00 19/09/2007 08:36
(segue)

8


Il tenente Dunbar stava al passo con la venerabile tradizione di prevedere il tempo.
Si sbagliò.
Il minaccioso temporale passò su Fort Sedgewick durante la notte senza lasciar cadere
una sola goccia di pioggia e il giorno che spuntò il mattino dopo era di un purissimo
azzurro pastello, con l'aria che assomigliava a qualcosa che si potesse bere e il sole
che scaldava tutto ciò che toccava senza inaridire un solo filo d'erba.
Mentre beveva il caffè, il tenente rilesse i suoi rapporti ufficiali dei giorni addietro e
cocncluse che aveva compiuto un buon lavoro nell'esporre i fatti. Riesaminò per un po'
i commenti soggettivi che vi aveva incluso e più di una volta raccolse la penna per
cancellare una riga, ma alla fine non cambiò nulla.
Stava versando una seconda tazza di caffè quando notò una strana nube in lontananza
verso Ovest. Era marrone, una nuvola color marrone scuro che si profilava bassa e
piatta sulla linea dell'orizzonte.
Era troppo caliginosa per poter essere una nuvola. Sembrava piuttosto del fumo
proveniente da un incendio. I lampi della notte precedente dovevano aver colpito
qualcosa. Forse avevano incendiato la prateria. Prese nota mentalmente di tener
d'occhio la nuvola di fumo e di fare la sua cavalcata pomeridiana in quella direzione,
se fosse durata.

Erano giunti il giorno prima, poco prima del crepuscolo, e a differenza del tenente
Dunbar avevano avuto la pioggia.
Ma l'acqua non aveva minimamente smorzato il loro spirito. L'ultimo tratto del lungo
trasferimento da un accampamento invernale nel lontano sud era terminato. Questo,
e l'arrivo della primavera, rappresentavano il momento più felice. I loro pony diventavano
più grassi e più forti ogni giorno che passava, la marcia aveva rinvigorito tutti dopo
mesi di relativa inattività e i preparativi per le cacce estive sarebbero iniziati subito.
Tutto ciò li rendeva ancora più felici, felici soprattutto nel profondo del ventre di
ciascuno di loro. Stavano arrivando i bisonti. Fra poco, si sarebbe festeggiato.
E dato che questo era un accampamento per l'estate da generazioni, la gioia di
questo ritorno a casa riempiva il cuore di ciascuno di loro, di tutti i centosettantadue
fra uomini, donne e bambini.
L'iverno era stato mite e la tribù lo aveva superato senza difficoltà. Oggi, il primo giorno
del loro ritorno, nell'accampamento regnava l'allegria. I ragazzini giocavano chiassosamente
in mezzo ai pony, i guerrieri si scambiavano racconti e le donne erano affaccendate
a preparare il cibo con maggior gaiezza del solito.
Erano comanci.
La nuvola di fumo che il tenente Dunbar pensava fosse un incendio nella prateria
veniva dai loro fuochi per cuocere il cibo.
Erano accampati sullo stesso fiume, otto miglia a Ovest da Fort Sedgewick.


Dunbar raccolse tutto ciò che riuscì a trovare e che avesse bisogno di essere lavato
e lo stipò in un sacco, poi si gettò sulle spalle le coperte sudicie, scovò un pezzo di
sapone e si diresse verso il fiume.
Mentre tirava fuori il bucato dal sacco, accosciato vicino all'acqua, pensò che anche
quello che aveva indosso aveva bisogno di essere lavato.
Ma non ci sarebbe stato niente da mettersi addosso mentre il tutto si asciugava.
C'era la mantella.
Ma che stupido, disse fra sé, e con una risata aggiunse a voce alta: << Non ci sono
che io, e la sola prateria >>.
Stare nudo era una sensazione piacevole. Per essere maggiormente in spirito con
la cosa, si tolse persino il berretto da ufficiale.
Quando si piegò verso l'acqua con le braccia cariche di indumenti, si vide riflesso
sulla superficie, la prima volta che si vedeva in più di due settimane. Restò a osservarsi.
I capelli erano diventati più lunghi. La sua faccia sembrava più affilata, persino con
la barba che gli era spuntata. Era senza dubbio dimagrito. Ma il tenente pensò che aveva
un buon aspetto. I suoi occhi erano acuti come non li aveva mai visti e, come se stesse
confessando il suo affetto per qualcuno, sorrise fanciullescamente all'immagine
riflessa.
Più osservava la barba e meno gli piaceva. Corse indietro a cercare il suo rasoio.
Il tenente non pensava alla sua pelle mentre si radeva.Era sempre stata la stessa.
Gli uomini bianchi non hanno tutti la medesima carnagione. Alcuni sono bianchi
come la neve.
Il tenente Dunbar era abbastanza bianco da cavare gli occhi.


Uccello Saltellante aveva lasciato l'accampamento prima dell'alba. Sapeva che nessuno
avrebbe fatto domande. Non doveva rispondere dei suoi movimenti, e raramente di
ciò che faceva. A meno che non agisse malamente, il che poteva rivelarsi una
sciagura.
In effetti, se l'era cavata bene. Per due volte aveva operato due piccoli miracoli. I miracoli
gli facevano piacere, ma gli faceva altrettanto piacere occuparsi dell'aspetto più ordinario
del suo mestiere, badare al benessere quotidiano della tribù. Sbrigava una miriade di
incombenze di carattere amministrativo, assisteva alle discussioni su questioni di vasta
portata, praticava la medicina e sedeva con gli anziani negli interminabili consigli
quotidiani della tribù. Oltre a provvedere a due mogli e a quattro figli. E faceva tutto
con un occhio e un orecchio ben drizzati verso il Grande Spirito, sempre in ascolto,
sempre attento a cogliere il minimo suono o il più debole segno.
Uccello Saltellante sbrigava i suoi molti compiti onorevolmente, e tutti lo sapevano.
Lo sapevano perché lo conoscevano.
Qualcuno fra quelli che, come lui, si erano alzati all'alba avrebbero potuto domandarsi
dove andasse quella prima mattina, ma non si sarebbero mai sognati di chiederlo.
Uccello saltellante non era in missione speciale. Aveva cavalcato nella prateria per
schiarirsi le idee. Detestava i grandi spostamenti: dall'inverno all'estate, dall'estate
all'inverno. Il trambusto e il rumore che li accompagnava lo distraevano. Distraevano
l'occhio e l'orecchio che teneva puntati al Grande Spirito e sapeva che quella mattina
il frastuono per organizzare l'accampamento sarebbe stato più di quanto potesse
sopportare.
Così aveva preso il suo pony migliore, un baio castano dall'ampia schiena e si era
allontanato verso il fiume, seguendolo per parecchie miglia fino a un'altura che conosceva
sin da quando era ragazzo.
Là attese che la prateria gli si rivelasse e, quando accadde, Uccello Saltellante ne fu lieto.
Non gli era mai apparsa migliore di come la vedeva adesso. Tutti i segni facevano pensare
che l'estate sarebbe stata propizia e ricca di cibo. Ci sarebbero stati dei nemici, certamente,
ma la tribù ora era forte. Uccello saltellante non riuscì a reprimere un sorriso. Era sicuro
che quella sarebbe stata una stagione prospera.
Dopo un'ora, la sua eccitazione non era diminuita. Voglio cavalcare in questa magnifica terra,
si disse, e spronò il suo pony verso il sole che stava sorgendo.



(continua)


______________________________________________________________________




_________Aurora Ageno___________