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(segue)

Ma la morte veniva sempre aggirata, seppellita o scansata, e con Timmons non era possibile fare niente di questo. Quando l’aria cambiava direzione, il suo puzzo avvolgeva
il tenente Dunbar come una nuvola infetta e invisibile.
Così, quando la direzione del vento era sfavorevole, il tenente Dunbar scivolava via dal
sedile, andandosi a piazzare in cima alla montagna di provviste che si trovava nel retro del carro.. A volte se ne restava là per ore, altre volte balzava giù dal carro dentro l’erba alta,
slegava Cisco, il suo cavallo, e cavalcava davanti al carro per un miglio o due.
Volse gli occhi a guardarlo mentre arrancava legato per la briglia dietro al carro, il muso
affondato nella sacca del foraggio e il mantello color bruno fulvo che brillava ai raggi del
sole. Dunbar sorrise alla vista del suo cavallo e per un breve attimo desiderò che i cavalli
potessero vivere altrettanto a lungo degli uomini. Con un po’ di fortuna, Cisco avrebbe
campato per altri dieci o dodici anni. Ci sarebbero stati altri cavalli dopo di lui, ma questo
era uno di quegli animali che capitavano una sola volta nella vita. Una volta che se ne
fosse andato, non sarebbe stato possibile sostituirlo.
Mentre il tenente Dunbar lo osservava, il cavallo sollevò improvvisamente i suoi occhi
ambrati dall’orlo della sacca, quasi per controllare dove fosse il tenente e, rassicurato
da ciò che vide, tornò a masticare il suo foraggio.
Dunbar si raddrizzò sul sedile improvvisato, infilò una mano nella giubba e ne trasse un
foglio di carta ripiegato. Quel pezzo di carta dell’esercito lo preoccupava, perché vi erano
riportati i suoi ordini. Aveva fatto scorrere i suoi occhi scuri e senza pupille su quel foglio
una mezza dozzina di volte, da quando aveva lasciato Fort Hays, ma per quanto lo esaminasse, non riusciva a sentirsi meglio.
Avevano sbagliato a scrivere il suo nome due volte. Il maggiore dall’alito che puzzava di
liquore che aveva firmato il foglio, aveva maldestramente passato la manica sopra
l’inchiostro ancora fresco e la firma ufficiale era malamente sbavata. L’ordine non era
stato datato e il tenente Dunbar aveva apposto lui stesso la data quando già erano in
cammino. Ma aveva usato una matita e la data così tracciata contrastava nettamente
con i tratti a penna del maggiore e con i caratteri a stampa dell’intestazione del modulo.
Il tenente Dunbar sospirò: non aveva per niente l’aspetto di un foglio d’ordini dell’esercito.
Sembrava un pezzo di carta da buttare.
Osservandolo, si ricordò di come ne era venuto in possesso, e la cosa lo preoccupò
maggiormente. Quello con il maggiore dall’alito che puzzava di liquore fu uno strano
colloquio.
Nella sua impazienza di venire assegnato, dal deposito ferroviario si era diretto
immediatamente al quartier generale. Il maggiore era la prima e unica persona con la
quale aveva parlato, da quando era arrivato, fino al momento in cui, quello stesso pomeriggio, si era issato su quel carro per sedersi accanto al puzzolente Timmons.
Gli occhi striati di sangue del maggiore lo avevano osservato a lungo. Quando, infine,
aveva parlato, lo aveva fatto senza riguardi e con tono sarcastico.
<< Così, lei è uno che combatte gli indiani, eh? >>
<< Be’, non in questo momento, signore. Ma credo che potrei farlo. So combattere. >>
<< Un combattente, eh? >>
Il tenente Dunbar non aveva risposto. Erano rimasti a guardarsi in silenzio per quello che
era sembrato un lungo momento, prima che il maggiore iniziasse a scrivere. Aveva scritto
furiosamente, incurante dei rivoli di sudore che gli colavano giù dalle tempie. Dunbar
aveva notato che altre gocce di sudore dall’aspetto untuoso gli imperlavano la cima della
testa quasi calva. Intorno al cranio erano appiccicate delle strisce sudice dei pochi capelli
che gli restavano e che al tenente Dunbar davano l’impressione di qualcosa di malsano.
Il maggiore non smise di scribacchiare se non per tossire un grumo di catarro e sputarlo
in un lurido secchio a lato del tavolo. In quel momento, il tenente Dunbar desiderò che
l’incontro avesse termine. Tutto, in quell’uomo, lo faceva apparire come una persona
malata.


(continua)


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_________Aurora Ageno___________