00 14/09/2007 13:28
(segue)


Spronò Cisco con un deciso colpo di talloni nei fianchi, superò il muro con un salto
e si precipitò attraverso il campo, puntando diritto al centro del muro di pietra che
nascondeva il nemico. Per un momento i ribelli rimasero troppo sconcertati per
sparare, e il tenente coprì i primi cento metri in un vuoto privo di suoni.
Poi aprirono il fuoco. Le pallottole riempivano l'aria intorno a lui come degli spruzzi
d'acqua da un rubinetto. Il tenente non si preoccupò di rispondere al fuoco. Si
mantenne eretto sulla sella in modo da costituire un migliore bersaglio e spronò
nuovamente Cisco. Il cavallo abbassò le orecchie e si lanciò verso il muro. Per
tutto il tempo, Dunbar aspettò che una delle pallottole lo colpisse.
Ma non accadde, e quando fu abbastanza vicino da riuscire a vedere gli occhi del
nemico, lui e Cisco scartarono a sinistra, correndo a nord in linea retta, a cinquanta
metri dal muro. Cisco galoppava con tanta forza che dietro i suoi zoccoli posteriori
la terra si sollevava in aria come la scia della ruota a pale di un battello. Il tenente
continuò a mantenersi ritto sulla sella, e questo si rivelò irresistibile per i confederati.
Si alzarono dal loro appostamento come delle sagome in una sala da tiro rovesciando
una cortina di fuoco sul solitario cavaliere mentre questo sfrecciava oltre.
Non riuscirono ad abbatterlo.
Il tenente Dunbar sentì il fuoco cessare. La fila di fucilieri aveva scaricato i fucili. Mentre
si allontanava, avvertì un bruciore al braccio e scoprì che una pallottola gli aveva scalfito
il bicipite. Quel senso di bruciante calore lo fece rientrare in sé per un breve momento.
Gettò uno sguardo verso la linea che aveva appena superato e vide che i confederati
giravano in tondo disordinatamente dietro il muro in uno stato di incredulità.
Di colpo, le sue orecchie ritornarono a funzionare e poté udire le grida di incoraggiamento
che provenivano dalle sue linee al di là del campo. Poi, ancora una volta, fu consapevole
del suo piede, che pulsava dolorosamente come una sorta di pompa dentro allo stivale.
Tirò con forza le redini per fare dietro front e mentre Cisco piegava la testa di lato dietro
la sollecitazione del morso, cambiando direzione, il tenente Dunbar udì le grida di evvviva
provenire come un boato da dietro le sue linee. Guardò oltre il campo. I suoi fratelli d'armi
erano tutti in piedi al di là del muro.
Diede un colpo di talloni a Cisco e si buttarono in avanti, ritornando al galoppo nella stessa
direzione da cui erano venuti, questa volta per saggiare l'altro fianco della linea confederata.
Gli uomini davanti ai quali era già passato vennero colti in contropiede, e il tenente riuscì
a vederli mentre ricaricavano freneticamente i fucili al suo passaggio.
Ma davanti a lui, giù lungo il fianco che non aveva ancora saggiato, poté vedere dei
fucilieri che si stavano alzando in piedi, il calcio del fucile saldamente appoggiato alla
spalla.
Deciso a non venir meno a se stesso, d'improvviso e impulsivamente il tenente lasciò
andare le redini e sollevò in aria entrambe le braccia. Poteva anche assomigliare a
uno di quei cavalieri che si esibivano nei circhi ma quello che sentiva era definitivo.
Aveva alzato le braccia in un gesto finale di addio alla sua vita. Ma chiunque lo avesse
visto, avrebbe potuto fraintenderlo. Avrebbe potuto sembrare un gesto di trionfo.
Con quel gesto il tenente Dunbar non intendeva naturalmente dare un segnale a chicchessia.
Voleva soltanto morire. Ma i suoi camerati degli stati dell'Unione avevano già il cuore in
gola, e quando videro le braccia del tenente sollevarsi in aria, fu più di quanto riuscissero
a sopportare.
Si lanciarono in massa oltre il muro, una marea spontanea di uomini che volevano combattere,
urlando e avanzando con uno slancio che gelò il sangue ai soldati confederati.
I ribelli si sbandarono e si diedero alla fuga come un sol uomo, correndo disordinatamente
verso il folto degli alberi dietro di loro.
Quando il tenente Dunbar fermò il cavallo, i soldati dell'Unione dalle uniformi blu avevano
già superato il muro, inseguendo i ribelli fin dentro al bosco.
La sua testa, improvvisamente, diventò più leggera.
Il mondo intorno a lui cominciò a vorticare.
Il colonnello e i suoi aiutanti si stavano avvicinando da una direzione, il generale Tipton e
i suoi da un'altra. Entrambi lo avevano visto vacillare e cadere privo di sensi dalla sella
e in quel momento avevano affrettato il passo. Correndo verso il punto del campo dove
si trovava Cisco, fermo accanto alla sagoma informe che giaceva vicino alle sue zampe,
il colonnello e il generale Tipton provavano le stesse emozioni, emozioni che erano rare
per degli ufficiali di grado elevato, soprattutto in tempo di guerra.
Ciascuno di loro era sinceramente e profondamente preoccupato per un singolo individuo.
Dei due, era il generale Tipton a essere maggiormente commosso. In vent'anni di
carriera militare aveva assistito a numerosi atti di coraggio, ma niente era paragonabile
a ciò che aveva visto quel pomeriggio.
Quando Dunbar riprese i sensi, il generale era inginocchiato al suo fianco con il fervore
di un padre accanto al figlio caduto in battaglia.
E quando scoprì che quel coraggioso tenente aveva cavalcato per quel campo pur essendo
già ferito, il generale abbassò il capo come per pregare e fece qualcosa che non aveva
fatto sin da quando era un ragazzo. Sulla sua barba grigia colarono delle lacrime.
Il tenente Dunbar non era in condizioni di poter parlare molto, ma si sforzò di pronunciare
una richiesta. La ripeté più volte.
<< Non amputatemi il piede. >>
Il generale Tipton lo udì e prese nota della richiesta come se si trattasse di un comandamento
divino. Il tenente Dunbar venne caricato sull'ambulanza personale del generale, trasportato
al quartier generale del reggimento e, una volta laggiù, venne posto sotto la supervisione
diretta del medico personale del generale.
Vi fu una breve scena al loro arrivo. Il generale Tipton ordinò al suo medico di salvare il
piede del giovane ufficiale, ma dopo un rapido esame il medico rispose che con molta
probabilità avrebbe dovuto amputare.
Il generale Tipton trasse il medico da parte e gli disse:
<< Se non salva il piede di quel ragazzo, la farò destituire per incompetenza. La farò
destituire, dovesse anche essere l'ultima cosa che farò >>.
La guarigione del tenente Dunbar diventò un'ossessione per il generale.
Ogni giorno trovava il tempo per passare a trovare il giovane tenente e, allo stesso tempo,
tenere d'occhio il medico, il quale non smise mai di sudare per tutt'e due le settimane
che ci vollero per salvare il piede del tenente Dunbar.
Durante le sue visite il generale non parlava molto. Esprimeva soltanto una paterna
preoccupazione. Ma quando il piede finalmente fu fuori pericolo, un pomeriggio entrò
nella tenda, trasse una sedia vicino al letto e cominciò a parlare con calma di qualcosa
che aveva preso forma nella sua mente.
Dunbar ascoltò ammutolito per la sorpresa, mentre il generale esponeva la sua idea.
Voleva che per il tenente Dunbar la guerra fosse finita perché le sue gesta sul campo,
gesta alle quali il generale stava ancora pensando, erano abbastanza per un solo uomo
in una sola guerra.
E voleva che il tenente gli chiedesse qualcosa perché, e qui il generale abbassò la voce,
<< Siamo tutti in debito con lei. Io sono in debito con lei >>. Il tenente si concesse un
lieve sorriso. << Be'... ho il mio piede, signore >>, disse.
Il generale Tipton non restituì il sorriso.
<< Che cosa vuole? >> chiese.
Dunbar chiuse gli occhi e pensò.
Alla fine disse: << Ho sempre desiderato essere assegnato alla frontiera dell'Ovest >>.
<< Dove? >>
<< Dovunque... purché all'Ovest >>.
Il generale si alzò dalla sedia. << D'accordo >>, disse, e fece per avviarsi fuori della tenda.
<< Signore? >>
Il generale si fermò e quando guardò verso il letto, lo fece con un affetto che era disarmante.
<< Vorrei tenere il cavallo... Posso farlo? >>
<< Certo che può tenerlo. >>
Il tenente Dunbar aveva pensato al colloquio con il generale per tutto il resto del pomeriggio.
Aveva provato un senso di eccitazione per la nuova, improvvisa aspettativa che gli si apriva.
Ma aveva anche provato un leggero senso di colpa al pensiero dell'affetto che aveva letto
sul viso del generale. Non aveva detto a nessuno che aveva solo cercato di suicidarsi.
Ma ora sembrava che fosse troppo tardi. Quel pomeriggio decise che non lo avrebbe mai
detto.
E ora, in quelle coperte umide di sudore, Dunbar si arrotolò la sua terza sigaretta in mezz'ora,
ripensando ai misteriosi armeggi del destino che lo avevano infine condotto a Fort Sedgewick.
La stanza stava diventando meno cupa, e anche l'umore del giovane tenente. Distolse i
pensieri dal passato e li riportò al presente. Con lo zelo dell'uomo soddisfatto del posto in
cui si trova, cominciò a pensare alla fase della campagna di ripulisti per quel giorno.



(continua)

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_________Aurora Ageno___________