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IL PAPA E LA PREGHIERA
QUEL FIDUCIOSO ANTIDOTO ALL’IMPOTENZA


di Pierangelo Sequeri - da L'Avvenire


Un Papa non ha in mano le sorti del mondo. Eppure, quando lo senti dire – come ieri mattina
durante l’udienza generale a Castel Gandolfo – «...pregando pongo nelle mani del Signore con
fiducia il ministero che Lui stesso mi ha affidato, insieme alle sorti dell’intera comunità ecclesiale
e civile », percepisci un’intonazione speciale dell’esclusivo ministero di Pietro, che gli è proprio.
Qualcosa che potrebbe toccare l’immaginazione ecclesiale, e anche quella civile, a proposito
delle urgenze del momento presente.
Un Papa che dice di sapere bene che questo è « il primo servizio » che può rendere alla Chiesa
e all’umanità, conferisce un senso forte e concreto al 'primato' della preghiera che – a parole –
nessun credente mette in dubbio. Ma interpreta in modo rigorosamente cristiano anche il '
primato' del singolare ministero che gli compete. La preghiera non è che l’altra faccia della fede,
il fiducioso abbandono che alimenta la speranza nella custodia di Dio. Il Papa, che è il primo dei
servi del Signore, è anche l’ultimo a pensare che il ministero ecclesiale possa essere inteso
come un esercizio di potenza: che dispone il mondo migliore, governa la società perfetta, sottrae
la Chiesa alle prove della storia. L’abitudine dei molti – credenti e anche, più spesso di quanto si
creda, non credenti – di chiedere agli uomini di Dio che li ricordino nelle loro preghiere dovrà
forse essere rivalutata. Essa interpreta il ministero ecclesiale, per la comunità dei credenti e per
l’intera città dell’uomo, più profondamente di quanto forse non apprezziamo.
L’ammissione del fatto che la storia, individuale e collettiva, è continuamen­te esposta a dure
battute d’arresto, che si impongono anche allo slancio più creativo e alla dedizione più
generosa, è lucidità propria della fede autentica. È proprio questa confessione che viene
quotidianamente anticipata nella preghiera: per noi e per i molti che si affidano a noi. È l’esatto
contrario della rassegnazione all’impotenza. Al contrario, è il grembo di un abbandono dal quale
si sprigiona la suprema chiarezza di una testimonianza che è capace di togliere la scena
all’arroganza delle potenze del nulla. Fino all’ultimo atto. Benedetto XVI ieri ha ricordato la
testimonianza di Edith Stein e di Massimilano Kolbe, martiri ad Auschwitz. Ogni volta che il
silenzio e la musica della preghiera – possente e corale, struggente e intima – si leva ad
avvolgere la comunità degli umani, i delusi e gli avviliti della terra drizzano le orecchie. La
preghiera degli uomini e delle donne di Dio custodisce la speranza per tutti gli ostaggi del
nichilismo di questo passaggio d’epoca. Nello squarcio del velo del sacro, che illumina
l’evangelo, gli uomini e le donne che servono Dio in spirito e verità non pregano per i santi, ma
per tutti noi peccatori. Non pregano perché stanno bene e sono riveriti da tutti, lo fanno anche
quando sono feriti a morte e avviliti da molti. Non pregano solo per sé, ma per essere pronti a
offrirsi in sostituzione. E se non ci è ancora morta l’anima, incalzati come siamo ad accettare
come selezione della specie la disperazione dei molti che si erano fidati di noi, lo dobbiamo al
fatto che – nemmeno da morti – gli autentici ministri del vangelo ci hanno escluso dalla loro
preghiera. Non avete nulla da insegnare, signori del tempo e del nulla, alla preghiera.









_________Aurora Ageno___________