
"Di lei conosco quanto basta per amarla." obiettò Missy sincera. "So che è un uomo gentile, un uomo di carattere. E' pulito. E' diverso. E in lei c'è abbastanza poesia per desiderare di abitare, fra tanti posti possibili, in un luogo come questo."
Lui sbatté le palpebre. "Cristo!" esclamò, e rise. "Devo ammettere che questo è il decalogo di virtù più interessante che io abbia mai ascoltato. Apprezzo soprattutto quella che riguarda la pulizia."
"E' importante." disse Missy, seria.
Per un attimo parve che in lui il riso tornasse ad avere il sopravvento, ma riuscì nondimeno a controllarsi e disse: "Non credo proprio di poterla sposare, signorina Wright."
"Perché?"
"Perché? Ora glielo spiego." le rispose sporgendosi verso di lei dalla poltrona in cui sedeva. "Lei ha di fronte a sé un uomo che per la prima volta in vita sua ha trovato la felicità. Se avessi trent'anni, la mia affermazione sarebbe una sciocchezza, ma mi avvicino ai cinquanta, signorina Wright, e questo significa che alla mia età la felicità diventa un diritto. Finalmente posso fare le cose che non ho mai avuto il tempo o l'occasione di permettermi... E sono solo! Non ho amici, né parenti, né dipendenti. Sono solo con me stesso. Non ho neppure un cane. E mi va bene così. Se dovessi spartirla con qualcuno, rovinerei tutto. In effetti, ho deciso di piazzare un solido cancello all'inizio della mia strada e di tagliar fuori il mondo. Il matrimonio? Nemmeno per idea."
"Non sarebbe per molto." precisò Missy con voce spenta.
"Un giorno solo sarebbe anche troppo, signorina Wright."
"Capisco quello che prova, signor Smith, glielo dico sinceramente. Anch'io ho vissuto una vita di costrizioni, anch'io ho lottato per venirne fuori. Ma non posso immaginare nemmeno per un momento che la sua vita sia stata squallida e grigia e priva di avvenimenti come la mia. Non voglio dire con questo che sia stata maltrattata, o che sia stata peggio, anche solo in minima misura, delle altre signore di Missolungi. Viviamo tutte e tre la stessa esistenza squallida e monotona. Ma io ne sono stanca, signor Smith, e voglio vivere un poco, prima di morire. Mi capisce?"
"Caspita, chi non la capirebbe? Ma dal momento che lei si propone in moglie, perché non metter l'occhio su qualche scapolo o vedovo di Byron? Credo che ce ne sia qualcuno sulla piazza." La durezza emergeva in ogni sua parola, e cominciava a studiare il modo di uscire da quella situazione imbarazzante senza perdere la sua libertà né il rispetto di se stesso.
"Sarebbe un destino peggiore di Missolungi, perché non sarebbe diverso. Ho scelto lei perché vive esattamente il genere di vita che voglio vivere anch'io, lontano dalla gente, dalle case, dai pettegolezzi. Mi creda, signor Smith, non ho la minima intenzione di intralciare il suo stile; al contrario, voglio che sia lei a liberare il mio. Non voglio diventare la sua palla al piede. Al contrario, prometto che la lascerò solo il più possibile. E non sarebbe per sempre, lo prometto. Un anno, solo un anno, cosa vuol che sia?"
"Dunque, dopo aver vissuto per un anno il genere di vita che le piace tanto, sarebbe pronta a rassegnarsi e a tornare supinamente al tipo di esistenza che detesta?" La sua domanda era rivolta in tono scettico.
"Ho solo un anno di vita, signor Smith." disse Missy, con mesta dignità.
Lui assunse un'espressione costernata, come se all'improvviso avesse appreso tutto ciò che si poteva sapere di lei.
"Comprendo la sua riluttanza a spartire con altri questo paradiso." proseguì lei, sfruttando implacabile la sua posizione di vantaggio. "Se fosse mio ne sarei gelosa e farei di tutto per salvaguardarlo. Però, la prego, cerchi di capire la mia situazione. Ho trentatré anni, e alla mia età ignoro ancora le cose che quasi tutte le mie coetanee danno per scontate, o non vorrebbero per contro avere affatto. Sono una vecchia zitella, ecco cosa sono! E questa è la sorte più terribile che possa essere riservata a una donna, perché procede di pari passo con la povertà e con la bruttezza. Se avessi patito l'una, ma non l'altra, qualcuno si sarebbe fatto avanti, pronto a prendermi egualmente in moglie, ma essere brutte e povere significa essere totalmente indesiderabili. Eppure io so che, se soltanto potessi buttarmi alle spalle questi impedimenti, avrei da offrire tante virtù che mancano ad altre donne, semplicemente perché non hanno bisogno di elargirle agli altri. Lei invece ne avrebbe tutti i vantaggi, signor Smith, perché mi troverei unita a lei dai legami della gratitudine, oltre che da quelli dell'amore. Vorrei poterle dimostrare seduta stante che sposandomi perderebbe ben poco, e che non può nemmeno immaginarsi quanto invece ci guadagnerebbe. Sono una persona di buon senso e non mi attribuisco più importanza di quanta ne abbia. E cercherei in tutti i modi di essere per lei la compagna più piacevole e più affezionata."
Lui si alzò in piedi di scatto e andò alla porta, dove sostò pensieroso, guardando fuori, le mani unite e contratte sulla schiena. "Le donne," disse, "Sono bugiarde, traditrici, ipocrite e imbecilli. Se mi dicessero che non vedrò più una donna per il resto dei miei giorni, non me ne importerebbe nulla. Quanto all'amore, non voglio essere amato. Voglio semplicemente essere lasciato in pace."
Sembrava che quel grido del cuore fosse definitivo, poi invece aggiunse in tono adirato: "Come faccio a sapere se lei è sincera?"
"Le dirò, signor Smith, lei qui a Byron non è al primo posto nella lista degli uomini più ambiti. C'è chi dice che è un tipo da galera, chi la definisce un matto da legare, ed è voce comune che non abbia un soldo in tasca. E allora perché mai dovrei mentirle?" Aprì il suo borsellino e ne tolse il referto medico, ripiegato con cura, che aveva carpito dallo scrittoio del dottor Parkinson, poi si alzò dalla sedia per raggiungerlo davanti alla porta. "Ecco, legga. Del resto lo sa che sono malata, perché lei era presente quando ho avuto il primo attacco. E quando l'altro giorno l'ho incontrata durante la mia passeggiata sono certa di averle detto che andavo a Sidney a farmi visitare da uno specialista. Questo è il rapporto sulle mie condizioni fisiche e le dirò che l'ho rubato, soprattutto perché non voglio che mia madre e mia zia vengano a sapere che sono ammalata gravemente. Non voglio finire confinata a letto e costringere qualcuno ad accudirmi. Non voglio che loro debbano sentirsi in ansia per me. Per questo ho detto che ho semplicemente un nervo ritorto alla spina dorsale, e se riuscirò a far credere loro che le cose stanno così, continueranno a pensare che il mio malanno si limiti a questo. La seconda motivazione riguarda lei. Sapevo che le avrei domandato di sposarmi e sapevo che mi sarebbe servita una prova della mia sincerità. Non c'è nome su questa relazione, tranne quello del medico, ma se osserva attentamente noterà che nessun nome di paziente vi è stato cancellato."
John Smith prese il foglio, lo dispiegò, lo lesse rapidamente e si volse a guardarla. "Lei è magra come un'acciuga, ma a parte questo mi sembra in ottima salute." disse dubbioso.
Missy rifletté un momento, pregando il cielo che il suo interlocutore non avesse nozioni mediche. "Comunque, fra un attacco e l'altro io mi sento perfettamente. La mia non è una di quelle malattie cardiache che tolgono le forze. E' un po' come... come... avere dei colpetti. Le valvole si chiudono e... bé, sì, quando si chiudono il sangue smette di circolare. Ed è questo, credo, che prima o poi finirà per uccidermi. Non so niente di più, perché i medici non dicono mai nulla. Probabilmente per loro è già difficile doverci dire che siamo condannati." Ciò detto sospirò ed emise una serie di gemiti in tonalità diversa, con la bravura istrionica di un'attrice consumata. "Un giorno o l'altro mi spegnerò come una candela!" Gli occhi di lei si levarono sull'uomo, ansiosi. "Non voglio morire a Missolungi." gridò con tono lacrimevole. "Voglio morire tra le braccia dell'uomo che amo!"
Lui era un combattente nato, cosicché provò ad attuare una diversa linea d'azione. "E se sentisse un altro parere? Capita spesso che i medici prendano un abbaglio."
"A che pro?" ribatté Missy. "Se ho solo un anno di vita, non voglio passarlo in pellegrinaggio da un dottore all'altro." Una grossa lacrima scese a rigarle una guancia, mentre altre appese al bordo delle palpebre si apprestavano a seguire la prima. "Signor Smith, il mio ultimo anno lo voglio vivere felice!"
Lui si lasciò sfuggire un brontolio, il mugugno di un uomo condannato. "In nome di Dio, smetta di piangere così!"
"E perché non dovrei piangere?" singhiozzò Missy frugando dentro una manica in cerca del fazzoletto. "Credo che sia nei miei diritti!"
"E allora pianga, dannazione!" sbraitò lui, esasperato oltre i limiti della sopportazione, e uscì dalla porta.
Missy rimase ad asciugarsi le lacrime, e il suo sguardo velato dal pianto lo seguì mentre a passo spedito attraversava la radura e scompariva. A capo chino tornò alla sua sedia e terminò di piangere senz'altro interlocutore al di fuori di un grosso moscone. A quel punto non sapeva cosa fare. Sarebbe tornato? O se ne stava nascosto ad aspettare che lei se ne andasse per poi tornare indietro?
All'improvviso si sentì stanchissima, profondamente scoraggiata. Bel risultato. Ecco cosa le avevano fruttato le esortazioni di Una, i referti medici rubati. Ecco l'esito del lucente miraggio dell'emancipazione. Sospirò, mai un sospiro ebbe tanto significato.
A che scopo trattenersi ancora? Non era desiderata.
Quietamente uscì dalla capanna e richiuse la porta con cura. Erano le due passate e doveva percorrere nove miglia a piedi, tutte in salita e su un terreno accidentato. Sarebbe arrivata a Missolungi a tarda ora.
"Eppure non mi dispiace di averci provato." disse ad alta voce. "Valeva proprio la pena che provassi. Sì, ne sono certa."
"Signorina Wright!"
Lei si volse, mentre la speranza riaffiorava in lei.
"Suvvia, coraggio, la riporto a casa."
"No, grazie, vado a piedi." rispose Missy, non fredda e risentita, ma secondo il suo stile abituale, compito e insulso.
Ma lui le si era già portato al fianco e le aveva messo una mano sotto il gomito. "No, è troppo tardi e il sentiero è troppo difficile, soprattutto per lei. Sieda qui mentre vado ad attaccare i cavalli." E la depose sullo stesso ceppo dove lei si era seduta ad aspettarlo.
Missy era troppo stanca per discutere, e forse troppo stanca anche per affrontare la lunga camminata, cosicché rinunciò a muovere obiezioni. Poi, quando fu pronto, la issò agilmente sul barroccio come fosse stata una bambina.
"Ecco la conferma di quello che ripetevo a me stesso poco fa." disse, nell'atto di girare i cavalli e di attraversare la radura per imboccare il sentiero. "Ho bisogno di un veicolo più piccolo, di un calesse o di un carrozzino. E' una scocciatura dover usare due cavalli e una carretta grossa come questa, a meno di non avere un carico pesante."
"Sì, credo proprio che lei abbia ragione."
"E' in collera?"
Missy voltò il viso per guardarlo, con un'espressione di assoluta sorpresa. "No. Perché dovrei esserlo?"
"Be', non si può dire che abbia avuto molta fortuna."
Lei rise, non proprio di cuore, e tuttavia con sufficiente allegria. "Povero signor Smith, lei non capisce proprio nulla."
"Evidentemente. In che cosa consiste lo scherzo?"
"Non avevo niente da perdere. Niente di niente, capisce?"
"Pensava davvero di poterla avere vinta?"
"Ero certissima di farcela."
"Perché?"
"Perché si trattava di lei."
"Come sarebbe a dire?"
"Sarebbe a dire che lei è un uomo gentile, una persona per bene."
"Grazie."
Dopo di che scambiarono pochissime parole. I cavalli arrancavano con palese riluttanza lungo il disagevole sentiero assediato dalla vegetazione, senza ovviamente comprendere perché mai si allontanassero da casa. Ma anche quando ebbero raggiunto i tornanti che percorrevano il declivio coperto dalla frana, continuarono a procedere a fatica senza protestare, e Missy ne dedusse che conoscevano il padrone quanto bastava per sapere che non valeva la pena di ribellarsi. Tuttavia John Smith si mostrava benevolo con loro ed evitava l'uso della frusta. Li dominava con la forza della volontà.
"Devo dire che lei non è una Hurlingford, e del resto lo si vede." disse lui, quando ormai erano prossimi alla fine del tragitto.
"Io non sono una Hurlingford? E che cosa glielo fa pensare?"
"Tante cose. Il nome, per esempio. L'aspetto fisico. La sua casa in quel posto abbandonato da Dio e il fatto che dentro non c'è proprio ombra di quattrini. E poi il suo carattere, la sua bontà." Parve che quell'ultima ammissione gli sfuggisse di bocca suo malgrado.
"Non tutti gli Hurlingford sono danarosi, signor Smith. In realtà io sono una Hurlingford, quanto meno dal ramo femminile. Mia madre e mia zia sono sorelle di Maxwell e di Herbert Hurlingford, e prime cugine di Sir William."
L'uomo si volse a guardare Missy, mentre lei forniva queste spiegazioni, dopo di che emise un fischio di sincero stupore.
"Be', questa è da non credere. Proprio un pugno nell'occhio. Un nido di Hurlingford in fondo a Gordon Road, e di Hurlingford che stentano a sbarcare il lunario. Cosa vi è successo?"
Così, per il resto del percorso, Missy allietò John Smith con la cronaca della perversità del primo Sir William e della perfidia collettiva dei suoi successori.
"La ringrazio." disse lui alla fine. "Ha risposto a tanti quesiti che da tempo mi ero posto e mi ha dato parecchio da pensare." Tirò le redini e arrestò i cavalli davanti al cancello del giardino di Missolungi. "Eccola arrivata a casa." aggiunse, "e in tempo debito, prima che sua madre possa cominciare ad essere in pensiero."
Missy balzò a terra senza farsi aiutare. "La ringrazio, signor Smith." gli disse. "Insisto a pensare che lei sia una persona veramente gentile."
Per tutta risposta, lui si portò una mano al berretto e fece balenare un fuggevole sorriso, dopo di che fece girare i suoi cavalli.





(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:21
Le Signore di Missolungi - (continua)






Quando Octavia andò a vedere dove Missy fosse finita, trovò il biglietto lasciato dalla nipote. Era lì, bianco sul copriletto scuro, con quell'unica parola, MAMMA, scritta su tutta la superficie. Il suo cuore diede un balzo. Di solito i biglietti che recano la dicitura MAMMA non sono mai latori di notizie liete.
Così, quando udì Drusilla rientrare dalla porta d'ingresso, accorse zoppicando in anticamera con il biglietto in mano e con gli occhi cerulei e sporgenti pieni di tutte le lacrime richieste dal contenuto di quella breve nota.
"Missy se n'è andata e ha lasciato questo biglietto per te."
Drusilla aggrottò la fronte, senza peraltro allarmarsi.
"Andata, dici?"
"Andata, sì! Ha portato con sé la borsa e tutti i suoi indumenti."
Drusilla sentì che la pelle delle guance le si contraeva dolorosamente. Strappò il biglietto dalla mano della sorella e lo lesse ad alta voce affinché Octavia non potesse fraintenderne il contenuto.
"Cara mamma." diceva. "Ti prego di perdonarmi se me ne vado così, senza una parola, ma credo francamente sia meglio che tu ignori il mio proposito prima che io stessa sappia se andrà a buon fine o no. Probabilmente tornerò a casa domani o dopodomani, almeno per una visita. Non preoccuparti, te ne prego. Non corro alcun pericolo. Tua affezionatissima figlia, Missy."
Octavia pianse a dirotto, ma Drusilla non sparse una lacrima. Ripiegò la lettera e la portò in cucina, dove la ripose con cura nella scansia sopra il caminetto.
"Dobbiamo avvisare la polizia." disse Octavia in un bagno di lacrime.
"Nemmeno per idea." la contraddisse Drusilla, e spostò il bollitore sul fornello anteriore della stufa. "Dio, Dio, ho bisogno urgente di una tazza di tè."
"Ma Missy potrebbe essere in pericolo!"
"Non credo proprio. Nel suo biglietto, niente lascia credere che possa aver commesso una sciocchezza." Sedette sospirando. "Suvvia, asciugati gli occhi, Octavia! Gli avvenimenti di questi ultimi giorni mi hanno insegnato che Missy è una persona meritevole di considerazione. Non dubito che sia al sicuro, e che probabilmente la rivedremo domani stesso. Nel frattempo, però, dobbiamo evitare di dire a chicchessia che Missy se n'è andata di casa."
"Ma è fuori, chissà dove, senza nessuno che la protegga dagli uomini!"
"Potrebbe darsi che Missy abbia deciso di non voler essere protetta. Dagli uomini, intendo dire. Ora fa' come dico io, Octavia, "disse Drusilla, asciutta. "smetti di piangere e prepara il tè. Ho tante cose da raccontarti che non hanno niente a che vedere con la sparizione di Missy."
La curiosità ebbe ragione della disperazione. Octavia versò nella teiera dell'acqua calda e la posò accanto alla stufa. "Di che cosa si tratta?" domandò, ansiosa di sapere.
"Be', ho dato a Julia e a Cornelia i loro soldi, e mi sono comprata una macchina per cucire Singer."
"Drusilla!"
Così le due signore rimaste a Missolungi bevvero il loro tè e discussero più a fondo gli avvenimenti del giorno, dopo di che tornarono alle incombenze abituali e alla fine si ritirarono nelle rispettive camere da letto.
"Signore," supplicò Drusilla, in ginocchio, "aiuta e proteggi Missy, preservala da ogni male, donale la forza di lottare contro le avversità, e così sia."
Si arrampicò sul letto, l'unico letto matrimoniale della casa, come si conveniva alla sola donna coniugata della casa, ma stentò alquanto a chiuder occhio.

Quando John Smith l'aveva depositata davanti a casa, il suono dell'organo aveva consentito a Missy di non essere scoperta. Drusilla e Octavia non udirono il rumore del barroccio che arrivava e ripartiva, né si accorsero che Missy era sgattaiolata dietro casa per raggiungere la baracca in fondo al giardinetto. La piccola costruzione non era in grado di nasconderla, ma lei riuscì ad occultare la sua borsa di tela dietro un sacco di foraggio. Poi si portò al capanno degli attrezzi nel frutteto e vi rimase, in attesa che sua madre mungesse la vacca. Naturalmente la vacca la riconobbe dal passo, e cominciò a muggire lamentosamente, smaniosa di essere munta, ma prima che Buttercup s'innervosisse troppo, Drusilla comparve con il secchio.
Missy si accovacciò dietro il grande tronco del melo, chiuse gli occhi e auspicò che le venisse un attacco di cuore letale, preferibilmente così acuto da non poter arrivare alla mattina.
Fino a quando non fu buio pesto rimase immobile e non osò uscire dal suo nascondiglio. Alla fine l'aria fredda e penetrante della primavera la scacciò dal frutteto e la indusse a cercar rifugio nel modesto tepore della baracca. La mucca se ne stava accoccolata, con le zampie ripiegate sotto il corpo, le mammelle finalmente sgonfie con suo grande sollievo, e ruminava placida. Missì posò un sacco pulito sul piancito, accanto a Buttercup, e vi si rannicchiò premendo il corpo contro il fianco della bestia, caldo e vibrante di un sommesso borbottio.
Naturalmente sarebbe stato logico che facesse appello al suo coraggio e rimettesse piede in casa subito dopo che John Smith se n'era andato, ma quando aveva tentato di salire gli scalini della veranda antistante, si era accorta che le gambe non la reggevano. Come confessare alla propria madre di essersi proposta in moglie a un uomo quasi sconosciuto, e che costui l'aveva respinta senza mezzi termini? E se avesse rinunciato a svelarle questa penosa verità, quale scusa avrebbe potuto architettare? Missy era una lettrice di romanzi, ma non aveva una mente fantasiosa. Forse, pensò, la mattina dopo sarebbe riuscita a confessare tutto, sussultando al dolore bruciante del ricordo. Ma non sarebbe stato ancora più difficile, dopo una notte trascorsa altrove che sotto il tetto di Missolungi? Chi mai avrebbe potuto credere che l'avesse passata dormendo assieme ad una mucca? Rientra subito, le sussurrò la parte migliore di lei; ma la parte peggiore non riusciva a trovare il coraggio necessario.
Le lacrime, a lungo trattenute, cominciarono a sgorgare. Missy in effetti era esausta, non tanto per lo sforzo fisico quanto per l'estremo ed estenuante impegno della volontà che l'aveva indotta ad affrontare John Smith.
"Oh, Buttercup," gemette, "cosa devo fare?"
Ma Buttercup, imperturbabile, si limitò a soffiare.
E poco dopo Missy si addormentò.

Il gallo di Missolungi lanciò l'appello della sua fanfara svegliando Missy un'ora prima dell'alba. Sobbalzò confusa, poi si lasciò ricadere sul suo guanciale vivente, in preda a un nuovo accesso di dolore e di angoscia stupefatta. Non aveva fame, non aveva sete. Che fare, mio Dio? Che fare?
Ma all'alba aveva preso una decisione, e si alzò in piedi con movimenti agili e franchi, rivelatori di un chiaro proposito. Prese dalla borsa il pettine e la spazzola e si ravviò alla meglio, ma al termine dei suoi sforzi si rese conto, non senza sgomento, che puzzava orrendamente di stalla.
Nessun suono di vita giungeva da Missolungi mentre vi passava accanto e dalla stanza della madre arrivava un russare sommesso e intermittente. Era salva.
Ridiscese nella valle di John Smith, ma non più in preda alla magica euforia del giorno prima, non più pervasa da quel sentimento di irreprimibile felicità, quando nulla le era parso impossibile e tutto era sembrato doversi concludere nel modo più felice. Ora Missy camminava con scarse speranze in cuore, ma dominata da una ferrea decisione. Lui non le avrebbe detto di no un'altra volta, anche se ciò avesse significato trascorrere ogni notte dell'anno nella baracca del giardino con Buttercup come compagna di letto, e la mattina dopo ridiscendere nella valle di John Smith per proporglisi un'altra volta in moglie. Perché avrebbe rinnovato la sua richiesta, e anche domani se lui avesse detto no, e anche dopodomani, e anche il giorno successivo.
Erano le dieci passate quando finalmente raggiunse la radura e la capanna. Dal camino usciva lo stesso pennacchio di fumo ma, come il giorno prima, Joh Smith non si vedeva. Sedette sul ceppo ad aspettare.
Forse anche a lui era passato l'appetito. Quando mezzogiorno trascorse senza che lui comparisse, Missy si rassegnò ad attendere per tutto il pomeriggio. E invero, lui si decise a far ritorno quando il sole da tempo era tramontato dietro le alte pareti di roccia. Era più serio di ieri, ma altrettanto distratto e ignaro della presenza di Missy seduta su quel ceppo.
"Signor Smith!"
"Santiddio, ancora lei!"
Subito le mosse incontro, poi si fermò a osservarla. Non era in collera, ma nemmeno molto allegro. "Cosa è venuta a fare, un'altra volta?"
"Non vuole sposarmi, signor Smith?"
Questa volta lui non le mise una mano sotto il gomito per accompagnarla alla capanna, oltre la radura. Piantò gli occhi in faccia a Missy che si era alzata in piedi, e la fissò con insistenza.
"Chi le ha cacciato questa idea nella testa?"
"Nessuno."
"Ma è davvero una cosa tanto importante per lei?"
"E' importante come può esserlo la vita. Letteralmente. Non ho la minima intenzione di tornare a casa. Verrò qui tutti i giorni e non mi stancherò di domandarglielo."
"Lei scherza col fuoco, signorina Wright." disse lui, con le labbra tese e contratte. "Non le è passato per la testa che un uomo può far ricorso alla violenza se una donna si rifiuta di lasciarlo in pace?"
Lei sorrise, serafica, serena, distaccata. "Sì, certi uomini possono lasciarsi andare alla violenza, ma lei no, signor Smith."
"Ma cosa spera di ottenere, in conclusione? Cosa conta di avere se le dicessi sì? E' questo l'uomo che vuole? Un uomo che lei ha sfinito al punto da non sapere più che fare per essere lasciato in pace, se non cedere oppure strozzarla?" La voce gli si abbassò e divenne aspra. "In questo mondo, signorina Wright, esiste un essere perverso che si chiama odio . Io la scongiuro, non lo faccia uscire dalla gabbia!"
"Vuole sposarmi?" domandò lei.
Lui contrasse le labbra, inspirò attraverso il naso e sollevò la testa per guardare oltre quella di Missy, come se fissasse qualcosa che lei non poteva vedere. E per un lasso di tempo che parve molto lungo non disse una parola. Poi alzò le spalle e la guardò. "Devo riconoscere che da ieri ho pensato molto a lei, anche nei momenti in cui ero impegnato nei lavori più pesanti e faticosi. E ho cominciato a domandarmi se per caso non mi veniva offerta l'occasione di riparare. Forse, mi sono detto, rifiutando l'offerta rischio di perdere un colpo di fortuna."
"Un modo di riparare? E perché ha bisogno di riparare?"
"Be', diciamo che è un modo di esprimersi. Tutti dobbiamo sempre riparare qualcosa. Per un motivo o per un altro. Nessuno è del tutto privo di colpe. Lei, insistendo a proporsi in moglie, crea un motivo di riparazione. Non so se capisce cosa intendo dire."
"Sì, che lo capisco."
"Già, ma rischia di essere diverso."
"Se lei accetta, signor Smith, da parte mia sono pronta ad accettare tutte le conseguenze."
"Benissimo, allora la sposo."
Il dolore e lo stordimento di Missy svanirono di colpo. "Oh, grazie, signor Smith! Non se ne pentirà glielo prometto."
"Lei è una bambina, signorina Wright." bofonchiò lui tra i denti. "Non è una donna, no. E forse è per questo che ho scelto di arrendermi e di non strangolarla. Francamente non posso credere che la sua sia un'astuzia femminile. Però badi a non darmi il pretesto per cambiare questa mia opinione."
Questa volta la sua mano scivolò sotto il braccio di Missy. Era il segnale di mettersi in moto.
"Devo chiederle un'altra cosa, signor Smith." disse Missy.
"E cioè?"
"Di non alludere mai al fatto che io presto morirò e di non permettere che influisca sul nostro comportamento."
"D'accordo." disse John Smith.
Decisa a non forzare ulteriormente la conquistata fortuna per un senso innato di prudenza, Missy entrò nella capanna e sedette tranquilla su una delle sedie da cucina, mentre John Smith sostava in piedi sulla soglia e guardava fuori, contemplando il progressivo levarsi dal terreno di una lieve bruma azzurrina che annunciava la notte incipiente.
Lei osservava in silenzio la sua schiena, ch'era lunga e ampia e, in quel momento, oltremodo eloquente. Tuttavia, dopo qualche minuto si arrischiò a domandare con voce fievole, quasi a voler chieder scusa: "E adesso cosa facciamo, signor Smith?"
Lui sussultò, come se si fosse dimenticato della sua presenza, e andò a sedersi alla tavola, di fronte a lei. In quella penombra il suo volto appariva pieno di ombre, incupito, triste, alquanto scoraggiante. Ma quando parlò il suo tono era abbastanza gaio, come se avesse concluso che non era il caso di abbandonarsi a una mestizia superiore a quella provocata dalle circostanze. "Mi chiamo John." disse, alzandosi per andare ad accendere due lampade, che posò sul piano della tavola per poterla vedere chiaramente in faccia. "Be', per quanto riguarda la faccenda principale, basta chiedere la licenza di matrimonio, dopo di che ci sposiamo."
"E quanto tempo ci vorrà?"
Lui alzò le spalle. "Non lo so, se non si fanno le pubblicazioni. Forse un paio di giorni, o anche meno. Nel frattempo sarà bene che l'accompagni a casa."
"Oh, no, voglio stare qui." protestò Missy.
"Se resta qui è possibile che inizi prima del tempo la sua luna di miele." disse lui, sentendo affiorare in sé un barlume di speranza. Buona idea! Forse lei avrebbe deciso che la cosa non le andava a genio. Dopotutto, a molte donne non piaceva. E avrebbe potuto essere un po' brusco, non esdattamente violentandola, ma in qualche modo costringendola. A quell'età una donna vergine la si può facilmente spaventare. Ma a questo punto commise l'errore di guardarla, per spiare le sue reazioni. E lei, povera moribonda, se ne stava lì, limitandosi a guardarlo con tenerezza cieca e ottusa, come un cucciolo traboccante d'affetto. Il cuore inaridito di John Smith si destò all'improvviso, provò una fitta di dolore inconsueta. Giacché in effetti la sua immagine lo aveva ossessionato per tutta la giornata, sebbene lui si fosse ingegnato di cacciarla e di sostituirla con il senso di vuoto procuratogli dalla fatica fisica. Aveva i suoi segreti, alcuni dei quali erano così profondamente seppelliti in lui, da consentirgli di ripetere a se stesso, in assoluta sincerità, che di quei segreti non aveva sofferto, che era rinato, spoglio di tutto, ignudo, a un'esistenza nuova. Ma per tutto il giorno aveva borbottato, si era roso in preda al tormento, e tutto il piacere che gli aveva elargito la sua valle si era dissolto all'improvviso. Forse doveva riparare davvero. Forse per questo Missy era venuta. Solo che non aveva un motivo di riparare in modo così grave, così impegnativo, così deprimente. No, no, nemmeno per idea!
Forse a lei non sarebbe piaciuto. Portala a letto, John Smith, falle vedere cosa accade nella terra di nessuno del corpo, riempila di te stesso e del disgusto per quell'atto. E' una donna, lei.
Ma a Missy piacque moltissimo, e rivelò una sorprendente propensione. Lui dovette suo malgrado riconoscerlo, a distanza di circa tre ore da quando si erano ficcati a letto senza consumare la cena. Era un continuo accumularsi di sorprese. Quella matura vergine non era affatto refrattaria alla faccenda. Per quanto all'inizio si fosse rivelata totalmente e desolatamente ignara, non era timida né si vergognava, e la sua partecipazione caldamente affettuosa lo commosse, lo intenerì, gli impedì di mostrarsi grossolano o crudele. E quanta vita c'era in lei, mentre attendeva di essere penetrata! All'improvviso lo assalì il pensiero della sua morte prossima. Un conto era compatire una persona che non conosceva affatto, altra cosa era affrontare quel medesimo dilemma con qualcuno che conosceva intimamente. Ecco quello che combina il letto: trasforma due estranei in due intimi più in fretta di dieci anni di compite conversazioni nei salotti.

Missy dormì come un sasso, ma si svegliò prima di John Smith, probabilmente perché il sonno lo aveva eluso a lungo quando lei già da tempo vi indugiava. Aveva un maggior numero di cose a cui pensare.
Un lieve lucore filtrava dalla finestra. Si alzò cautamente dal letto e indugiò in piedi, rabbrividendo, fino a quando si decise a togliere la sua sottoveste dalla borsa. Com'era stato bello! Con maggior realismo di quanto avrebbe potuto prevedere, dimenticò la spiacevole sofferenza iniziale e ricordò quelle mani robuste, rese ruvide dal lavoro, che l'afferravano, l'accarezzavano, la confortavano. Sentimenti e sensazioni, carezze e baci, calore e luce... oh, sì, era tanto bello!
Si mosse nella capanna cercando di non fare rumore. Riattivò la stufa, spostò il bollitore in un punto ove l'acqua più facilmente avrebbe potuto arrivare al bollore. Ma naturalmente le sue attività finirono per svegliarlo, e anch'egli scese dal letto, senza darsi pensiero della propria nudità. Pertanto a Missy venne offerta una preziosa occasione per studiare le differenze anatomiche fra la donna e l'uomo.
Ma ancora più piacevole fu la reazione di lui alla sua presenza. Le mosse incontro, la strinse fra le braccia e indugiò così, cullandosi dolcemente, ancora semiaddormentato e appoggiato addosso a lei, con la barba che le pungeva il collo.
"Buongiorno." sussurrò Missy, e le sue labbra sorridenti gli deponevano piccoli baci sulle spalle.
"'giorno." mormorò lui, mostrando chiaramente di apprezzare la sua reazione.
Era morte di fame. Da due giorni, praticamente, non toccava cibo. "Preparo la colazione." disse Missy.
"Ti andrebbe un bagno?" Ora dal suono della voce sembrava più sveglio, ma non tentò di staccarsi da lei.
Forse puzzava di Buttercup. Oh, pover'uomo! L'appetito svanì un'altra volta. "Sì, grazie. Ma mi occorrerebbe anche un gabinetto."
"Infilati le scarpe."
Mentre lei calzava i suoi stivaletti, incurante di allacciarli, lui frugò in un credenzone e ne trasse due asciugamani, vecchi e ruvidi ma puliti.
La radura, brillante di rugiada, era ancora avvolta dall'ombra della notte, ma quando Missy alzò lo sguardo vide che le grandi pareti di arenaria della valle già si accendevano del caldo bagliore del sole nascente, e il cielo andava irraggiandosi di un mutevole biancore opalescente, che evocava la pelle di Una. Ovunque gli uccelli cantavano scambiandosi i loro richiami, mai così inclini a dar sfogo alle loro voci come all'albeggiare.
"Il gabinetto è un po' primitivo." l'avvertì lui, mostrandole il luogo in cui aveva scavato un buco profondo, circondato di grossi massi a guisa di sedile, con dei giornali cacciati alla meno peggio in una scatola per tenerlo pulito e asciutto. Non si era curato di isolarlo con pareti o di coprirlo con un tetto.
"E' il gabinetto più ventilato che abbia mai visto in vita mia." disse lei in tono allegro.
Lui ridacchiò. "Bisogno piccolo o bisogno grosso?"
"Piccolo, grazie."
"Allora ti aspetterò laggiù." disse additando un punto al lato opposto della radura.
Quando Missy lo raggiunse un minuto dopo, già rabbrividiva al pensiero della gelida immersione nelle acque del torrente. Lui aveva tutta l'aria dell'uomo che apprezza quel genere di spartane abluzioni. Forse, pensò, cadrò nella mia stessa trappola e creperò sul colpo per il freddo.
Ma anziché guidarla verso il torrente, John Smith la condusse in un folto di felci e clematidi selvatiche che profondevano la loro bianca, leggiadra fioritura. E lì c'era la stanza da bagno più bella del mondo: una sorgente d'acqua calda che sgorgava da una fenditura tra due rocce, al sommo di un declivio petroso, e ricadeva, troppo sottile per definirla cascata, in un largo bacino muscoso.
Missy in un baleno si liberò della sottoveste e due secondi dopo si calava in quella conca d'acqua cristallina, pressoché bollente, donde lievi sbuffi di vapore si levavano nell'aria frizzante del mattino. Non era molto profonda, e il fondale era di roccia liscia. Niente sanguisughe, grazie al cielo!
"Vacci piano con il sapone." l'ammonì John Smith, additando un grosso pezzo dell'ottima marca che lui usava, sistemato in una piccola nicchia di fianco alla piscina naturale. "E' chiaro che l'acqua se ne va, perché il livello non aumenta mai, così come la sorgente non cessa mai di sgorgare. Ma non bisogna fidarsi troppo della sorte."
"Ora capisco perché sei così pulito." disse lei, pensando ai bagni di Missolungi, due dita d'acqua in fondo ad una vasca rugginosa, calda quella del bollitore e fredda quella del secchio. E quel quantitativo d'acqua penosamente inadeguato veniva usato dalle tre signore, con la povera Missy in coda, ultima ruota del carro.
Del tutto inconsapevole di apparire seducente, gli sorrise e sollevò le braccia fino a quando i piccoli capezzoli dei suoi seni esigui emersero a pelo d'acqua. "E tu non entri?" domandò, col tono di un'esperta tentatrice. "C'è tutto lo spazio che vuoi."
Lui non aveva bisogno d'altri incoraggiamenti, e parve dimenticare i suoi moniti circa l'eccessiva produzione di schiuma, perché si dimostrò estremamente assiduo nell'esplorare ogni parte di lei con le mani e con il pezzo di sapone. Né Missy fu indotta a pensare che tanta precisione avesse qualcosa a che fare con Buttercup. Si sottopose a quei servigi con voluttuosa compiacenza, dopo di che insisté per ricambiarli. E fu così che quel bagno a due si protrasse per quasi un'ora.
Tuttavia, mentre facevano colazione, lui passò ad argomenti più concreti. "Credo che a Katoomba esista un ufficio di stato civile, possiamo andare a farci dare una licenza di matrimonio." disse.
"Se tu mi portassi a Missolungi, e di lì io scendessi a Byron e prendessi il treno alla stazione," disse Missy, "credo che arriverei a Katoomba poco prima di te e del tuo barroccio. Bisogna che vada a trovare mia madre, poi devo andare a far spese e a riportare un libro alla biblioteca circolante."
Di colpo, lui assunse un'espressione allarmata. "Non penserai a un matrimonio in pompa magna, spero!"
Lei scoppiò a ridere. "Ma no, tu ed io saremo più che sufficienti. Sennonché ho lasciato un biglietto a mia madre e voglio assicurarmi che non sia troppo in pena. E poi la mia migliore amica lavora alla biblioteca. Ti dispiacerebbe se venisse al matrimonio?"
"Se ci tieni, no. Però, attenta: se riuscissi a persuadere le autorità, preferirei sbrigare tutto in giornata."
"A Katoomba?"
"Sì."
Sposarsi in marrone! Poteva rassegnarsi a una cosa simile? Missy sospirò. "E va bene." disse. "Tu però promettimi una cosa."
"Quando morirò, mi seppellirai con un abito di pizzo rosso. Oppure, se non riuscissi a rimediarne uno, con un vestito di qualunque altra tinta, purché non sia marrone!"
Parve stupito. "E perché? Non ti piace il marrone? Non ti ho mai vista con un abito che non fosse di questo colore!"
"Mi vesto di marrone perché sono una persona povera ma rispettabile. Il marrone non sbiadisce, non passa di moda, non lascia vedere lo sporco e non è mai ordinario, chiassoso o volgare."
Lui rise di questa riflessione, ma poi tornò all'argomento della loro conversazione.
"Hai un certificato di nascita?"
"Sì, nella mia borsa."
"Qual'è il tuo vero nome?"
Lei ebbe una reazione imprevedibile. Arrossì, si agitò sulla sedia, strinse i denti. "Missy non può bastare? Credimi, tutti mi hanno sempre chiamata così, soltanto così."
"Prima o poi il tuo vero nome dovrà saltar fuori." ribatté lui con un risolino. "Suvvia, confessalo. Dopotutto non può essere un nome tanto orribile!"
"Mi chiamo... Missolungi."
Lui scoppiò in una risata fragorosa. "Andiamo, vuoi prendermi in giro?"
"Magari fosse vero."
"Dunque, il tuo nome è uguale a quello della casa?"
"Tale e quale. Secondo mio padre, non c'era parola più bella di questa al mondo, e detestava l'abitudine degli Hurlingford di affibbiare nomi latini a tutti. A mia madre piaceva Camilla, ma lui ha preteso Missolungi a tutti i costi."
"Oh, poverina!" Oh, povera ragazza!"





(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:23
Le Signore di Missolungi - (continua)






Quella volta Missy non ebbe alcuna difficoltà a salire i gradini che portavano alla veranda di Missolungi. Bussò alla porta come se fosse stata un'estranea.
Drusilla aprì e guardò sua figlia come se davvero fosse stata una sconosciuta. Sul suo aspetto, niente da ridire. Anzi, non era mai stata tanto bene in vita sua.
"Sì, cara, lo so cos'hai fatto." disse, precedendola in anticamera verso la cucina. "Avrei preferito che certe cose ti fossi limitata a leggerle, ma sinceramente mi sembra che sarebbe come piangere sul latte versato, non ti pare? Sei tornata per sempre, dì?"
"No."
Octavia comparve zoppicando, e ricevette un bacio per ogni guancia da una raggiante Missy.
"Sei sicura di star bene?" chiese con voce tremebonda, stringendo convulsamente le mani della nipote.
"Ma certo che sta bene!" disse Drusilla, decisa. "In nome del cielo, basta che tu le dia un'occhiata!"
Missy rivolse a sua madre un sorriso di riconoscenza. Strano a dirsi: soltanto ora che il suo legame con Missolungi era spezzato, lei avvertiva in pieno la profondità del suo affetto per Drusilla. Ma forse non era meno vero che soltanto adesso sapeva valutare sino in fondo le ansie, le difficoltà, i tormenti di sua madre.
"Ti ringrazio molto, mamma," disse, "di avermi riconosciuto la facoltà di sapere quello che facevo."
"Se non sapessi quel che fai alla vigilia dei trentaquattro anni, Missy, per te non rimarrebbero speranze. Per tanto tempo hai agito secondo le nostre direttive, e chi può dire che le tue scelte non diano migliori risultati?"
"Verissimo, ma quello che mi dici adesso è lontano mille miglia dalla pretesa d'impormi un tipo di lettura o il colore dei miei vestiti."
"Be', diciamo che ti sei emancipata in tempo."
"Sì, credo proprio che tu abbia ragione."
"Ti sei trovata la guida che ti sei sempre meritata, Missy."
"Se sei disposta ad ammettere una cosa del genere, mamma, perché tu e le mie zie e tutte le Hurlingford che non hanno un uomo non fanno fronte comune per combattere contro le evidenti iniquità della famiglia? Non ti sembra che sarebbe ora?"
"Credimi, Missy, da quando hai rivelato come Billy ci abbia mentito, ci ho pensato e ripensato spesso. E ne ho parlato anche a Cornelia e a Julia. Ma non ci sono leggi che costringano un uomo, o una donna, a lasciare in eredità i loro beni spartendoli equamente tra i figli dei due sessi. Secondo me, le più riprovevoli sono state le donne Hurlingford con del denaro da lasciare ai discendenti. Alle loro figlie non va niente di niente, nemmeno una casa e cinque acri di terreno annesso. Per questo ho sempre pensato che non ci fossero speranze per noi, dal momento che siamo chiaramente sottomesse ai maschi di famiglia. E questa è una ben triste verità."
"Tu parli delle donne Hurlingford che perderanno molto se voi vincerete. Io invece sto parlando delle altre donne nelle vostre condizioni, e io so che, se tu lo volessi, riusciresti a smuoverle. Voi disponete degli strumenti legali necessari per ottenere i dividenti non distribuiti, e credo proprio che dovreste promuovere una causa contro lo zio Herbert per obbligarlo a fornire ogni possibile dettaglio sui suoi svariati investimenti." Missy scoccò da sotto le ciglia un'occhiata pudica a sua madre. "Dopotutto, mamma," aggiunse poi, "sei stata tu a dirlo: 'Ti sei trovata la guida che ti sei sempre meritata, Missy.'"

Da Missolungi raggiunse a piedi Byron. Ah, che giornata splendida, che giornata meravigliosa! Per la prima volta in vita sua si sentiva veramente in forma. Viveva quelle ineffabili sensazioni epidermiche che conosceva soltanto attraverso le pagine dei libri, ma non aveva mai sperimentato in vita sua, e per la prima volta preconizzava il piacere di vivere una lunga vita. Questo, per essere più esatti, nella misura in cui rammentava che la causa di tanta felicità dipendeva totalmente da John Smith, mentre da parte sua quest'ultimo dava per scontato che sarebbe vissuto con lei il tempo massimo di un anno. Aveva mentito, ingannato, rubato per poter assaporare questa felicità, e non se ne doleva neppure vagamente. Tutte le Alicie del mondo potevano convocare, con un semplice schiocco delle dita, tutti gli uomini che avevano scelto, ma era impensabile pretendere che un uomo come John Smith potesse rispondere allo schiocco delle dita di una donna come Missy Wright. Non l'avrebbe guardata nemmeno con la coda dell'occhio! Eppure lei sapeva che avrebbe potuto farne, se non l'uomo più felice del mondo, l'uomo più felice della città di Byron. Aveva molto di più, Missy Wright, perché allo scadere dell'anno, lui avrebbe desiderato a tal punto che continuasse a vivere, da essere pronto a perdonarle il furto, la menzogna, l'inganno e tutto il resto!
Il tempo passava, e lei non poteva rischiare di perdere il treno delle undici che l'avrebbe portata a Katoomba, dove John Smith aveva promesso di attenderla alla stazione. Poteva rinviare le commissioni all'indomani, ma in certo qual modo sentiva di non poter rimandare il suo incontro con Una. Decise pertanto di andare alla biblioteca.
Una magnifica automobile sostava, solenne, in Byron Street, animata dal rombo sommesso del motore, nel momento stesso in cui Missy percorreva la strada a passo svelto, nel suo abito di lino marrone, insulsa e inosservata come sempre. Cosa che non si poteva dire della macchina, parimenti marrone, che aveva raccolto ai due lati della via un capannello di estasiati ammiratori, visitatori occasionali o residenti in città. Dopo averla osservata, non senza divertimento, Missy concluse che l'autista era decisamente più appetibile dei passeggeri che sedevano nell'abitacolo. L'autista, che conosceva di fama, era un bel giovanotto che amava far bella figura, grazie al suo aspetto aitante, più di quanto non gli andasse di sgobbare, e si diceva che strapazzasse le sue non poche conquiste femminili. Quanto ai passeggeri, li conosceva per amara esperienza: erano Alicia e lo zio Billy.
Gli occhi di Alicia incontrarono i suoi. Un istante dopo la sontuosa automobile si portava rasente il bordo della via, e Alicia e lo zio Billy ne scendevano in tutta fretta, senza che l'autista, stupefatto, avesse il tempo di aprire la portiera.
"Come hai potuto osare, Missy Wright, di impossessarti delle azioni di zia Cornelia e di venderle sotto il nostro naso?" l'apostrofò Alicia senza alcun preambolo, i pomelli accesi sulle guance d'alabastro.
"E perché non avrei dovuto?" rispose Missy, gelida.
"Perché non sono fatti tuoi, maledizione!" intervenne Sir William, irrigidito dalla collera.
"Sono fatti miei esattamente come sono tuoi, zio Billy. Sapevo dove avrei potuto ricavare dieci sterline per ciascuna azione di zia Cornelia. A lei cosa servivano, dal momento che le avevi fatto credere che non avevano il minimo valore? Zia Cornelia ha urgente necessità di farsi operare ai piedi e non poteva permettersi la spesa perché, a quanto ho saputo, tu, Alicia, ti sei rifiutata di concederle qualche giorno di libertà e anche di concederle qualche soldo in più. Così io ho venduto le sue azioni in cambio di cento sterline e adesso lei può permettersi l'operazione. E se tu volessi licenziarla, lei quanto meno avrebbe in banca i soldi necessari per tirare avanti fino a quando si trovasse un altro impiego. Giurerei che a Katoomba ci sono tanti negozi pronti a far carte false pur di poter assumere una persona con la sua esperienza. Può darsi che t'interessi sapere che ho venduto anche le azioni di zia Octavia e di mia madre.."
"Cosa?" strillò Sir William.
"Tutte? Le hai vendute tutte quante?" balbettò Alicia, e in un secondo le gote divennero di nuovo pallide.
"Certamente." confermò Missy, fissando la cugina con una malizia che ignorava di possedere. "Suvvia, Alicia, non vorrai farmi credere che quaranta miserabili azioni della grande Byron Bottle Company bastassero a riequilibrare il bilancio!"
In un attimo di smarrimento Alicia credette che a Missy fossero spuntate le corna e e i piedi biforcuti del demonio. "Ma ti ha dato di volta il cervello?" strepitò. "Prima m'insudici il vestito e mi insulti davanti a tutti i miei parenti, poi questa famiglia vuoi mandarla in rovina. Tu sei da rinchiudere!"
"Vorrei soltanto che quel che ho fatto servisse a rinchiudere te, non in manicomio ma in galera. Ora vi prego di scusarmi, ma devo scappar via. Ho un appuntamento per sposarmi." E Missy se ne andò impettita, col naso all'aria.
"Sento che sto per svenire." annunciò Alicia, e facendo seguire alle parole i fatti, si lasciò cadere contro una vetrina dell'emporio di zio Herbert, quella piena di tute da lavoro.
Sir William approfittò dell'occasione per cingerla con le sue braccia, volgendo il capo per invocare l'aiuto dell'autista. Mentre reggevano Alicia per riportarla all'automobile, furono le mani prive di guanti dell'avvenente autista a percepire la deliziosa forma e consistenza dei capezzoli della giovane donna. Pertanto, quando ormai s'era formato un capannello che includeva i nipoti e i pronipoti di zio Herbert, Sir William senza tante cerimonie lasciò cadere Alicia sul sedile e ordinò all'autista di rimettere in moto e allontanarsi senza ulteriori indugi.
Quando il futuro suocero tentò di allentare le stringhe del busto e a tale scopo le sollevò il vestito, annaspando tra i mutandoni di esile batista, immediatamente Alicia riprese i sensi.
"Smettila, vecchio maiale!" sbottò, dimenticando le buone maniere, e si protese in avanti, stringendosi il volto tra le palme. "Dio, Dio, mi sembra di morire!"
"Preferisci tornare a casa, ora che non abbiamo più motivo di andare a Missolungi?! domandò Sir William con il volto paonazzo.
"Sì, certamente." Si appoggiò di nuovo allo schienale del sedile lasciando che la brezza le rinfrescasse la pelle, e riuscì a rilassarsi un poco. Sospirò. Finalmente si sentiva meglio.
Di fronte a lei, ma al di là del cristallo che separava il vano aperto di guida dall'abitacolo chiuso riservato ai passeggeri, la bella testa dell'autista plasticamente modellata posava sul collo morbido e robusto. Che graziose orecchie aveva, per essere un uomo: piccole e perfettamente aderenti al cranio. Era bello, e bruno come Missy e come lei diverso. Soltanto un uomo muscoloso come lui avrebbe potuto sollevarla senza sforzo. E quelle mani sui suoi seni... al solo ricordo sentì i capezzoli che le si inturgidivano e gemette di desiderio sul sedile. Come si chiamava? Frank? Sì, Frank. Frank Pellegrino. Un tempo lavorava all'impianto d'imbottigliamento, prima di trovare quel posto come autista di zio Billy.
Un'occhiata di sottecchi a Sir William lo rivelò abbandonato sul sedile, in atteggiamento di profonda desolazione.
"Sono molto importanti per noi, quelle quaranta azioni?"
"Eccome se lo sono, ora che sappiamo che Richard Hurlingford ha venduto un mese fa." Sir William sospirò. "E questo spiega come mai il compratore misterioso è convinto di avere potere a sufficienza per convocare un'assemblea straordinaria per domani."
"Tutta colpa di quella cretina!" sibilò Alicia. "Com'è possibile che Missy abbia commesso una sciocchezza simile?"
"Ho paura che gli sciocchi siamo noi, invece, cara Alicia. Io non ho mai dato alcun peso a Missy Wright, ora però mi accorgo che avrei dovuto tenerla d'occhio. E non soltanto lei. Sarebbe stato bene dedicare più attenzione alle signore di Missolungi in generale. L'hai guardata bene, stamattina? Sembrava che la sapesse più lunga di tutti gli abitanti della regione. E poi ho capito male o ha detto che aveva fretta perché andava a sposarsi?"
"Sì, sì, l'ha detto, ma giurerei che s'inventava tutto." rispose Alicia, sprezzante. Poi le tornò alla mente qualcosa di più importante e di ben più urgente. "Quella vecchia idiota di zia Cornie!" borbottò, fuori di sé per la rabbia. "Avrei doluto darle il benservito stamattina, quando è venuta a cianciare delle azioni e dei giorni che le servivano per farsi fare quell'operazione."
"E allora perché non l'hai licenziata?"
"Perché non me lo posso permettere. Se le cose all'impianto d'imbottigliamento continueranno ad andare di male in peggio, il negozio potrebbe diventare la mia unica fonte di sostentamento. E non troverei mai nessuno in grado di dirigere il salon che valesse la metà di zia Cornie, anche se le dessi uno stipendio dieci volte superiore al suo. Lei... lei è indispensabile."
"Puoi solo pregare che non se ne accorga, altrimenti pretenderebbe dieci volte di più di quanto le passi attualmente." E aggiunse con una vibrazione compiaciuta nella voce: "Dopo di che, mia cara, come venditrice ti converrebbe assumere te stessa. Funzioneresti anche meglio di zia Cornie."
"No, non posso fare una cosa simile." bofonchiò Alicia. "Rovinerebbe la mia situazione sociale. Un conto è essere il genio creativo dietro il paravento di un'attività di questo genere, altra cosa è doverla gestire di persona." E nel dir questo diede un'aggiustatina ai risvolti del suo soprabito rosa confetto, mentre il bel volto prendeva quell'espressione di corruccio che, grazie alla sua indole, non faticava minimamente ad assumere.
"Oh, zio Billy, all'improvviso ho l'impressione di camminare sul ghiaccio. E' come se da un momento all'altro potesse spezzarmisi sotto i piedi e io vi precipitassi dentro!"
"Sì, è vero, siamo nei pasticci, ma non dobbiamo gettare la spugna. Non è detto che tutto debba finire qui. Sterline contro quattro soldi. Giurerei che domani, quando il misterioso compratore si farà vedere all'assemblea straordinaria, si rivelerà per un bifolco improvvisato, facilmente manovrabile da chi la sa più lunga. E per questo genere di cose, tu sei tagliata alla perfezione."
Alicia non rispose, e si accontentò di lanciargli un'occhiata piena di dubbi e di avversione personale. I suoi occhi tornarono a posarsi sulla nuca dell'autista, una visione molto più attraente dell'irascibile persona di Sir William.
Quando Missy varcò la soglia della biblioteca, era pienamente convinta di trovarvi Una, sebbene non fosse uno dei giorni in cui la sua amica era di turno. E per la verità, Una era presente.
"Oh, Missy, sono molto contenta di vederti!" esclamò balzando in piedi. "Ho una sorpresa, sai?"
"Anch'io," disse Missy, "ho una magnifica sorpresa per te."
"Aspetta un minuto. Torno in un baleno." Una scomparve nello stanzino del tè e ne riemerse con una grande scatola bianca e una cappelliera, l'una e l'altra legate con un nastro bianco. "Con tutti gli auguri possibili e immaginabili, mia cara Missy." cinguettò.
Si sorrisero a vicenda, con reciproco affetto e assoluta comprensione.
"E' un abito di pizzo rosso, con il cappello in tinta." disse Missy.
"E' un abito di pizzo rosso, con il cappello in tinta." confermò Una.
"Lo indosserò al mio matrimonio."
"John Smith! John Smith! Hai trovato proprio l'uomo che fa per te!"
"Sì, ma per averlo ho dovuto ricorrere al sotterfugio e all'inganno."
"Se non avevi altro modo, perché te lo rimproveri?"
"Gli ho detto che sono condannata da una malattia di cuore."
"Non lo siamo forse tutti?"
"Be', non spacchiamo il capello in quattro." disse Missy. "Verrai al nostro matrimonio?"
"Mi piacerebbe, ma non verrò."
"E perché?"
"Non sarebbe opportuno."
"Per via del tuo divorzio? Non ci sposiamo in chiesa, quindi non vedo chi possa trovare da ridire."
"No, tesoro, il divorzio non c'entra. La ragione è un'altra. Non credo che John Smith gradirebbe di vedere alle sue nozze una faccia che appartiene ormai al passato."
"Era un'osservazione più che comprensibile, sicché Missy preferì non insistere. D'altronde, non c'era altro da dire. La sua gratitudine andava al di là delle parole, la sua esigenza di affrettarsi era evidente. Una indugiò a osservarla con espressione malinconica, come se l'altra fosse sul punto di impossessarsi di qualcosa di prezioso, di cui la sua vita sarebbe stata defraudata per sempre. E quel qualcosa era meno tangibile di un abito e di un cappello di pizzo scarlatto.
Rispondendo a un impulso che non era in grado di comprendere, Missy tornò alla scrivania, si protese verso l'amica e cinse le spalle di Una con un braccio, premendole le labbra su una guancia. Era così fredda, così fragile, così evanescente!
"Arrivederci, Una!"
"Arrivederci, mia cara, carissima amica. Ti auguro ogni felicità!"




(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:25
Le Signore di Missolungi - (continua)






Missy vide John Smith sulla pensilina prima ancora che il treno si fermasse alla stazione di Katoomba. Grazie al cielo, era venuto. Dunque non aveva cambiato parere durante il breve percorso in solitudine lungo la grande strada nazionale. E in effetti, quando lui la vide scendere dalla carrozza, sembrava quasi lieto di ritrovarsela davanti agli occhi.
"Ci accorderanno una licenza che ci permetterà di sposarci oggi stesso." le annunciò, levandole le scatole di mano.
"E io non sarò costretta a sposarmi con un abito marrone." disse Missy, riprendendosi le scatole. "Scusami, vado alla toilette a cambiarmi e a mettermi il vestito da sposa."
"Il vestito da sposa?" Lui guardò con comico smarrimento la sua camicia da lavoro di flanella grigia e i calzoni di fustagno.
"Non preoccuparti," disse lei, "non porterò un abito tradizionale. Anzi, ti assicuro che sarai molto più intonato tu di me!"
Il vestito le andava a pennello. A quanto pareva, Una aveva un occhio infallibile in fatto di misure. E che colore splendido! Gli occhi di Missy lo ammiravano senza mai stancarsi. Dove diamine era riuscita, Una, a scovare un indumento così elegante nello stile e al tempo stesso così aggressivo nel colore?
Lo specchio appeso alla parete parve introdurre un tocco di magia, perché conferiva a tutto ciò che rifletteva una patina lieve di bellezza. Nell'acconciarsi in capo quel cappello assurdo, Missy concluse che le stava veramente bene. Di colpo, i suoi capelli bruni, il suo colorito scuro divennero interessanti, il suo corpo scarno diventò semplicemente snello, come può esserlo un albero giovinetto. Sì, tutto in lei appariva al meglio, e non evocava affatto l'immagine di una zitella.
Una volta ripresosi dallo stupore causatogli da quella festa di rosso, anche John Smith dovette convenire che le donava molto. "Che matrimonio, il mio! Io sembro un bifolco e tu una dama!" Prese Missy sotto braccio. "Suvvia, sbrighiamoci prima che corra il rischio di pentirmi."
Percorsero lentamente Katoomba Street, sentendosi al centro dell'attenzione generale e compiacendosi della sensazione che suscitavano intorno a loro.
"E' stato facile." commentò Missy, dopo la cerimonia. Se ne stavano seduti nel barroccio di John Smith. Tese la mano davanti a sé per osservare l'anello. "Ora sono la signora Smith. Mi piace, suona bene."
"Devo riconoscere che questa volta le cose sono andate molto meglio della prima."
"Com'è stato il tuo primo matrimonio? Ti sei sposato in gran pompa?"
"Si sarebbe detto che fossimo al circo equestre. Duecentocinquanta invitati, la sposa con uno strascico interminabile sostenuto da una turba di moccciosi, dodici o quattordici damigelle d'onore, tutti gli uomini in tight, l'arcivescovo di non so più cosa che ha celebrato la funzione, un coro di cinquanta o cento voci. Dio mio, che incubo... ma anche un paradiso in confronto a quello che è accaduto dopo." La guardò di sottecchi, aggrottando la fronte. "Ma t'interessa davvero tutta questa storia?"
"Sì, raccontami. Dicono che la seconda moglie deve sempre lottare contro il fantasma della prima, e che è più difficile combattere un fantasma di una persona in carne ed ossa." S'interruppe per fare appello al suo coraggio. "E l'altra," domandò, "l'altra... ti piaceva?"
"Quando l'ho sposata probabilmente sì. Ma sinceramente, adesso non lo ricordo più. Sai, non la conoscevo. La conoscevo solamente di fama. Probabilmente è stata lei a volermi perché io non le ho mai chiesto di sposarmi. Evidentemente io sono il tipo d'uomo al quale le donne chiedono di essere sposate. Solo che tu me l'hai chiesto in tutt'altro modo, in un modo che non mi ha per niente offeso. E' stata una maniera onesta, leale, senza imbrogli. Ma quella... quella mi si buttava addosso come una scatenata, e magari un momento dopo diceva che ero la maledizione della sua esistenza. Una doccia scozzese, insomma, mi pare si dica così. Probabilmente le donne credono che gli uomini se lo aspettino, che se non lo fanno rischiano di essere considerate troppo comode per il tizio che sono riuscite ad accalappiare. Ecco perché mi piaci tanto, signora Smith. Tu non pretendi affatto di fare il bello e il cattivo tempo."
"Ti sono molto grata." rispose Missy, umilmente. "Ora però continua. Cos'è successo, dopo?"
Lui alzò le spalle. "Oh, ha stabilito che le decisioni spettavano soltanto a lei, che contava soltanto quello che premeva a lei. Una volta catturato, il pesce non contava più nulla. E lei esisteva solamente per dimostrare che era in grado di pescarlo, il pesce, tanto per assicurarsi la rispettabilità, per avere qualcuno che se la portasse in giro. Non che avesse dei veri e propri amanti, si tirava appresso quei tipi chiamati cicisbei, dei bellimbusti, dei pelandroni buoni a nulla con la gardenia all'occhiello e i capelli molto più lucidi delle loro scarpe di purissima pelle di capretto. Sai come si dice... dimmi con chi vai e ti dirò chi sei... be', mia moglie la si poteva giudicare dalle amicizie... le sue amiche erano dure come il ferro, tignose come un vecchio paio di stivali, mentre i suoi amici erano mollicci come il burro e flosci come la lattuga della settimana prima. Le piaceva sfottermi davanti a tutti, al cospetto di chiunque. A sentir lei ero noioso, ero pesante, ero indigesto. Non teneva mai nascosti i nostri screzi, spiattellava sempre tutto in faccia agli altri, anche in piazza, se le andava a genio. In una parola, per me non nutriva altro che disprezzo."
"E tu? Come la vedevi?"
"Io? Io la detestavo." Ed era chiaro che la detestava ancora, perché il tono della sua voce non corrispondeva a un'esperienza ormai seppellita nel passato.
"Per quanto tempo siete stati sposati?"
"Per quattro o cinque anni."
"E avete avuto figli?"
"No, maledizione! Perché, capisci, avrebbero potuto rovinarle la linea. E naturalmente questo vuol dire che le piaceva molto farsi sbaciucchiare e coccolare, ma se poi si trattava di andare più in là... be', capitava soltanto quando si ubriacava, dopo di che si metteva a strillare e a dare in smanie per paura che la cosa potesse avere delle conseguenze, e correva dal medico, un poveraccio in balia di tutte quelle imbecilli."
"E adesso è morta, lei?" domandò Missy, poco propensa a credere che una donna del genere avesse potuto godere di tanta considerazione.
"Una sera abbiamo avuto un litigio spaventoso. Oh, per una sciocchezza, per una cosa di nessuna importanza, non mi ricordo bene. Abitavamo in una casa affacciata sul porto, e pare che, dopo che io ero uscito, lei avesse deciso di andare a farsi una nuotata, tanto per calmare i nervi. Il corpo è stato ritrovato due settimane dopo, scaraventato dalle onde a Balmoral Beach."
"Oh, povera donna!"
"Povera donna un corno!" sbottò lui, indignato. "La polizia ha fatto di tutto per incolparmi, ma, per fortuna, un minuto dopo che lei aveva preso a sbraitare, ero uscito di casa e a venti iarde di distanza avevo incontrato un amico. Anche lui era stato sbattuto fuori dal letto, e stava andando a casa di un nostro comune amico, uno scapolo, quel bastardo. Così ci siamo andati assieme. E lì siamo rimasti fino all'indomani a mezzogiorno, sempre più ubriachi. E dal momento che le persone di servizio l'avevano vista viva e vegeta più di mezz'ora dopo che noi eravamo arrivati a casa di quel nostro amico, la polizia non ha potuto mettermi le grinfie addosso. Comunque, l'autopsia ha rivelato ch'era morta annegata, tutto lì, non c'erano tracce di violenza e roba di quel genere. Ma a Sydney molti hanno continuato a pensare che ad ucciderla sia stato io, che ero stato furbo quanto bastava per non farmi beccare e che avevo pagato i miei amici per fornirmi degli alibi inventati."
"E quando è successo tutto questo?"
"Circa vent'anni fa."
"E' molto tempo, allora. E cos'hai fatto in tutti questi anni, dal momento che soltanto adesso hai ottenuto quello che volevi?"
"Be', appena la polizia mi ha mollato me ne sono andato dall'Australia. E mi sono messo a girare il mondo. Sono stato in Africa, nel Klondike, in Cina, in Brasile, nel Texas. Per quasi vent'anni ho vissuto in volontario esilio. Dal momento ch'ero nato a Londra, ho potuto ottenervi di cambiare il nome, e quando sono ritornato in Australia ci sono venuto come un vero e proprio cittadino del mondo, con tutto il mio denaro in oro e nessun passato."
"Ma perché sei capitato proprio a Byron?"
"Per via della valle. Avevo saputo ch'era in vendita e avevo sempre voluto possedere una vallata intera."
Missy aveva la sensazione di aver forzato anche troppo la sua curiosità. Preferì dunque cambiare argomento di conversazione, spostandolo sulle furfanterie in atto alla Byron Bottle Company e sulle conseguenti difficoltà finanziarie in cui versavano sua madre e sua zia. John Smith l'ascoltò attentamente con un lieve sorriso che gli aleggiava agli angoli della bocca. Poi, quando lei ebbe terminato il suo racconto, la cinse con un braccio, la trasse a sé contro il proprio fianco e la mantenne in quella posizione.
"Sai una cosa, signora Smith? Io non volevo proprio sposarti quando hai tirato in ballo per la prima volta la faccenda, ma devo ammettere che ogni volta che apri la bocca, mi riconcilio sempre più con questa idea. E anche ogni volta che apri le gambe. Sei una donna di buon senso e di buon cuore, e anche una Hurlingford degli Hurlingford, e questo mi dà moltissimo potere sul quale non facevo assegnamento." E concluse dicendo: "E' strano come a volte le cose prendano una piega inaspettata."
Per il resto del tragitto, Missy rimase in silenzio, tutta pervasa dalla sua felicità.

L'indomani mattina John Smith indossò un abito, una camicia, un colletto inamidato e una cravatta di ottima qualità e di indubbia, imprevedibile eleganza.
"Non so cosa tu debba fare, oggi, ma è chiaro che si tratta di qualcosa di più importante del tuo matrimonio." osservò Missy senz'ombra di risentimento.
"Infatti."
"Vai lontano?"
"Solamente a Byron."
"Allora mi sbrigo e vengo anch'io. Posso venire con te fino a casa di mia madre?"
"Ehi, moglie, buona idea! Aspettami a Missolungi. Ti raggiungerò nel tardo pomeriggio, così potrai presentarmi a tua madre e a tua zia. Credo proprio che avrò molte cose da raccontarvi."
Andrà tutto per il meglio, pensava Missy, mentre in abito e cappello rossi procedeva nel barroccio verso il crinale della valle, seduta accanto a quel marito abbigliato con insolita eleganza. Non m'importa di averlo catturato con il sotterfugio e con la menzogna. Gli piaccio, gli piaccio davvero, e senza nemmeno rendersene conto si è fatto un po' più in là per permettermi di stare al suo fianco. Quando il mio anno sarà passato, sarò in grado di dirgli la verità. Senza contare che, se avrò fortuna, per quella data potrò essere la madre di suo figlio. Il fatto che la prima moglie non volesse bambini lo ha ferito dolorosamente, e adesso è più vicino ai cinquanta che ai quaranta, cosicché i figli per lui saranno ancora più importanti. E sarà un bravo padre perché sa ridere e scherzare.
Prima di dirigersi verso Byron, lui l'aveva portata oltre la radura, dove progettava di costruire la loro casa. Scoprì che la cascata scrosciava così lontano, che nei giorni di vento non ricadeva sul fondo della valle e si lanciava vorticosamente nel nulla, in una profusione di pulviscolo acqueo e di iridescenti arcobaleni. Nondimeno, a valle della cascata si formava una grande conca naturale, ampia e calma, oltre la quale l'acqua scorreva in un'angusta fenditura, tramutandosi in un torrente rotto da cascatelle e rapide in continua successione, e quella conca era di colore turchese o delle ceramiche egizie, opaco come il latte, denso come uno sciroppo. Lui le spiegò che tutta quell'acqua sgorgava da una grotta ai piedi delle rupi, donde scaturiva, riemergendo alla superficie, un fiume sotterraneo.
"Qui affiora l'arenaria," spiegò John Smith, "ecco perché l'acqua assume un colore così insolito."
"Ed è qui che verremo ad abitare, davanti a tanta bellezza?"
"E' qui che verrò ad abitare io. Non credo che tu sarai ancora qui per vedere la nuova casa." Il volto di lui ebbe una contrazione. "Le case non spuntano come fossero funghi, costruirle richiede del tempo, specie quando a lavorarci è solo un paio di mani. Non vorrei proprio avere un'orda di muratori che pisciassero nel torrente, e il sabato prendessero una solenne sbornia e raccontassero al primo che passa tutto quello che succede nella valle."
"Se non sbaglio avevamo fatto un patto, e cioè di non parlare delle mie condizioni di salute. O mi sbaglio? Ad ogni modo non sarai il solo a costruirla. Avrai anche le mie mani." disse Missy in tono allegro. "Sono abituata a sgobbare, sai? E poi la capanna è molto piccola, non mi darà molto da fare. A quel che dice il medico, che stia tutto il giorno a letto o lavori come un portuale, non fa alcuna differenza. Un giorno o l'altro succederà, tutto qui."
Per tutta risposta lui la prese tra le braccia e la baciò come se davvero gli fosse piaciuto baciarla, e come se ormai contasse veramente qualcosa per lui. Alla fine partirono per Byron; un po' in ritardo sul programma prestabilito, ma dopotutto che importanza aveva?






(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:27
Le Signore di Missolungi - (continua)






Quando Missy entrò, senza farsi sentire, Drusilla e Octavia erano in cucina. La guardarono sbalordite, cercando di captare con l'occhio, in tutta la sua opulenza, quell'abito strabiliante e incongruo di merletto rosso, per tacere di quel cappello sulle ventitré, adorno di una goffa piuma di struzzo altrettanto rossa.
Non che durante la notte fosse diventata bella, ma si avvertiva in lei qualcosa di diverso e di accattivante, e il suo portamento fiero impediva di scambiarla per una donna leggera. In effetti, sembrava una londinese in visita in Australia, più che una delle signore di Caroline Lamb Place. Inoltre non c'era dubbio che quel colore le donasse molto.
"Oh, Missy... ma stai benissimo!" cinguettò Octavia, affrettandosi a sedersi.
Missy la baciò, come baciò sua madre. "Mi fa piacere, zia, perché infatti mi sento veramente bene!" E rivolse alle due donne un sorriso raggiante. "Sono venuta ad annunciarvi che mi sono sposata." aggiunse poi, tendendo e sventolando sotto il loro naso la mano adorna della fede nuziale.
"E chi hai sposato?" domandò Drusilla, estasiata.
"Il signor John Smith. Ci siamo sposati ieri, a Katoomba."
Di colpo, né Drusilla né Octavia si curarono oltre del fatto che a Byron tutti dicessero ch'era un avanzo di galera, e anche di peggio. John Smith aveva salvato Missy dai molteplici orrori dello zitellaggio, e di conseguenza era giusto che gli accordassero il loro affetto con gratitudine, rispetto e lealtà.
Octavia mise immediatamente il bollitore sul fuoco, muovendosi con una scioltezza e una facilità che da anni ignorava, per quanto Drusilla non se ne accorgesse. Era troppo impegnata nell'ammirata contemplazione del massiccio ed eloquente anello nuziale della figlia.
"La signora Smith." disse, quasi a titolo di prova. "Sai una cosa, Missy? Suona veramente elegante!"
"La semplicità è sempre elegante."
"E lui dov'è? Quando viene a trovarci?" domandò Octavia.
"Aveva degli affari da sbrigare a Byron, ma spera di finire nel tardo pomeriggio e di potervi conoscere quando passerà a prendermi per riportarmi a casa. Ho pensato, mamma, che tu ed io potremmo fare un salto in città, tanto per ingannare il tempo. Devo comprare qualcosa in drogheria e vorrei andare da zio Herbert a scegliere delle stoffe per farmi dei vestiti. Perché con il marrone ho chiuso per sempre! Non voglio portarlo neanche quando lavoro. Lavorerò in pantaloni e camicia da uomo perché sono molto più logici e pratici; e d'altronde chi mi vedrà?"
"Non è una fortuna che tu ti sia comprata quella Singer?" domandò Octavia alla sorella, treppo contenta della piega che avevano preso gli eventi per trovare da ridire sui calzoni.
Ma Drusilla aveva ben altro per la mente che pensare ai calzoni e alla Singer. "Sei sicura di poterteli permettere?" domandò, un po' allarmata. "Io te li confeziono, ma i tessuti di Herbert costano un occhio della testa, specialmente se rinunci al marrone."
"Direi proprio che me li posso permettere. Ieri sera John mi ha detto che stamattina avrebbe versato in banca mille sterline a mio nome. Dice che una moglie non deve rivolgersi al marito ogni qual volta ha bisogno di denaro, e nemmeno rendergli conto di ogni soldo che vuol spendere. Mi ha chiesto solamente di non oltrepassare questa cifra. Mille sterline, t'immagini? E le spese di casa sono a parte. Mette cento sterline in una vecchia scatola del caffè Bushell r dice che la terrà sempre rifornita, e che non vuol vedere i conti di casa. Oh, mamma, sono ancora senza fiato!"
"Mille sterline!" Drusilla e Octavia fissavano Missy con allibito rispetto.
"Ma allora dev'essere ricco." disse Drusilla, e fece un rapido calcolo mentale in virtù del quale già pregustava il piacere di fare le boccacce ad Aurelia, ad Augusta, ad Antonia. Straordinario! Non soltanto Missy aveva battuto Alicia nell'andare all'altare, ma da questo momento sembrava lecito credere che avesse fatto un affare migliore del suo.
"Be', credo che sia discretamente agiato." rispose Missy per temporeggiare. "So che la sua generosità nei miei confronti lascerebbe pensare che sia un uomo veramente facoltoso, ma sospetto che si tratti soprattutto di un'inclinazione innata alla generosità. Un fatto è certo: non lo metterò mai in imbarazzo spendendo smodatamente, ma ciò non toglie che, per il momento, abbia bisogno di qualche abito passabile, e che non sia marrone! Due vestiti invernali e due estivi, tutto qui. Ah, mamma, sapessi com'è bello, giù in fondo alla valle! Non ho alcuna voglia di fare una vita mondana, mi basta starmene sola col mio John!"
All'improvviso Drusilla assunse un'espressione preoccupata: "Temo proprio, Missy, che ci sia ben poco per farti un rgalo di nozze. Però penso che potremmo fare a meno della giovenca Jersey, non è vero, Octavia?"
"Ma certo, che ne possiamo fare a meno." disse Octavia.
"Questo sì è un bel regalo di nozze." esclamò Missy. "La giovenca Jersey ci piacerà moltissimo."
"Sì, ma prima sarebbe meglio che la mandassimo da Percival per farla montare dal toro." aggiunse Octavia. "Dovrebbe andare in calore da un momento all'altro, cosicché non ti farebbe aspettare molto tempo ormai, e se le cose andassero per il meglio potrebbe darti un vitello anche l'anno prossimo."
Drusilla consultò l'orologio appeso alla parete di cucina. "Se vuoi che andiamo da Herbert e da Maxwell, Missy, credo sia meglio muoverci. Dopo potremmo mangiare un boccone alla sala da tè di Julia e darle le notizie. Giurerei che resterà di stucco!"
Octavia si piegò un poco e per una volta non sentì alcun dolore.
"Vengo anch'io." annunciò pertanto con fermezza. "Oggi senza di me non ve ne andrete, dovessi camminare ginocchioni."

Fu così che nella tarda mattinata Drusilla si trovò a passeggiare nel centro commerciale della città con la figlia a un braccio e la sorella all'altro.
Fu Octavia ad avvistare la moglie di Cecil Hurlingford sul lato opposto della via. La signora Hurlingford aveva sposato il reverendo dottor Cecil Hurlingford, vicario della chiesa anglicana di Byron, al cospetto del quale tutti tremavano di paura e sentivano venir meno la parola. "Muori di curiosità, mezza calzetta, non è vero?" borbottò Octavia tra i denti, sorridendo e inchinandosi in atteggiamento così compassato, che la consorte del vicario si ritenne in dovere di attraversare la strada per stabilire di persona quali nuove motivassero un siffatto atteggiamento da parte di quelle vecchie streghe.
Poi Drusilla giustificò ulteriormente lo stupore e il mutato itinerario della signora Hurlingford scoppiando a ridere e puntando un dito tremante in direzione di costei. "Sai come stanno le cose, Octavia? E' che la moglie di Cecil non ha riconosciuto Missy! Probabilmente crede che ce ne andiamo a passeggio in compagnia di una delle dame di Caroline Lamb Place!"
Le tre signore ebbero una simultanea esplosione di ilarità, dopo di che la signora Hurlingford si affrettò a dileguarsi nella sala da tè di Julia per sottrarsi a quell'imprevedibile allegria di cui sospettava fortemente di essere l'oggetto.
"Ah, che spasso!" esclamò Octavia.
"Più restano sbalordite, più noi ci divertiamo!" disse Missy, mentre varcavano la soglia dell'emporio di tessuti di Herbert Hurlingford.
Ne seguì un'esperienza corroborante, dovuta sia all'involontaria e sbalordita imitazione di un baccalà da parte di zio Herbert, non appena Missy cominciò a comprare per sé camicie e calzoni da uomo, sia al muto sbalordimento di James, quando lei si dispose ad acquistare un taglio di taffetà color lavanda, uno di seta color albicocca, uno di velluto color ambra e uno di lana color ciclamino. Allorché Missy lo lasciò per passare a James, Herbert, ripresosi un poco, si domandò se non dovesse reagire imponendo a quella sfrontata di uscire immediatamente dal negozio, ma quando la vide pagare i suoi acquisti in oro sonante, cambiò prontamente avviso e in tutta umiltà si affrettò a registrare la vendita alla cassa. In effetti, per quanto quella visita di Missy fosse decisamente strabiliante, solo metà del suo cervello poteva concentrarsi su tanta novità, perché l'altra si domandava cosa diamine stesse accadendo all'impianto di imbottigliamento, dove in quel momento era in corso l'assemblea straordinaria degli azionisti. Gli Hurlingford impegnati dietro il banco delle loro botteghe avevano delegato Maxwell a rappresentarli, perché quest'ultimo era dotato di adeguata facondia e di spirito pungente, e sapevano che avrebbe lottato per tutelare i loro diritti non altrimenti dei suoi. Dopotutto il lavoro doveva proseguire come sempre, e se l'impianto d'imbottigliamento era destinato ad andare in fumo, con i suoi corollari rappresentati dai bagni, dalle terme e dall'albergo, i negozi per i rispettivi proprietari, diventavano più importanti che mai.
"Puoi recapitare tutta questa roba a Missolungi oggi pomeriggio, James." disse Missy con molto sussiego, e posò sul banco una sovrana d'oro. "Ecco," aggiunse, "questa è per il tuo disturbo. E dal momento che sarai già in giro potresti passare dalla drogheria di zio Maxwell a ritirare la mia ordinazione. Mamma, zia Octavia, ora andiamo a colazione da zia Julia."
E le tre signore lasciarono il negozio con maggior sussiego di quando vi erano entrate.
"Ah, che ridere! Ah, come mi diverto!" gorgogliò zia Octavia, che camminava quasi normalmente.
Anche Missy si divertiva, ma in modo meno elementare. Era stato emozionante trovare le mille sterline depositate a suo nome, come John le aveva promesso, ma ancora più sconvolgente era stata l'estrema compitezza con la quale l'aveva trattata Quintus Hurlingford, il direttore della banca. John Smith lo aveva invitato a pagare in oro la somma prelevata da Missy, posto che il versamento era stato effettuato in oro. Mille sterline in oro!
E va bene, si era permessa il tessuto per i vestiti nuovi, le camicie, i pantaloni e qualche paio di graziose scarpine. Non aveva bisogno d'altro. Se avesse conservato la decima parte di quella cifra enorme, le sarebbe stata più che sufficiente fino a quando, alla stessa data dell'anno successivo, avesse riavuto la somma di sua spettanza. Dopotutto, quando mai aveva posseduto più di uno scellino o due? Pertanto avrebbe usato il grosso di quella cifra per comprare a sua madre e a sua zia un calesse trainato da un pony. Un animale di quella taglia mangiava meno di un cavallo normale, avrebbero potuto mettergli le briglie e i finimenti senza troppo sforzo, e finalmente non sarebbero più state costrette a recarsi ovunque a piedi o a mortificare il loro amor proprio chiedendo che venisse loro inviato un mezzo di trasporto confacente. Proprio così, sarebbero andate al matrimonio di Alicia a bordo di un elegante carrozzino, perfettamente in stile con la circostanza.

Le cento sterline ricavate da zia Julia con la vendita delle sue azioni erano già state spese: una metà del suo locale era stata chiusa alla clientela e due operai sgobbavano a cartavetrare gli infissi e a strappare dalle pareti la vecchia tappezzeria.
Dopo essersi profusa in scuse per tanta confusione, Julia ritrovò la necessaria presenza di spirito per captare in tutto il suo splendore la nuova immagine di Missy. "Che abito stupendo, cara! E che cappello fantastico! Però il colore... non è un po' arrischiato?"
"Indubbiamente." fu d'accordo Missy, senz'ombra d'imbarazzo. "Ma vedi, zia, non ne potevo proprio più di vestirmi sempre di marrone, e riesci a immaginarti una tinta che ne sia più lontana di questa? E poi mi dona, non trovi?"
Sì, certo, ma al mio locale dona? si domandava Julia, e moriva dalla voglia di esternare il suo interrogativo a viva voce; ma poi concluse tra sé che criticare le sue benefattrici sarebbe stato veramente imperdonabile. Quanto ai lavori di rinnovo, oggi non era facile trovare chi li sovvenzionasse. Be', sperava solo che nessuno fosse indotto a ritenere che avesse aperto il suo locale alle signore di Caroline Lamb Place. Probabilmente la moglie del reverendo Cecil Hurlingford stava proprio rimuginando su un'ipotesi del genere. Oh Dio!
Nel frattempo Julia aveva accompagnato le signore di Missolungi al tavolo migliore, e poco dopo aveva recato loro un ricco assortimento di panini imbottiti e pasticcini, oltre a una grossa teiera fumante.
"Farò tappezzare le pareti con una carta a righe color crema, oro e viola." annunciò, sedendosi in compagnia delle sue ospiti. "Quanto alle sedie, voglio rifarne l'imbottitura nelle stesse tinte, ma con un broccato d'intonazione più vivace. Gli stucchi del soffitto li farò in oro per accentuarne il risalto, e poi voglio gabbiette d'oro con i canarini e grandi palme in vaso dappertutto. Figuriamoci se, dopo, quelli accanto potranno ancora competere con qualcosa del genere!" E con un cenno sardonico del capo indicò la parete divisoria che fungeva da confine con l'Olympus Café.
Drusilla aveva aperto la bocca per dar libero corso alla notizia delle nozze di Missy con John Smith e per annunciare che John Smith non era un avanzo di galera, ma un uomo ricco sfondato, quando Ccornelia irruppe tra loro da una porta tirandosi appresso uno strascico di sciarpe e di nastri variopinti, simili al piumaggio in muta di un pavone.
Julia e Cornelia vivevano nei locali soprastanti la Weeping Willow Tea Room, di cui Julia non era proprietaria a pieno titolo. In realtà pagava un lauto affitto al fratello Herbert, il quale insisteva a ripeterle che un giorno, tra l'affitto pagato e il reddito della casa e dei cinque acri di terreno, si sarebbe trovata in condizione di acquistare i locali.
Come spartivano l'abitazione, così le due sorelle nubili condividevano ogni minima particella d'informazioni che riuscissero a captare in virtù dei loro contatti con il pubblico, e ne godevano voluttuosamente; ma Cornelia, che delle due era la meno portata a queste forme di esaltazione, doveva solitamente attendere che Chez Chapeau Alicia chiudesse. Alicia non le permetteva di lasciare il negozio mentre era aperto al pubblico. Ora, era evidente che quanto Cornelia sentiva l'esigenza di comunicare era talmente urgente, da farle correre il rischio di provocare la collera di Alicia, e tale era la smania di Cornelia di comunicare le novità che non dedicò allo scarlatto abbigliamento di Missy più di un'occhiata frettolosa.
"Questa non potete immaginarvela!" sbottò, quasi senza fiato, lasciandosi cadere su una sedia, del tutto dimentica del ruolo di elegante e altezzosa venditrice di un raffinatissimo e sofisticato negozio di modista.
"Che cosa non possiamo immaginarci?" chiesero ansiose le altre quattro, pienamente consapevoli dei molteplici eventi e pertanto preparate a mostrarsi terribilmente impressionate.
"Stamattina Alicia è scappata con l'autista di Billy!"
"Cosa?"
"Sì, è vero, vi dico che è scappata! Ha tagliato la corda! Alla sua età, capite? Figuratevi che trambusto in casa di Aurelia! E' un susseguirsi di scenate e svenimenti! Per poco il piccolo Willie non ha demolito la casa, perché non voleva credere al biglietto che gli ha lasciato Alicia e si è messo a cercarla dappertutto. E Billy che urlava come un ossesso perché era costretto a partecipare a un incontro importantissimo all'impianto d'imbottigliamento, mentre aveva voglia solamente di mettere la polizia alle calcagna del suo autista! Hanno fatto coricare Aurelia rigida come un manico di scopa e hanno chiamato zio Neville, ma a poco a poco lei si è ripresa, ha cominciato a respirare regolarmente, dopo di che Neville gliene ha dette di tutti i colori perché l'avevano chiamato per nulla, e le ha detto che era soltanto una bambina viziata, e lei allora ha cacciato degli strilli incredibili e da quel momento non ha più smesso di urlare e di frignare. Ed Edmund se ne stava seduto a contorcersi su una sedia, e Ted e Randolph cercavano di fargli ritrovare il senno perché potesse prendere parte all'assemblea all'impianto. Ma la cosa più grave di tutte è che Alicia e l'autista se la sono squagliata con la macchina di Billy, quella nuova di zecca, come se fosse stata di loro proprietà!"
Cornelia concluse quel suo sproloquio quasi priva di forze, con uno scoppio di risa clamoroso. Missy le fece eco, e l'una dopo l'altra Julia, Octavia e Drusilla si unirono a quel coro di gioiosa e divertita ilarità, provocato dagli avvenimenti in corso a Mon Repos. Dopo questa catarsi, tutte si sentirono al settimo cielo, e in uno stato d'animo meno elettrizzato ma altrettanto lieto presero a dissezionare vuoi il matrimonio di Missy, vuoi la fuga di Alicia, per tacere del pranzo squisito.





(continua)
auroraageno
00giovedì 29 novembre 2007 11:31
Le Signore di Missolungi - (continua)






John Smith arrivò a Missolungi poco prima delle cinque e dall'espressione appariva pienamente soddisfatto. Strinse affabilmente la mano di sua suocera, ma evitò di baciarla, dando prova di un buon senso che lei approvò di tutto cuore. Octavia per contro disapprovò la stretta di mano che del pari le venne offerta, ma non poté non riconoscere, osservandolo attentamente per la prima volta, che quell'uomo aveva un aspetto gradevole e incoraggiante. Naturalmente a questa buona impressione contribuirono l'abito, non meno della barba ben curata e dell'impeccabile taglio dei capelli. Indubbiamente Missy non aveva motivo alcuno di vergognarsi per aver scelto un uomo simile quale compagno dei suoi giorni, e a giudizio di Drusilla il fatto che avesse quindici anni più di sua figlia ne faceva un uomo della giusta età per essere un buon marito.
E sembrava un uomo giusto anche sotto il profilo morale, perché subito si ambientò in cucina e mostrò di apprezzare il buon profumo di agnello arrosto.
"Spero che vi tratterrete a cena." disse Drusilla.
"Volentieri." rispose lui.
"E la strada? Non sarà troppo rischioso rientrare quando fa buio?"
"Nemmeno per idea, i miei cavalli la conoscono a memoria."
Si abbandonò contro lo schienale della sedia e inarcò le sopracciglia guardando allusivamente sua moglie, e lei gli sorrise con un'orgogliosa compiacenza della quale, c'era da giurarci, la sua prima moglie non gli aveva mai dato alcuna prova. Gli uomini... che bambini! Corrono sempre dietro le donne di bell'aspetto, mentre le oneste ragazze casalinghe valgono tanto più di loro! Nondimeno, quel vestito rosso le donava: la rendeva, se non bella o leggiadra, sicuramente interessante. Evocava il tipo di donna che un uomo desidera conoscere perché non riesce a comprendere cosa nasconda in sé. Era piacente, nonostante il naso irregolare e tutto il resto. E a guardarla così, mentre se ne stava seduta e sembrava sprizzar vita da ogni poro, era difficile credere che potesse morire da un momento all'altro. Il cuore di lui ebbe un sussulto doloroso. Strana sensazionwe, in verità. Domani, domani! Non devi pensarci fino a quando non accadrà. Cominci a protenderti verso quel domani, e invece non devi! Non devi pensare alla sentenza di morte che pende sul suo capo come una cosmica vendetta esercitata su di te!
Forse, se gli fosse riuscito di renderla felice, non sarebbe accaduto nulla. I miracoli accadevano davvero, ne aveva visti un paio nel corso dei suoi viaggi. Indubbiamente, l'essersi sbarazzato della sua prima moglie rientrava nell'ordine degli eventi prodigiosi.
"Ho bisogno di parlarvi, care signore." disse John, distogliendo il pensiero dalla sua attuale consorte.
Tre facce si voltarono a guardarlo, interessate. Drusilla e Octavia sedettero, smettendo di affaccendarsi davanti ai fornelli.
"Oggi c'è stata una riunione degli azionisti alla Byron Bottle Company." proseguì lui. "La direzione dell'azienda è passata di mano. Per essere più esatti, l'ho assunta io."
"Tu?" squittì Missy.
"Sì, io."
"Dunque, sei tu il compratore misterioso?"
"Sì, io."
"Ma come mai? Zio Billy sosteneva che il compratore misterioso aveva sborsato una somma, in cambio delle azioni, che nessuno poteva ambire di recuperare. E allora come spieghi?"
John sorrise, ma di un sorriso tutt'altro che piacevole. Per la prima volta da quando lo conosceva, Missy vide un John Smith completamente diverso, un John Smith spietato, inflessibile, che avrebbe potuto ignorare il sentimento della misericordia umana. Ma non per questo lei ne fu spaventata, né si sentì colta alla sprovvista. Al contrario, se ne compiacque. Dunque, suo marito non era un uomo debole e sconfitto, un profugo in cerca di un porto, incalzato dagli eventi infausti della vita. In apparenza era un allegrone, socievole e cordiale, e pertanto più d'uno avrebbe potuto scambiarlo per una persona fragile e malleabile, anche dopo averlo conosciuto intimamente. Come la sua prima moglie? E perché no? Missy si rendeva conto che una moglie poteva giudicarlo in quei termini, sempre ammesso che si trattasse di una donna sciocca ed egocentrica.
Ma ora lui le stava rispondendo e lei gli dedicò la debita attenzione.
"Avevo un conto da saldare con gli Hurlingford. Al di fuori, ben inteso, dei presenti. Ma in linea generale ho sempre trovato che gli Hurlingford fossero maledettamente presuntuosi, con quella loro persuasione che le loro origini quasi aristocratiche di inglesi liberamente insediatisi in Australia li mettesse automaticamente al di sopra di gente come me, che ha origini alquanto dubbie da parte di madre e da parte di padre ha puro sangue ebraico. Riconosco di aver deciso di attaccare gli Hurlingford, incurante del prezzo che forse avrei dovuto pagare. Per fortuna ho abbastanza denaro per comprare una dozzina di Byron Bottle Company senza che nemmeno me ne accorga."
"Ma tu non sei di Byron." obiettò Missy, stupefatta.
"Io no, ma la mia prima moglie era una Hurlingford."
"Davvero? E come si chiamava?" domandò Drusilla, che era uno degli esperti genealogici del clan.
"Una."
Per fortuna Drusilla e Octavia erano troppo concentrate su ciò che diceva John Smith e John Smith era troppo impegnato a riferirlo, per dedicare qualche attenzione a Missy.
Questa infatti era rimasta impietrita, senza dir parola, incapace di muovere alcuna parte del corpo.
Una!
Com'era possibile che sua madre e sua zia se ne stessero sedute in silenzio, senza alcuna particolare reazione nell'udir pronunciare quel nome, quando per contro l'avevano conosciuta e intrattenuta in casa loro? Non si ricordavano dei biscotti, dei documenti?
"Una?" ripeté Drusilla, interrogando se stessa. "Vediamo... sì, credo che fosse una figlia di Marcus Hurlingford, quelli che abitavano a Sydney. Di conseguenza Livilla era sua cugina in primo grado e oggi sarebbe la sua più stretta parente, qui a Byron. Già, già... io non l'ho mai conosciuta di persona, ma mi pare che sia morta molti anni fa. Un incidente... è annegata, se non sbaglio..."
"Sì." confermò John Smith.
Dunque così si spiegavano le cose? Era per questo che Una splendeva di quella luce? Era per questo che ogni qual volta Missy aveva avuto bisogno di lei si era fatta trovare in biblioteca? Era per questo che in biblioteca si erano verificati tanti piccoli incidenti fortuiti? I romanzi, tutti riconducibili a quello della ragazza che moriva di mal di cuore. Le azioni sullo scrittoio. I formulari del procuratore distrettuale. Una, il giudice di pace che capitava a puntino. La iattanza, la gaia disinvoltura, atte ad esercitare una forte attrazione su una donna repressa quale era stata Missy. L'abito e il cappello rossi, impeccabilmente della sua misura e identici nell'aspetto a com'erano fioriti nella fantasia di Missy. Il valore tutto particolare che era sempre riuscita a conferire ad ogni sua parola, tanto da penetrare nella mente e nel cuore di Missy come l'acqua in un terreno riarso dalla siccità, e quindi germinare dando ricchi frutti. Ah, Una, fulgida, meravigliosa Una!
"Sì, ma il suo cognome da sposata non era Smith, ne sono certa." stava dicendo Drusilla. "Era un cognome decisamente più insolito, qualcosa come Cardmom o Terebinth o Gooseflesh. Il marito, ricordo, era un uomo molto ricco, ed era questa la sola ragione per la quale il secondo Sir William aveva approvato il matrimonio. Sì, capisco perché ti avrebbero insultato, se fossi stato lui."
"Ero lui, e mi hanno insultato davvero."
"Noi," intervenne Drusilla, "siamo ben liete di darti il nostro benvenuto in questa branca della famiglia, caro John."
Il John Smith crudele e spietato si era già dissolto, perché gli occhi posati sulla suocera erano benevoli e affabilmente divertiti. "Grazie. In effetti ho cambiato cognome, e gradirei che non parlaste affatto di quella vecchia storia."
"Non uscirà dalle mura di Missolungi." lo rassicurò Drusilla, e sospirò, convinta che egli avesse cambiato il proprio nome per cancellare dei ricordi soverchiamente penosi. Ovviamente, le sordide ramificazioni di cui Missy era al corrente tramite suo marito non avevano nulla a che vedere con gli Hurlingford di Byron.
"Poverina, morire annegata in quel modo." disse Octavia scuotendo il capo. "Dev'essere stato un duro colpo per te, John. Ad ogni modo sono contenta che le cose siano cambiate in questa maniera, voglio dire la Byron Bottle e tutto il resto. Non è curioso che tu abbia finito per sposare un'altra Hurlingford?"
"Oggi effettivamente mi è stato di grande aiuto." puntualizzò John Smith con voce ferma e serena.
"Ci sono Hurlingford e Hurlingford, come in tutte le famiglie, del resto." disse Drusilla con franchezza. "E' possibile che Una per te non sia stata una moglie adatta, e di conseguenza forse è meglio che sia morta prematuramente. Io invece sono convinta che Missy ti renderà felice."
Lui sorrise e tese un braccio attraverso il piano della tavola per afferrare la mano fredda e sudaticcia di sua moglie. "Sì, ne sono persuaso, anch'io." rispose. Riuscì a baciare le dita tremanti nonostante Missy fosse distante dal punto in cui egli era seduto, poi abbandonò la mano di Missy per concentrare la sua attenzione su Drusilla e Octavia.
"Sta di fatto che ora controllo la Byron Bottle Company e le sue industrie consociate, e che desidero apportarvi certe modifiche di cui avverto un urgente bisogno. Naturalmente assumerò la carica di presidente del consiglio direttivo e Missy sarà la mia gentile vicepresidente, ma ho bisogno di altri otto dirigenti. Mi serve un gruppo di persone veramente attive e partecipi, preoccupate sia della sorte dell'azienda, sia di quella della città di Byron e della sua popolazione. Oggi ho avuto un numero di voti che mi consente di ristrutturare il gruppo dirigente, e ho annunciato di voler fare qualcosa di così diverso che, quando ho esternato le mie intenzioni, ho ottenuto qualche altra azione! Al termine dell'assemblea, Sir William, Edmond Marshall, i fratelli Maxwell e Herbert Hurlingford e una dozzina d'altri mi hanno ceduto le loro quote. I loro umori hanno avuto la meglio sul loro raziocinio, e ciò vale soltanto a confermare quello che da tempo sospettavo: sono una manica di idioti. La Byron Bottle Company crescerà e continuerà a prosperare. Sarà dotata di maggior civismo e diversificherà i suoi interessi."
Rise e alzò le spalle. "Non conviene affidarsi a gente come Sir William Hurlingford e a personaggi della sua fatta! Nel consiglio voglio delle donne, a cominciare da voi signore, e dalle signore Julia e Cornelia Hurlingford. Vi siete tutte battute con grande dignità nei giorni avversi della vostra vita, e certamente il coraggio non vi manca. Può essere un cambiamento radicale, mettersi in marcia con un consiglio direttivo femminile, ma dopotutto a mio giudizio quasi tutti i consigli sono già composti da donne, anzi da donne anziane."
Inarcò la fronte e guardò con quei suoi occhi magnetici Drusilla e Octavia, che lo ascoltavano mute, stregate. "E allora? Parlate! La mia proposta v'interessa o no? Naturalmente riceverete un regolare stipendio, lo stipendio che compete a un direttore. Il precedente consiglio direttivo assegnava ai suoi membri cinquelima sterline annue, ma vi avverto sin d'ora che dovrò tagliare questa somma, riducendola a duemila sterline."
"Sì, ma noi non sappiamo fare niente!" esclamò Octavia, allibita.
"Quasi tutti i consigli direttivi non sanno fare niente, quindi non è un problema. Il presidente è John Smith, non dimenticatelo, e John Smith v'insegnerà tutto dal principio. Ognuna di voi si occuperà di un settore particolare, e so già che voi affronterete certi vecchi problemi incancreniti con una visuale tutta nuova, e i problemi nuovi con una sorta di spregiudicatezza che per solito i dirigenti ignorano."
Piantò gli occhi in faccia a Drusilla. "Aspetto una sua risposta, mamma. Ha intenzione di entrare nel mio consiglio direttivo o no?"
Drusilla richiuse con uno schiocco la bocca ch'era rimasta spalancata in un'espressione di sbalordimento. "Certo che ne ho intenzione. E sono certa che accetteranno anche le altre."
"Benissimo. Allora il primo compito che le compete, in funzione della sua carica, è la scelta delle persone che saranno chiamate a coprire gli altri quattro posti del consiglio. Donne, badi bene."
"Non è possibile... io sto sognando!" interloquì Octavia.
"Nemmeno per idea." replicò Drusilla in tono altamente solenne. "E' tutto vero, sorella mia. Finalmente le signore di Missolungi rientrano in possesso di ciò ch'era loro di diritto."
"Che giornata!" esclamò Octavia, emettendo un sospiro.
Era vero. Che giornata memorabile! L'epilogo della medesima si svolgeva fuori della porta spalancata che dava sul retro ed era esposta ad ovest. Missy scorgeva i grandi ventagli sfrangiati delle nubi altissime che si andavano tingendo di scarlatto, un colore non dissimile da quello del suo vestito, e tra quelle si apriva un varco il cielo verde mela. E vedeva del pari la chioma compatta e fiorita degli alberi da frutto, striature di bianco e di rosa la cui tinta veniva accentuata dal fuoco del sole calante. Ma la sua mente e i suoi occhi, per solito così sensibili alla bellezza naturale del creato, non erano assorbiti da quella magica visione di bellezza. Una infatti era in piedi nel vano della porta, e le sorrideva. Una. Oh, Una!
"Non rivelarglielo mai, Missy. Lasciagli credere che a guarirti siano stati il suo amore e le sue attenzioni." ciangottò Una allegramente. "E' un bravo ragazzo, credimi, ma ha un caratteraccio. Non è nella tua natura provocarlo, ma qualunque cosa tu faccia non mettere il destino alla prova parlandogli dei tuoi disturbi al cuore. Nessun uomo sopporta di essere ingannato da una donna, e lui ha già fatto quest'amara esperienza nel passato. Quindi, dammi ascolto e tienilo bene a mente: non dirglielo mai, capisci? Mai!"
"Te ne vai?" esclamò Missy desolata.
"Eccome se me ne vado, cara! Ho fatto quello per cui ero stata inviata, e ora corro a prendermi un meritato, meritatissimo riposo sulla più rosea, la più soffice, la più folta, la più lussuosa nuvola che riuscirò a trovare."
"Non posso farcela, Una, senza di te!"
"Non dire sciocchezze, tesoro. Certo che puoi farcela. Sii brava. Sii brava soprattutto a letto, e non potrai sbagliarti. Questo, almeno, fino a quando terrai conto del mio monito: Non dirgli mai la verità!"
La luce ineffabile che si sprigionava dall'interno della sostanza corporea di Una si fuse con quella dell'ultimo sole. Indugiò un istante sulla soglia, mentre la luce sgorgava in lei, da lei, dopo di che scomparve.
"Missy! Missy! Missy! Stai bene? Stai male? Missy! Per l'amor di Dio, rispondimi!"
John Smith era chino su di lei, e le strofinava le mani. I suoi occhi esprimevano orrore e disperazione.
Lei lo guardò e riuscì ad accennare a un sorriso. "Sto bene, John, davvero. E' stata questa giornata... troppa felicità!"
"Farai bene ad abituarti a troppa felicità, piccolo amore mio, perché giuro che ti annegherò nella felicità." disse lui, e trattenne il respiro. "Sei la mia seconda occasione, Missolungi Smith."
Un alito fresco di brezza filtrò all'interno dalla porta aperta, e prima che Drusilla sporgesse un braccio per chiudere l'uscio, ebbe il tempo di sussurrare all'orecchio di Missy, solamente al suo: "Non dirglielo mai, capisci? Per favore, non dirglielo mai!"















F I N E










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