Noblesse - un mondo a parte

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florentia89
00lunedì 9 novembre 2009 23:17
Divagazioni di gioventù e dopo
Noblesse” - Ragazzi di Portoria Capitolo 1
tre parti

Convergenze parallele parte 1 di 3
Una società civile è stata sempre un mondo complesso, anche col fascismo.
Non espongo un fatto, ma uno status del periodo del Duce. Non molti anni fa s’inventarono il termine “convergenze parallele”, problema irrisolvibile geometricamente quanto possibile in politica.
Queste strane “convergenze” fecero capolino anche col Fascismo. Mi spiego, da sempre esistono e esisteranno mondi separati, destinati a incontrarsi poco, pur se il Duce s’illuse di poter accentrare nel regime ogni istanza del popolo italiano. Pensiamo al mondo “monarchico”, riservato, geloso, al “nobile”, con più sfaccettature (sabaudo, vaticano, borbonico, asburgico), a quello della “Chiesa”, dogmatico, superiore. Potrei dirne altri, mi fermo qui.
Essi decidevano di volta in volta se entrare in contatto sia fra di loro, sia con le istituzioni, eventualmente collaborando in ciò, senza mai rinunciare alla loro basilare autonomia e refrattarietà. Conobbi questo stato di cose perché nell’ultimo anno di studio della Mistica Fascista, propedeutico ai futuri corsi dell’Istituto superiore milanese, m’incontrai con dei rampolli della nobiltà presente a Roma i quali, per convinzione, hobby, sfizio, frequentavano la GIL facendo capire che ciò avveniva per loro gentile concessione. Conobbi così Francesco, di famiglia ”molto in”, Franco, di Conti laziali romanizzati, Clemente, con dietro cardinali e papi, e Lapo, o Leopoldo (ne ho parlato) di nobiltà tosco-papale. Il promotore del gruppetto che mi aveva accettato era Francesco il quale, onde evitare confusioni di nome, mi chiamava “Franci”. Fra loro definivano Lapo, un amante dei bucatini all’amatriciana, Lapo Della Ventresca mentre Clemente era per tutti “sua Santità”. Si trattava di papalini doc, che snobbavano i nobili chiamati a Roma dai Savoia per compensare l’assenza dei romani che li consideravano gretti, usurpatori, montanari, e li rifiutavano nei loro rapporti, palazzi, cerimonie. Circa il Duce ebbene si! poteva essere anche accettato, pur se il suo mondo era quel che era e di più, con tutta la buona volontà, non si poteva pretendere.
Francesco decise, con qualche indizio per lui concreto, dopo notati alcuni avi dell’albero geneaologico di mio nonno, che io facessi parte dai nobili Mancini-Lucci del ramo romano-laziale, già presenti nel 960, con stemma riportante due pesci (lucci) in campo azzurro e con palazzo in via del Corso, ceduto poi ai toscani Salviati (oggi Banca Nazionale Agricoltura)), nonché collegato al Cardinale Mazarino, succeduto al Cardinale Richelieu, con la sorella che andò sposa a Michele Lorenzo Mancini e le cui figlie, sue nipoti, vennero rifilate al Re Sole e altri Top francesi e Sabaudi come amiche, amanti, mogli (tale a Cavour, che spinse la contessa di Castiglione nell’alcova di Napoleone III onde conoscere e suggerire cose e soluzioni prò il Piemonte). Mio nonno paterno era estasiato nel sentire queste possibilità nobiliari lui che, assieme al padre e nonno, ricordavano Umberto I, Pio IX, Vittorio Emanuele II e magari Carlo Alberto, nonché era sicuro di una altolocata posizione dei suoi avi agricoltori, soldati, nobilastri da sempre col Papa, pur se aveva finito per accettare poco volentieri l’Italia Sabauda e monarchica.
Abbandonai l’idea, suggerita da Francesco, di tentare un mio riconoscimento, non era facile e costava troppo, mi bastava sapere della mia ascendenza e essere da loro accetto. Francesco ed io divenimmo colleghi di lavoro pur se, per la sua posizione, si trovò sempre più avanti di me. In qualche trattoria se ordinavamo una pizza veniva tutto lo staff a riverire il signor principe, nonché me, un Mancini-Lucci. La sua casa era l’ala d’un palazzo in Via Giulia, il Corso dei Papi, e quello che conteneva mozzava il fiato. Comunque fra le ricchezze statiche difettava spesso il contanti (per me ne avevano troppo) così Francesco e altri s’arrangiavano come tutti, magari senza motivo, facilitati dal nome e appoggi vari. Anche loro influenzeranno la mia vita negli anni del dopoguerra e oltre.

Nasce la Divisione “DECIMA” parte 2 di 3

Ho detto qualcosa su alcuni nobili romani, e per riflesso su altri di ogni dove, per un motivo specifico. Giungere cioè a parlare di colui che considerai sempre un Capo eccelso, particolare, cosa fatta più volte nei miei testi. .
La guerra finì male, come ben sappiamo, l’armistizio dell’8 settembre 1943 fu una catastrofe, ne seguì che l’Italia del rispetto e dell’onore si mise in moto. Così, fra i non molti, il Comandante Principe Junio Valerio Borghese mantenne il controllo della sua XMas a La Spezia, che non si dissolse e non ammainò mai la Bandiera Italiana issata all’alto della Caserma. Insisto sulla “sua” in quanto il Principe, pur scegliendo di operare nell’ambito della Repubblica Sociale, non derogherà dal principio di autonomia sia dall’esercito di Graziani, sia dal Partito Fascista Repubblicano e dai tedeschi, trattando con tutti a livello di parità e dignità, subendo per ciò addirittura persecuzioni e carcere da parte dei fascisti. Ci fu chi disse volesse e regolare a modo proprio i sospesi coi Savoia risalenti al 1870 per la Roma tolta al Papa le cui ferite, mai rimarginate, i suoi si portarono dietro per decenni, nonché ritenne doveroso il rispettare gli impegni presi con l’alleato tedesco, agendo però come italiano libero e non come fascista o filonazista o comunque di parte. Egli mantenne rapporti da “principe” con la RSI e con la Wehrmacht, nonché con qualcuno del Governo del Sud, con gli alleati, il Vaticano. Poteva permetterselo.
Nella fine dell’Aprile 45, quando tutto crollò, venne protetto perfino da un capo partigiano.
Del Principe ne ho già parlato, nei limiti di ampiezza concessi dall’impostazione dei miei volumi, sia in Fiaccole di Gioventù, sia in questo testo, ai cui inserti rimando chi legge e vuole. Riepilogo solo per dire che divenne l’alfiere di una Italia nuova, libera, indipendente e le gesta dei marò furono tanto positive quanto eccelse.
Gli alleati lo processarono e lo assolsero, i nostri no, lo condannarono a un po’ d’anni di reclusione (dodici?) per collaborazione coi tedeschi ma, in effetti, tornò presto libero. Al processo non si sapeva chi fosse l’imputato.
La sua idea di creare un corpo speciale combattente si concretò all’interno della marina, nel ristretto stuolo dei suoi fedeli, nonché negli ambienti romani e centrali. Più famiglie e esponenti di livello l’appoggiarono, sostennero e approvarono. Tutto nacque velocemente, forse anche col placet vaticano e di frange del governo di Bari.
Io e i miei amici (ero o no un Lucci-Salviati Mancini?) sapevamo molte cose circa questo iter pur se, per l’età modesta, le conoscenze erano soprattutto quelle di “ritorno” dai più grandi.
Il Principe Borghese stimò Mussolini, lo considerò un grand’uomo ma non lo deizzò e non si legò né a lui né al carro fascista. Egli tenne a evidenziare al Duce e altri che avevano di fronte un libero principe romano, pari a un Condottiero dell’epoca imperiale e medioevale, cavaliere di razza, anima e corpo, in un tempo in cui questi valori si apprestavano ad andare in decozione. Io lo vedevo come il Re Artù della Tavola Rotonda, attorniato dai suoi prodi generosi e fedeli. La divisione “Decima”, che nascerà poi dalla X MAS, accolse il meglio della gioventù volontaria, conscia ci si dovesse battere per l’onore d’Italia e cercare di salvare il “salvabile” del paese.
Feci carte false per andarci a sedici anni ma, come ho detto, ero grande come mascotte, piccolo per Marò.
Finii per fare un po’ di mesi nei servizi ausiliari tedeschi e ciò non mi dispiacque affatto.
Comunque alcuni rampolli “in” della mia età vi vennero accolti, le raccomandazioni snob c’erano anche allora.
Negli anni successivi venni accettato, con pochi altri, a soggiornare con la roulotte, quando era un oggetto di lusso e non da zingari, nella immensa tenuta Borghese (altro ramo familiare ma da lui facilitati) di Tor Caldara, ad Anzio-Lavinio, nel punto esatto ove sbarcarono gli inglesi nel 1944. Il Principe rimase un riferimento per molti anche nel dopoguerra e di alcuni eventi e aspetti ne ho accennato indirettamente in altre parti

Considerazioni e conclusione parte 3 di 3

Tornando a me mi trasferii per vari anni in Lombardia. Quando rientrai il mio amico Francesco, il Principe cadetto, compagno di lavoro e imprese speciali, se n’era andato improvvisamente, senza preavviso.
Avevo perso un po’ i contatti e per un breve periodo non gli comunicai il mio ultimo spostamento e indirizzo, in quanto ne ebbi più di uno, altrimenti sarei stato avvertito. Pure Lapo, tipo estroso e imprevedibile, dopo non molto ci lasciò per qualche inaspettata complicanza, oggi magari risolvibile o curabile senza eccessive difficoltà.
Strane queste dipartite se viste nei tempi attuali in cui ci crogioliamo tutti in una supposta eternità .
Quello però che più mi colpì fu’ Clemente, il Top di tutti, detto Sua Santità, del quale non posso dire d’essere stato vero amico (viveva nel suo mondo “elevato” nel quale fui accetto e gradito in misura minore e marginale).
Mi dissero che aveva perso la battaglia contro un tumore cerebrale, tutto nel giro di una manciata di mesi, lasciando distrutti i genitori e interrompendo la discendenza del ramo (ah, i figli unici!). Gli intesteranno un Ente Assistenziale. Dei nostri d’inizio restarono Franco, il Conte laziale, in giro per le ambasciate del mondo ed io, il discendente come sembrava della famiglia Mancini-Lucci anzi, più esattamente, Mancini de Lucyis.
Mi viene da sorridere al pensiero che Mussolini avrebbe voluto indirizzare, impostare, abolire, a favore dell’Italia Fascista, la robusta nobiltà romana e laziale la quale, solo avesse voluto, l’avrebbe eliminato in un batter d’occhio (anche se gli “prestò” i Colonna, i Cremonesi, i Doria-Pamphili, i Torlonia, altri, con quest’ultimo che gli cedette in affitto la Villa di famiglia sulla Nomentana al canone figurativo di una lira l’anno)
Ciò a valere anche per la monarchia sabauda, allora ben radicata (malgrado la guerra persa e le vicende di Bari, essa perse per poco il referendum istituzionale del 1946). E poi la chiesa, con la quale s’andava d’accordo per disposizioni, non per convinzione. Quest’ultima inoltre, con la sua millenaria esperienza, sarebbe stata in grado lei di accantonarlo senza difficoltà e non viceversa. Non parlo poi di massoneria. No! il fascismo e il Duce errarono nel sottovalutare l’importanza, l’autonomia, la personalità, nonché le immense possibilità decisionali ed operative di questi mondi paralleli, sempre fra loro in lotte più o meno intestine, ma ferreamente uniti qualora si fosse tentato di toccarli, limitarli, colpirli. Tempi, uomini, sensazioni, convergenze di più di sessanta anni fa. Quasi tutti i protagonisti se ne sono andati o sono pronti a farlo. Chi ricorderà più di ciò quando il ciclo sarà chiuso?

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auroraageno
00martedì 10 novembre 2009 09:14

Bellissimo, Francesco, e molto interessante!!

Grazie di cuore!

Un affettuoso abbraccio

aurora

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