Ancora non capisco il disprezzo
nutrito da alcuni per la palude
così da sembrare complementare
con l’appetito per lidi e dirupi.
L’acqua non indossa la trasparenza
-su ciò impossibile dissentire-
forse persino limacciosa quando
inarca alla rottura l’incidenza
di quei raggi, paralleli e noiosi,
che ci privano dei lati oscuri,
le piccolezze con cui poi ciascuno
s’ombreggia di anelli e di dita.
Ma in quel marrone io vedo la vita,
e non parlo delle foglie essenziali
che il falasco con sforzo disegna
a spezzare orizzonti tutti curve,
piuttosto quello sgusciare brillante
delle anguille ai piedi delle canne
o l’esotica emozione che sgorga
nel guardare mangrovie da lontano,
stagliarsi nere come le zattere,
talmente intricate e senza grazia
da esser casa per fenicotteri
e degli altri maestri di fascino.
Ecco che comprendo allora
il motivo del cielo,
il perché l’uomo manca di ali
per librarsi nel rosa,
fornendo pretesti alla terra
e implumi di sorta
affinché si compia la storia.
ormedelcaos
00martedì 11 novembre 2008 09:39
L’elogio della follia, apologia della palude, quei territori dove la morte coltiva la vita, direbbe Platone, là dove gli opposti trasmutano nell’altro da sé; che è un loro asimmetrico essere, o solo un "complemento" comune ad entrambi?
L’uomo e la donna dalla palude, dal fango, crebbero. In origine il maschio, in derivazione la femmina, e tutto vi ritorna dopo l’amplesso a ri/nascere, da quelle (stesse) acque, anche se, come direbbe Eraclito: non ci bagniamo due volte con le stesse acque del fiume.
Potremmo così, filosoficamente, dire: nella palude tutto è sempre uguale (fermo) come sostiene, per l’universo intero, Parmenide, ma ugualmente che tutto è in movimento nel tramutarsi degli opposti, con l’Oscuro. In quel con/fine tra la vita e la morte.
Molto bella e profonda, Mattia!
Svolgi ad immagine il senso filosofico delle cose, cercando l'armonia del senza limite, ossia dell'infinito della vita stessa.