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(segue)

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Come un ragazzino che salterebbe volentieri le verdure per passare subito al dolce,
il tenente Dunbar preferì tralasciare il difficile lavoro di puntellare il deposito dei
rifornimenti a favore della più piacevole possibilità di costruire il riparo.
Frugando fra le provviste trovò un gruppo di tende da campo che avrebbero fornito
la tela, ma per quanto cercasse, non riuscì a scovare nulla che potesse servire per
il lavoro di cucitura e desiderò di non essere stato così precipitoso nel bruciare le
carcasse.
Ispezionò le sponde del fiume per buona parte della mattina, prima di trovare un
piccolo scheletro dal quale trasse parecchie schegge di osso che potevano essere
usate per cucire.
Di ritorno al deposito dei rifornimenti trovò un pezzo di corda sottile. La dipanò fino
a ottenere il filo che pensava facesse allo scopo. Il cuoio sarebbe stato molto più
resistente, ma mentre apportava tutte queste migliorie, al tenente Dunbar piaceva
l'idea di dare al lavoro un carattere di provvisorietà. Mantenere il forte, pensò,
sogghignando fra sé. Mantenere il forte finché non fosse tornato a nuova vita con
l'arrivo di un nuovo contingente.
Sebbene stesse molto attento a non lasciarsi andare alle aspettative, era sicuro che,
prima o poi, qualcuno sarebbe arrivato.
Il lavoro di cucito fu tremendo. Per il resto del tempo del secondo giorno cucì
caparbiamente la tela, facendo buoni progressi. Ma quando mise da parte il lavoro,
a pomeriggio inoltrato, le sue mani erano così gonfie e doloranti che riuscì a fatica
a prepararsi il caffè serale.
Al mattino le sue dita erano di pietra, troppo irrigidite per lavorare di ago. Fu
comunque tentato di provarci, perché gli mancava poco per terminare, ma non lo
fece.
Rivolse invece la sua attenzione al recinto. Dopo averlo esaminato attentamente,
asportò quattro delle pertiche più alte e più robuste. Non erano state infisse
profondamente nel terreno e non gli ci volle molto tempo per tirarle fuori.
Cisco non sarebbe andato da nessuna parte e il tenente per un momento accarezzò
l'idea di lasciare aperto il recinto. Alla fine, però, decise che un recinto che non era
affatto un recinto avrebbe violato lo spirito della campagna di ripulisti, così passò
un'ora a risistemare la palizzata.
Poi stese le tele davanti alla baracca e conficcò le pertiche, pressando come meglio
poteva il terreno duro intorno alla base.
Aveva cominciato a fare caldo, e quando ebbe finito con il lavoro il tenente si trovò
a camminare faticosamente verso l'ombra dell'interno della baracca. Si sedette sul
bordo del letto e si appoggiò alla parete. I suoi occhi si stavano appesantendo. Si
sdraiò sul giaciglio per riposare un momento e subito cadde in un profondo, delizioso
sonno.

Si svegliò eccitato per il piacere quasi sensuale dell'essersi arreso completamente,
in questo caso a un sonnellino. Stiracchiandosi fiaccamente, lasciò cadere una mano
oltre il bordo del letto e come un bambino immerso in fantasticherie, lasciò che le sue
dita giocherellassero sul pavimento di terra.
Si sentiva meravigliosamente bene, sdraiato là senza nulla da fare e gli venne in mente
che, oltre a inventare i suoi compiti, poteva anche decidere da solo quando farli. Per
il momento, comunque, decise che, allo stesso modo in cui si era arreso al sonnellino,
si sarebbe concesso un più largo margine anche per altre cose piacevoli. Poteva
benissimo regalarsi qualche momento di inattività, pensò.
Attraverso la porta, le ombre strisciavano verso l'interno della baracca. Curioso di
sapere quanto avesse dormito, Dunbar infilò una mano nei pantaloni e cavò il vecchio,
semplice orologio da tasca che era stato di suo padre. Quando lo avvicinò al viso,
vide che si era fermato. Per un momento pensò di caricarlo a un'ora approssimativa,
ma poi si appoggiò il vecchio e consumato orologio sullo stomacò e si lasciò andare
a meditare.
Che importanza aveva il tempo per lui, ora? Che cosa importava, dopotutto? Be',
forse era necessario per regolare il movimento delle cose, uomini e materiali, per
esempio. Per cuocere i cibi nel modo giusto. Per le scuole, i matrimoni e le funzioni
religiose e per andare al lavoro.
Ma lì, che cosa importava?
Il tenente Dunbar si preparò una sigaretta e appese il ricordo di famiglia a mezzo metro
al di sopra del letto. Rimase a fissare i numeri sul quadrante dell'orologio mentre fumava,
pensando a come sarebbe stato molto più logico ed efficiente lavorare quando se ne
aveva voglia, mangiare quando si aveva fame e dormire quando si aveva sonno.
Aspirò una lunga boccata e, piegando con soddisfazione le braccia dietro la testa,
soffiò un fiotto di fumo azzurrognolo.
Come sarebbe bello vivere senza tempo per un po', pensò.
Improvvisamente, all'esterno ci fu un rumore di passi pesanti. Avanzavano e si arrestavano,
poi avanzavano nuovamente. Un'ombra in movimento si profilò all'entrata della baracca
e un momento dopo la grossa testa di Cisco comparve attraverso la porta. Sembrava
un bambino che invadesse la santità della camera da letto dei suoi genitori una domenica
mattina.
Il tenente Dunbar scoppiò a ridere rumorosamente. Il cavallo lasciò ricadere le orecchie
e scrollò più volte la lunga testa, quasi volesse far credere che quel piccolo incidente non
era accaduto. I suoi occhi scrutarono la stanza con aria distaccata. Poi guardò apertamente
il tenente, battendo con lo zoccolo per terra come fanno i cavalli quando vogliono scacciare
le mosche.
Dunbar sapeva che voleva qualcosa.
Probabilmente, una cavalcata.
Non si muoveva da due giorni.

Il tenente Dunbar non era un cavaliere provetto. Non era mai stato addestrato alle sottigliezze
dell'equitazione e il suo fisico snello, ingannevolmente robusto, non aveva mai conosciuto
un regolare allenamento.
Ma c'era qualcosa per quanto riguardava i cavalli. Li amava sin da quando era ragazzo:
forse, la ragione era questa. Ma la ragione non aveva importanza. Ciò che importava è
che quando Dunbar montava sul dorso di un cavallo, accadeva qualcosa di straordinario,
soprattutto se si trattava di un cavallo eccezionale come Cisco.
Fra i cavalli e il tenente Dunbar si instaurava un dialogo. Aveva la capacità di decifrare il
linguaggio di un cavallo. E una volta appreso, non aveva limite. Aveva appreso il linguaggio
di Cisco quasi subito, e c'era poco che non potessero fare. Quando cavalcavano, lo
facevano con la grazia di un corpo di ballo.
E più era puro il loro modo di cavalcare, e meglio era. Dunbar aveva sempre preferito
cavalcare a pelo anziché usare la sella, ma nell'esercito, naturalmente, una cosa simile non
era permessa. Gli uomini potevano farsi male e in ogni caso era fuori questione per le
campagne di lunga durata.
Così, quando il tenente entrò nel deposito dei rifornimenti quasi buio, la sua mano si
diresse automaticamente verso la sella appoggiata in un angolo.
Si trattenne. Lì, l'unico esercito era lui, e il tenente Dunbar sapeva che non si sarebbe fatto
male.
Erano a meno di venti metri dal recinto quando vide nuovamente il lupo. Lo stava fissando
dallo stesso punto dove si trovava il giorno prima sul bordo del promontorio oltre il fiume.
Il lupo aveva cominciato a muoversi, ma quando vide Cisco fermarsi si immobilizzò,
indietreggiò nella posizione di prima e si mise di nuovo a fissare il tenente. Si trattava
dello stesso lupo, con due macchie bianche sulle zampe anteriori che le facevano
assomigliare a dei calzini. Era grosso e robusto ma qualcosa di lui dava a Dunbar
l'impressione che non fosse più nel fiore degli anni. Il suo pelo era malmesso e al tenente
sembrò di vedere una linea frastagliata lungo il muso, probabilmente una vecchia cicatrice.
Aveva un atteggiamento vigile e attento che denotava l'età. Saggezza, fu la parola che
venne in mente al tenente Dunbar. La saggezza era il premio per essere sopravvissuto
molti anni, e il vecchio lupo dal pelo fulvo e con gli occhi guardinghi era sopravvissuto
più di quanto gli spettasse.
Buffo che sia ritornato, pensò il tenente:
Diede un leggero colpo di gambe e Cisco si mosse in avanti. In quello stesso momento,
l'occhio di Dunbar colse un movimento. Guardò al di là del fiume. Anche il lupo si stava
muovendo.
In effetti, stava tenendo il loro stesso passo. Continuò così per un centinaio di metri prima
che il tenente fermasse di nuovo il cavallo.
Anche il lupo si fermò.
D'impulso, il tenente fece fare a Cisco un quarto di giro, fronteggiando il bordo del
promontorio. Ora guardava il lupo fisso negli occhi e il tenente fu certo di potervi leggere
qualcosa. Qualcosa come una voglia intensa.
Stava cominciando a pensare di quale voglia potesse trattarsi quando il lupo fece uno
sbadiglio e si allontanò. Dunbar mise Cisco al trotto e se ne andò.


13 aprile 1863
Anche se le provviste non mancano, ho deciso comunque, di razionarle. La guarnigione
o quella di rimpiazzo dovrebbero arrivare da un momento all'altro. Ormai non credo che
debba mancare molto.
In ogni caso, sto sforzandomi di consumare le provviste come farei se facessi parte
dell'avamposto invece che dell'intera faccenda. Sarà dura per quanto riguarda il caffè,
ma farò del mio meglio.
Ho iniziato la tenda di riparo. Se le mie mani, che in questo momento sono in condizioni
pietose, domani mattina saranno migliorate, potrei riuscire a installarla per domani
pomeriggio.
Oggi ho fatto un breve giro di ricognizione. Nulla da riferire.
C'è un vecchio lupo che sembra interessato a ciò che avviene qui. Non sembra rappresentare
un pericolo, però, e a parte il mio cavallo è l'unico visitatore che ho avuto. Ha fatto la sua
comparsa ogni pomeriggio negli ultimi due giorni. Se domani si farà rivedere, lo chiamerò
Due Calzini. Ha le zampe anteriori macchiate di bianco a foggia di calzino.

Ten. John J. Dunbar, USA



(continua)


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_________Aurora Ageno___________