Poesia n°2 della notte

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lazharus
00martedì 15 luglio 2008 23:54


Quante volte impaurito
di essere sottomesso
alla temibile simmetria
ho vagato fra piombi e livelli…

Quanto e tanto
è un equilibrio imprescindibile.

Ma quante volte
quella giustizia cosmica
è inesatta… perché
il prezzo da pagare
è spesso più alto
di ciò che hai preso
oppure
non importa chi paga
purché il conto torni!

E allora ben venga la bestia
che abbatte i muri e rompe
la bilancia guasta
perché sono stanco di pagare per gli altri.

Un altro messia da crocefiggere?
No grazie!
sono solo un uomo
che cerca di sopravvivere
fra le asole ed i bottoni.



19 aprile 2008





ormedelcaos
00mercoledì 16 luglio 2008 07:34


Quanto e tanto
è un equilibrio imprescindibile.



giochi di equilibrismo poetico



ps

c'è qualche tautologia in più nella rimessa in campo?


lazharus
00mercoledì 16 luglio 2008 22:46
Un equilibrismo poetico inconscio che mi conduce e stabilizza la "poesia n° 3 della notte".

Tautologie in più?

Quando scrissi la n° 1, pensavo già alla n°2 ma l'elaborazione interiore di quest'ultima non era completata e la somatizzavo con una forma di inquetudine.
Mentre scrivevo la seconda, l'inquetudine diventava ribellione ed iniziava il percorso, che dall'anima porta alla tastiera, della n° 3.

La risultante è quel nostro frazionamento teoretico di cui parli in un altro post.

Grazie a te e questo forum la mia poetica si è allargata forzando i miei limiti.

Grazie Walter
Grazie Aurora
Grazie Trappolina
Grazie Cerca.mi
Grazie a Tutti.

di cuore.
ormedelcaos
00giovedì 17 luglio 2008 08:31


Ma a noi
Non è dato trovare luogo in nessun luogo.
Soffrendo, gli uomini passano,
Cadono alla cieca da un'ora all'altra,
Come acqua gettata da scoglio a scoglio,
Per anni, giù nell'Incerto.


Holderlin








Ciò significa due cose. Da un lato, che ogni cosa dipende dal cammino, e cioè dal fatto di trovarlo e di restare su di esso, vale a dire del sapersi "mantenere in cammino".
I cammini del pensiero della localizzazione hanno di caratteristico il fatto che, mantenendoci in cammino su di essi, siamo più vicini al luogo di quando ci mettiamo in testa di esservi già giunti per insediarci in esso; il luogo, infatti, è nella sua essenza, del tutto diverso da un sito o da una semplice posizione nello spazio. Ciò che noi chiamiamo luogo [nel nostro caso il luogo d'origine dell'ethos] (...) è ciò che raccoglie in sé l'essenziale di una cosa.
Tutto sta nel cammino significa dall'altro lato: tutto ciò che bisogna scorgere si mostra sempre e soltanto cammin facendo. Ciò che va scorto sta nel cammino. Entro il campo di visione che il cammino schiude, e attraverso cui conduce, si raccoglie ciò che, dal cammino è, di volta in volta, visibile.


Heidegger




....
Grazie a Te Sebastiano, che ci consenti di proseguire "il cammino".



lazharus
00venerdì 18 luglio 2008 23:55
Re:
ormedelcaos, 17/07/2008 8.31:



Ma a noi
Non è dato trovare luogo in nessun luogo.
Soffrendo, gli uomini passano,
Cadono alla cieca da un'ora all'altra,
Come acqua gettata da scoglio a scoglio,
Per anni, giù nell'Incerto.


Holderlin








Ciò significa due cose. Da un lato, che ogni cosa dipende dal cammino, e cioè dal fatto di trovarlo e di restare su di esso, vale a dire del sapersi "mantenere in cammino".
I cammini del pensiero della localizzazione hanno di caratteristico il fatto che, mantenendoci in cammino su di essi, siamo più vicini al luogo di quando ci mettiamo in testa di esservi già giunti per insediarci in esso; il luogo, infatti, è nella sua essenza, del tutto diverso da un sito o da una semplice posizione nello spazio. Ciò che noi chiamiamo luogo [nel nostro caso il luogo d'origine dell'ethos] (...) è ciò che raccoglie in sé l'essenziale di una cosa.
Tutto sta nel cammino significa dall'altro lato: tutto ciò che bisogna scorgere si mostra sempre e soltanto cammin facendo. Ciò che va scorto sta nel cammino. Entro il campo di visione che il cammino schiude, e attraverso cui conduce, si raccoglie ciò che, dal cammino è, di volta in volta, visibile.


Heidegger




....
Grazie a Te Sebastiano, che ci consenti di proseguire "il cammino".







Nel 1990 andai in giro per l'Europa, da solo, col cuore a pezzi e la mente in tasca.
Non ho ammirato la grandiosa magnificenza della cattedrale gotica di Colonia, ne lo scorrere millennario e sapiente del Danubio o la pacata riservatezza della Neva a S.Pietroburgo.
Non ho gustato l'incredibile fragranza di sapori di un'insalata a Cadiz affacciato sull'Atlantico e tante altre meraviglie.
Tutto questo perche ero solo. Qualsiasi cammino se non è condiviso, discusso, litigato, abbracciato, sacrificato (in tutti i significati)
con altri, non significa niente.
Noi stiamo camminando, tirandoci per la mente ora uno ora l'altro.
Se non fosse cosi, questo salotto non avrebbe motivo di esistere.


ci stiamo riempiendo di noi attraverso noi.

S.


ormedelcaos
00sabato 19 luglio 2008 12:30
l'abisso


Che ne è delle prime parole, delle parole dell'alba, e di ciò che esse devono necessariamente aver nominato? Giungiamo forse tardi? La potenza spaesante-appropriante del Sopravveniente rimane custodita nel nostro dire o si è dileguata? E se fosse davvero così, se si fosse annientato tutto il già-stato (quel già-stato entro il quale soltanto il "linguaggio" fu il farsi parola dell'essere) " se, insomma, tutto il già-stato, in quanto appartenente all'ordine del Sopravveniente, fosse davvero un semplice nulla, come mai noi ancora siamo? E, se ancora siamo, che cosa siamo?
E ancora: come mai il linguaggio, che pure concede i nomi per le cose, le proposizioni per i fatti, e le parole per esistere(nel bene e nel male), non ha ancora donato un nome per la propria essenza più essenziale? Dov'è quel linguaggio, dove sono quei nomi sacri che sappiano accogliere pienamente la vicinanza delle cose e la presenza del Dio?



Fermiamo qui il flusso delle domande e teniamole in serbo. Riflettiamo, per un istante sulla natura del loro interrogare. Esse richiedono per caso la fornitura di un fondamento? No. Spianano il terreno a spiegazioni "razionali" e a descrizioni? No. Ci promettono forse il raggiungimento di obbiettivi precisi? No davvero. Al contrario, immettendoci repentinamente nella sfera del Sopravveniente, danno voce al ritrarsi del favore dell’essere, al celarsi della verità del nostro Essere e di tutto ciò che è presente; in una parola, all'abisso. Sono echi dell'abisso e nient'altro. Il loro tono ci procura allora una inquietudine e uno smarrimento, dinanzi ai quali, però, siamo presto a disagio. La loro possibile ricchezza ci sfugge. Non sappiamo che dire. Ascoltiamo, riascoltiamo "ma non intravediamo nessuna via. La vista si accorcia improvvisamente. L'udito ci abbandona. Non ci resta altro da fare, forse, che dimenticare tutto o quasi tutto, e , come dice Holderlin, andarcene " là dove il raggio non brucia/" nella frescura del verde".
Tuttavia, se consideriamo la questione più dappresso, ciò che davvero è inquietante e strano non è affatto lo smarrimento provocato da quel domandare, ma proprio quel "naturale" emergere del disagio dinanzi allo smarrimento e all'angoscia. La nostra povertà, come insegna Heidegger, è tutta qui: nel fatto che dimentichiamo ancora ciò che solo a noi è da tempo riservato, ciò in virtù del quale esistiamo storicamente, il tratto fondamentale della nostra essenza di mortali, cioè la capacità di "toccare realmente l'abisso" e di testimoniarlo espressamente. I versi 13-14 della seconda versione di Mnemosyne - che inizia con:


Siamo un segno che non indica nulla,
Siamo senza dolore, e abbiamo quasi
Perso il linguaggio in terra straniera.


- suonano:

I Celesti
Non possono tutto. I mortali, infatti
Giungono prima a toccare l'Abisso



- mentre così esordisce un frammento tardo:

Dall'Abisso infatti abbiamo
Avuto inizio



Ma allora il disagio dinanzi alo smarrimento dell'interrogare non è affatto naturale. Naturali, originari, sono lo smarrimento e la sua voce.






G. Zaccaria - L'etica originaria



ormedelcaos
00sabato 19 luglio 2008 12:41



"perché sono stanco di pagare per gli altri".


questa, per me, è una tautologia, ossia un luogo (troppo) comune.

Ma poi dipende dal contesto dell'inserimento.

E, a me, non sembra ci stia male.



Ciao e buon week end, Sebastiano, il nostro Lazzaro.

walter

lazharus
00sabato 26 luglio 2008 00:39
Re:
ormedelcaos, 19/07/2008 12.41:




"perché sono stanco di pagare per gli altri".


questa, per me, è una tautologia, ossia un luogo (troppo) comune.

Ma poi dipende dal contesto dell'inserimento.

E, a me, non sembra ci stia male.



Ciao e buon week end, Sebastiano, il nostro Lazzaro.

walter




Avrei potuto studiarmi un verso meno tautologico ma ad esser sincero sarebbe stata una contraddizione a ciò che mi frullava l'anima e nel rispetto del gioco della parola ho lasciato che i dadi dessero il loro numero senza trucchi e forzature.

Grazie Walter

notte d'oro


Rebby.
00sabato 26 luglio 2008 12:24

Nel 1990 andai in giro per l'Europa, da solo, col cuore a pezzi e la mente in tasca.
Non ho ammirato la grandiosa magnificenza della cattedrale gotica di Colonia, ne lo scorrere millennario e sapiente del Danubio o la pacata riservatezza della Neva a S.Pietroburgo.
Non ho gustato l'incredibile fragranza di sapori di un'insalata a Cadiz affacciato sull'Atlantico e tante altre meraviglie.
Tutto questo perche ero solo. Qualsiasi cammino se non è condiviso, discusso, litigato, abbracciato, sacrificato (in tutti i significati)
con altri, non significa niente.
Noi stiamo camminando, tirandoci per la mente ora uno ora l'altro.
Se non fosse cosi, questo salotto non avrebbe motivo di esistere.


ci stiamo riempiendo di noi attraverso noi.


Un commento al commento: posso, Basty??????

E' profondamente vero cio' che dici: quando si e' soli, soprattuto dentro dentro, non si riuscirebbe ad apprezzare neanche una visita al Colosseo.

E' stupendo e dolce cio' che dici riguardo al forum e soprattutto vero.
Sono felice di sentirti cosi' vivo e non sai quanto.
Pieno di stimoli, di nuove idee.
Io oserei mandarti un bacetto anche da parte di tutto il Forum [SM=x832013]


Nei tuo versi leggo una stanchezza verso tutte le contraddizioni che questo mondo accetta traendone vita ed e' sottolineata dal loro essere diretti, scarni da quelle complicanze che distinguono in genere i tuoi versi che ci posti.

Leggo la tua consapevolezza delle poche possobilita' di renderlo vivibile ma vorrei farti notare una cosa: tu, io, lei, lui, gli altri...stiamo diffondendo un canale positivo comunicazionale che incide nel vivere quotidiano di chi legge e di qui ci scrive.

Chi educa ed insegna con passione e con coscenza nelle scuole, contribuisce per quanto puo' ad abbellire il mondo.

Chi e' se stesso e comunica la trasparenza del proprio pensare, fa la stessa identica cosa.
Sono piccole realta' ma che aiutano a dare a questo cavolo di mondo continuamente e stupidamente conteso, un passo di speranza.

Sempre ai tuoi piedi ( spero lavati: col caldo che fa da te, poi...hihihihi)

Un abbraccione

Carla
Versolibero
00domenica 27 luglio 2008 18:18
Quante volte impaurito
di essere sottomesso
alla temibile simmetria
ho vagato fra piombi e livelli



Leggerine le tue poesie, eh?

io partirei col chiederti di spiegarmi questi versi, secondo e terzo, intendo.
Perché è temibile la simmetria? Riferita che cosa?

Vorrei prima capire ciò, prima di andare avanti.
Anche perché per me la simmetria è qualcosa che vado cercando, ma forse il mio senso lo applico un contesto diverso.

A rileggerti.
Ciao [SM=x832013]
R
lazharus
00lunedì 28 luglio 2008 14:19
Re:
Versolibero, 27/07/2008 18.18:

Quante volte impaurito
di essere sottomesso
alla temibile simmetria
ho vagato fra piombi e livelli



Leggerine le tue poesie, eh?

io partirei col chiederti di spiegarmi questi versi, secondo e terzo, intendo.
Perché è temibile la simmetria? Riferita che cosa?

Vorrei prima capire ciò, prima di andare avanti.
Anche perché per me la simmetria è qualcosa che vado cercando, ma forse il mio senso lo applico un contesto diverso.

A rileggerti.
Ciao [SM=x832013]
R




Ovviamente Rosanna ognuno di noi applica, appunto i propri contesti.

La simmetria, cioè la forma nella sua perfezione io la trovo da temere in quanto, al momento in cui ti prende, ti costringe a non uscirne più. Quante volte per quella teoria dell'effetto-causa o viceversa, non abbiamo affrontato determinate situazioni? paura
o timore per meglio dire. Meglio rimanere nell'informale e a volte passare per "strano" o peggio, matto, che rimanere intrappolati fra gli ingranaggi della forma.

A dopo [SM=x832013]

Sebastiano.


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