00 09/09/2007 18:02
(segue:)


In piedi sulla porta della sua cella di terriccio, il capitano Cargill sembrava quasi ubriaco.
Era senza berretto ed era esausto, e stava valutando attentamente per un’ultima volta.
Il recinto non molto solido che fino a poco tempo prima aveva ospitato una cinquantina
di cavalli era vuoto. In due mesi e mezzo i cavalli erano stati rubati, rimpiazzati e
nuovamente rubati. I comanci si erano abbondantemente serviti fino all’ultimo cavallo.
Spostò lo sguardo verso il deposito dei rifornimenti dall’altra parte dello spiazzo di fronte
a lui. A parte quel suo dannato alloggio, era l’unica struttura che fosse rimasta in piedi
a Fort Sedgevick. Era stata una brutta faccenda fin dall’inizio. Nessuno aveva idea di
come costruire con il terriccio, e due settimane dopo essere stato terminato, buona parte
del tetto era sprofondato. Una delle pareti era talmente incurvata al centro che sembrava
impossibile che continuasse a reggere. Di certo sarebbe crollata presto.
Non ha importanza, pensò il capitano Cargill, soffocando uno sbadiglio.
Il deposito dei rifornimenti era vuoto. Era vuoto ormai da buona parte dell’ultimo mese.
Avevano tirato avanti con quello che era rimasto delle gallette e con quello che erano
riusciti a cacciare nella prateria, soprattutto conigli e galline faraone. Aveva desiderato
con tutte le sue forze che tornassero i bisonti. Persino ora, al pensiero di una spessa
bistecca si sentiva rimescolare tutto. Cargill serrò le labbra e scacciò le lacrime che
improvvisamente gli avevano riempito gli occhi.
Non c’era niente da mangiare.
Camminò per una cinquantina di metri sul terreno nudo e aperto fino al limite del
promontorio sul quale Fort Sedgewick era stato costruito e guardò in basso verso il corso
d’acqua che scorreva tranquillamente e senza alcun rumore a una trentina di metri sotto
di lui. Lungo le sue sponde era visibile uno strato di vari materiali di rifiuto, e persino in
assenza del vento l’odore disgustoso dei rifiuti umani impregnò le narici del capitano
Cargill. Rifiuti umani mescolati a qualsiasi altra cosa che stesse marcendo laggiù in
fondo.
Lo sguardo del capitano si spostò lungo il pendio del promontorio proprio mentre due
uomini emergevano da una delle buche scavate per dormirvi e che davano al terreno
l’aspetto della pelle butterata dal vaiolo. I due ammiccarono un attimo all’intensa luce
del sole. Guardarono in su verso il capitano, ma non fecero alcun gesto di riconoscimento.
E nemmeno Cargill lo fece. I due soldati si acquattarono nuovamente nelle loro buche,
come se la vista del loro comandante li avesse costretti a rientrarvi, lasciando il capitano
da solo sulla cima del promontorio.
Cargill pensò alla sparuta delegazione che i suoi uomini avevano inviato ai suoi alloggi
otto giorni prima. La loro richiesta era stata ragionevole. In effetti, era stata necessaria.
Ma il capitano si era rifiutato di prendere una decisione. Sperava ancora che arrivasse
un carro. Sentiva che era suo dovere sperare che arrivasse.
Da quel giorno, nessuno gli aveva più parlato, nemmeno una parola. A eccezione delle
sortite di caccia al pomeriggio, gli uomini se ne erano rimasti nei pressi delle loro buche,
senza comunicare, facendosi vedere raramente.
Il capitano Cargill si avviò per tornare al suo dannato alloggio, ma a metà strada si fermò.
Rimase fermo in mezzo allo spiazzo, fissando le punte consumate degli stivali.
<< Adesso >>, mormorò dopo aver riflettuto per qualche istante, e ritornò con decisione
sui propri passi.


(continua)


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_________Aurora Ageno___________