00 27/09/2007 10:00
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Aveva provato del terrore l’estate prima, quando venne scoperto che nel territorio
erano arrivati dei soldati bianchi. La tribù non aveva mai incontrato gli uomini con
la faccia coperta di peli, se non per ucciderne alcuni in casi isolati. Aveva sperato
che non li avrebbero mai incontrati.
Quando, l’estate scorsa, erano stati rubati i cavalli degli uomini bianchi, aveva avuto
paura ed era fuggita. Era sicura che i soldati bianchi sarebbero venuti al villaggio.
Ma non vennero.
Tuttavia, era rimasta sulle spine fino a che non era stato concluso che, senza i loro
cavalli, i soldati bianchi erano praticamente impotenti. Era riuscita a tranquillizzarsi
un po’, ma la nube di paura che continuava a seguirla non si allontanò fino a che non
ebbero tolto l’accampamento e non furono in movimento per la migrazione invernale.
Ora era di nuovo estate e durante tutto il cammino dell’accampamento per l’inverno
aveva pregato ardentemente perché gli uomini bianchi se ne fossero andati. Le sue
preghiere non erano state esaudite e ancora una volta i suoi giorni furono pieni di
ansia, ora dopo ora.
Il suo nome era Mano Alzata.
Lei sola, fra tutti i comanci, sapeva che l’uomo bianco non era un dio. La storia
dell’incontro di Uccello Saltellante, però, la sconcertava. Un solo uomo bianco nudo?
Laggiù? Nella terra dei comanci? Non aveva senso. Ma non importava. Senza sapere
esattamente perché, sapeva che non era un dio. Qualcosa le diceva che non era così.
Sentì la storia quella mattina, mentre si stava avviando, come avveniva una volta al mese,
alla tenda appositamente riservata per le donne durante il loro periodo mestruale.
Stava pensando a suo marito. Non le piaceva recarsi alla tenda per le donne, perché
avrebbe sentito la mancanza della sua compagnia. Era un uomo meraviglioso, coraggioso,
bello ed eccezionale. Un marito modello. Non l’aveva mai picchiata e anche se i loro
due bambini erano morti entrambi (uno al momento del parto, l’altro a poche settimane
di distanza), si era caparbiamente rifiutato di prendersi un’altra moglie.
La gente della tribù aveva insistito perché prendesse una seconda moglie. Persino
Mano Alzata lo aveva suggerito. Ma lui aveva semplicemente detto: << Tu mi basti >>,
e lei non ne aveva più parlato. Nel segreto del suo cuore era orgogliosa che lui fosse
felice con lei sola.
E ora, le mancava terribilmente.
Prima che togliessero l’accampamento invernale, lui era sceso sul sentiero di guerra
contro gli ute con un gruppo di guerrieri. Era passato quasi un mese senza che avessero
notizie di lui o degli altri guerrieri. Ma poiché era già separata da lui, andare alla tenda
per le donne quella volta le era sembrato meno difficile del solito.
Quella mattina, mentre si preparava a lasciare la sua tenda, la giovane comanci era
confortata dal fatto che una o due delle sue migliori amiche sarebbero rimaste segregate
con lei, delle donne con cui il tempo sarebbe passato agevolmente.
Ma mentre si dirigeva verso la tenda, sentì la strana storia di Uccello Saltellante. Poi sentì
la storia della stupida incursione fatta dai tre ragazzi.
Il mattino era di colpo esploso in faccia a Mano Alzata. Ancora una volta, il terrore era
calato sulle sue spalle squadrate e diritte come una coperta di ferro, e quando entrò
nella tenda per le donne era sconvolta.
Ma era molto forte. I suoi splendidi occhi marrone chiaro, degli occhi che brillavano
d’intelligenza, non rivelarono nulla, mentre cuciva e chiacchierava con le amiche per il
resto della mattina.
Conoscevano il pericolo. L’intera tribù lo conosceva. Ma non serviva a nessuno parlarne.
Così, nessuno lo fece.
Per tutto il pomeriggio, la sua figura minuta ma robusta si mosse per la tenda, senza
mostrare nulla del pesante fardello che l’opprimeva.
Mano Alzata aveva ventisei anni.
Per quasi dodici anni era stata una comanci.
Prima, era stata una bianca.
Prima, era stata… qual era il nome?
Pensava al nome soltanto in quelle rare occasioni in cui poteva fare a meno di pensare
ai bianchi. Allora, per qualche inspiegabile ragione, il nome le veniva improvvisamente
alla mente.
Oh, sì, pensò in dialetto comanci, lo ricordo. Prima, ero Christine.
Poi, pensava a prima, ed era sempre lo stesso. Era come passare attraverso una cortina
nebbiosa e i due mondi diventavano uno solo, il vecchio che si fondeva con il nuovo.
Mano Alzata era Christine e Christine era Mano Alzata.
Con il passare degli anni la sua carnagione era diventata più scura e tutto, nel suo
aspetto, aveva un’impronta distintamente primitiva e selvaggia. Ma nonostante due
gravidanze portate a termine, la sua figura era quella di una donna bianca. E i suoi
capelli, che si rifiutavano di crescere oltre le spalle e di rimanere lisci, conservavano
ancora un’accesa sfumatura color rosso ciliegia. E, naturalmente, c’erano quei suoi
occhi marrone chiaro.
I timori di Mano Alzata erano ben fondati. Non poteva sperare di riuscire a sfuggirvi.
Agli occhi di un uomo bianco ci sarebbe sempre stato qualcosa di strano, in quella
donna nella tenda isolata dalle altre. Qualcosa che non era completamente indiano.
E anche agli occhi della sua stessa gente, persino dopo tutto quel tempo, c’era
qualcosa di non completamente indiano.
Era un peso terribile, ma Mano Alzata non ne parlava mai, e tanto meno se ne lamentava.
Lo sopportava in silenzio e con grande coraggio ogni giorno della sua vita indiana, e lo
sopportava per un motivo di enorme importanza.
Mano Alzata voleva restare dov’era.
Era molto felice.


(continua)


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_________Aurora Ageno___________