lucky_luke
00venerdì 12 settembre 2008 14:06
Teognide di Megara Iblea - Biografia
E' un grande, appassionato, moralista poeta elegiaco, forse contemporaneo di Solone e Focilide, del secolo VI - V a.C., nato a:
"Megara in Sicilia, durante l'Olimpiade LIX. Scrisse un'elegia su quelli che si salvarono dei Siracusani nell'assedio, sentenze in forma di elegia in 2800 versi, una raccolta di sentenze in distici dirette a Cirno suo amato, e altri consigli esortativi, il tutto in dialetto epico" (Suida).
Che Teognide fosse di Megara Iblea, nato da famiglia aristocratica, lo riporta anche Platone nelle Leggi.
Con i due suddetti il megarese viene definito poeta gnomico per il moraleggiare a volte aspro della sua poesia, eppur sempre vigorosa e calda nel denunciare i vizi e le ingiustizie che vedeva sparse nel suo mondo.
Se la terra natia è certa, non lo è l'età che si pregiò delle opere del poeta megarese: la fonte Suida riferisce una data (544 - 540 a.C.) che stride con l'altra testimonianza del testo sulle guerre persiane del 492 (spedizione di Mardonio) e del 480 a.C. con la seconda invasione.
L'opera di Teognide, il Corpus Theognideum, è una silloge elegiaca di 1389 versi raggruppati in 2 libri (che racchiudono uniti ai versi del nostro anche opere indistinguibili d'altri poeti, come Solone, Tirteo e Focilide).Il primo, contiene 1230 versi di contenuto politico e morale, mentre il secondo coi rimanenti versi è ispirato alla Musa puerilis. Da Solone e da Alceo molta critica vede una influenza sull'opera del nostro.
Il nucleo della raccolta è costituito dalle esortazioni a Cirno, figlio di Polipao, giovinetto caro al poeta. Questi ammonimenti contro la decadenza dei costumi nella sua città, dalla fine del V secolo costituirono il fondo di una silloge gnomica utilizzata a fine educativo: evidentemente si tratta di saggi precetti, sotto forma di elegie, per una vita felice che Teognide, da sdegnoso oligarca, rivolge a Cirno per comunicargli sia odio di casta verso la plebe insolente (formata da commercianti neo ricchi) che il culto per le antiche tradizioni. L'età felice è sempre il passato, possiamo apprendere dalla tristezza del poeta megarese, e da tutti gli animi sensibili.
Di origine nobile, Teognide è ostile al governo dei tiranni ma anche al regime democratico istituito nella sua città, che egli dovette giocoforza lasciare per ritornarvi alla fine di un lungo esilio, perdendo comunque i suoi beni.
Questo lo spinge ad un culto del passato doloroso, che non si può più ovviamente rivivere, e che lo frastorna per la conseguente, irriducibile e serena concezione pessimistica della vita. Un famoso detto gli è attribuito:
"Sarebbe stato meglio non esser nato; se lo si è, è bene morire da piccoli".
L'opera di Teognide nasce quasi come un pedagogico manuale di esemplare etica aristocratica, e venne perciò usato nell'insegnamento alle generazioni che lo seguirono.
Nei brani esemplari che proponiamo risalta lucente il pessimismo "cosmico" del poeta; ma è da tenere di conto che posteriori teorie pedagogiche saranno in grado di garantire un efficace insegnamento mirante ad eliminare la parte selvatica dall'animo dell'uomo, più facilmente visibile e sanabile nell’età più verde, tramite l'educazione dell'animo anche con nozioni di musica e di cultura fisica.
E' uno dei segreti per migliorarsi, riuscire a rimanere sé stessi sempre e comunque, salvaguardando così la parte buona che ognuno di noi possiede dalla influenza della parte cattiva degli animi di chi ci sta accanto. Si è dei veri re della propria vita, riflettendo solo sui nostri difetti innati, e non essere così stolti da accollarci quelli altrui.
Occorre gradire la pioggia - se ci piace sia così - anche, e sopratutto, quando sentiamo dire ad altri che non giunge gradita. E' questo il senso dell'opera di Teognide, al di là dei problemi che incontra la critica nell'attribuire al poeta questa o quella elegia: ci si aiuta rintracciando il nome di Cirno in esse, a sperare che il poeta lo avesse inserito, con altri personali riferimenti, a garantire i suoi versi dalla attribuzione di una differente paternità; come visto ne Il sigillo.
Teognide di Megara Iblea: alcuni brani
LA GENTE NUOVA
O Cirno, la città è ancora la stessa, ma altro è il popolo:
quelli che prima non conoscevano né usanze né leggi, ma
intorno ai fianchi logoravano pelli di capra, quelli che fuori
della città pascolavano come cervi, ora son essi i capi, o
Polipaide; e quelli che prima erano nobili ora non contano
più. Chi resisterebbe a tal vista?
S'ingannano e si deridono l'un l'altro, e dei beni e dei mali
coscienza non hanno.
IMPOSSIBILE EDUCAZIONE
Generare e allevare un uomo è più facile che educarne la mente.
Nessuno è mai riuscito in questo, a far saggio lo stolto e buono
il cattivo. Se agli Asclepiadi il dio concedesse di guarire dalla
malvagità, e rischiarare le cieche menti degli uomini, molti e
grandi profitti essi ne trarrebbero. Se fosse possibile fabbrica-
re il senno e infonderlo nell'uomo, nessun padre buono avrebbe
figli cattivi, chè l'educherebbe coi suoi saggi consigli. Ma gli
insegnamenti non renderanno mai buono il cattivo.
LA ROVINA IMMINENTE
Cirno, pregna è questa città; vedrai che il nascituro ci farà
pentire delle nostre male colpe. Saggi sono ancora i cittadini,
ma i capi in grande sciagura stanno per farci cadere. Nessuna
città, o Cirno, mai rovinarono i buoni, ma quando i malvagi
soverchiano e corrompono il popolo e per gli iniqui parteggiano
mossi da cupidigia di danaro e di potere, quando con danno pub-
blico ricercano guadagno, non sperare che a lungo resti in pace
quella città, anche se ora pare tranquilla. Perché allora nascono
discordie e lotte intestine e tiranni.
Oh, che questo mai avvenga in questa città!
IL CONSIGLIO PIU' GRANDE
Perché ti voglio bene, o Cirno, quello che io stesso da fanciullo
appresi, t'insegnerò. Sii saggio e non cercare onori o lodi o
ricchezze con opere turpi od inique. Tienilo bene in mente: coi
malvagi non t'accompagnare, va' sempre coi buoni: con quelli bevi
e mangia, con quelli siedi, a quelli sii amico, che hanno gran
cuore, perché dai buoni cose buone apprenderai: se invece ti
unisci ai malvagi, perderai anche il senno.
Dunque coi buoni accompagnati, e un giorno dirai ch'io so ben
consigliare gli amici.
IL SIGILLO
O Cirno, a questi miei versi un sigillo sia posto, sì che nessuno
mai se li appropri, e ne muti il buono in cattivo.
Ognuno dirò: "Di Teognide Megarese sono questi versi, di Teognide
a tutti ben noto".
Certo a tutti i cittadini esser gradito non posso; né è strano,
o figlio di Polipao: neppure Zeus, quando manda o non manda la
pioggia, fa cosa a tutti gradita.
(Maddalena, La letteratura greca, Laterza, Bari, 1960)
FORZA D'ANIMO
Sopporta, anche se mali patissi insoffribili, o cuore:
s'addice impazienza solo dei vili al cuore.
Non crescere il tuo cruccio pei mali che scampo non hanno,
non farne gran cura, non dar cruccio agli amici,
agli inimici gioia: schivar ciò che inviano i Numi
non è facile impresa per l'uomo a morte nato,
neppur se fra gli abissi del mare purpurei s'immerge,
né quando il nubiloso Tartaro l'ha ghermito.
SPERGIURI
Fra questi cittadini non muovere passo, fidando
nell'amicizia loro, nei giuramenti sacri.
Neppur se Zeus un re fra i più grandi volesse proporti
mallevadore, e offrire dei Celesti la fede.
SPES ULTIMA DEA
La sola dea rimasta quaggiù fra i mortali, è Speranza:
ci hanno lasciati gli altri, sono ascesi all'Olimpo.
Partì la Buona Fede, gran Diva: partì la Saggezza
il Giuramento fido fra gli uomini più non si trova,
né più venera alcuno gl'immortali celesti.
Spenta è la razza degli uomini pii: né più alcuno rispetta
né le leggi degli uomini, né i decreti divini.
Ma sinchè vive, sinchè vede ognuno la luce del sole,
verso gli dei si mostri poi, la Speranza onori,
e, preci offrendo ai numi, bruciando a lor femori pingui,
sacrifichi a Speranza, prima ed ultima Diva.
E dagli obliqui discorsi degli uomini iniqui si guardi,
che, senza avere mai riguardo agli Immortali,
ai beni l'un dell'altro rivolgono sempre le brame,
coprendo opere turpi con apparenza bella.
(I poeti della Antologia Palatina, Romagnoli, Zanichelli, Bo, 1962)
RICCHEZZE E VERI GUADAGNI
La ricchezza che vien da Zeus, pulita e giusta,
per gli uomini è una cosa che resiste.
Ma se, rapace, l'uomo intempestivamente
l'acquista, o spergiurando la carpisce,
il guadagno l'illude un attimo: chè tutto
torna in pianto, alla fine; il dio prevale.
Chi ritiene il suo prossimo privo di comprendonio
e si crede furbissimo lui solo,
è uno sciocco che ha perso il ben dell'intelletto.
Oh, le furbizie le conosciamo tutti!
Ma, mentre c'è chi gode degl'intrighi fraudolenti,
c'è chi non cerca sordidi profitti.
Per l'uomo non c'è limite preciso alla ricchezza:
quelli di noi ch'hanno sostanze immense
smaniano il doppio. E chi li sazia tutti? Una follia
divengono per gli uomini, i quattrini.
Spunta rovina: Zeus la manda a loro che si struggono:
ora l'uno ora l'altro se la tiene.
(I lirici greci, trad. F.M.Pontani, Einaudi, Torino, 1969)