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D'Annunzio, Gabriele - Biografia e Poesie

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    D'Annunzio, Gabriele - Biografia e Poesie

    Biografia


    Gabriele D'annunzio 1863-1938


    Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese, che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio D'annunzio. Compie gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato, distinguendosi sia per la sua condotta indisciplinata che per il suo accanimento nello studio unito ad una forte smania di primeggiare.
    Già negli anni di collegio, con la sua prima raccolta poetica Primo vere, pubblicata a spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà di lettere, si trasferisce a Roma, dove, senza portare a termine gli studi universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori ed avventure. In breve tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e giornalistico, e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.

    Dopo il successo di Canto novo e di Terra vergine (1882), nel 1883 ha grande risonanza la fuga ed il matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890.
    Compone i versi dell' Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti: L'Isottèo e La Chimera (1890). Ricco di risvolti autobiografici è il suo primo romanzo Il Piacere (1889), che si colloca al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana.
    Nel 1891 assediato dai creditori si allontana da Roma, e si trasferisce insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali trascorre due anni di «splendida miseria».
    La principessa Maria Gravina Cruyllas abbandona il marito e va a vivere con il poeta, da cui ha una figlia. Alla fine del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche, anche Napoli. Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite ancora del Michetti.

    Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie romane ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi Giovanni Episcopo ('91) e L'Innocente ('92), il suo nuovo romanzo Il trionfo della morte. I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche fuori d'Italia. Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui si affaccia la teoria del superuomo, che dominerà tutta la sua produzione successiva.
    Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta successivamente, ed impietosamente, nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una fitta produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera ('97), Sogno d'un tramonto d'autunno, La città morta ( '98 ), La Gioconda ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903).

    Nel '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandona la Destra e si unisce all'estrema Sinistra (in seguito non verrà più rieletto).
    Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, e poi con il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della Pescara (1902) e i primi tre libri delle Laudi (1903).

    Il 1906 è l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il romanzo Forse che sì forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia. Vive allora tra Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana della belle époque internazionale.
    Compone opere in francese; al «Corriere della Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia lirica La Parisina, musicata da Mascagni, ed anche sceneggiature cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914). Nel 1912 , a celebrazione della guerra di Libia, esce il quarto libro delle Laudi.

    Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia. Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici, e traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate.
    Durante un incidente aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto ad una lunga convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921. Nonostante la perdita dell'occhio destro, diviene eroe nazionale partecipando a celebri imprese, quali la beffa di Buccari e il volo nel cielo di Vienna.
    Alla fine della guerra, conducendo una violenta battaglia per l'annessione dell'Italia all'Istria e alla Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa la città, instaurandovi una singolare repubblica, la «Reggenza italiana del Carnaro», che il governo Giolitti farà cadere nel 1920.

    Negli anni dell'avvento del fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella villa di Cargnacco, trasformato poi nel museo-mausoleo del «Vittoriale degli Italiani». Qui, pressochè in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il I° marzo 1938.


    Il capolavoro del D'Annunzio lirico è costituito dalle Laudi. Motivo unitario delle "Laudi" è la cadenza musicale che esprime in forma di canto continuo l'istintiva felicità originata dalla funzione corporea con la natura.


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    Per una personalità spiccatamente particolare, per la quale quello che molti hanno definito 'eccessivo', era soltanto 'il meglio', è forse utile aggiungere quest'altro scritto, analisi della personalità dannunziana, trovato nel Web, senza firma, ma notevole e che vale la pena leggere.


    L'arte e la personalità

    Come si può notare la sua vita è stata caratterizzata dal desiderio di un vivere inimitabile e di non restare mai nell'ombra. Molteplici sono i generi presenti nell'opera dannunziana: poesia lirica, poesia epica, romanzo, novelle, teatro, scritti di critica, cronaca giornalistica, prosa d'arte. Ciò potrebbe dare un'impressione di dispersività della sua produzione, ma in realtà questa è data dalla sua grande apertura mentale, verso i più svariati campi. Egli sa, infatti, combinare modelli antichi e moderni contraffacendoli secondo le proprie strategie. Nei confronti della letteratura contemporanea, egli fu pronto a far proprie le tendenze più recenti; alla fine dell'ottocento, manipolando una serie di letture francesi, finì col costruire una sorta di monumentale enciclopedia del decadentismo europeo, la cui rappresentazione più significativa resta il romanzo "Il piacere", assieme alle raccolte poetiche "Intermezzo di rime", "l'Isotteo" e la "Chimera". Grande importanza rivestì poi in Italia la divulgazione della filosofia nietzscheana e in particolare del motivo del Superuomo. D'Annunzio apprese il pensiero del Superuomo in maniera indiretta e semplificatoria cioè attraverso la mediazione degli spettacoli di Wagner. Egli si rivela inoltre, prima dei futuristi, il letterato italiano più attento alla modernità ed è con Pirandello il primo scrittore italiano ad intuire le grandi capacità espressive del teatro e del cinema e a lavorare per la nascente industria cinematografica.
    Un'altra grande capacità del D'Annunzio è quella di sapersi reinventare: egli riesce più volte a rinnovare la propria figura presso l'opinione pubblica come anche a rigenerare la propria creatività in forme nuove. Una costante di tutta l'opera dannunziana è la sua obbedienza all'estetismo decadente, nei suoi due aspetti prevalenti. Per lui, l'estetismo è aspirazione ad un'esistenza di eccezione, al vivere inimitabile, a fare della propria vita un'opera d'arte, infatti, egli mirava ad una fusione tra vita e scrittura: la sua vita assume pose estetizzanti, l'arte ricalca di continuo esperienze esistenziali. Estetismo è anche culto delle sensazioni, culto del corporeo e dell'istintivo, in senso irrazionalistico e anticristiano. Il culto della sensazione tende a collocare la vita dell'uomo dentro la vita della natura assimilando l'una e l'alta in una visione metamorfica; inoltre porta a frantumare la realtà in una miriade di oggetti senza più ordine né gerarchia.
    Dall'estetismo dannunziano deriva il programma del poeta inteso come "supremo artefice" ovvero come colui che produce gli oggetti dell'arte sottoponendoli a una lunga elaborazione tecnica. L'arte è per D'Annunzio il prodotto di una mente superiore. Egli stesso si definiva l'"Imagnifico", creatore di immagini, attraverso suoni e parole ricercatissimi. Egli giunge ad un'idea eterna della poesia, come sottratta al tempo: per questo preferisce i termini arcaici e sottolinea i rapporti con le etimologie greche o latine delle parole che usa.
    Se l'idea del poeta-artefice sembra avvicinare D'Annunzio alla tradizione classica, egli però, se ne distacca per l'indifferenza che mostra rispetto ai messaggi e ai contenuti, cui la poesia classicistica mirava: l'unico messaggio, è proprio l'assenza di messaggi, in quanto il fine dell'opera d'arte è d'imporre la propria bellezza, suscitando inebrianti sensazioni nei lettori. La parola è tutto, sostituisce il mondo e sta per esso. D'Annunzio si propone quindi come intellettuale di tipo nuovo e ciò diventa un fenomeno di costume.

    Le opere

    Il primo romanzo dannunziano, "Il piacere" (1889), nasce nel clima della raffinata e mondana esperienza romana e segna la compiuta espressione del decadentismo italiano. L'autore si autoritrae con ingenuo entusiasmo nel giovane Andrea Sperelli, che disprezza ogni forma volgare di vita. Dominato dall'artificio e dalla finzione, Andrea intrattiene un rapporto ambiguo, ora passionale, ora distaccato, con gli oggetti e le persone che lo circondano. L'autore orienta i lettori verso una sbalordita ammirazione per il bello di cui il romanzo confeziona molteplici immagini, dagli ozi edonistici del protagonista agli scorci monumentali di Roma.
    "Il Trionfo della morte" (1894) è narrato in terza persona con il solito stile fastoso e musicale. Dominano i toni cupi e tutto è pervaso da un senso funereo di orrore. Con questa opera D'Annunzio vuol creare la prosa moderna in cui si fondono scrittura d'arte e lirica, e in cui siano prevalenti i valori formali ed autobiografici.
    Il capolavoro del D'Annunzio lirico è costituito dalle Laudi. "L'Alcyone" è il terzo libro delle "Laudi", è giudicato il capolavoro della produzione poetica dannunziana. In una serie di ottantotto componimenti di metro e lunghezza varia, lo scrittore celebre la grande estate, da giugno a settembre 1902, e canta soprattutto la parabola discendente della stagione estiva, il suo prossimo esaurirsi nell'autunno e il progressivo venir meno dell'energia vitale e dell'ottimismo. Il poeta si immerge nella natura versiliese e si dissolve in essa: ne interpreta le voci segrete, interroga le misteriose presenze femminili che essa evoca, modula la propria voce all'unisono con l'infinita varietà dei toni e delle voci della pioggia, del mare, del vento. In Alcyone le cose sfumano per lasciare il posto alla musica dei suoni.
    Tra le altre opere poetiche citiamo: 'Primo vere', 'Canto novo', 'Il poema paradisiaco'. Tra i romanzi ricordiamo: 'L'innocente', 'Le vergini delle rocce', 'Il fuoco', 'Forse che sì forse che no'.







    _________Aurora Ageno___________
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    La pioggia nel pineto



    Taci. Su le soglie
    del bosco non odo
    parole che dici
    umane; ma odo
    parole più nuove
    che parlano gocciole e foglie
    lontane.
    Ascolta. Piove
    dalle nuvole sparse.
    Piove su le tamerici
    salmastre ed arse,
    piove sui pini
    scagliosi ed irti,
    piove su i mirti
    divini,
    su le ginestre fulgenti
    di fiori accolti,
    su i ginepri folti
    di coccole aulenti,
    piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l'anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    t'illuse, che oggi m'illude,
    o Ermione.


    Odi? La pioggia cade
    su la solitaria
    verdura
    con un crepitio che dura
    e varia nell'aria secondo le fronde
    più rade, men rade.
    Ascolta. Risponde
    al pianto il canto
    delle cicale
    che il pianto australe
    non impaura,
    né il ciel cinerino.
    E il pino
    ha un suono, e il mirto
    altro suono, e il ginepro
    altro ancora, stromenti
    diversi
    sotto innumerevoli dita.
    E immensi
    noi siam nello spirito
    silvestre,
    d'arborea vita viventi;
    e il tuo volto ebro
    è molle di pioggia
    come una foglia,
    e le tue chiome
    auliscono come
    le chiare ginestre,
    o creatura terrestre
    che hai nome
    Ermione.

    Ascolta, ascolta. L'accordo
    delle aeree cicale
    a poco a poco
    più sordo
    si fa sotto il pianto
    che cresce;
    ma un canto vi si mesce
    più roco
    che di laggiù sale,
    dall'umida ombra remota.
    Più sordo e più fioco
    s'allenta, si spegne.
    Sola una nota
    ancor trema, si spegne,
    risorge, trema, si spegne.
    Non s'ode su tutta la fronda
    crosciare
    l'argentea pioggia
    che monda,
    il croscio che varia
    secondo la fronda
    più folta, men folta.
    Ascolta.
    La figlia dell'aria
    è muta: ma la figlia
    del limo lontana,
    la rana,
    canta nell'ombra più fonda,
    chi sa dove, chi sa dove!
    E piove su le tue ciglia,
    Ermione.

    Piove su le tue ciglia nere
    sì che par tu pianga
    ma di piacere; non bianca
    ma quasi fatta virente,
    par da scorza tu esca.
    E tutta la vita è in noi fresca
    aulente,
    il cuor nel petto è come pesca
    intatta,
    tra le palpebre gli occhi
    son come polle tra l'erbe,
    i denti negli alveoli
    son come mandorle acerbe.
    E andiam di fratta in fratta,
    or congiunti or disciolti
    ( e il verde vigor rude
    ci allaccia i malleoli
    c'intrica i ginocchi)
    chi sa dove, chi sa dove!
    E piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l'anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    m'illuse, che oggi t'illude,
    o Ermione.






    ( da Le Laudi - Alcyone; 'Le Laudi' costituiscono l'opera poetica più notevole e più famosa di D'Annunzio )


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    La sera fiesolana



    Fresche le mie parole ne la sera
    ti sien come il fruscìo che fan le foglie
    del gelso ne la man di chi le coglie
    silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta
    su l'alta scala che s'annera
    contro il fusto che s'inargenta
    con le sue rame spoglie
    mentre la Luna è prossima a le soglie
    cerule e par che innanzi a sè distenda un velo
    ove il nostro sogno giace
    e par che la campagna già si senta
    da lei sommersa nel notturno gelo
    e da lei beva la sperata pace
    senza vederla.

    Laudata sii pel tuo viso di perla,
    o Sera, e pe' tuoi grandi umidi occhi ove si tace
    l'acqua del cielo!


    Dolci le mie parole ne la sera
    ti sien come la pioggia che bruiva
    tepida e fuggitiva,
    commiato lacrimoso de la primavera,
    su i gelsi e su gli olmi e su le viti
    e su i pinidai novelli rosei diti
    che giocano con l'aura che si perde,
    e su 'l grano che non è biondo ancora
    e non è verde,
    e su 'l fieno che già patì la falce
    e trascolora,
    e su gli olivi, su i fratelli olivi
    che fan di santità pallidi i clivi
    e sorridenti.


    Laudata sii per le tue vesti aulenti,
    o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
    il fien che odora!


    Io ti dirò verso quali reami
    d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
    eterne a l'ombra de gli antichi rami
    parlano nel mistero sacro dei monti;
    e ti dirò per qual segreto
    le colline su i limpidi orizzonti
    s'incurvino come labbra che un divieto
    chiuda, e perchè la volontà di dire
    le faccia belle
    oltre ogni uman desire
    e nel silenzio lor sempre novelle
    consolatrici, sì che pare
    che ogni sera l'anima le possa amare
    d'amor più forte.


    Laudata sii per la tua pura morte,
    o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
    le prime stelle!






    ( da Le Laudi - terzo libro - Alcyone )

    _________Aurora Ageno___________
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    O falce di luna calante



    O falce di luna calante
    che brilli su l'acque deserte,
    o falce d'argento, qual mèsse di sogni
    ondeggia al tuo mito chiarore qua giù!

    Aneliti brevi di foglie,
    sospiri di fiori dal bosco
    esalano al mare: non canto non grido
    non suono pe 'l vasto silenzio va.

    Oppresso d'amor, di piacere,
    il popol de' vivi s'addorme...
    O falce calante, qual mèsse di sogni
    ondeggia al tuo mito chiarore qua giù!







    ( Questa lirica fa parte della giovanile raccolta poetica Canto novo )


    _________Aurora Ageno___________