00 07/09/2007 14:20
(segue)

Il tenente Dunbar aveva visto più esattamente di quanto non sapesse, perché quell’uomo
per qualche tempo era rimasto appeso alla sanità mentale per un sottilissimo filo, e quel
filo si era alla fine spezzato dieci minuti prima che il tenente Dunbar entrasse nel suo
ufficio. Il maggiore era rimasto seduto tranquillamente alla sua scrivania, le mani
intrecciate appoggiate davanti a lui, e aveva dimenticato la sua vita intera. Era stata una
vita senza alcun potere, alimentata dalle pietose elemosine che vengono elargite a coloro
che servono ubbidienti ma che non diventeranno importanti. Ma tutti gli anni di vita che
aveva lasciato passare, tutti gli anni di scapolo solitario, tutti gli anni di lotta con la bottiglia
erano svaniti come per magia. La grigia oppressione dell’esistenza del maggiore
Fambrough era stata soppiantata da un avvenimento imminente e piacevole. Poco prima
dell’ora di cena, sarebbe stato incoronato re di Fort Hays.
Il maggiore terminò di scrivere e prese in mano il foglio.
<< Lei è assegnato a Fort Sedgewick; riferirà direttamente al capitano Cargill. >>
Il tenente Dunbar abbassò lo sguardo su quel disordinato modulo.
<< Sissignore. E come posso raggiungerlo, signore? >>
<< Crede forse che io lo sappia? >> disse il maggiore bruscamente.
<< No, signore. Certamente no. Soltanto, non so come arrivarci. >>
Il maggiore si appoggiò allo schienale della sedia, si strofinò le mani sul davanti dei
pantaloni e sorrise compiaciuto.
<< Oggi mi sento di essere generoso e le farò un favore. Un carro carico di provviste del
territorio lascia fra poco il forte. Trovi il bifolco che risponde al nome di Timmons e vada
con lui. >> Indicò il foglio che Dunbar teneva nella mano. << La mia firma vale come
salvacondotto entro le centocinquanta miglia di territorio aperto. >>
Fin dagli inizi della sua carriera il tenente Dunbar aveva imparato a non discutere le
eccentricità degli ufficiali da campo di grado superiore. Con un rapido << Sissignore >>,
aveva fatto il saluto regolamentare e aveva girato sui tacchi. Aveva rintracciato Timmons,
era tornato di corsa al treno a prendere Cisco e di lì a mezz’ora era in viaggio in direzione
di Fort Sedgewick.
E ora, mentre fissava il foglio con gli ordini dopo che avevano percorso un centinaio di
miglia, si trovò a pensare che forse tutto sarebbe andato a posto.
Sentì che il carro rallentava l’andatura. Timmons osservava qualcosa nell’erba lì vicino
a loro, mentre il carro si arrestava del tutto.
<< Guardi laggiù. >>
Una macchia di bianco spiccava nell’erba a non più di venti passi dal carro. Scesero
entrambi per andare a vedere.
Era uno scheletro umano, le ossa di un bianco abbagliante, le orbite vuote del teschio
che fissavano il cielo sopra di loro.
Il tenente Dunbar si inginocchiò accanto alle ossa. Fra le costole della gabbia toracica
erano cresciuti dei lunghi ciuffi d’erba e numerose frecce, almeno una ventina, spuntavano
come degli spilli conficcati in un cuscino. Dunbar ne estrasse una dal terreno e la rotolò
fra le mani.
Mentre faceva scorrere le dita lungo l’asta, sentì la voce petulante di Timmons al disopra
della sua spalla.
<< Qualcuno, su all’Est, si starà chiedendo perché non dà sue notizie. >>



(continua)


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_________Aurora Ageno___________