SATELLITE SATOLLO

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colores
00venerdì 16 dicembre 2005 22:49

La luna scorre lattice
luce di cielo freddo
zaffiro cristallo.
Scuote come un progetto
dalle radici impulso
etera voglia di versarne goccia .
Come latrato intimorito
ne cerco titolo dal seggio
per farne pasto fiero.


.
Piperthree
00venerdì 16 dicembre 2005 23:15
RE
ne intravedo un cagnolino, seduto, che guarda la luna e chiede......

sa d'ispirazione raccolta e misteriosa........come per le piante che dicono crescono incredibilmente nelle notti di luna....



un saluto, Piper [SM=x832025]
alter fritz
00sabato 17 dicembre 2005 08:06
una meravigliosa danza di parole..
complimenti

flavio


ilpoetadicorte
00sabato 18 febbraio 2006 17:30
Irrompono
zampilli d'avenosta
nel rischiarar di pose mantenute
ed affono lievi pritte
nel candore di profumate elette.
[SM=x832015]
Letterato
00lunedì 20 febbraio 2006 01:05
Re:



Caro colores, da tempo ti leggo con piacere e conosco tutte le forme della lirica poetica. Una in particolare ho amata poco ed è: l'ermetismo. Non perché la respinga aprioristicamente ma solo quando l'autore vuole scientemente nascondore ogni suo pensiero tenendolo nel guscio del suo animo e traducendolo in parole non decifrabili se non per la loro efficacia estetica. Tu, questa forma dell'estetica della parola, hai sempre usata come cascata millefiorente di parole prese come da un arcobaleno. I colori sono molto belli ma non si distinguono le sfumature; quelle che danno concettualmente significato all'emozione che le ha provocate.

Ti saluto

Lett.
colores
00lunedì 20 febbraio 2006 09:52
re ...satellite...
caro letterato, ho avuto piacere di leggere il tuo commento e la tua espressione sulla poesia in genere, cose che ormai sempre più accadono con grande rarità. Tuttavia vorrei che tu riflettessi più sul carattere "mimetico" della mia forma espressiva piuttosto che su quello ermetico che francamente non ho mai ricercato. Individuare una propria capacità espressiva senza imitare, seguire, o copiare stili altrui non è semplice, nè ritengo sia un obbiettivo che io sia riuscito a raggiungere. La mia continua ad essere una ricerca di ordine creativo_compositivo, che ancora per mia fortuna non ha esaurito di svolgere i suoi benefici effetti. In tale ricerca sono impegnato con una forma di soddisfazione, diciamo così, artistica, che appaga oltre che il mio narcisismo anche la mia propensione estetica. Non sono un letterato, ne mi sono mai pregiato di esserlo, pratico questa modalità espressiva , ormai da molti anni, sinesteticamente ad altre forme creative e la trovo una delle motivazioni che contribuiscono a dare significato alla mia vita terrena. Sarebbe facile indicarti dei nomi autorevoli del paesaggio poetico italiano attuale che vorrei avere quali maestri, ma in coerenza a quanto scritto non voglio "offrire modelli" anche se non disdegno maestri. Come ben sai...non si può avere tutto dalla vita e così mi accontento di leggerli quando e se pubblicano, incontrarli, se possibile, a manifestazioni culturali quando ne ho l'occasione. Spero con queste 4 righe di averti offerto un orizzonte diverso dall'ermetismo ed uno stimolo a volgere altrove lo sguardo curioso che so non ti difetta.
colores
ilpoetadicorte
00lunedì 20 febbraio 2006 20:16
[SM=x832020] [SM=x832004] [SM=x831997]
Letterato
00martedì 21 febbraio 2006 01:12
Re: re ...satellite...


Carissimo colores, ti ringrazio per quanto hai voluto esprimere per delucicidarmi sulla differenza che distingue: ermetismo da "mimetismo". Sono persona che ama la poesia e di questa sono un onnivoro lettore. Sono molto esigente certo, ma amo conoscere e confrontarmi con chi, come tu dici, intende differenziarsi da classicismi o manieristi della lirica poetica. Io stesso amo disegnare la poesia come forma espressiva e, credimi, non voglio né desidero associarmi ai grandi della letteratura e della poesia in particolare. Tu mi indichi il "mimetismo" che, in senso letterale indica chi desidera non farsi riconoscere né essere visto o scoperto. Questo comprendo bene perché, pur postando le mie poesie... non amo condividere somatismi di emozioni che sono parte di me. Tu parli di sinestèsia che è la forma letteraria di due parole simbiotiche attinenti a due diverse sfere sensoriali. Comprendo bene il significato che desideri addurre e non è mia intenzione porlo a confutazione del tuo modo espressivo. Sono, credimi, un tuo sincero lettore e leggo quasi tutto di ciò che viene postato nel sito e poche volte intervengo a commento. Non dubitare anche del fatto che io non cerchi di spostare il mio sguardo oltre; lo faccio con tanta umiltà e mi soffermo su tutto ciò che mi coglie sensibile e tu, da sempre, hai incuriosito il mio intelletto per la tua forma poetica inusuale. Nel mio tempo libero - poco a dire la verità che il lavoro mi concede - amo da sempre consolidare le mie passione partecipando a vari convegni che la mia città offre in senso letterario e da questi momenti di arricchimento amo confrontarmi e comprendere le diverse espressioni di linguaggio da un punto di vista semantico che semiologico oltreché filologico. Il mio replicare, non voleva essere una forma critica al tuo poetare ma, semplicemente, comprendere. L'estetica alla quale ho fatto riferimento attiene a quello che immediatamente colpisce me come lettore e, da buon interprete del lessico cerco di assommare le parole alle emozioni che desidero comprendere sinesteticamente. Il mio confrontarmi - spero l'abbia compreso - è umile nella forma che rappresenta tutti i miei limiti che sono tanti. Come credo tu sappia, più si legge e più l'ignoranza sembra incombere su di noi; mai si avrà il tempo di leggere e tutto comprendere. Il mio interloquire con te (cosa che faccio raramente anche con altri) è espressione di un interesse che la tua forma lirica ha sempre suscitata in me. Per questi motivi, abbi la pazienza di comprendermi. Cerco solo ed unicamente di analizzare le cose e di queste darmi nutrimeto.
Ti saluto cordialmente.

Lett.




Modificato da Letterato 21/02/2006 2.19
colores
00martedì 21 febbraio 2006 08:41
re.
...mai parlato di critica, che peraltro sia ben chiaro, non mi offende mai, anzi mi arricchisce. Il tuo, anzi i tuoi, sono vissuti come commenti e come ti ho già scritto, mi fanno piacere. Più si legge e più si apprende la propria ignoranza, è vero, il baratro della non conoscenza. Indicarti il mimetismo è stato proficuo, hai però individuato solo alcuni dei risvolti che lo connotano, ce ne sono altri ulteriori e direi, almeno per quanto mi riguarda, stimolanti. Basta rivolgere l'attenzione alla natura e alla scrittura per approfondire il proprio bagaglio conoscitivo. Neri non per caso ed una chiave offerta.
un abbraccio, col.
Piperthree
00venerdì 24 febbraio 2006 00:55
RE
Solo adesso torno da queste parti, scusandomi immensamente, e trovo finalmente con piacere un pò di vita......

Ho letto attentamente le vostre considerazioni sulla poesia, sui diversi stili che vengono a volte utilizzati e appunto sullo stile di Colores. Personalmente credo che la scelta di Colores di una forma tale qual'è quella che utilizza credo possa essere una via moderna e forse anche convincente (certamente mimetico-ermetica) di descrivere tutto ciò che lo riguarda e accompagna i suoi sentimenti. Leggo le tue poesie, Colores, già da tanto, e davvero incuriosiscono nella loro totale distensione; credo lo facciano, non già tanto per quel mistero sul significato che a volte può condurle (che non è poco), ma quanto perchè ci vedo dentro la scelta profonda di un voler seguire con dedizione e caparbietà questo determinato tipo d'espressione: così energicamente sintetico, visuale, cerebrale, in cui le parole stesse - quasi per mancanza di spazio - vorrebbero rimpicciolirsi nei versi. Pertanto in questo senso, ritengo sia lodevole la voglia di tratteggiare una propria forma d'espressione in tempi consegnati ormai ad una stilistica a dir poco diluita in mille tipologie, molto poco accattivante ed ancor meno originale.
Tuttavia però, non posso negare il mio autentico credo nella poesia non come entità esclusivamente privata e nè come sostanza esposta intrinsecamente ad ogni esperimento linguisticamente possibile (in cui la scorgo immersa e - consentitemi - spesso violata da una sorta di dilagante anarchia della parola); ma bensì come una entità che partendo dalla nostra sensibilità e dal nostro conoscere (d'accordissimo sul concetto dell'inevitabile ignoranza) giunge e mira a raffigurare la nostra vita come testimonianza e documento del nostro vivere e del nostro tempo, ossia in uno spazio presente nella forma e possibilmente (quando ci riusciamo) universale nei concetti.
Da questo punto di vista la tua poesia, Colores, smuoverei una critica sul tempo della tua poesia, che non toglie anzi aumenta la mia curiosità, in quanto appare spesso di un'epoca molto diversa dalla nostra, quasi spaziale, e ci colpisce perchè come ha esposto Letterato (col quale mi trovo praticamente d'accordo su tutto quanto ha enunciato) vorremmo capirla più in fondo, e magari, e a fin di bene, criticarla, se ovviamente vorrai concedercelo.


Un caro saluto.

Piper [SM=x832025] [SM=x832024]
colores
00sabato 25 febbraio 2006 02:06
re
francamente la richiesta di concessione mi mette in imbarazzo, nel senso che, al momento che rendo pubblici alcuni dei miei scritti, ho la consapevolezza di"mostrare" quello che Letterato
definisce "somatismo espressivo" che pur postato, come dice, non ama condividere. Ecco, per me è l'esatto contrario. Se lo rendo pubblico, amo condividerlo e questo mio amore non si sottrae alla responsabilità dell'esercizio dell'altrui critica (quella del lettore)o/e del relativo commento.Anzi ne chiede la partecipazione e ne propone la condivisione.
Per quanto alla comprensione, penso due cose:

la prima è che, se colui che legge viene "catturato"(per così dire) dallo scritto, in una qualsiasi delle sue forme, allora una, seppur minima, funzione, lo scritto ha assolto. L'interpretazione di un ruolo attivo da parte del lettore comporta l'interrogarsi e il trarre dalla sudetta funzione, quello che più gli risulta congeniale (lo volge al sè).
La seconda cosa che penso, è che, per comprendere il nucleo del contenuto dello scritto, chi legge ha due possibilità:
o conoscere a fondo il soggetto estensore (nella sua storia, nelle sue emozioni, nel suo modo di pensare, di vedere la vita etc.)
o riesce a penetrare con la propria sensibilità, attraverso una lettura che non è quella di occhi e mente, ma quella di cuore e percezione , un'altrui realtà che si trasfigura in propria dimensione.
In questo modo, come in un effetto ottico (optical art)la mimesi si dirada e come folgore arriva l'intuizione (la comprensione)il senso dello scritto; con quell'impatto e quella forza, che ora qui non sono in grado di spiegare, ma che sono certo ognuno di noi ha provato e saputo riconoscere nel momento in cui si accende la scintilla. E' quello il momento della certezza della "chiave di volta" che apre le porte verso regioni che possiamo trovare + o - interessanti e che possiamo ritenere piacevoli o spiacevoli esperienze dileggere "qualcuno".
Spero con questo mio reply di aver dato qualche altro elemento di chiarificazione, avendo come unico obbiettivo la volontà di perseguire l'attuale scambio. Un ultima cosa, sul tempo. Più che spaziale, lo riterrei rarefatto, comunque Piper, hai colto uno degli elementi che sono quasi sempre presenti nei miei componimenti, tormento da cui non mi libero.
alla prox.
col
Piperthree
00sabato 25 febbraio 2006 17:02
RE
Riguardo alla concessione su possibili critiche bè, sai, non sempre chi posta può amare d’essere scandagliato in ogni lato, solo in questo senso in fondo all’ultima risposta avvertivo quasi l’esigenza di una tua ulteriore conferma. Ma dato che la questione non si pone, anzi, tu stesso elargisci inviti, perché non raccoglierli?

Credo di essere più o meno d’accordo sul discorso della connessione effettiva che un lettore (artista o meno) può stabilire con un’opera o con l’intera opera di un poeta, cioè di quel contatto che sa di intuizione oscura e/o metafisica che potrebbe chiamarsi piacere “a pelle”, evidenziando con “a pelle” l’incapacità di descrivere ragioni, moti intellettuali, che portano a tendere verso quell’arte. In questo caso in realtà anche tali connessioni, per quanto strabilino per fascino, credo spesso si ramifichino e si potenzino tanto inconsciamente quanto in linea di massima anche parzialmente, e in genere formino quelle parzialità che possono confondere (tipo l’innamorarsi da bambini): animati da un folgorio bello, innocente, brioso, ma per così dire sorto da un fuoco sì naturale ma anche poco consistente.
Non sono d’accordo invece, sull’idea che in poesia anche quando si è riusciti a suscitare nel lettore qualcosa, qualcosa tuttavia si è raggiunto. Su questo punto (ma questo è un mio approccio alla lirica), sul senso della riuscita di un’opera, credo fedelmente che lo scrivere sia liberarsi e rappresentare se stessi in un qualsiasi modo, e che solo in un secondo momento, attraverso questo sfogo, si possa gettare uno sguardo sereno sulla sua relativa considerazione e sulla sua trasmissione in chi lo abbia letto. E in ogni caso, ciò che suscita o può suscitare un’opera d’arte (sia per forma che per contenuto) non dovrebbe mai interessare il poeta (eccetto forse per questioni d’etica), né prima né dopo d’ogni composizione, in quanto non è per il gusto che si può recare agli altri che si dovrebbe scrivere.
Sul tuo secondo punto, ritengo molto vero che l’interesse e l’intendimento, da parte del lettore nei confronti dell’artista, possa piovere dalla diretta conoscenza dell’artista o dalla percezione sulla sostanza totale di cui la sua opera è composta, quindi su quella sensazione (sita in una qualche dimensione) talmente vera che direi spesso fa sì che solo i poeti riescono a percepire la maggior parte di ciò che si può percepire da altri poeti (questo attesta anche perché i migliori critici di poesia siano stati loro stessi dei poeti). Ma credo anche che la poesia sia un’entità talmente solidale e aperta con chiunque, ed abbia per questo una forza di comunicazione così intensa, da consentire ad ognuno l’opportunità di conoscere e capire anche i lati più difficilmente afferrabili di ogni poeta, “alto”, “maledetto”, “problematico” che sia.


Piper [SM=x832025] [SM=x832024]

Letterato
00sabato 25 febbraio 2006 17:19
Dipende
Colores, quando parlo di: somatismi di emozioni che fanno parte di me, credevo evidente si comprendesse quella forma patologica che comprende la sofferenza che un individuo sopporta a sacrificio delle proprie emozioni. Quando si sente fortemente prevalere una emozione e la si somatizza, sai bene che questa crea dolore, sofferenza. Non so quale possano essere le tue sofferenze né, ovviamente, intendo negarle ma, in me, sono sempre presenti perché non riesco a scrivere una poesia senza che prima questa non mi sia dettata da un avvenimento od una emozione che mi ha colto quasi sempre impreparato.
Certo hai ragione quando dici che se io od altri si replica a qualche tuo scrito, qualcosa deve averlo pure dettato. Ci mancherebbe! In questo senso ho voluto rendermi partecipe di un tuo assunto tradotto in poesia; questa, come sai, non ho compresa ma ti ho chiesto di spiegare per una mia lacuna che non comprende la conoscenza del "mimetismo" del quale mi hai edotto. Rimango convinto fino a prova contraria che tra ermetismo e mimetismo non esista alcuna differenza ma, credimi, sono pronto a ricredermi se saprò cogliere la differenza sostanziale di quanto tu dici. Apprezza, ti prego, il fatto che col replicare al tuo scritto abbia con sincerità voluto esprime la mia curiosità in positivo del tuo enunciare. Il fatto che io non comprenda non significa affatto che tu non discerna letterariamente, anzi! Quando dici: "hai colto uno degli elementi che sono quasi sempre presenti nei miei componimenti, tormento da cui non mi libero", mi viene in mente Michelangelo nel suo: "Tormento ed estasi" che gli ha fornito il dolore per la creazione quando pensò all'affresco della Capella Sistina. Il tormento, dunque, è forza pregnante, è pensiero, è dissacrante dolore viscerale.

Tu confermi questo mia interpretazione quando dici: "...La seconda cosa che penso, è che, per comprendere il nucleo del contenuto dello scritto, chi legge ha due possibilità:
o conoscere a fondo il soggetto estensore (nella sua storia, nelle sue emozioni, nel suo modo di pensare, di vedere la vita etc.)
o riesce a penetrare con la propria sensibilità, attraverso una lettura che non è quella di occhi e mente, ma quella di cuore e percezione , un'altrui realtà che si trasfigura in propria dimensione..."

Come vedi il mio interesse per le cose che tu scrivi è sempre alto ma è anche significativo dalla mia inattitudine a comprendere ciò che tu chiami: "realtà che si trasfigura in propria emozione". Ribadisco la mia ammirazione per la tua forma sinestetica ma non farmi colpa se non la comprendo.

Come sai, sin dalle scuole elementari ci insegnavano - come allora si diceva a fare la versione in prosa. Io in totale modestia ci provo con la tua:

SATELLITE SATOLLO

Il poeta, in una notte, viene colto dal colore della luna che vede come la trasparenza del latte quasi incolore e la paragona alla luce di un cielo freddo. Da ciò sembra cogliere propositivo impulso di voglia ed immacolato pianto. Intimorito e attonito... cerca con rabbioso abbaio, di farne pasto preferendo annullare una visione che gli da tormento.

Questo è quanto credo di avere compreso. Tu hai usata una forma sinestetica. Ma, questo non è male ma io preferisco prosa e lirismo da trasmettere a tutti perché tutti intendano - colti e no - dalle mie emozioni e i latrati d'anima che tanto mi colgono.

Ciao

Lett.


Modificato da Letterato 25/02/2006 17.32
colores
00domenica 26 febbraio 2006 09:37
re
...sono piacevolmente interessato a proseguire il presente scambio, anche se la farraginosità del mezzo non consente la comprensione "altra" e lo scambio interlocutorio, cmq...
una prima domanda "atavica":
si scrive per sè o per gli altri?
una seconda:
solo la sofferenza è motore di creazione?

Per quanto alla convinzione di Lett. poichè ho un idea di lui che difficilmente lascia le sue "convinzioni", mi basta individuare uno spiraglio alternativo, rappresentato da una dimensione di diversità dall'ermetismo che il mimetismo offre. Ho già suggerito di guardarsi intorno in natura, dove il mimetismo offre moltelici possibilità, non solo quella di non farsi riconoscere, ma anche quella di apparire più pericolosi di quello che si è. (in fine consiglio, ad ogni buon pro...Google)
Infine carissimo Lett., non ti faccio alcuna colpa, anzi, non posso non apprezzare il manifestarsi del tuo interessamento che ti fa persona "curiosa"(un pregio per quanto mi riguarda).
Come non posso non apprezzare la tua predisposizione a operare scambi di varia natura con il prossimo. La comunicazione è evidentemente una qualità che apprezzo laddove questa serve non per affermare esclusivamente il proprio pensiero ma per continuare a plasmarlo grazie a quello altrui. La prosa delle elementari...lasciamo fare, grazie alla curiosità sono approdato alla poesia, non certo per la capacità didattica di maestri e professori che insegnano solo per portare a casa il loro pane quotidiano.(intendo dire senza aver trasmesso passione di disciplina)
ancora una...
...la visione estatica della luna in una notte fredda diviene impulso irrefrenabile a scriverne per esaltarne la bellezza e per fermarne l'immagine (anche se scritta) nella memoria.
stretta di mano,
col
Letterato
00domenica 26 febbraio 2006 19:29
...perfettamente daccordo su quanto dici in base all'approssimazione e farraginosità che il mezzo consente per la continuazione di scambi interlocutori (altri). Ciò condiviso, desidero, in primis, rispondere alle tue due domande.

1) si scrive per sè o per gli altri?
Mai avuti dubbi a riguardo - almeno per quanto mi riguarda -, scrivo per me, per quella necessità intrinseca di mettere su carta le mie emozioni o sofferenze che mi detto e da cui non so prescindere. E' vero, inoltre, che desidero - se accade - usare un lessico che sia diretto e facilmente comprensibile per chi desidera usarmi la cortesia di leggermi. Quasi sempre nel "mettere" su carta è in me automatico usare, specie in poesia, quel lessicare che mi indurrebbe all'uso di sostanvivi e verbi non di uso comune e che renderebbero meno facilmente comprensibile ai più il mio sentire. Amo, a prescindere, e senza per questo giudicare negativamente chi usa altro mezzo, una prosa efficace ma immediatamente ferente.

2) solo la sofferenza è motore di creazione?
No, non credo che solo la sofferenza lo sia ma la poesia nasce, per condizione condivisa dagli esperti e dotti recnsori e dagli stessi poeti che questo pensiero ci hanno tramandato, da una condizione emozionale o di sofferenza che ci viene naturale. A questo proposito non posso farti notare che tu stesso hai scrito: "Un ultima cosa, sul tempo. Più che spaziale, lo riterrei rarefatto, comunque Piper, hai colto uno degli elementi che sono quasi sempre presenti nei miei componimenti, tormento da cui non mi libero." E' vero che usi il Verbo transitivo tormento e non il verbo, transitivo ed intransitivo sofferenza ma entrambi esprimono dolori fisici e morali. Non credi?

Sul fatto che io difficlmente lasci le mie convinzioni, non concordo, anzi! Se c'è una cosa che aborro sono le persone che - se pur riconoscendo essere in errorre - persistono in questo credendo che il mutare di un'idea si cosa riprovevole e scada in meno valore nei confronti della persona che lo ammette. Credimi, non è così. Certo è che, come sto facndo ora, amo il corretto confronto e non l'imposizione di idee che non condivido o che non hanno raggiunto lo scopo di una vera remissione del mio intendere; soprattutto quando l'interloquire è infarcito di supponenza e leziosità troppo evidenti (parlo ingenerale senza a te riferirmi) . Ho sempre creduto che chi legge quanto scrivo possa essere persona preparata e, per questo, sia arrogante supporre di essere gli unici depositari della conoscenza dell'argomento che si discute. Troppo facile l'offesa tipo: "mi hai stufato", nell'interloquire con altra persona. Questo denota irritazione, è vero, ma anche e soprattutto mancanza di argomenti a supporto delle proprie idee e convinzioni.
Riguardo al riferimento alla scuole e ai metodi pedagogici in uso ora come oggi mi trovi perfettamente daccordo. A parte qualche rarissima eccezione... il fine primo e ultimo degli insegnanti è quello di arrivare alla fine del mese per lo stipendio. Il mio dire era a supporto di un metodo che ci avevano insegnato per tradurre in prosa una poesia che peraltro, io, oggi più che ieri, trovo a dir poco inconcepibile. Una emozione o una sofferenza che hanno prodotto una lirica non possono essere mai traducibili a seconda della percezione che un docente ritiene possibile a meno che lo stesso autore non abbia espresso i motivi dei suoi versi.

Quanto vasto sia il campo espressivo della poesia è cosa difficilmente spiegabile e, come dici tu, senza passione e disciplina meglio starne lontani.

Stretta di mano anche a te,

Lett.


Modificato da Letterato 26/02/2006 19.33
Piperthree
00domenica 26 febbraio 2006 19:59
RE
L’ultimo tuo intervento, Letterato, anticipa un mio post che (da moderatore) mirava a che lo scambio di opinioni sulla poesia tra voi due si limitasse a questo e non a qualcos’altro altro…
Ma data la tua lodabile ragionevolezza mi spingo con vivo piacere a deviare il percorso…

Riguardo alla tua prima domanda, Colores, cioè quella in cui ti chiedi se si scrive per sé o per gli altri, alla quale rispondo perché credo sia stato io dettare l’argomento, il mio punto di vista non muta di molto da quello di Letterato. Tanti purtroppo scrivono per piacere agli altri e rimanere soddisfatti (e decorati d’alloro) di conseguenza, e credimi sono tantissimi, ma non la credo una cosa che faccia bene alla poesia ed all’arte genuina (a quella in cui credo io). Tanti editori commissionano libri d’avventura ad autori anche bravini, alla stessa maniera con cui tanta feccia discografica accoglie solo canzoni giovanili scritte da giovani. Ma parliamoci chiaro, a cosa porta questo? Può uno scrittore, o meglio ancora un poeta, scrivere il tutto che ha di dentro per gli altri e per un pubblico senza esserne influenzato? Ed anche se ci riuscisse, cosa molto ardua e non duratura, in quanto l’ispirazione non è costrizione a scrivere bensì una sospensione naturale a farlo, fino a che punto quel poeta può continuare a scrivere poesie (essendo magari un artigiano dotato) senza che anche solo un modestissimo critico gli dia del falso?
Nella nostra editoria, i poeti veramente bravi finiscono spesso diluiti in una moltitudine di presunti artisti che sguazzano soddisfatti (per le ragioni più svariate, godendo spesso di qualche fama) nella loro qualità media e a volte purtroppo anche scadente. E’ per questo che solo scrivendo per sé, senza pensare di poter essere apprezzati o meno, si riesce a scrivere di tutto ciò che siamo, anche delle nostre oscenità, e solo da qui può farsi largo la nostra personalità, in tutte le sue forme, originali o meno, e da qui si potrà avere la coscienza pulita quando in futuro, rileggendoci, rammenteremo con piacere questa sincerità. Solo partendo da questa impostazione ed essendo molto saldi e rigorosi su questo credo, si potrebbe pensare alla pubblicazione delle proprie cose (valutate non solo da noi, ovvio, ma anche da critici con gli “attributi”, se ancora ne esistono).
Riguardo alla seconda questione, non credo tantissimo sul fatto che solo da sofferenza si possa creare bella poesia, ma sicuramente credo che chi vive felice ad ogni età della sua vita, ed è un ottimista nato, difficilmente sarà un poeta testimone di ogni tribolazione e di ogni esaltazione (come Dante, Poe, Rimbaud), che scorge e percepisce in faccia gli angeli e i diavoli dell’esistenza, perché difficilmente si può creare arte profonda dalla superficie, se non si ha quel coraggio di scandagliare tra gli abissi per riportare a galla qualcosa di nuovo che valga per sempre.

Piper
colores
00lunedì 27 febbraio 2006 00:13
re...segue
dunque, si scrive per se, ma per farsi leggere dagli altri.
Anzi, in alcuni casi si cerca di essere più comprensibili (agli altri), per meglio farsi capire.
E' vero, scrivo per me, e molto di quello che scrivo lo tengo nel cassetto, quello che pubblico (nel senso che do da leggere)è quello che mi riguarda, come mi riguarda, da proporre ad altri. Mi sembra sufficientemente lineare e non mi pone problemi di "identificazione".
La sofferenza è alla base dell'atto creativo, non si può negare che questa affermazione sia alla base delle nostre convinzioni derivanti dagli insegnamenti avuti. Se però gli insegnamenti vengono ricercati attivamente ed altrove?
Visto che si è citato il grande Dante, non deriva forse la sua capacità fantastico/espressiva/creativa da una necessità di mimesi? E quanto si è divertito nell'assumere funzioni deificate che gli consentivano di creare un suo mondo? Molto è stato derivato nei secoli successivi da quella operazione, ma al momento si determinò solo ostracismo. O no? Chissà se Dante pensava di scrivere per sè o per gli altri, certamente non aveva il problema di farsi capire, che ne pensate?
In ultimo... credevo che lo scambio di opinioni sulla poesia si fosse fatto a tre (almeno per ora). Rimango breve e saluto,
col
Modificato da colores 27/02/2006 0.31
Piperthree
00martedì 28 febbraio 2006 12:20
RE
Bè, intanto direi, si scrive per sé, che è già una gran bella cosa. Poi, è solo conseguentemente che gli altri capiscono quello di cui parliamo, in quanto gli uomini, in generale, pensano in maniera logica e nel dire ciò che pensano (e sentono) si assomigliano. Il fatto che si scrive in modo che gli altri ci capiscano, anche questo è lo slittamento in cui tanti si risolvono a comportarsi per essere più apprezzati dagli altri (e a volte più capiti), ma mi sembra in questo senso consequenziale al fatto che scriviamo di ciò che ragioniamo, ed è evidente che è più facile farci capire che invece tanto difficile non farci capire: per non farci capire, o per essere estremamente ambigui ed oscuri (a volte taluni creano aloni fittissimi di mistero), dovremmo inventare una nuova linguistica, quindi un nuovo modo di pensare.
A questo proposito Dante, riguardo al farsi capire, è stato anche lì, veramente, il padre di tutti: ci sono molti momenti nella Divina in cui egli, in maniera semplice, descrive di cose che non sono per nulla semplici da capire; pertanto ha avuto la forza di rendere alla nostra portata i significati letterari ed unire il suo umano traballare al nostro nel tentare di capire i significati metafisici.

Continuando sul discorso del creare per sofferenza o per altro, non saprei risponderti riguardo agli insegnamenti avuti e sul fatto che tali insegnamenti dicano che solo da sofferenza si genera arte. Personalmente non ho mai avuto professori che mi avessero insegnato la letteratura, per fortuna (o sfortuna) l’ho scoperta e studiata da solo ed è stata tra le cose più belle, fino ad oggi. Viceversa ho avuto tanti begli esemplari da osservare e poter studiare.
Comunque sono d’accordo su quanto dici di Dante e della sua immensa capacità fantastico-creativa, però anche lì direi che tutta la sua “Divina” allegoria, la sua fantasia nel creare una nuova dimensione, nascono da una sofferenza che fu quasi sinonimo di esigenza, cioè l’esigenza e il sogno di vivere in una Firenze diversa, in una Italia diversa, sperando costantemente (dal primo verso fino all’ultimo) nella discesa dello spirito santo a salvare l’uomo dalla dannazione. Cioè, tutta la sua fantasia, simbolico-allegorica, non è stato che un metodo come un altro (in lui riuscitissimo) di esprimere desideri artistici, ma anche politici e teologici. E’ vero, anche nei secoli successivi il suo metodo fu utilizzato, ma mi sa che si estinse col Tasso.
Tornando sul farsi capire, da parte di Dante, credo in linea di massima che la sua lirica sia molto comprensibile, anche perché molto descrittiva e spesso prosodica. E credo che egli si pose il problema sul farsi capire trattandolo in maniera direi non tanto artistica, ma politica, cioè l’intima necessità di utilizzare un linguaggio dotto e comune allo stesso tempo: quindi che fosse altamente speciale ma anche che fosse compreso umanamente da tutti.

(ma quanti “credo” ho usato?, bò, sarà per fede?)


Piper [SM=x832025] [SM=x832024]
ilpoetadicorte
00mercoledì 1 marzo 2006 13:36
Siiiiiiiiiii, eppoi e s'è mandao via da come scrivea bene e comprensibile, io bonino!
Di divino forse e cìavea solo la Bea, e dico forse!
[SM=x831993] [SM=x832026] [SM=x831994]
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