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"TRACCE" - Riflessioni quotidiane di Anna Foa

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    00 03/09/2013 11:58


    Il sogno e il dovere



    Mi immergo nella biografia di Enzo Sereni, scritta negli anni Settanta da una scrittrice israeliana, Ruth Bondy, e ora tradotta in italiano. Figlio di un noto medico romano, fratello di quell'Emilio Sereni che sarebbe diventato un importante politico comunista, Enzo si avvicinò molto giovane al sionismo e con la moglie Ada Ascarelli si trasferì nel 1927 in Palestina fondandovi un kibbutz, Givat Brenner. Fu tra i primi ebrei italiani ad emigrare in Palestina, un figlio dell'agiata borghesia che si faceva agricoltore. Enzo non lasciò tuttavia indietro i suoi studi e pur continuando a dedicarsi al suo kibbutz divenne un politico, compì molte missioni in Europa, negli Stati Uniti e in Iraq, mentre la guerra contro i nazisti si avvicinava. Nel 1944, ufficiale nell'esercito inglese, giunse nell'Italia del Sud ormai liberata, da dove si fece paracadutare in Toscana per tentare il salvataggio degli ebrei che vi si trovavano. Fu immediatamente catturato dai nazisti, fu trasferito a Dachau sotto il suo falso nome di capitano Barda e lì assassinato. La sua è la storia di un ebreo che sceglie di lasciare la diaspora e di impegnarsi nella costruzione dello Stato e poi, nel momento del rischio più alto, ritorna nella sua prima patria, mai dimenticata.


    Anna Foa




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    00 04/09/2013 10:21


    Vicende perdute


    Sempre con la mente alla famiglia Sereni, ritorno allo splendido libro di Clara Sereni, Il gioco dei regni, uscito ormai molti anni fa e volto a ricreare la storia famigliare dei Sereni e il dissidio incolmabile fra i due fratelli, il sionista Enzo e il comunista Emilio. Ultima figlia di Emilio, Clara non è tenera né verso suo padre né verso sua madre, anche lei rigida comunista, figlia di un rivoluzionario ebreo impiccato dallo zar e di una rivoluzionaria russa, non ebrea ma poi emigrata in Israele e là sepolta. Nel suo animo, il posto privilegiato lo hanno lo zio Enzo e la zia Ada, nel primissimo dopoguerra organizzatrice dell'emigrazione clandestina in terra d'Israele, da lei raccontata in un libro affascinante, I clandestini del mare. Dapprima sionista, storico di grande rilievo, Emilio diventò comunista nel corso del 1927 e non seguì il fratello, rompendo più tardi con lui ogni rapporto, in obbedienza all'ortodossia di partito, al punto di rifiutare di incontrarlo durante uno dei suoi ultimi viaggi in Europa. Eppure, da giovani i due fratelli erano stati vicinissimi. È la storia di una famiglia straordinaria, fuori dal comune, ma significativa di un mondo di cui si sono da molto tempo, ahimè, perse le tracce.


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    00 05/09/2013 09:24


    Quelli di San Nicandro



    L'ultima fotografia di Enzo Sereni fu presa in una piccola città delle Puglie, San Nicandro. Sul punto di partire da Bari per farsi paracadutare in Toscana, Enzo Sereni venne a sapere dell'esistenza a San Nicandro di un folto gruppo di persone sul punto di convertirsi all'ebraismo. Andò a visitarli e si fece fotografare con loro mentre reggevano una bandiera con la Stella di Davide. Il gruppo era guidato da Donato Manduzio, un contadino analfabeta che aveva imparato a leggere su una Bibbia evangelica ed era di là approdato all'ebraismo, radunando numerosi proseliti. All'inizio, gli "ebrei" di San Nicandro credevano di essere gli unici ebrei al mondo, poi avevano saputo che ne esistevano altri ed avevano preso contatto con l'Unione delle Comunità Israelitiche per giungere a una conversione formale. Ma vennero tempi grami per gli ebrei, il 1938, e della loro conversione non si parlò più. Solo nel dopoguerra si convertiranno e si trasferiranno in maggioranza nel nuovo Stato d'Israele. Strana storia, quella di Manduzio e degli ebrei di San Nicandro, e ancora più strano il loro incontro con un uomo da loro tanto diverso come Enzo Sereni, un incontro rimasto per sempre fermato in quella foto in cui tutti sembrano guardare avanti, verso il futuro.


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    00 06/09/2013 09:18


    Versi giusti (bimbi e animali)



    Mi vive accanto Lola, una cagnetta trovata abbandonata ormai tanti anni fa. Quando era da poco con me, ancora tesa e inquieta, ricordo di aver provato a tranquillizzarla con la voce, ma siccome sono stonatissima e non era quindi il caso di cantare, le recitavo delle ninne nanne come ai bambini: stella, stellina... Poi, visto che funzionava, sono passata a recitarle L'Infinito di Leopardi e Alla Sera di Foscolo. Le riconosce ancora e scodinzola piano. Esiste con gli animali, come con i bambini, una comunicazione particolare attraverso la poesia e la voce. Ricordo, quando ero bambina, un'amica che in montagna leggeva Catullo in latino al vitellino appena nato nella stalla. C'è in questo recitare versi agli animali e ai bambini piccolissimi uno spazio di silenzio che si afferma. Il verso trova la sua strada in questo silenzio, ed impone il tempo della quiete, della ninna nanna. Dapprima lo sguardo dei bambini e degli animali si fa attento, poi il loro respiro si acqueta e la tua voce, come quella di Orfeo che placava le fiere, dona pace e riposo. Perché agli animali e ai neonati? Forse perché hanno in comune l'assoluta fiducia in quella voce che li placa. Una fiducia commovente, che i bambini poi perdono crescendo e che gli animali non perdono mai.


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    00 07/09/2013 10:56


    La grande lezione


    Mi immergo in un libricino, esile raccolta di tre racconti di Vassilij Grossman, il grande scrittore russo autore di Vita e destino. Uno dei racconti ci parla di una cagnetta randagia, che vive raminga felice della sua libertà, imparando a sopravvivere e a muoversi nel mondo, fino a che non viene catturata. La sua intelligenza la fa scegliere per una pericolosa missione nello spazio. Viene sottoposta a un durissimo addestramento, e lo scienziato che dirige il progetto diventa il suo padrone. Per amor suo la cagnetta rinuncia totalmente alla sua libertà. Lo scienziato, duro e spietato, si umanizza ma non al punto da rinunciare, per la cagnetta, al progetto. Vuole che per la prima volta un essere vivente veda l'universo, che l'universo ne penetri la mente e ne moltiplichi le possibilità. La cagnetta parte, circondata dalle preoccupazioni di tutti, da tutti separata: lei sola nell'universo. Il razzo ritorna, la cagnetta che ha visto l'universo corre esitante dal suo padrone e gli lecca le mani, ma i suoi occhi intelligenti sono ormai confusi. Solo l'amore resta, immutato, anche se privato della luce della ragione. Mi è forse difficile accettarlo, ma che l'amore possa essere superiore all'intelligenza è davvero una grande lezione.


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    00 10/09/2013 10:37


    I libri e gli uomini



    Che il maggior poeta tedesco dell'Ottocento sia stato un ebreo, Heinrich Heine, non dovrebbe stupirci, se pensiamo alla grande fioritura della cultura ebraico-tedesca tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento. Convertito nel 1825 al protestantesimo, per dirla con le sue stesse parole «come biglietto d'ingresso nella società», Heine ben appartiene a quel movimento di assimilazione degli ebrei tedeschi che comincia con la generazione successiva a Mendelssohn, a fine Settecento, e termina con la generazione di Rosenzweig, nel terzo decennio del Novecento. È un momento in cui la cultura degli intellettuali che restano ebrei e quella di coloro che si convertono è assai simile, in cui il passaggio dall'ebraismo al cristianesimo, lungi dall'essere un passaggio radicale da un'identità all'altra, rappresenta solo uno slittamento più o meno lieve verso un'altra dimensione religiosa. Ben lo compresero i nazisti che consideravano le conversioni come un cavallo di Troia ebraico nella società «ariana». E bruciarono, nei roghi dei libri, Heine assieme a Thomas Mann, Schnitzler assieme a Werfel. Nell'intento di bruciarne gli autori perché, come già aveva scritto Heine nel lontano 1817, «chi brucia i libri finirà per bruciare gli uomini».


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    00 11/09/2013 08:56


    Appartenenze e segni



    Uno straordinario racconto di Heinrich Heine, rimasto incompiuto, è Il rabbi di Bacherach: ebrei alle prese con le false accuse di omicidio rituale, ebrei e marrani nella sinagoga di Francoforte, la porta del quartiere ebraico chiusa tanto dal di fuori che dal di dentro. Ma anche colori, profumi, vesti sgargianti e sapori della cucina del passato. Composto fra il 1824 e il 1826, cioè proprio intorno alla sua conversione, avvenuta nel 1825, il racconto ci parla molto di conversioni, dal momento che accanto al rabbi di Bacherach troviamo come protagonista il marrano, un galante cavaliere spagnolo. Sia il marrano sia il rabbi sono gli alter ego del poeta, vissuti l'uno nella cupezza medioevale dell'accusa del sangue, l'altro nella confusione allegra e un po' goliardica del quartiere ebraico di Francoforte. E il cavaliere marrano, con il suo sgargiante costume che fa da contrappunto alla veste nera del rabbi, non è da lui molto diverso, come il loro comune passato di studi e di amicizia ci mostra. Segno che, per Heine, la conversione era davvero solo un modo di essere accettato socialmente, o più in profondità segno che per lui e per molti come lui e dopo di lui contavano più gli uomini che le appartenenze religiose?


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    00 12/09/2013 11:46

    La simbiosi e l'esilio



    Le biografie mi sono sempre apparse in fondo delle autobiografie, perché consentono allo storico una identificazione con il personaggio narrato molto più forte delle altre forme di narrazione storica. Anche la straordinaria biografia di Rahel Varnhagen scritta da Hannah Arendt mi ha dato la sensazione di un intreccio di identità e di domande. Rahel era la figlia di una ricca famiglia ebraica berlinese della fine del Settecento. Il suo salotto, rinomatissimo, fu frequentato dalla crema della cultura tedesca del tempo. In un rapporto con l'ebraismo al tempo stesso intimo e tormentato, si convertì, come molte altre donne ebree del suo mondo, per ottenere, come Heine, «un biglietto d'ingresso nella società». In punto di morte, però, rivendicò con emozione il suo ebraismo. Il libro di Hannah Arendt è un fine atto d'accusa contro quello che ai suoi occhi rappresentava il fallimento dell'emancipazione, l'impossibilità di uscire dalla condizione di paria. Lo iniziò nel 1933, lo riprese nel 1938, lo pubblicò infine a New York nel 1958. Le sue erano le domande di un'esiliata che aveva dietro di sé persecuzioni e morte: perché la simbiosi tra ebrei e tedeschi si era rotta? E tale simbiosi era mai davvero esistita?


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    00 13/09/2013 09:46


    La meraviglia dimenticata



    Alle lontane origini del museo è la Wunderkammer, la camera delle meraviglie, tipica creazione rinascimentale e barocca, raccolta di cose meravigliose, mirabilia, sia di origine naturale che artificiale. Raccolta quindi di per sé eterogenea, che comprende oggetti e strumenti di varia natura, da piante e animali esotici, a strumenti, a manoscritti, a reperti archeologici, tutti volti a creare meraviglia e ammirazione in chi li guarda. Nella camera delle meraviglie creata nel 1651 dal gesuita Athanasius Kircher al Collegio Romano, a Roma, c'erano antichità egiziane, strumenti musicali, macchinari da lui stesso inventati, carte e mappe e ogni genere di oggetti, spesso preziosi, che dopo il 1870 furono trasferiti in altre sedi: il Museo Etrusco, quello Etnografico, quello Romano. Ma nell'antico Collegio Romano, la scuola della Compagnia, trasformato nel 1873 in un liceo classico, il Visconti, restò una parte delle collezioni del Museo di Kircher, solo in anni recenti aperta al pubblico. Nei cinque anni ormai lontanissimi in cui ho frequentato il liceo, ad esempio, nessuno ha mai condotto noi studenti a vedere quello che restava del museo, nessuno ci ha mai nominato padre Kircher, nessuno ci ha mai spiegato lo scopo e la natura della meraviglia.


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    00 14/09/2013 10:14


    La lodevole metamorfosi


    I musei dei nostri giorni, a differenza dei loro antenati del passato, non mirano a meravigliare ma ad insegnare, non derivano dallo spirito del collezionista ma dall'esigenza di spiegare e di educare. I musei seguono le tracce degli oggetti nel tempo e nello spazio, li trasformano in finestre sul mondo. Fanno eccezione, evidentemente, le gallerie d'arte, dove il valore artistico, l'emozione, il fascino del capolavoro introducono un altro elemento, che non ha però nulla in comune con la meraviglia, a meno che non vogliamo definire con questo termine lo stupore estetico. Ma anche nelle gallerie d'arte, i percorsi sono spesso creati per aiutare a collocare le opere d'arte nella storia, a spiegarne non la bellezza ma il contesto. La dimensione temporale si è introdotta con prepotenza nelle nuove concezioni museali, insieme con quella didattica. La visita degli studenti al museo, il suo studio, è divenuta per moltissimi docenti un fondamentale complemento didattico. I musei ci spiegano il tempo, lo spazio, l'evoluzione dell'umanità e degli animali, il crescere delle civiltà e delle culture, le modalità della vita rurale e urbana, fin della coltivazione dei campi. Non servono a stupire, bensì a capire. Perdiamo anche qualcosa, in questa lodevole metamorfosi?


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