Sarabi, la moglie di Re Leone

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florentia89
00sabato 21 febbraio 2009 13:03
Sorprese dello zoo di Roma. Secondo e ultimo contatto particolare
Completo il racconto di Max-Bongo, il gorilla amico, con quello di una leonessa, che le mie nipoti chiamarono Sarabi. Anche questo è un rapporto particolare, dopodiché non ce ne sono stati altri. Simpatie o meno gli altri animali ospiti dello zoo romano restarono sempre al livello di simpatica animalità..

Sarabi, la moglie del Re Leone

Non potevo mancare di parlare, dopo Max-Bongo, di questa seconda esperienza, e non più, stavolta con una leonessa, in un rapporto libero, da amici, anche se io ero al di la' della gabbia dello zoo e lei dentro.
Ma chi sono gli animali reclusi, noi o loro? o non siamo uguali?
Nel periodo che frequentai con le nipoti lo zoo di Roma, e instaurammo un rapporto di amicizia-affetto con Bongo-Max, il gorillone intelligente, attento, un po’ triste, avemmo anche occasione di “fare conoscenza”, per così dire, con una grossa leonessa, tale un micione di un paio di quintali, che venne subito denominata dalle bambine come “Sarabi”, la moglie del Re Leone, film, libro e canzone che allora andavano per la maggiore.
Sarabi era in un ampio spazio, metà interno, metà esterno, chiuso da una gabbia a barre e rete, non molto distante dal gorillone nero.
A ben pensare non si trovava poi tanto vicina, ma era anch’essa a contatto visivo sia dalla gabbia del nostro amico, sia dall’ingresso zoo.
Sarabi era anziana, i sorveglianti ci dissero che era malata da tempo e l’avevano dovuta isolare dal gruppo leonino residente nell’area retrostante, attrezzata con un finto susseguirsi di rocce aspre e scoscese. Il rapporto con i fratelli-sorelle era divenuto difficile. O loro non accettavano più l’anziana malata, o lei non accettava loro, o entrambi i casi, di modo che, onde evitare possibili imprevisti, Sarabi venne isolata in un appartamento abbastanza confortevole, riferendomi ovviamente alla sua condizione di reclusa, identica a quella di Max-Bongo. Ho già detto che io e nipoti con le bestie parlavamo. Così fu per Sarabi che ci osservava con gli occhi socchiusi.
Notammo, dopo alcune volte, da piccole cose ed atteggiamenti, che lei ci riconosceva e non ci riteneva estranei finché, dopo qualche saluto e complimento, cominciò ad avvicinarsi alla rete di recinzione, strofinandosi contro la stessa, come volesse stabilire un contatto. Mi ascoltava mentre gli parlavo di quelle foreste, savane, distese, che forse non vide mai o non rammentava più. Altro segno della sua attenzione, che non manifestava con altri, era l’emettere un gorgoglio sordo, interno, come borbottasse qualcosa, il quale, salvo l’intensità, mi ricordava quello del mio micio domestico quando tentava di farmi capire che era soddisfatto. Altro segnale era che lei, vedendoci, uscisse dal torpore e spalancasse le fauci in un profondo sbadiglio, se tale era, in quanto io lo prendevo per un segnale del suo gradimento.
Con la confidenza che avanzava prese l’abitudine, quando eravamo con lei, a mettersi a pancia in su e fare qualche giravolta, dimostrando ancora una volta un comportamento simile a quello del mio minuscolo gatto (in rapporto solo alle rispettive dimensioni, in effetti il mio micio era un gatto stupendo). I guardiani ci dissero che Sarabi ci riconosceva, al pari di loro che l’accudivano ogni giorno. Affermavano inoltre che Sarabi, bella leonessa, pur se anziana, era colpita seriamente di quel male che noi pensiamo, errando, possa riguardare solo gli umani, cioè un tumore, in quale parte non rammento, e che la curavano con sufficiente attenzione, in rapporto ai tempi e al soggetto.
Ci fu un giorno in cui un signore, anche lui con due bambini, ci disse che stavano osservando Sarabi assopita quando lei, spaventandoli, si rizzò, guardando verso di loro ma oltre, rizzando le orecchie e gorgogliando qualcosa. Lui si volse e nel viale d’ingresso non c’erano altri, salvo me e le nipoti, che gli correvano incontro chiamandola “Sarabi!”, “Sarabi!”.
Appena giunti lei diede una spallata alla gabbia quasi da abbatterla, se non fosse di acciaio, e si rigirò su se stessa, lasciando stupiti il signore e i bambini.
Le condizioni di Sarabi si aggravarono, malgrado le cure e attenzioni ricevute. Devo dare atto allo zoo di Roma, e ai suoi addetti, dell’umanità dimostrata verso di lei, come per Max-Bongo, cioè di averli assistiti e curati nei limiti del possibile, facendogli terminare l’esistenza fra i loro fratelli e amici senza che per entrambi, me l'assicurarono, venissero applicati interventi di eutanasia animale. Per Sarabi ci precisarono che nei momenti ultimi i compagni leoni-leonesse presenti nella struttura adiacente, anche se divisa, si avvicinarono e accucciarono prossimi alla malata, emettendo a modo loro un segno d’incoraggiamento e solidarietà.
L’ultima volta che la vedemmo era accovacciata all’aperto in uno spicchio di sole attenuato dalla rete intermedia. Si alzò, mise il muso contro la recinzione e noi tre la carezzammo, con la punta delle dita infilate nelle maglie metalliche, sul corpo, sulla testa, sulle orecchie, sul grosso naso, e ciò senza pericolo o timore alcuno, sia per la protezione metallica, sia per la bontà della nostra amica. Un ruggito di gradimento, quasi un soffio, testimoniò la sua contentezza, dopo di che lei si accovacciò a ridosso della gabbia e infilò una parte della zampona fra la base di cemento e l’inizio della struttura divisoria. In quel modesto spazio sporsero le ultime parti della zampa destra.
Allora io, parlandogli con affetto, stavo per dire da pari a pari, presi ad accarezzargli quel finale della sua estremità, altrettanto fecero le nipoti, e ciò finché lei non la ritirò, lanciandoci uno sguardo come solo una femmina, una madre, un’amica, possono fare. Tornammo, ma stavolta lei era all’interno, come dissero i guardiani, e non poteva muoversi. La chiamammo, ci sembrò di sentire un borbottio. Poi un sorvegliante amico ci suggerì di esporci in un certo punto dell’esterno. Noi, con la luce attorno, non potevamo vedere nulla dell’interno buio, ma Sarabi poteva vedere noi. Poco tempo dopo anche Sarabi se ne andò. Ho già detto che non era stata applicata eutanasia, come avveniva con altri animali. Ci lasciò tranquilla, naturalmente. Stavolta i giornali non ne parlarono come per Bongo-Max, bestione più noto al pubblico di Sarabi.
Il mio e nostro rapporto con Sarabi fu più breve di quello con il gorillone, ma non per questo meno coinvolgente.
Non ci furono altri rapporti particolari con gli amici dello zoo, pur se sempre simpatici compagni di vita. Ma le esperienze con Sarabi e Max-Bongo segnarono per molto le mie nipoti e il mio sentimento, più coriaceo del loro, ma non per questo meno sensibile e vulnerabile.
Un sorriso e un pensiero per te, Sarabi, sia da parte mia, che delle bambine, ormai donnine, che ti ricordano. Se puoi vedi di alzarti dal tuo riposo, cerca di sbadigliare e borbottare come sapevi fare e, visto che ove ti trovi non ci sono più gabbie e reti, mi piacerebbe ricevere una tua strusciata o una bella testata su di me. Sii certa che ti gratterei il testone senza timore. Ciao Sarabi da un amico di viaggio.


auroraageno
00domenica 22 febbraio 2009 09:42

Non potevi non farci comnoscere quest'altra esperienza con gli animali da te fatta, Francesco! Meravigliosa....

Grazie... Sono convinta che anche per le tue nipoti siano ricordi preziosi!

Un abbraccio

aurora

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