Salvataggio

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
florentia89
00martedì 3 febbraio 2009 18:19
Tempi duri, pericolosi, imprevedibili.
Salvataggio” parti 3

Preparazione: parte 1
Primo dopoguerra, mi incontro con un ”Capo”, palazzo importante.
…“Stasera parteciperà a una riunione, andremo per le lunghe”… (il Voi è abolito, si è tornati al Lei). Così la sera ci troveremo nella sala convegni di una Sede romana. Siamo in parecchi. Oltre il nostro gruppetto c’è il ”Capo”, alcuni dei suoi, un Monsignore che conta, un paio che non conosco, un sacerdote USA. Io sono il più giovane, non che gli altri siano poi anziani, pur se un paio sono di media età Il “Capo” ci saluta e per quanto mi riguarda chiede se la mia passione per il romagnolo (il Duce) è sempre viva o si è attenuata, il tutto con una punta “paterna”, senza sottintesi e ironia.
Lui era tiepido verso il regime tramontato ma assolutamente contrario al mondo comunista e paracomunista. Precisa:
“Ho chiamato anche lei perché serve partecipi a qualcosa che Monsignore spiegherà. Si ricordi che non è obbligato a nulla, salvo il tenersi per se ciò che sentirà. Se ritiene di non partecipare lo dica” …
Salto i particolari. Il Monsignore spiega che l’ente da lui diretto deve “recuperare” in Slovacchia un prelato di spicco, con due collaboratori, i quali si trovano in difficoltà per accuse di appoggio ai nazisti. Pare si tratti di un collaboratore di Monsignor Tiso, già capo del governo filotedesco (gli costerà la condanna a morte) ed è stato deciso di sottrarre lui e i collaboratori alle angherie che potrebbero concretarsi a breve, rivolte più che verso loro contro la chiesa locale e il Vaticano. C’è un piano che dovrebbe funzionare. Saranno attivi collaboratori del posto e qualcuno del vecchio e nuovo corso.
In Slovacchia e Austria si trovano anche truppe russe, pullulano i Soviet, vi sono repressioni, la chiesa è malvista, si deve essere accorti.
Anche l’Italia non scherza, il nord scoppia di partigiani vecchi e nuovi, di loro collaboratori, di alleati diffidenti. Precisano che due automezzi, come concordato con gli slovacchi, porteranno a Bratislavaaiuti alimentari e, al ritorno in Italia, un carico del loro prod otto nazionale, le patate, oltre i tre da allontanare con un permesso faticosamente ottenuto. Da quello che capisco chi darà una mano in loco saranno degli “ufficiosi”, non le autorità in essere, in quanto la situazione è ancora fluida, imprevedibile. Ci prepariamo con quattro autisti, altrettanti di meccanica e fatica, oltre due grandi trucks furgonati, mi pare Dodge, contrassegnati coi simboli Vaticani, carichi di sacchetti di farina USA e canadese da 100 libbre ciascuno.
Indossiamo sugli indumenti di lavoro un giaccone con strisce bianco-gialle che ben indica il mittente del carico. Ci preparano i documenti, si completano i controlli, diciamo qualcosa alle famiglie e partiamo.

Verso l’est parte 2
Siamo in viaggio. Non esistono autostrade, le vie sono dissestate e disagevoli, con salite, discese, passi, ostruzioni da rallentare la marcia.
Evitiamo i centri maggiori per il rischio di qualche assalto al nostro carico e, viaggiando giorno e notte, con soste limitate, nonché riposando direttamente nei mezzi che non abbandoneremo mai, giungiamo nel nord-est italico, in alto Friuli, con slavi che si mostrano ovunque e le terre dal futuro incerto. Poi, entrati in Austria, esibendo lasciapassare e documenti italiani, vaticani e americani, si unisce a noi un ufficiale che ci accompagnerà alla frontiera slovacca. Superiamo Villach, Klagenfurt, Gratz e entriamo nell’area viennese.
Le campagne sembrano non aver sofferto troppo dalla guerra, così non è per Vienna e altre città. Vedo per la prima volta militari russi che non mi fanno effetto particolare, sono ragazzotti rustici, di livello diverso dalle popolazioni locali. Le strade austriache, malgrado la guerra, sono migliori delle nostre.
Superiamo Vienna, che non attraversiamo, giungiamo a due passi da Bratislava, nei cui paraggi finirà il viaggio.
Traversiamo la frontiera slovacca, anzi cecoslovacca in quanto la recente separazione del paese fra Ceki e Slovacchi, promossa dai tedeschi, è di fatto annullata. Pure qui presentiamo pacchi di documenti. Ci attendono due funzionari che danno il cambio all’austriaco.
E’ chiaro che anch’essi siano a conoscenza di qualcosa.
Così in breve arriviamo in un immensa area con più capannoni pieni di patate sfuse da sfamare mezza Italia, ove scarichiamo più di trecento quintali di farina, mentre degli operai stanno insaccando le nostre. patate (pensavo, errando, le avessimo caricate alla rinfusa).
Sia in Austria che in Cecoslovacchia mi accorgo con piacere che l’inglese scolastico finalmente funziona, assieme al mio poco tedesco.
Infatti i vari interlocutori avevano studiato anch’essi un inglese con una pronuncia da cani, cosicché pessima la loro e la mia ci capiamo perfettamente e mi convinco sempre più che il linguaggio degli Angli è si universale, purché ci si tenga alla larga da statunitensi e britannici. In Slovacchia i russi sono più che in Austria ma si tengono da parte, lasciando molte incombenze alle autorità civili. Mentre gli autisti si dedicano al controllo dei mezzi ci rechiamo in due con un vetusto taxi, accompagnati da uno dei funzionari, alla palazzina ove alloggia il monsignore con i collaboratori e altri addetti.
Il mio compagno consegna dei documenti, tra i quali dei passaporti diplomatici. Poi fa firmare un atto che ufficializza la loro inclusione in una commissione per regolare i rapporti religiosi col nuovo regime, sul quale è stato concesso di scegliere dei nominativi graditi a Roma.
Il rischio è che le ultime autorità, appena insediate, finiscano per non riconoscere gli accordi faticosamente raggiunti, arrestino il monsignore, i suoi, e magari noi malgrado i lasciapassare. Dobbiamo far in fretta, così li invitiamo a tenersi pronti per l’indomani. Il mattino viene completato il nostro carico mentre noi torniamo dal monsignore e troviamo tutti in clergy-man, con una piccola croce sul risvolto delle giacche. L’ufficiale appunta sul petto di ognuno una targhetta che attesta la posizione di componenti una delegazione all’estero per conto del governo. Così torniamo ai camion, e subito via.

A casa parte 3
Rieccoci alla frontiera austriaca. Gli accompagnatori fanno preparare i documenti e ci vorrebbe un archivista per ordinarli tutti. I due camion coi colori bianco-giallo, la bandierina americana e qualcosa di italiano (una bella confusione) mettono di buon umore dazieri e gendarmeria, mentre i funzionari ci dicono di mostrare le carte. Qualcosa viene osservato formalmente, ritirano i permessi e permettono il passaggio. I funzionari ci lasciano con una punta di dispiacere; ho anche l’impressione si siano dati da fare per facilitarci e abbiano beneficiato di qualche riconoscimento. Siamo presi in consegna da un austriaco e puntiamo a rientrare il più presto in Italia, siamo pur sempre in zona ove bazzicano russi, comunisti, elementi e disposizioni imprevedibili.
Il ritorno è più agevole e ci prefiggiamo di sostare solo in patria.
Così tiriamo avanti e sul tardi, ormai nuovo giorno, varchiamo il confine e tiriamo un sospiro di sollievo. Finalmente in terra nostra, beh! Alto Adige!
Decidiamo di tornare tutti a Roma coi nostri trucks, anche se affollati, cioè noi e i tre neo-accolti (oggi non sarebbe possibile, allora era tutto permesso), in quanto le ferrovie sono in larga parte in disuso e l’utilizzo di uno o due automobili avrebbe comportato problemi maggiori per il loro reperimento, la viabilità e i controlli. Alcuni riposeranno qualche ora in una canonica, poi in un Istituto nel bolognese e infine Roma. Un viaggio tutto d’un fiato (per modo di dire, oggi si impiegherebbe un tempo tre volte inferiore).
In casa non avevano notizie da una settimana in quanto era impossibile telefonare dall’estero, quasi altrettanto dall’Italia. In più eravamo stati invitati a non dare dettagli sul viaggio. I tempi si rilevarono giusti; poco dopo i giornali diranno che in Cecoslovacchia erano stati arrestati parecchi ecclesiastici per collaborazionismo coi nazisti e chi si trovava in missione doveva rientrare o, se richiesto, essere estradato.
Ovvio che dei nostri tre prelati, che io sappia, non rientrò nessuno.
Ho parlato di questo episodio in quanto indicativo del clima 1945, quando l’URSS stava cercando di affermarsi nell’est e da noi, nonché per far notare che i tedeschi avevano promossa l’autonomia degli Slovacchi (su loro richiesta e per assoluta incompatibilità coi ceki), i quali diedero perfino un buon contributo alla guerra in Russia, se non erro con una divisione combattente SS. Essi in larga parte non erano avversi sia a Hitler, sia a Mussolini, come ebbi modo di parlare coi funzionari, preti e altri; per tutti il Duce era quello che, ancor più dei tedeschi, avrebbe potuto sistemare un po’ di cose in quelle terre complicate, come fatto di recente con Romania, Ungheria, Bulgaria. Ma ora tutta la zona correva il rischio di entrare nell’orbita sovietica. Il Monsignore romano, lo slovacco, il “Capo”, si complimentarono col nostro gruppo e ricevermmo una modesta gratifica, oltre un po’ di alimentari. Sapremo poi di aver aver recuperato un personaggio importante, almeno per loro, ma non ne sono sicuro e non dettaglio.
auroraageno
00mercoledì 4 febbraio 2009 09:22

Interessante racconto. Grazie Francesco. Sei una miniera di ricordi!

Un carissimo saluto

aurora

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:16.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com