Ispide barbe albine
cornice d’occhi viscidi
a ogni incanto scivolato
sulle schiene curve
cupole di striduli passi
depennanti
per non lasciare tracce
a una miseria segucio
Mezzadri di una volta
in una terra avara
si mangiava il seme
e sputava gramigna,
vite nate per recitare
il tramonto e partorivano
ombre da allevare di notte
figli senza domani
con radici nel fosso
una pietra il traguardo
per riposare
Era giorno di festa
lo spenno di gallina
vecchia per le uova
e burlava nel canto
con alibi di volpi
ma i denti pali storti e affilati
non perdonavano la carne
nel sugo del rosario
cotto sui tetti con ceppi
di pensieri
Due rami e un chiodo
bloccavano agli occhi
una croce su una cavia
ambulante a lungo trascinata
nella gloria di semina sterile
tra la polvere omaggiante
agli angeli...il lamento
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Da:Vite tremule
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