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L'ISOLA DEL TESORO - di Robert Louis Stevenson - Completo -

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    00 02/01/2009 09:06
    L’ISOLA DEL TESORO di Robert Louis Stevenson


    A S. L. O.

    gentiluomo americano
    in ricambio di molte piacevoli ore
    e coi più cari auguri
    il seguente racconto
    disegnato in armonia
    col suo classico gusto
    l'affezionato amico autore dedica


    ALL'ESITANTE ACQUIRENTE

    Storie marine in marinaresco tono
    E tempeste e avventure e caldi e geli
    E bastimenti ed isole e crudeli
    Piraterie, ed interrato oro,
    Ed ogni vecchia favola ridetta
    Nei precisi antichi modi:
    Se tutto ciò, come a me piacque un tempo,
    Piaccia ai più savi giovani d'oggi:
    Così sia, così accada! - Ma se no,
    Se il giovane saputo non più brama,
    Gli antichi amori suoi dimenticò,
    Kingston, o Ballantine il valoroso,
    O Cooper dalla selva e dal maroso:
    Così pur sia! E rassegnato io possa
    E i miei pirati entrare nella fossa
    Ove dormono quelli e lor fantasmi!



    PARTE PRIMA - IL VECCHIO FILIBUSTIERE

    Capitolo 1

    Il vecchio lupo di mare all'"Ammiraglio Benbow"



    Pregato dal cavalier Trelawney, dal dottor Livesey e dal resto della brigata, di scrivere
    la storia della nostra avventura all'Isola del Tesoro, con tutti i suoi particolari, nessuno
    eccettuato, salvo la posizione dell'isola; e ciò perché una parte del tesoro ancora vi è
    nascosta, - io prendo la penna nell'anno di grazia 17... e mi rifaccio al tempo in cui il
    mio padre gestiva la locanda dell'"Ammiraglio Benbow" e il vecchio uomo di mare dal
    viso abbronzato e sfregiato da un colpo di sciabola prese alloggio presso di noi.
    Lo ricordo come fosse ieri, quando entrò con quel suo passo pesante, seguito dalla
    carriola che portava il baule. Alto, poderoso, bruno, con un codino incatramato che gli
    ricadeva sopra il suo bisunto abito blu: le mani rugose e ricoperte di cicatrici, con le
    unghie rotte e orlate di nero; e, attraverso la guancia, il taglio del colpo di sciabola d'un
    bianco livido e sporco. Roteò in giro un'occhiata fischiettando fra sé, e poi, con la sua
    vecchia stridula e tremula voce ritmata e arrochita dalle manovre dell'àrgano, intonò
    quell'antica canzone di mare che doveva più tardi così spesso percuotere i nostri
    orecchi:

    "Quindici sulla cassa del morto,
    Quindici uomini yò-hò-hò,
    E una bottiglia di rum per conforto!"

    Poi con un pezzo di bastone simile a una manovella batté contro la porta, e come mio
    padre apparve, ordinò bruscamente un bicchiere di rum. Appena gli fu portato, lo bevve
    lentamente assaporandolo all'uso dei conoscitori, e intanto seguitava a guardare
    intorno a sé esaminando le colline e la nostra insegna.
    "Questo è un luogo adatto" disse alfine "e ottimamente situato.
    Molta gente, amico mio?" Mio padre rispose che no; poca assai: una desolazione.
    "Bene. E' l'ancoraggio che fa per me. Ehi, tu" gridò all'uomo della carriola "vieni, e aiuta
    a portar su il mio baule. Resterò qui un pezzetto" continuò. "Sono un uomo alla buona,
    io: rum, prosciutto, uova: altro non mi serve, e quella punta lassù per osservar le navi
    che passano. Il mio nome? Capitano, potete chiamarmi. Ah, capisco, capisco ciò che vi
    preoccupa... Prendete!" E gettò sul banco tre o quattro monete d'oro. "Mi avvertirete
    quando sarà finito" aggiunse, con uno sguardo fiero, da comandante.
    In verità, malgrado i suoi abiti frusti e il suo rozzo parlare, egli non aveva l'aria d'un
    marinaio: si sarebbe piuttosto detto un secondo o un padrone di nave, abituato a
    vedersi ubbidito o a picchiare. L'uomo della carriola ci riferì ch'era sbarcato dalla
    corriera la mattina davanti al "Giorgio Reale", che s'era informato degli alberghi lungo
    la costa, e udito parlar bene del nostro, lo aveva prescelto in grazia del suo isolamento.
    Questo fu tutto quanto potemmo sapere sul conto del nostro ospite.
    Egli era assai taciturno. Passava la sua giornata gironzolando intorno alla cala, o per le
    colline, provvisto d'un cannocchiale marino; e tutta la sera rimaneva in un angolo della
    sala accanto al fuoco, a bere dei grog molto forti. A chi gli rivolgeva la parola evitava
    per lo più di rispondere: dava un rapido e iroso sguardo, e soffiava per le narici come
    una tromba d'allarme; sicché tanto noi che gli avventori imparammo presto a lasciarlo
    stare. Ogni giorno, quando rientrava dalla sua passeggiata, non tralasciava di chiedere
    se qualche marinaio si fosse visto lungo la strada. Noi credevamo dapprima fosse la
    mancanza d'una compagnia di gente della sua specie che lo spingesse a tali domande;
    finimmo però col capire che, al contrario, ciò che gli premeva era evitare incontri.
    Quando un marinaio scendeva all'"Ammiraglio Benbow" (come talvolta accadeva a chi
    si recava a Bristol per la strada costiera) egli puntava il nuovo arrivato attraverso la
    cortina dell'uscio prima di decidersi a passar nella sala, e finché quello non alzava i
    tacchi, stava muto come un pesce. Questo contegno non aveva peraltro nulla di
    misterioso ai miei occhi, giacché io in certo modo dividevo le preoccupazioni del
    capitano. Un giorno tirandomi in disparte m'aveva promesso un pezzo d'argento di
    quattro pence per ogni primo del mese, a patto che io facessi buona guardia e
    l'avvisassi non appena comparisse un "marinaio con una gamba sola". Spesso
    accadeva che giungeva il primo del mese, ed io dovevo richiedergli il mio salario: egli
    allora mi rispondeva con quel suo pauroso soffiare attraverso le narici, e con una
    guardataccia che mi atterriva: ma la settimana non passava mai senza ch'egli si
    ravvedesse e mi consegnasse i miei quattro pence ripetendomi l'ordine di stare attento
    al marinaio con una gamba sola.
    Non saprei dire come questo personaggio fosse diventato l'incubo dei miei sogni. Nelle
    notti di tempesta, quando il vento scoteva i quattro angoli della casa e i cavalloni
    infuriati mugghiavano lungo la cala e contro le rupi, io me lo vedevo apparir dinanzi in
    mille forme e con mille diaboliche espressioni. Ora aveva la gamba tagliata fino al
    ginocchio, ora fino all'anca; ora non era più uomo, ma una sorta di mostro nato proprio
    così, con una gamba sola, e questa nel bel mezzo del corpo. Vederlo saltare, correre e
    inseguirmi scavalcando siepi e fossati, era il più tremendo degli incubi. E così, con tali
    bieche visioni, io pagavo abbastanza caro il premio dei miei quattro pence mensili.
    Ma, curioso a dirsi, malgrado il terrore che il marinaio dalla gamba sola m'incuteva, io
    ero poi di fronte al capitano in persona il meno pauroso fra tutti quanti l'avvicinavano.
    Certe sere egli beveva assai più grog che non potesse sopportare; allora si tratteneva
    lì a cantare le sue vecchie, sinistre, selvagge canzoni di mare non curandosi d'alcuno;
    altre volte offriva da bere in giro e costringeva la intimidita brigata ad ascoltar le sue
    storie o accompagnare in coro i suoi ritornelli.
    Quante volte ho udito la casa rintronare di "Yò-hò hò e una bottiglia di rum", mentre i
    vicini, col timore della morte sul capo, l'accompagnavano con tutta l'anima, cercando
    ognuno di superare l'altro, a scanso di appunti! Perché in questi accessi egli era l'uomo
    più insolente e prepotente del mondo: ora imponeva silenzio battendo con la palma
    sulla tavola, ora pigliava fuoco per una domanda che gli era rivolta, o perché nessuno
    osservava nulla, il che per lui era segno che la compagnia non s'interessava al
    racconto. E non tollerava che si lasciasse la sala prima che egli ubriaco fradicio non
    avesse, barcollando, raggiunto il suo letto.
    Ciò che soprattutto sbigottiva l'uditorio erano le sue storie.
    Spaventevoli storie d'impiccagioni, d'annegamenti, di burrasche di mare, delle Isole
    delle Tartarughe, e di gesta e luoghi selvaggi in terre spagnole. A sentir lui, era vissuto
    fra la più dannata razza che Iddio seminasse per i mari; e il suo linguaggio brutale
    urtava i nostri semplici paesani quasi al pari dei delitti ch'egli descriveva. Mio padre
    sempre andava lamentando che quell'uomo sarebbe stato la rovina dell'albergo, poiché
    ben presto la gente si sarebbe stancata di venir lì per essere tiranneggiata, avvilita e
    spedita a battere i denti nei propri letti; ma io credo invece che la sua presenza ci fosse
    profittevole. E' vero che sul momento gli avventori ci rimanevano male; ma poi
    provavano non so che gusto a tornarci su col pensiero, e quasi amavano ciò che dava
    una scossa alla monotona e sonnacchiosa vita del paese. C'era persino tra i più
    giovani chi per lui ostentava ammirazione, qualificandolo "un vero lupo di mare", un
    "autentico tizzo d'inferno", e dicendo ch'erano gli uomini di siffatta tempra che
    rendevano l'Inghilterra formidabile sul mare.
    Veramente, in certo modo, egli lavorava alla nostra rovina, giacché settimane e
    settimane e poi mesi e mesi si susseguivano senza ch'egli desse segno di voler
    sloggiare, e intanto da lunga data il suo denaro era finito e a mio padre non aveva
    l'animo di insistere per averne dell'altra. Se appena egli vi alludeva, il capitano soffiava
    attraverso il naso talmente forte che pareva ruggisse, e con una fulminante occhiata
    cacciava via dalla sala il mio povero padre. Io lo vedevo, mio padre, disperato torcersi
    le mani dopo tali rabbuffi, e credo che l'affanno e il terrore nei quali viveva affrettassero
    grandemente la sua immatura e disgraziata fine.
    Tutto il tempo che rimase con noi il capitano non mutò mai nulla del suo vestiario,
    eccetto qualche calza comprata da un merciaio ambulante. Essendosi rotto uno degli
    angoli del suo cappello a tricorno, egli lo lasciava spenzolar giù sebbene gli desse
    abbastanza noia quando tirava vento. Rivedo l'aspetto dell'abito ch'egli stesso
    rappezzava nella sua stanza di sopra e che, già prima della fine, era un mosaico di
    toppe. Mai scrisse né ricevette una lettera; mai parlava con alcuno fuorché coi vicini; e
    con questi, per lo più, solo quand'era ubriaco di rum. Nessuno di noi mai aveva visto
    aperto il grosso baule marino.
    Una volta soltanto il nostro uomo trovò chi gli tenne testa, e fu verso la fine, quando il
    mio povero padre era già molto minato dal male che doveva condurlo alla tomba. Il
    dottor Livesey giunse a sera a veder l'infermo; si fece servire un boccone da mia
    madre, poi se ne andò a fumare una pipata nella sala, in attesa che il suo ca vallo gli
    fosse ricondotto dal villaggio, giacché al vecchio "Benbow" non avevamo stallaggio. Io
    ve lo seguii, e rammento ancora lo stridente contrasto che faceva il lindo e rilisciato
    dottore con la sua parrucca candida come neve, i suoi neri e scintillanti occhi e le sue
    compite maniere, con la rustica plebaglia e soprattutto con quel sudicio torvo e
    ripugnante spauracchio di pirata, acciaccato laggiù in quell'angolo dal rum, con le
    braccia sulla tavola. D'improvviso costui - dico il capitano - intonò la sua eterna
    canzone:

    "Quindici sulla cassa del morto,
    Yò-hò-hò, e una bottiglia di rum!
    Satana agli altri non ha fatto torto,
    Con la bevanda li ha spediti in porto.
    Yò-hò-hò, e una bottiglia di rum!"

    Io avevo da prima creduto che la "cassa del morto" fosse la stessa grossa cassa
    ch'egli teneva di sopra nella stanza davanti; e questa idea s'era fusa nei miei incubi
    con l'immagine del marinaio dalla gamba sola. Ma da lungo tempo ormai noi avevamo
    cessato di far attenzione al ritornello; solo agli orecchi del dottor Livesey quella sera
    giungeva nuovo; ed io m'accorsi dell'impressione tutt'altro che gradevole ch'egli ne
    riceveva, giacché alzò gli occhi e guardò per un momento con aria irritata prima di
    decidersi a continuare col vecchio giardiniere Taylor il suo discorso intorno a una
    nuova cura delle affezioni reumatiche. Frattanto il capitano s'andava accendendo della
    sua musica e alzando il tono; e alla fine schiaffò sulla tavola con la palma quel tal colpo
    che noi tutti sapevamo significava: Silenzio! Nessuna voce fu più udita, ad eccezione di
    quella del dottor Livesey, che continuò a parlare come prima, chiaro e cortese, tirando
    tra una frase e l'altra una vistosa boccata di fumo. Il capitano lo fissò bieco un istante,
    batté un nuovo colpo con la palma, gli lanciò un'altra occhiataccia, e, accompagnando
    la frase con una triviale bestemmia, gridò:
    "Silenzio, laggiù a prua!" "E' a me che il signore intende parlare?" disse il dottore; e non
    appena il ribaldo gli ebbe, con un'altra bestemmia, risposto affermativamente, "io non
    ho che una cosa da dirvi" replicò il dottore "ed è che se voi continuate a tracannare
    rum, il mondo sarà presto liberato da uno schifoso miserabile." Spaventevole fu lo
    scoppio d'ira del vecchio gaglioffo. Scattò in piedi, trasse e aprì un coltello a
    serramanico, e bilanciandolo sulla palma della mano, stava per inchiodare al muro
    l'avversario.
    Il dottore non si mosse. Parlandogli di sopra la spalla, con lo stesso tono di voce,
    piuttosto rinforzato, per modo che l'intiera sala potesse udire, ma perfettamente
    tranquillo e fermo, disse:
    "Se non rimettete immediatamente in tasca quel coltello, vi giuro sul mio onore che alle
    prossime assise sa rete impiccato." Seguì tra i due una battaglia di sguardi: ma presto
    il capitano si arrese: ripose l'arma e riprese il suo posto tremando come un cane
    bastonato.
    "E ora, signore" continuò il dottore "dal momento che io so che razza d'arnese c'è nel
    mio distretto, potete star sicuro che sarete sorvegliato giorno e notte. Io non sono
    soltanto dottore:
    sono anche magistrato, e se appena mi giunge una lagnanza sul conto vostro, fosse
    magari per una smargiassata come quella di stasera, provvederò a farvi spazzar via di
    qui. Siete avvisato." Poco dopo il cavallo del dottor Livesey giunse alla porta, ed egli
    partì; ma per quella sera e molt'altre successive il capitano rimase tranquillo.


    (continua)

    _________Aurora Ageno___________
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    00 12/01/2009 13:43

    Capitolo 2

    Can-nero appare e scompare



    Poco tempo dopo ciò, capitò il primo di quei misteriosi eventi che dovevano finalmente
    sbarazzarci del capitano se pure non, come vedremo, delle conseguenze della sua
    presenza. Cominciava allora un rigidissimo inverno, con lunghe aspre gelate e violente
    bufere; e fin dal principio apparve chiaro che il mio povero padre difficilmente avrebbe
    visto la primavera. Di giorno in giorno declinava, e mia madre ed io, con sulle braccia il
    peso dell'albergo, eravamo troppo occupati per prestare attenzione al nostro fastidioso
    ospite.

    Era un mattino di gennaio, assai per tempo, con un freddo che passava le ossa, e tutta
    la baia biancheggiava di brina; le onde baciavano dolcemente i ciottoli della riva, e il
    sole ancora basso dorava appena la cresta delle colline e riluceva lontano sul mare.
    Il capitano alzatosi più presto del solito era sceso alla spiaggia col suo coltellaccio
    dondolante sotto le larghe falde del suo abito blu, il cannocchiale sotto l'ascella, e il
    tricorno buttato indietro sulla nuca. Vedo ancora il suo alito ondeggiare in aria dietro a
    lui come fumo mentre egli si allontanava rapidamente.
    L'ultimo suono che giunse ai miei orecchi mentre egli girava dietro la grande rupe, fu
    un potente sbuffo d'ira, come se egli ancora fosse travagliato dal pensiero del dottor
    Livesey.

    Mia madre era in quel momento disopra col babbo; ed io stavo apparecchiando la
    tavola per la colazione del capitano, quando l'uscio della sala si aprì, ed uno
    sconosciuto si fece avanti. Era pallido come cera; due dita gli mancavano alla mano
    sinistra; e, per quanto portasse un coltellaccio, non pareva troppo aggressivo.
    Ma io dovevo pur tener d'occhio la gente di mare, sia con una sola gamba che con
    due, e quella apparizione mi sconcertò. Egli non aveva l'aria di marinaio; pure, non so
    quale aroma marino lo circondava.
    Alla mia domanda cosa volesse, rispose ordinando del rum; ma, mentre andavo a
    prenderlo, sedette a un tavolo e mi richiamò. Io mi fermai col tovagliolo in mano.

    "Vieni qui, ragazzo" disse lui. "Qui, più vicino." Io mi avvicinai di un passo.
    "E' questa qui la tavola del mio amico Bill?" chiese con una strizzatina d'occhi.
    Risposi che io il suo compagno Bill non lo conoscevo, e quella tavola era per una
    persona che dimorava presso di noi, e che noi chiamavamo il capitano.
    "Perfettamente" fece lui. "Il mio compagno Bill può anche farsi chiamar capitano se
    così gli aggrada. Ha un taglio su una guancia, e maniere molto gentili, specie quando
    ha trincato, il mio compagno Bill. Mettiamo, per modo di dire, che il tuo capitano abbia
    una cicatrice su una guancia; mettiamo, per modo di dire, che questa guancia sia la
    destra. Eh? Che ti dicevo io? E adesso, sentiamo ancora: il mio amico Bill è in casa?"
    Risposi che era uscito per una passeggiata.
    "Da che parte, ragazzo mio? Da che parte ha preso?" Gli indicai la rupe aggiungendo
    che il capitano sarebbe stato presto di ritorno; e dopo che ebbi risposto a varie altre
    domande:
    "Ah" disse lui "questo gli farà prò come un buon bicchiere, al mio camerata Billl"
    L'espressione del suo viso, pronunciando tali parole, era tutt'altro che amabile, ed io
    avevo le mie buone ragioni per pensare che lo straniero si sbagliava, dato che
    intendeva parlar sul serio. Ma ciò non mi riguardava: e d'altra parte, che avrei fatto?

    Egli rimase lì, attaccato all'uscio, sorvegliando l'angolo della rupe come il gatto che
    aspetta il sorcio. Ad un certo punto io scappai sulla strada, ma subito mi richiamò, e
    siccome io tardavo un po' a ubbidire, il suo pallido volto prese un'espressione feroce, e
    con una bestemmia che mi fece sobbalzare, mi comandò di rientrare. Appena fui lì,
    tornò alle maniere di prima, tra lusinghiere e beffarde, mi batté sulla spalla, mi disse
    ch'ero un bravo ragazzo e che s'era innamorato di me.
    "Ho io stesso un figliolo che ti assomiglia come due gocce d'acqua, ed è tutto il mio
    orgoglio. Ma l'importante per i ragazzi è la disciplina, piccolo mio, la disciplina. Se tu,
    per esempio, avessi navigato con Bill, non ti saresti fatto chiamar due volte, no di certo.
    Non era questo il metodo di Bill né di chi navigava con lui. Ma ecco il mio compagno
    Bill, sicuramente, col suo cannocchiale sotto il braccio, Dio lo benedica, è lui senza
    dubbio. Rientriamo, piccolo mio, e mettiamoci dietro la porta: gli faremo una piccola
    sorpresa a Bill, Dio lo benedica ancora una volta." Così dicendo lo sconosciuto mi
    sospinse nella sala e mi ficcò nell'angolo dietro a sé in modo che rimanessimo nascosti
    dalla porta aperta. Io ero inquieto e assai intimorito, come si può immaginare, e la mia
    paura era accresciuta dal vedere che lo stesso sconosciuto tremava a sua volta. Egli
    liberò l'impugnatura del coltellaccio, provò a rimuovere la lama nel fodero, e durante
    tutta l'attesa seguitò a trangugiar saliva quasi avesse, come si suol dire, un rospo in
    gola.

    Finalmente il capitano entrò sbattendo la porta dietro le spalle, e senza guardare né a
    destra né a sinistra attraversò difilato la sala dirigendosi alla tavola apparecchiata per
    la sua colazione.
    "Bill" fece lo sconosciuto con una voce che mi parve si sforzasse d'essere ferma e
    animosa.

    Il capitano girò sui calcagni e guardò verso noi: il sangue sparì dalla sua faccia che
    diventò livida fino alla punta del naso: egli aveva l'aria d'uno che s'imbatta in uno
    spettro, o nel diavolo, o in qualcosa di peggio, se un qualcosa di peggio vi fosse; e io
    confesso che provai un senso di pietà a vederlo d'improvviso così invecchiato e
    disfatto.

    "Vieni qua, Bill, vieni qua. Tu mi riconosci, non è vero? Il tuo vecchio camerata di bordo
    lo riconosci bene!" Il capitano respirò convulso.
    "Can-Nero!" disse.
    "E chi altri vorresti che fossi?" replicò lo straniero sensibilmente rassicurato. "Can-Nero
    meglio che mai, venuto a salutare il suo vecchio camerata Bill all'albergo
    dell''Ammiraglio Benbow'. Ah, Bill, visto, qualcosa abbiamo visto, noi due, dopo che io
    ci lasciai questi due artigli" soggiunse alzando la mano mutilata.
    "Bene, vediamo" disse il capitano. "Tu mi hai ripescato; eccomi, e dunque parla. Che
    c'è?" "Sei ben tu" replicò Can-Nero. "Non c'è sbaglio, Bill. Io voglio farmi servire un
    bicchiere di rum da questo caro ragazzo che ho preso in simpatia, e noi ci metteremo a
    sedere, se così ti piace, e parleremo schietto, come conviene a vecchi amici di bordo."

    Quando io rientrai col rum, essi stavano già seduti; l'uno da un lato, l'altro dall'altro
    della tavola del capitano: Can-Nero vicino alla porta, di sbieco, in maniera da poter
    tener d'occhio il suo vecchio compagno e, così mi sembrò, sorvegliare insieme la
    propria linea di ritirata.
    Costui mi ordinò di andarmene e di lasciare la porta spalancata.
    "I buchi delle serrature non sono di mio gusto, ragazzo mio!" aggiunse.
    Io li lasciai soli, e mi ritirai nel bar.
    Di lì, pur facendo del mio meglio per ascoltare, io per un pezzo non sentii se non un
    sommesso parlottare, ma alla fine le voci si alzarono e potei cogliere una o due parole,
    per lo più bestemmie, del capitano.

    "No, no, no, no; e basta!" gridò una prima volta.
    E poi:
    "Se finisce con la forca, sarà la forca per tutti, dico io!" D'un tratto una formidabile
    esplosione di bestemmie mescolata con altri rumori: tavola e sedie che si
    rovesciavano, un tintinnìo di lame, e infine un urlo di dolore, dopo di che vidi Can-Nero
    fuggire a precipizio e il capitano corrergli alle calcagna, tutt'e due col coltellaccio alla
    mano, ed il primo che versava sangue dalla spalla sinistra. Arrivato alla porta, il
    capitano vibrò al fuggitivo un ultimo tremendo fendente che gli avrebbe certamente
    spaccato la schiena in due se l'arma non si fosse intoppata nello spessore dell'insegna
    dell'"Ammiraglio Benbow", incidendo nell'orlo inferiore dell'asse una tacca che tuttora è
    visibile.

    Quel colpo fu l'ultimo dello scontro. Non appena nella strada, Can-Nero, malgrado la
    ferita, mise le ali ai piedi, e in mezzo minuto si dileguò dietro il corno della collina. Il
    capitano dal canto suo restò lì accanto all'insegna impalato e come inebetito.
    Si passò più volte la mano sugli occhi, e alfine si decise a rientrare.
    "Jim, del rum!" E mentre così diceva, vacillava un poco, e con una mano si appoggiava
    al muro.
    "Siete ferito?" gridai.
    "Del rum!" ripeté. "Devo andar via. Del rum! Del rum!" Io corsi a prenderne; ma ero
    talmente sconvolto che ruppi un bicchiere e guastai il rubinetto, e mentre ero così
    intrigato sentii come un tonfo sordo nella sala; volai e trovai il capitano disteso lungo
    per terra. Nello stesso tempo mia madre, allarmata dalle grida e dallo strepito della
    zuffa, s'era precipitata giù per aiutarmi. Fra tutti e due gli sollevammo il capo. Egli
    respirava forte, affannosamente; i suoi occhi erano chiusi, il viso terreo.

    "Mio Dio, mio Dio!" gridò mia madre. "Che sventura per la nostra casa! E il tuo povero
    padre infermo!" Frattanto non sapevamo che fare, per soccorrere il capitano, convinti
    com'eravamo, che nello scontro con lo sconosciuto avesse ricevuto un colpo mortale.
    Presi il rum, nondimeno, e cercai di fargliene entrare un po' in gola, ma i suoi denti
    erano serrati e le mascelle dure come ferro. Un sollievo fu per noi quando la porta si
    aprì e il dottor Livesey entrò per la solita visita a mio padre.
    "Oh, dottore" gridammo "che c'è da fare? Dov'è ferito?" "Ferito? Storie!" disse il dottore.
    "Non più ferito di me o di voi. Ha avuto un colpo, come gli avevo predetto. Via, signora
    Hawkins, risalite da vostro marito, e, se possibile, non raccontategli nulla. Quanto a
    me, devo far del mio meglio per salvar la vita tre volte indegna di questo miserabile; e
    Jim qui mi porterà un catino." Quando io tornai col catino, il dottore aveva già
    rimboccato la manica del capitano e messo a nudo il suo grosso e muscoloso braccio.
    Esso era cosparso di tatuaggi. "Ecco la fortuna", "Buon vento", "Billy Bones se ne
    infischia" si leggeva molto chiaramente su l'avambraccio; e sopra, vicino alla spalla, si
    vedeva una forca, con un uomo appeso: scena resa, a parer mio, con grande bravura.

    "Profetico!" esclamò il dottore toccando con la punta del dito il tatuaggio. "E ora, mastro
    Billy Bones, se questo è il vostro nome, vediamo un po' il colore del vostro sangue.
    Jim, hai paura del sangue?" "No, signore." "Bene. Allora tieni il catino." E ciò dicendo
    tirò fuori la lancetta e aprì una vena.
    Non poco sangue si dovette cavare allo sciagurato prima ch'egli aprisse gli occhi e
    volgesse intorno il suo sguardo annebbiato.
    Prima riconobbe il dottore, con un brusco aggrottar di ciglia; poi posò gli occhi su me, e
    apparve confortato. Ma d'improvviso cambiò colore, e tentò di alzarsi gridando:
    "Dov'è Can-Nero?" "Non c'è nessun Can-Nero, qui" disse il dottore "all'infuori di quello
    che vi frulla per il capo. Avete bevuto del rum, voi, e vi ha preso un colpo,
    precisamente come vi avevo predetto, ed io vi ho tratto or ora mio malgrado dalla fossa
    dove stavate già con un piede. E adesso, signor Bones..." "Non è questo il mio nome"
    interruppe lui.

    "Non importa" ribatté il dottore. "E' il nome d'un filibustiere di mia conoscenza, ed io vi
    chiamo così per far presto, ed ecco cosa desidero dirvi: un bicchiere di rum non vi
    ammazzerà: ma se voi ne berrete uno, ne berrete certo un altro e poi un altro; ed io
    scommetto la mia parrucca che se non vi decidete a troncar di netto, morirete, capite?
    mo-ri-re-te, e ve ne andrete diritto al Creatore come l'uomo della Bibbia. Su, fate uno
    sforzo. Vi aiuterò a mettervi a letto, per questa volta." Con non poca fatica riuscimmo a
    trasportarlo al piano di sopra e lo adagiammo sul suo letto.
    Il suo capo ripiombò sul guanciale come se egli dovesse svenire.
    "Dunque" aggiunse il dottore "ricordatevi bene: ve 1o dico per scarico di coscienza:
    rum per voi significa morte." Detto ciò, prendendomi per un braccio, uscì per vedere
    mio padre.

    "Non è nulla" mi disse appena fuori dell'uscio. "Gli ho cavato sangue abbastanza
    perché possa stare un poco tranquillo. Il meglio per lui e per voi sarebbe che
    rimanesse una settimana dov'è. Ma se lo coglie un altro colpo, è finita."




    (continua)

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    00 14/01/2009 14:53

    Capitolo 3

    La macchia nera



    Verso mezzogiorno entrai dal capitano con qualche bibita rinfrescante, e medicine. Egli
    si trovava ancora nel medesimo stato, forse un tantino sollevato, e appariva insieme
    debole ed eccitato.

    "Jim" disse "tu sei l'unico, qui, che valga qualcosa; e tu sai come io sono sempre stato
    buono con te. Non c'è stato mese che non t'abbia pagato i tuoi quattro pence. E ora tu
    vedi, amico mio, come sono malandato e abbandonato da tutti. Jim, tu mi devi dare un
    bicchierino di rum; è vero che me lo dai, mio piccolo amico?
    "Il dottore..." presi a dire.

    Ma egli mi tagliò la parola con una voce fiacca ma appassionata.
    "I dottori sono una massa di scope: e quel dottore, che vuoi che sappia, lui, di gente di
    mare? Io sono stato in paesi dove s'arrostiva, e i miei compagni la febbre gialla te li
    faceva cascar come mosche, e i terremoti facevano ondeggiare la terra come un mare:
    ebbene, che può sapere il dottore di paesi simili? e io vivevo di rum, capisci? Bevanda,
    cibo: per me il rum era tutto:
    come marito e moglie, eravamo; e se tu ora non mi dai il mio rum, io non sarò più che
    una povera vecchia carcassa rigettata sugli scogli, e il mio sangue ricadrà su te, Jim, e
    su quella maledetta scopa di dottore." Qui intramezzò una buona dose di bestemmie; e
    in tono lamentevole continuò:

    "Guarda, Jim, come tremano le mie dita. Non riesco a tenerle ferme. Non ho bevuto
    una goccia in questa maledetta giornata. Quel dottore è un cretino, ti dico. Se non bevo
    un po' di rum, Jim, vedrò gli spettri: qualcuno già l'ho visto. Ho visto il vecchio Flint là
    nell'angolo, dietro a te; come fosse dipinto, l'ho visto; e se gli spettri mi prendono, come
    la mia vita è stata burrascosa, morirò di spavento. Lo stesso tuo dottore ha detto che
    un bicchiere non mi fa male. Ti do una ghinea d'oro, Jim, se mi porti un bicchierino."

    Egli s'andava sempre più riscaldando; e ciò m'inquietava per il mio padre, che quel
    giorno era molto abbattuto e aveva bisogno di quiete: a parte ciò, se le parole del
    dottore, che egli mi ricordava, mi rassicuravano, il suo tentativo di corruzione non
    mancava d'indispormi.

    «Non voglio del vostro denaro" dissi io "se non quanto dovete a mio padre. Vi darò un
    bicchiere, ma niente di più." Appena l'ebbe a portata di mano, l'afferrò avidamente, e lo
    vuotò d'un fiato.

    "Ah, ah, ora va un po' meglio, proprio meglio. Ma sentiamo, piccolo mio, quanto tempo
    ha detto il dottore che dovrei rimanere in questa vecchia cuccetta?" "Non meno d'una
    settimana." "Per mille fulmini!" gridò. "Una settimana! E' impossibile. Tra una settimana
    essi mi avranno già scagliato la macchia nera. I tangheri stanno cercando di passarmi
    al vento, in questo dannato momento; ruffiani incapaci di custodire quello che avevano
    acciuffato, vorrebbero sgraffignare quello d'altri. Domando io se è un trattare da gente
    di mare? Ma io ho l'anima del risparmiatore, io. Mai sciupato né perso il mio buon
    denaro, io; e li metterò di nuovo nel sacco. Non mi fanno mica paura. Mollerò un'altra
    mano di terzeruoli, e li lascerò in coda un'altra volta." Mentre così parlava s'era levato
    dal letto con grande fatica, e appoggiandosi alla mia spalla e stringendomi fino quasi a
    farmi gridare, moveva le gambe come fossero un peso morto. La violenza del suo
    linguaggio faceva un triste contrasto con la fievolezza della sua voce. Provo a sedersi
    sulla sponda del letto, e restò immobile.

    "Quel dottore mi ha finito" mormorò. "Mi ronzano le orecchie.
    Rimettimi giù." Ma prima che io potessi aiutarlo, era già ricaduto al suo posto di prima
    dove rimase un momento in silenzio.
    "Jim" disse alfine "hai visto quel marinaio?" "Can-Nero?" "Sì, Can-Nero. Lui è un
    cattivo soggetto, ma quelli che l'hanno mandato sono peggio ancora. Ebbene, se io
    non riesco ad andarmene via, ed essi mi lanciano la macchia nera, bada, ciò che a loro
    preme è il mio vecchio baule; allora tu monti a cavallo - sai montare a cavallo, no? -
    ebbene, tu monti a cavallo e vai - sì, perdio - vai da quella vecchia ciabatta di dottore, e
    gli dici di radunar tutti quanti - giudici e il resto- e lui li pescherà all''Ammiraglio Benbow'
    - l'intera ciurmaglia del vecchio Flint, uomini e ragazzi e compagnia. Io ero il primo
    ufficiale del vecchio Flint, e sono io il solo che conosce il posto. Mi ha confidato il
    segreto a Savannah, mentre stava per morire, vedi, come potrei farlo io adesso. Ma tu
    non devi denunciarli a meno che non mi lancino la macchia nera, o a meno che tu non
    riveda Can- Nero, oppure il marinaio della gamba sola, Jim - lui soprattutto." "Ma
    capitano, cos'è la macchia nera?" "E' un avvertimento, amico mio. Te lo spiegherò se
    arriveranno a quel punto. Ma tu hai da far buona guardia, e poi divideremo in due - due
    parti uguali - parola d'onore." Divagò ancora un poco mentre la sua voce sempre più
    s'affievoliva: ma appena io gli ebbi somministrato la sua pozione ch'egli prese docile
    come un ragazzo, osservando che "se c'era un uomo di mare che mai avesse avuto
    bisogno di droghe, era proprio lui", s'immerse in un sonno pesante come una sincope,
    dove io lo lasciai.

    Che cosa avrei fatto se le cose si fossero svolte in modo normale, io non so.
    Probabilmente avrei tutto raccontato al dottore, giacché ero martoriato dal dubbio che il
    capitano dovesse pentirsi delle sue confidenze e liberarsi di me. Ma il mio povero
    padre morì improvvisamente quella sera, il che relegò nell'ombra ogni altra cosa. La
    nostra angoscia, le visite dei vicini, i preparativi del funerale e per giunta le faccende
    della locanda da sbrigare, mi tennero talmente occupato che non ebbi tempo di
    ripensare al capitano e tanto meno alla mia paura.
    Egli discese, a dir vero, il mattino seguente e consumò i suoi pasti mangiando poco ma
    bevendo, io temo, più rum del solito, giacché si servì egli stesso al bar col suo muso
    arcigno soffiando attraverso il naso, senza che alcuno osasse contrariarlo. La sera
    prima del funerale era più ubriaco che mai. Nulla di più ripugnante che sentire quella
    voce, nella casa visitata dalla morte, ricantare la vecchia sconcia canzone. Ma, per
    quanto debole, egli ispirava a noi tutti una paura mortale, e il dottore accorso
    improvvisamente presso un malato distante molte miglia, era sempre rimasto dopo la
    disgrazia lontano dalla nostra casa.
    Ho detto che il capitano era debole: effettivamente pareva sempre più declinare,
    anziché riacquistar le sue forze. Egli si strascinava su e giù per le scale; andava e
    veniva dalla sala al bar, e talvolta cacciava il naso fuori dell'uscio per odorare il mare, e
    camminava appoggiandosi al muro e respirando faticosamente come chi sale un'erta.

    Con me direttamente non parlò più, ed io penso che avesse dimenticato le sue
    confidenze. Ma il suo umore s'era fatto più instabile; e, tenuto conto della sua
    depressione fisica, più violento che mai. Quando era ubriaco ora aveva la inquietante
    abitudine di sfoderare il suo coltellaccio e tenersi la nuda lama sulla tavola a portata di
    mano. Con tutto ciò, si curava meno della gente: sembrava chiuso nei suoi pensieri e
    piuttosto assente. Una volta, per esempio, con nostra grande sorpresa, intonò una
    specie di canzone d'amore campagnola, che egli doveva aver imparato in gioventù,
    prima di mettersi a navigare.

    Così andarono le cose finché il giorno dopo del funerale verso le tre di un pomeriggio
    pungente di freddo e nebbioso, mentre mi trattenevo un momento sulla soglia
    dell'albergo pieno di tristezza pensando a mio padre, scorsi sulla strada un individuo
    che lentamente si avvicinava. Di certo era un cieco, poiché picchiava davanti a sé con
    un bastone e portava una mascherina verde che gli copriva occhi e naso. Incurvato
    dall'età o dagli stenti, indossava un ampio, vecchio e cencioso soprabito da marinaio,
    con un cappuccio, che gli dava un aspetto deforme. Mai vidi in vita mia figura più
    sinistra. Un po' prima dell'albergo si fermò, e dando alla sua voce un bizzarro tono di
    cantilena, e rivolgendosi al vuoto, dinanzi a lui, disse:
    "C'è qualche buona creatura che voglia informare un povero cieco che ha perduto la
    sua preziosa vista difendendo il proprio caro paese nativo, l'Inghilterra - e Dio benedica
    Re Giorgio! - dove o in quale parte di questa regione egli attualmente si trova?" "Voi
    siete all''Ammiraglio Benbow', baia del Monte Nero, mio brav'uomo" risposi.
    "Sento una voce" riprese "una giovine voce. Vorresti darmi una mano, mio caro
    ragazzo, e farmi entrare?" Gli porsi la mano, e la sozza creatura senz'occhi, dalle
    parole melate, l'agguantò di scatto come una tenaglia. Ne fui talmente impaurito che
    cercai svincolarmi, ma il cieco mi strinse a sé con uno strattone.
    "E ora, ragazzo mio, conducimi dal capitano." "Signore" obiettai "vi giuro sulla mia
    parola che non oso." "Oh" ghignò lui. "E' così? Conducimi difilato, o ti rompo il braccio."
    Difatti me lo torse, mentre parlava, così forte, che mi sfuggì un grido.

    "Signore" spiegai "è per voi che dico ciò. Il capitano non è del solito umore. Ha sempre
    il coltellaccio sguainato. Un altro signore..." "Andiamo", incalzò lui. "Su!" Voce così
    crudele, fredda e odiosa io non sentii mai. Essa poté sul mio animo più del dolore;
    sicché mi affrettai a ubbidire varcando la soglia e dirigendomi al posto dove, abbrutito
    dal rum, sedeva il vecchio infermo filibustiere.

    Il cieco s'aggrappava a me stringendomi nel suo pugno di ferro, e mi opprimeva col
    suo peso fino quasi a schiacciarmi.
    "Conducimi dritto da lui, e quando gli sono davanti, di': 'Ecco un amico per voi, Bill!' Se
    non lo fai, ti farò questo, io!" e accompagnò la minaccia con un tal pizzicotto che io
    credetti di svenire. Preso in quest'alternativa, e gelato dal terrore, dimenticai la mia
    paura del capitano e, aperto l'uscio della sala, dissi con voce tremante la frase
    impostami.

    Il povero capitano alzò la fronte. In un batter di ciglia i fumi del rum svanirono, ed egli
    rimase lì disubriacato con gli occhi sbarrati e fissi. Più che sbigottimento si leggeva sul
    suo viso un mortale malessere. Fece per alzarsi, ma credo che le forze non gli
    sarebbero bastate.

    "Stai, Bill, stai" disse il mendicante. "E' vero che non ci vedo, ma se un dito si muove,
    lo sento. Gli affari sono affari. Porgi la tua mano sinistra. E tu, piccolo, prendi quella
    mano per il polso, e avvicinala alla mia destra." Gli obbedimmo tutt'e due; ed io vidi in
    quel punto il cieco far scivolare qualcosa dal cavo della mano con cui teneva il
    bastone, in quella del capitano, che prestamente si richiuse.
    "Ecco fatto" disse il cieco.
    E tosto si sciolse da me, e con incredibile precisione e sveltezza attraversò la sala e
    saltò nella strada. Ed io, rimasto lì intontito, potei nel silenzio udire i colpi del suo
    bastone che man mano s'andava allontanando.

    Ci volle un po' di tempo prima che ci riavessimo dalla sorpresa; alla fine, e quasi
    simultaneamente, io lasciai libero il suo polso, ed egli ritirò la sua mano dando una
    acuta sbirciata al palmo.
    "Alle dieci!" gridò. "Sei ore di tempo. Gliela facciamo ancora!" E scattò in piedi.
    Ma subito barcollò, si portò una mano alla gola, rimase in bilico un attimo, e con uno
    strano rantolo stramazzò lungo disteso con la faccia sul pavimento.

    Io mi precipitai sopra chiamando mia madre. Ma le nostre premure non valsero a nulla.
    Fulminato dall'apoplessia il capitano era morto. Strano a dirsi! Io non l'avevo di sicuro
    mai amato, per quanto da ultimo mi ispirasse una certa pietà: ma quando lo vidi spento
    ai miei piedi, scoppiai a piangere. Era la seconda morte che io vedevo, e lo sgomento
    procuratomi dalla prima era ancora vivo nel mio cuore.





    (continua)

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    00 16/01/2009 14:39

    Capitolo 4

    Il baule marino



    Io non tardai naturalmente a raccontare a mia madre tutto ciò che sapevo, come forse
    avrei dovuto fare molto prima, e subito vedemmo quanto difficile e pericolosa fosse la
    nostra posizione. Del denaro del capitano, se pur ve n'era, una parte spettava
    indubbiamente a noi; ma era ben poco probabile che i suoi camerati, e soprattutto i due
    campioni da me conosciuti, Can-Nero e il cieco mendicante, fossero disposti a
    rinunciare al loro bottino per saldare i debiti del morto. Ora, se io montavo a cavallo e
    correvo come il capitano voleva per il dottor Livesey, avrei lasciato mia madre sola e
    indifesa: non era dunque il caso di pensare a ciò. D'altra parte, noi non ci sentivamo di
    rimanere più a lungo nella nostra casa. Il cadere dei carboni nella griglia del fornello, il
    semplice tic-tac dell'orologio, ci facevano trasalire di spavento. Alle nostre orecchie
    pareva di sentire la strada battuta da uno scalpiccìo che venisse mano a mano
    avvicinandosi. Ed io, stretto fra il cadavere del capitano giacente sul pavimento della
    sala, e il pensiero di quell'abominevole cieco ronzante nei dintorni e pronto a riapparire,
    passavo dei momenti in cui per il terrore non avevo capello in testa che non fosse
    dritto. Tuttavia, qualche cosa bisognava decidere. Decidemmo finalmente di uscir
    insieme a cercare aiuto nel vicino villaggio. Detto fatto. A testa scoperta come
    eravamo, ci slanciammo nella crescente oscurità della sera e nella gelida nebbia.
    Il villaggio era a poche centinaia di passi da noi, nascosto alla vista, sull'altra costa
    della baia; e, ciò che molto mi confortava, in direzione opposta a quella dove il cieco
    era apparso, e dove presumibilmente si era eclissato. Il tragitto non richiese più di
    qualche minuto, sebbene varie volte ci fermassimo tendendo l'orecchio. Ma nessun
    rumore insolito: nulla, tranne il leggero frusciare della risacca sul lido, e il gracchiare
    dei corvi nel bosco.
    Era l'ora che si accendevano le candele nelle case, quando entrammo nel villaggio, ed
    io mai dimenticherò il grande sollievo che provai nel vedere a porte e finestre quei lumi
    d'oro. Ma fu questo, ahimè, il massimo dell'aiuto che laggiù ci aspettava.
    Poiché, e fa meraviglia che quella gente non se ne vergognasse, nessuno di loro
    acconsentì a ritornare con noi all'"Ammiraglio Benbow". Più ci dilungavamo a dipingere
    i nostri affanni, e più loro, donne, uomini e ragazzi, si aggrappavano alle loro porte. Il
    nome del capitano Flint, ignoto a me, era abbastanza popolare in mezzo a loro, e non
    lo si udiva pronunciare senza raccapriccio.
    Uomini che avevano accudito a lavori agricoli di là dall'"Ammiraglio Benbow",
    raccontavano d'essersi imbattuti lungo la strada in alcuni stranieri dall'aspetto di
    contrabbandieri, ed essersi tirati in disparte; ed uno almeno aveva visto un piccolo
    bragozzo all'ancora in quella che noi chiamavamo la Tana di Kitt; e perciò bastava che
    uno fosse in relazione col capitano per incutere loro una paura mortale. In conclusione,
    se trovammo alcuni disposti a correre a cavallo dal dottor Livesey, il quale abitava in
    tutt'altra direzione, nessuno volle aiutarci a difendere la nostra casa.
    Se la viltà è, come dicono, contagiosa, la discussione per contro accende l'ardire:
    sicché dopo che ognuno ebbe detta la sua, parlò mia madre. E dichiarò che non
    intendeva rinunciare al denaro che apparteneva al suo povero orfano.
    "Se nessuno di voi osa" esclamò "Jim ed io oseremo. Rifaremo la strada che abbiamo
    fatta, e tante grazie a voi, massa di conigli che non siete altro. Dovesse costarci la vita,
    noi apriremo quel baule. Vuole prestarmi, signora Crossley, quella borsa? Mi servirà
    per riportare indietro il nostro avere." Naturalmente io dichiarai che avrei
    accompagnato mia madre; e non meno naturalmente tutti quanti ad alte grida
    condannarono la nostra temerità: ma anche allora non un solo uomo pronto a seguirci
    saltò fuori. Tutto il loro aiuto si restrinse a munirci di una pistola carica per difesa in
    caso di aggressione, e a prometterci di farci trovar cavalli sellati nell'eventualità che nel
    ritorno fossimo inseguiti, mentre un ragazzo sarebbe andato al galoppo dal dottore, in
    cerca di soccorso armato.
    Il mio cuore batteva a martello quando noi due nella notte gelata uscimmo incontro alla
    pericolosa avventura. La luna piena incominciava a sorgere e sembrava rossa
    attraverso i margini superiori della nebbia; e ciò accresceva la nostra fretta, giacché
    non c'era nessun dubbio che prima del nostro ritorno avrebbe fatto giorno, e la nostra
    partenza sarebbe stata esposta a tutti gli sguardi. Svelti e silenziosi sgusciavamo lungo
    le siepi senza vedere né udire niente capace di aumentare la nostra inquietudine,
    finché con indicibile sollievo la porta dell'"Ammiraglio Benbow" si richiuse alle nostre
    spalle.
    Io spinsi il chiavistello, e per un istante restammo soli e ansimanti nel buio accanto al
    cadavere del capitano. Poi mia madre prese una candela nel bar e tenendoci per mano
    c'inoltrammo nella sala. Egli era lì come l'avevamo lasciato, con la schiena sul
    pavimento, gli occhi spalancati, e un braccio proteso.
    "Tira giù la persiana, Jim" bisbigliò mia madre. "Potrebbero arrivare e vederci dal di
    fuori. "Ed ora" aggiunse appena io ubbidii "dobbiamo trovargli la chiave che ha
    indosso, e io non so chi di noi due lo vorrà toccare!" Ed ebbe come un singulto.
    Io mi buttai in ginocchio. Sul pavimento, presso la sua mano c'era un piccolo disco di
    carta annerita da un lato. Nessun dubbio che era "la macchia nera"; presolo in mano e
    rivoltatolo, lessi sull'altro lato, scritto con scrittura ferma e chiara, questo breve
    messaggio: "Tempo fino alle dieci di stasera." "Mamma" dissi io "aveva tempo fino alle
    dieci" e proprio mentre pronunciavo queste parole il nostro orologio cominciò a battere
    le ore Quegli improvvisi colpi ci fecero sobbalzare: ma portavano una buona notizia,
    giacché non erano che le sei.
    "Su, Jim" riprese lei "quella chiave." Frugai le sue tasche, una dopo l'altra. Alcuni
    spiccioli, un ditale, un po' di refe, due grossi aghi, un rotolo di tabacco morsicato in
    cima, il suo coltello dal manico ricurvo, una bussola tascabile, e un acciarino: nient'altro
    saltò fuori.
    Io cominciavo a disperare.
    "Forse al suo collo" suggerì mia madre.
    Superando una acuta ripugnanza, lacerai la camicia attorno al collo; e lì, attaccata a un
    pezzo di spago incatramato, che tagliai col suo stesso coltello, trovammo la chiave.
    Incoraggiati da questa vittoria balzammo di furia al piano di sopra, nella piccola stanza
    dove per tante notti egli aveva dormito e dove il suo baule non era stato mosso dal
    giorno del suo arrivo.
    Era all'apparenza uno dei soliti bauli marini, con sul coperchio impressa a fuoco
    l'iniziale "B", e gli spigoli ammaccati e consumati dal lungo e aspro uso.
    "Dammi la chiave" disse mia madre. E malgrado la serratura fosse dura, aprì in un
    batter d'occhio, ed alzò il coperchio.
    Un acuto odore di tabacco e di catrame si sprigionò dall'interno, ma nulla comparve
    all'infuori di un ottimo abito completo, diligentemente spazzolato e piegato, che, al dire
    di mia madre, non era mai stato indossato. Al disotto, cominciava la confusione:
    un quadrante, un vaso di latta, alcuni rocchi di tabacco, due belle paia di pistole, una
    barra d'argento, un vecchio orologio spagnolo, e parecchie altre cianfrusaglie di scarso
    valore, quasi tutte di provenienza straniera; un paio di bussole montate in rame, e
    cinque o sei curiose conchiglie delle Indie Occidentali, a proposito delle quali più volte
    dopo d'allora mi accadde di domandarmi perché egli se le portasse dietro nella sua
    errabonda criminosa e perseguitata esistenza.
    Nulla fin qui di qualche valore, eccetto l'argento, e quei gingilli; e nulla che in qualche
    modo rispondesse alle nostre aspettative. Sotto c'era un vecchio cappotto da marinaio
    sbiancato dalla salsedine in più d'una taverna di porto di mare. Con impazienza mia
    madre lo tolse via, ed ecco in fondo al baule un pacchetto avvolto in tela cerata, che
    pareva contenere carte, e un sacchetto di tela che, urtato, rispose con un tintinnìo
    d'oro.
    "Mostrerò a quei furfanti che io sono una donna onesta" disse mia madre. "Prenderò
    ciò che mi spetta, e non un millesimo di più.
    Porgi la borsa della signora Crossley." E incominciò a far passare, dal sacchetto
    marino in quello che io le tendevo, l'importo del debito del capitano: lunga e complicata
    faccenda giacché le monete erano di tutti i paesi e valute; doppioni e luigi d'oro,
    ghinee, pezzi da otto e non so che altre: tutte quante mescolate a casaccio. E
    purtroppo le ghinee, che sole permettevano a mia madre di fare il conto, erano le meno
    numerose.
    D'un tratto, mentre eravamo a circa metà dell'operazione, posai una mano sul braccio
    di lei: un rumore da me sentito nel silenzio dell'aria ghiacciata mi aveva fatto saltare il
    cuore in gola: il picchiettìo del bastone del cieco sulla strada indurita dal gelo.
    E il rumore si veniva sempre più avvicinando, mentre immobili noi trattenevamo il
    respiro. Poi un colpo violento fu sferrato contro la porta, si sentì girare la maniglia e il
    catenaccio stridere mentre il miserabile tentava di forzarlo, dopo di che seguì un lungo
    silenzio, dentro come fuori. Finalmente il picchiettìo del bastone ricominciò, e con
    indescrivibile nostra gioia adagio adagio si affievolì, finché si spense nella lontananza.
    "Mamma, prendiamo tutto quanto, e andiamo" dissi io, sicuro com'ero che il fatto della
    porta chiusa a chiave dovesse crear sospetto e tirarci addosso l'intero nido di vespe,
    mentre d'altra parte della misura presa mi compiacevo fino a un punto difficilmente
    immaginabile da chi mai si fosse scontrato con quel terribile cieco.
    Ma, per quanto squassata dallo spavento, mia madre mai avrebbe toccato nulla più del
    suo diritto, allo stesso modo in cui era inflessibilmente decisa a non accontentarsi di un
    millesimo di meno.
    "Manca ancora parecchio alle sette" diceva lei; sapeva cos'era il fatto suo e intendeva
    averlo. E ancora stava discutendo con me, quando un sottile fischio partito da lontano
    sopra la collina, ferì il silenzio. Bastò, e ce ne fu d'avanzo, per entrambi.
    "Porto via ciò che ho" fece lei, balzando in piedi.
    "Ed io questo, per arrotondare il conto" aggiunsi io, arraffando il plico di tela cerata.
    Senza perder tempo, lasciando la candela accanto al baule vuoto, scendemmo a
    tastoni la scala, aprimmo la porta, ed eccoci in piena ritirata. Non era il caso di tardare
    un attimo. La nebbia andava velocemente dileguandosi; già libera e nitida la luna
    illuminava le alture; solo nella conca della vallicella e attorno alla porta dell'albergo
    pendeva intatto ancora quasi un tenue velo di bruma, coprendo i primi passi della
    nostra fuga. Assai prima che a metà cammino e poco oltre il piede della collina,
    entrammo in piena luce. Ma non bastava: già sentivamo il rumore di passi che si
    avvicinavano di corsa, e volgendoci indietro a riguardare in quella direzione, vedemmo
    una luce sbattuta di qua e di là che rapidamente si avvicinava, segno evidente che uno
    di quelli che venivano reggeva una lanterna.
    "Figlio mio" proruppe mia madre "prendi il denaro, corri. Io mi sento mancare." Vidi la
    fine certa per tutti e due. Ah, con tutto il cuore maledissi la codardia dei nostri vicini; e
    come ne volevo alla mia povera madre per la sua onestà e avidità; la passata audacia
    e la presente debolezza! Per fortuna avevamo raggiunto il ponticello; la sostenni
    barcollante com'era fino alla sponda dell'argine dove ella sospirò e mi si afflosciò sulle
    spalle. Io non so dove trovassi la forza (e fu, temo, non senza brutalità) di trascinarla ai
    piedi dell'argine, un po' sotto l'arco, ma non oltre un certo punto, poiché l'arco era
    troppo basso, io non potevo fare altro se non strisciarvi sotto. Così ci toccò restare, mia
    madre quasi interamente esposta alla vista, ed entrambi a portata di voce dall'albergo.



    (continua)

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    00 16/01/2009 14:40

    Capitolo 5

    La fine del cieco



    La curiosità vinse in me la paura. Incapace di rimanere lì, tornai indietro strisciando
    gatton gattoni, all'argine; da dove, nascosto dietro un cespuglio di ginestre, potevo
    spiare la strada fin davanti alla nostra porta.
    Avevo appena raggiunto quel posto, quando i nostri nemici, in numero di sette o otto,
    arrivarono correndo con furia disordinata, preceduti di alcuni passi dall'uomo con la
    lanterna. Tre di essi andavano insieme dandosi la mano, ed io malgrado la nebbia
    potei riconoscere che quello di mezzo era il cieco. Poco dopo la sua voce provò che
    non m'ero sbagliato.
    "Giù la porta" gridò lui.
    "Sì! Sì!" rispose un coro di due o tre; e si scagliarono contro l'"Ammiraglio Benbow"
    seguiti dal portatore della lanterna. Poi li vidi fermarsi e li udii confabulare a bassa voce
    come fossero sorpresi di trovare la porta aperta. Ma la pausa durò poco, poiché il cieco
    riprese a lanciare ordini. E la sua voce echeggiava più forte e più agra, come se egli
    bruciasse d'impazienza e di rabbia.
    "Dentro! Dentro! Dentro!" urlava, maledicendoli per l'indugio.
    Quattro o cinque immediatamente ubbidirono, e due rimasero sulla strada col terribile
    pezzente. Un silenzio, un grido di sorpresa, e infine come un tuono dall'interno.
    "Bill è morto!" Ma di nuovo il cieco bestemmiava contro di loro e contro la loro lentezza.
    "Uno di voi che lo frughi" gridò "poltroni mangiaufo, e gli altri su, a cercare il baule."
    Sentii lo strepito dei loro passi veementi su per la nostra vecchia scala, così da
    scuotere la casa; e subito dopo nuove voci di stupore, finché la finestra della camera
    del capitano fu spalancata con fracasso e tintinnìo di vetri infranti, e un uomo si sporse
    al chiaro di luna, testa e spalle, rivolgendosi al cieco nella strada.
    "Pew" gridò "ci hanno preceduti. Qualcuno ha messo il baule sottosopra." "C'è?" ruggì
    Pew.
    "Il denaro c'è." "All'inferno il denaro. La carta di Flint, dico io." "Non la troviamo in
    nessun posto" replicò l'uomo.
    "Ehi, voi di sotto, c'è in dosso a Bill?" A questo punto un altro camerata, quello
    probabilmente ch'era rimasto a frugare il corpo del capitano, si affacciò sulla soglia
    dell'albergo.
    "Bill è già stato frugato" disse. "Non c'è nulla." "E' la gente dell'albergo: è quel ragazzo.
    Ah, gli avessi cavati gli occhi!" imprecò il cieco. "Erano lì poco fa: avevano chiuso a
    chiave la porta quando io tentai d'entrare. Su, mocciosi, cercate qui intorno, e
    trovatemeli." "Non c'è dubbio: hanno lasciato il loro moccolo qui" disse il compagno
    dalla finestra.
    "Cercate intorno e trovatemeli. Buttate all'aria la casa!" ripeté Pew picchiando in terra
    col bastone.
    Nella nostra vecchia casa successe un quarantotto: passi pesanti che pestavano su e
    giù, mobili rovesciati, porte sfondate a calci, con un fracasso da rintronare il vicinato,
    finché gli uomini di nuovo scesero dichiarando che in nessun luogo ci si poteva
    scovare. Proprio in quel momento lo stesso fischio che già aveva turbato mia madre e
    me mentre stavamo contando il denaro del capitano, echeggiò di nuovo chiaro nella.
    notte, ma ora ripetuto due volte. Io avevo prima pensato che fosse un avviso del cieco
    destinato a lanciare la sua banda all'assalto; ora invece capii che era un suono
    proveniente dall'alto della collina verso il villaggio; e, a giudicarne dall'effetto prodotto
    sui contrabbandieri, li avvertiva dell'approssimarsi d'un pericolo.
    "Di nuovo Dirk" disse uno. "Due volte! Converrà sloggiare, amici." "Sloggiate pure,
    vigliacchi!" gridò Pew. "Dirk non è mai stato altro che uno stupido coniglio: non
    dovreste badargli. Devono esser lì; non possono esser lontani; nelle mani, li avete.
    Muovetevi, cercateli, razza di cani! Oh, il diavolo mi pigli!
    Avessi la mia vista!" Questa sfuriata parve produrre un qualche effetto. Due di essi
    cominciarono a cercare qua e là tra la roba sconvolta, a malincuore però, credo io, e
    tuttavia preoccupati ciascuno del proprio rischio, mentre gli altri rimasero sulla strada
    irresoluti.
    "Avete sottomano un mucchio d'oro, idioti che siete, ed eccovi lì impalati! Sareste ricchi
    come tanti re, se trovaste 'quello:' e voi sapete che c'è, e vi ciondolate come marmotte.
    Ci fu mai uno di voi che osasse tener testa a Bill? E io gli ho tenuto testa, io cieco! E
    perderò la mia fortuna per causa vostra. Sarò un povero dannato costretto a mendicare
    un sorso di rum, mentre potrei farmi rotolare in carrozza! Se aveste appena il coraggio
    di un sorcio in una forma di cacio, li avreste già acciuffati." "Al diavolo Pew!" borbottò
    uno "abbiamo i doppioni, e basta." "Probabilmente l'hanno nascosto, quel benedetto
    affare" disse un altro. "Prendi le sterline, Pew, e smetti di sbraitare." Sbraitare era il
    termine adatto, talmente imbestialito s'era Pew a quelle obiezioni, finché la collera lo
    sopraffece completamente, e come impazzito si mise a battere nel mucchio a casaccio,
    e il suo bastone risuonò sordamente sulle spalle di più d'uno.
    Essi a loro volta scaricarono un sacco di maledizioni e minacce sullo sciagurato cieco,
    tentando invano di afferrargli il bastone e strapparglielo di mano.
    Questa contesa fu la nostra salvezza, poiché mentre ancora essa bolliva, un altro
    rumore giunse ai nostri orecchi dalla cima della collina verso il villaggio: uno scalpitare
    di cavalli spinti al galoppo. Quasi nello stesso istante il lampo e la detonazione d'un
    colpo di pistola partirono dal lato della siepe. Era evidentemente l'estremo segnale del
    pericolo: difatti i filibustieri girarono subito la schiena e si squagliarono correndo chi giù
    lungo la spiaggia, chi di traverso su per la collina, e così via; così che in mezzo minuto
    non rimase di essi, eccetto Pew, la minima traccia.
    Il perché l'avessero piantato: se per effetto dello spavento, o per vendetta delle male
    parole e percosse, io non saprei: il fatto è che egli restò solo, e andava su e giù
    tempestando col bastone il terreno, come delirasse, chiamando a gran voce i
    compagni.
    Finalmente, sbagliando direzione, prese a correre verso il villaggio e mi oltrepassò
    gridando:
    "Johnny, Can-Nero, Dirk" e altri nomi "non abbandonate il vostro vecchio Pew,
    camerati... il vostro vecchio Pew!" In quel momento il rumore della cavalcata raggiunse
    l'altura, e quattro o cinque cavalieri apparvero nel chiaro di luna e si lanciarono a
    galoppo serrato giù per il pendìo. Pew si accorse allora del proprio errore; si voltò
    gridando, e si avventò dritto in direzione del fosso dove ruzzolò. Ma in un batter
    d'occhio si rialzò; e, inferocito com'era, prese un altro slancio che lo portò sotto il primo
    dei cavalli che arrivavano. Il cavaliere provò a evitarlo, ma invano. Pew cadde con un
    urlo che risuonò nella notte, e quattro zampe ferrate lo calpestarono, oltrepassandolo.
    Egli si piegò su un fianco, poi mollemente si abbatté sulla sua faccia, e non si mosse
    più.
    Io scattai in piedi, e detti una voce ai cavalieri. Essi s'arrestarono inorriditi, e
    immediatamente li riconobbi. Uno di loro, che stava in coda, era un ragazzo mandato
    dal villaggio in cerca del dottor Livesey; gli altri erano ufficiali della dogana che egli
    aveva incontrato a metà strada, e che aveva avuto l'accortezza di portare con sé.
    Qualche voce circa il bragozzo della Tana di Kitt era giunta fino all'orecchio del
    sovrintendente Dance, spingendolo quella stessa notte sui nostri passi: e fu questa la
    circostanza che salvò mia madre e me dalla morte.
    Pew era morto, e ben morto. Quanto a mia madre, appena trasportata al villaggio,
    alcune gocce d'acqua fredda e dei sali erano bastati a farle riprendere i sensi: e ora,
    più che risentirsi del passato spavento, badava a rimpiangere il resto del suo denaro.
    Frattanto il sovrintendente galoppava di gran carriera verso la Tana di Kitt, mentre ai
    suoi uomini era toccato smontare e calarsi a tastoni giù per la riva conducendo e
    talvolta sostenendo i loro cavalli, spinti dal timore d'una imboscata; sicché non deve far
    meraviglia se arrivando alla Tana di Kitt trovarono che il bragozzo aveva già levato
    l'ancora, pur non essendosi allontanato molto da terra. Il sovrintendente chiamò.
    Risposero da bordo avvertendolo di ripararsi dal chiaro di luna se non voleva buscarsi
    un po' di piombo: e in quel medesimo istante il fischio d'una pallottola gli sfiorò il
    braccio. Poco dopo il bragozzo doppiava la punta del promontorio, e spariva. Il signor
    Dance rimase lì, per dirla con le sue parole, come un pesce fuor d'acqua, e tutto
    quanto poté fare fu di spedire un uomo a B... per informare il cutter della dogana: "il
    che", disse lui "non servirà proprio a nulla. Se la sono scapolata liscia, ed è un affare
    finito. A parte ciò, sono contento d'aver pestato i calli a Mastro Pew" aggiunse, avendo
    allora allora udito il mio racconto.
    Io ritornai con lui all'"Ammiraglio Benbow". Non si può immaginare in quale stato di
    sconvolgimento trovai la nostra povera casa.
    Persino l'orologio era stato buttato a terra e fracassato da quei gaglioffi nella loro
    disperata caccia a me e a mia madre; e quantunque nulla fosse stato asportato
    all'infuori della borsa del capitano e un di po' di moneta dal cassetto del bar, mi bastò
    un colpo d'occhio per convincermi ch'eravamo rovinati. Il signor Dance, poi, non
    riusciva a spiegarsi quello spettacolo.
    "Hanno tolto il denaro, mi dici. Ma, allora, Hawkins, che diavolo cercavano ancora?
    Dell'altro denaro forse?" "No, signore, non credo" risposi. "In realtà, signore, credo di
    aver io in tasca ciò che essi cercavano, e, per dirvi la verità, desidererei metterlo al
    sicuro." "Giusto, ragazzo mio" disse lui. "Puoi consegnarlo a me, se ti pare." "Io
    pensavo che, forse, il dottor Livesey..." presi a dire.
    "Benissimo" interruppe lui con fervore "benissimo: un gentiluomo e un magistrato. E
    adesso che ci penso, converrebbe a me pure correre fin là, per fare il mio rapporto a lui
    o al cavaliere.
    Mastro Pew è morto, dopo tutto: non che io mi rammarichi; ma è morto, capisci, e la
    gente se ne avvarrà magari volentieri, se può, per dare addosso ad un ufficiale delle
    dogane di Sua Maestà.
    Ebbene, se ti piace, ti porto con me." Lo ringraziai cordialmente, e ce ne ritornammo al
    villaggio dove i cavalli aspettavano. Il tempo di informare mia madre della mia
    intenzione, ed ecco tutti in sella.
    "Dogger" disse il signor Dance "tu hai un buon cavallo, prenditi in groppa questo
    ragazzo." Non appena che io fui montato, tenendomi al cinturino di Dogger, il
    sovrintendente diede il segnale, e la brigata si lanciò a gran trotto sulla strada che
    conduceva alla casa del dottor Livesey.



    (continua)

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    00 16/01/2009 14:42

    Capitolo 6

    Le carte del capitano



    Cavalcammo speditamente lungo tutto il cammino, finché ci arrestammo alla porta del
    dottor Livesey.
    La facciata della casa era completamente buia.
    Il signor Dance mi ordinò di saltare a terra e bussare, e Dogger mi prestò la staffa per
    discendere. Subito la porta si aprì, e alla mia domanda se il dottore fosse in casa, la
    cameriera rispose che era rientrato nel pomeriggio ma poi era di nuovo uscito per
    recarsi a pranzare al castello e passare la serata col cavaliere.
    "Ebbene, andiamo là, ragazzi" disse il signor Dance.
    Questa volta, siccome il tragitto era breve, non salii a cavallo, ma corsi dietro a Dogger
    tenendomi alla coreggia della sua staffa fino al cancello, e poi su per il lungo viale dagli
    alberi spogli, illuminato dalla luna, in fondo al quale la bianca mole del castello si
    ergeva dominando da ogni lato i vasti e antichi parchi.
    Là il signor Dance smontò, e presomi con sé, detta una parola, venne introdotto.
    Il servo ci condusse lungo un corridoio tappezzato di stuoie, facendoci infine entrare in
    una spaziosa biblioteca tutta foderata di scaffali sormontati da busti, dove il cavaliere e
    il dottor Livesey con la pipa in mano stavano seduti ai lati di un allegro fuoco.
    Io non avevo mai visto il cavaliere così da vicino. Era un pezzo d'uomo alto più di sei
    piedi, quadrato, dalla faccia aperta e fiera, che i lunghi viaggi di mare avevano
    arrossata e tagliuzzata di rughe; le sue sopracciglia nerissime si movevano di
    frequente, e ciò gli dava un'aria non cattiva, direi, ma piuttosto vivace e altera.
    "Venga, signor Dance" egli disse con un fare affabile e dignitoso.
    "Buona sera, Dance" disse il dottore, con un cenno del capo. "E buona sera a te, amico
    Jim. Che buon vento vi porta qui?" Dritto in piedi e rigido, il sovrintendente prese a
    narrare il fatto speditamente, come se recitasse una lezione, ed era curioso di vedere
    come gli ascoltatori pendevano dalle sue labbra e di quando in quando si scambiavano
    occhiate dimenticando, nella meraviglia e commozione, di fumare. Udendo poi la prova
    di coraggio di mia madre, il dottor Livesey si dette una pacca sulla coscia, e il cavaliere
    gridò 'Brava' con un gesto che gli fece spezzare contro il camino la sua lunga pipa.
    Molto prima che il racconto fosse terminato, il signor Trelawney (era questo, come il
    lettore ricorderà, il nome del cavaliere) era scattato in piedi, e andava misurando a
    lunghi passi la sala; e il dottore si era tolta, come per udire meglio, la parrucca
    incipriata, scoprendo la testa dai capelli neri completamente rasati, il che gli dava uno
    stranissimo aspetto "Signor Dance" disse il cavaliere appena il sovrintendente ebbe
    finito "lei è una degnissima persona. Quanto all'aver schiacciato quel mostro di atrocità,
    io lo considero come un atto meritorio, come schiacciare un serpente. Questo ragazzo
    poi, è un coraggioso, a quanto so. Hawkins, vuoi suonare quel campanello? Il signor
    Dance berrà un bicchiere di birra." "Sicché, Jim" disse il dottore "tu hai ciò che loro
    cercavano, no?" "Eccolo qui" risposi io porgendo il pacchetto di tela.
    Il dottore l'esaminò, girandolo e rigirandolo per ogni lato, come se le dita gli
    pizzicassero dalla voglia di aprirlo, ma poi finì per metterselo tranquillamente in tasca.
    "Cavaliere" diss'egli "quando Dance avrà bevuta la birra gli toccherà naturalmente
    tornare al servizio Sua Maestà; ma io penso di trattenere qui Jim Hawkins: egli dormirà
    a casa mia; e frattanto, col vostro permesso, non si potrebbe fargli avere un po' di
    pasticcio freddo e dargli la cena?" "Come volete, Livesey" disse il cavaliere "Hawkins
    s'é guadagnato assai più di un pasticcio freddo." E così mi fu servito a una piccola
    tavola un abbondante pasticcio di piccione, ed io cenai di gusto, giacché avevo una
    fame da lupo; mentre il signor Dance, ricolmato di complimenti, si era congedato.
    "E ora, cavaliere..." disse il dottore.
    "E ora, Livesey..." disse a un tempo il cavaliere.
    "Uno alla volta! Uno alla volta!" rise il dottore. "Credo che avrete sentito parlare di
    questo Flint, nevvero?" "Di Flint!" esclamò il cavaliere. "Se ho inteso parlare di Flint, mi
    dite! Il più sanguinario dei pirati che abbia mai tenuto il mare era lui. Barbablù, al
    paragone, era un bambino. Gli spagnoli ne avevano una così smisurata paura che, vi
    assicuro, signore, io qualche volta ero persino fiero di saperlo inglese. Con questi occhi
    ho veduto i suoi velacci al largo di Trinidad; ebbene: quel vigliacco di figlio di un
    ubriacone col quale navigavo, se la svignò: sissignore, se la svignò, e si rifugiò nel
    Porto di Spagna." "Ebbene, io pure ho sentito parlare di lui in Inghilterra" riprese il
    dottore. "Ma l'importante è sapere: aveva o no del denaro?" "Del denaro?" saltò su il
    cavaliere. "Non avete dunque sentito la storia? E che cosa cercavano quei furfanti, se
    non denaro? Di che cosa mai s'interessano, se non di denaro? Per che cosa
    rischierebbero la loro maledetta pelle, se non per il denaro?" "E' ciò che sapremo
    presto" replicò il dottore. "Ma voi vi riscaldate, e m'imbrogliate talmente con le vostre
    esclamazioni, che io non riesco ad aprir bocca. Ciò che io vorrei sapere, è questo:
    supponendo che io abbia qui nella mia tasca il filo capace di condurmi dove Flint ha
    seppellito il suo tesoro, credete che quel tesoro possa essere importante?"
    "Importante? Per darvene un'idea, se noi possediamo il filo di cui mi parlate, io armo un
    bastimento nel porto di Bristol, prendo con me Hawkins e voi, e trovo il tesoro, dovessi
    impiegare un anno a cercarlo!" "Ottimamente! E allora, se a Jim non dispiace, apriremo
    il pacchetto" disse il dottore.
    E lo posò sulla tavola.
    Ma siccome il pacchetto era cucito, fu costretto a prendere nella sua borsa le forbici
    chirurgiche per tagliare i punti, dopo di che venne fuori il contenuto: un quaderno, ed
    una carta suggellata.
    "Prima di tutto vediamo il quaderno" disse il dottore.
    Gentilmente egli mi aveva invitato a partecipare al piacere delle ricerche; ed io,
    alzatomi dal tavolo, mi sporgevo ora al di sopra delle sue spalle, insieme col cavaliere,
    a guardare il quaderno aperto. Sulla prima pagina apparivano soltanto alcuni brani di
    scritto, come quelli che un uomo con una penna in mano potrebbe tracciare per
    oziosaggine o per esercizio. Uno di essi riportava il testo del tatuaggio "Billy Bones se
    ne infischia". E poi c'era:
    "Mr. W. Bones piloto", "Non più rum", "L'ha avuto al largo di Palm Key" e alcuni altri
    scarabocchi: vocaboli isolati, per lo più, e incomprensibili. Io non potei a meno di
    domandarmi chi era che l'aveva avuto e che cosa aveva avuto. Una coltellata nella
    schiena, forse.
    "Poco ci si ricava, qui" disse il dottor Livesey, continuando a sfogliare.
    Le ulteriori dieci o dodici pagine erano riempite di curiose annotazioni. C'era una data,
    a un capo della riga, e all'altro capo una somma, come negli ordinari libri di commercio;
    con in mezzo, invece di un testo esplicativo, un certo numero di crocette. Al 12 giugno
    1745, per esempio, una somma di settanta sterline risultava chiaramente accreditata a
    qualcuno, ed in luogo del motivo non si vedevano che sei crocette. In alcuni punti era
    stato evidentemente aggiunto il nome della località, come "Al largo di Caracas", oppure
    una semplice indicazione di latitudine e longitudine, come 62 gradi, 17 primi, 20
    secondi; 19 gradi, 2 primi, 40 secondi.
    Le registrazioni abbracciavano un periodo di circa vent'anni; gli importi crescevano a
    ogni fine di pagina. ed in ultimo, dopo cinque o sei tentativi di addizione sbagliati, un
    gran totale era stato fatto con aggiunte le parole: "Bones, il suo gruzzolo".
    "Non ci capisco un'acca" disse il dottor Livesey.
    "E' chiaro come la luce del sole" ribatté il cavaliere. "Questo è il libro di conti di quella
    canaglia. Le crocette rappresentano navigli affondati o città saccheggiate. Le somme
    indicano la parte toccata al miserabile; e dove egli temeva un equivoco, aggiungeva,
    come vedete, qualcosa di più preciso. Guardate: "Al largo di Caracas". Qui si tratta di
    qualche disgraziato naviglio assalito al largo di quella costa. Dio assista l'anima dei
    poveretti che erano a bordo: da tanto tempo saranno diventati corallo." "Giusto!"
    osservò il dottore. "Ecco che cosa significa aver navigato. Giusto! E si vede che le
    somme aumentano mano a mano che egli sale di grado." Non c'era nient'altro nel
    quaderno all'infuori delle posizioni di alcuni luoghi registrate negli ultimi fogli bianchi; e
    una tavola di equivalenze per le monete francesi, inglesi e spagnole.
    "Uomo avveduto!" esclamò il dottore. "E tale da non lasciarsi facilmente imbrogliare."
    "E ora" riprese il cavaliere "passiamo all'altro." La carta era stata suggellata in parecchi
    punti adoperando come sigillo un ditale: lo stesso ditale forse che io avevo rinvenuto
    nella tasca del capitano. Il dottore ruppe con molta precauzione i sigilli, e ne uscì la
    pianta d'un'isola con i dati di latitudine e longitudine, fondali, nomi di alture, baie e
    imboccature, ed ogni altra indicazione necessaria a poter portare un bastimento presso
    la costa in un sicuro ancoraggio. Quest'isola misurava circa nove miglia in lungo e
    cinque in largo, simile nella forma a un grosso drago rampante, ed aveva due porti
    assai ben riparati, e nel centro una collina denominata "Il Cannocchiale". Vi erano
    alcune aggiunte di data posteriore; e, specialmente visibili, tre croci in inchiostro rosso:
    due nella parte nord dell'isola, una al sud- ovest; inoltre, accanto a quest'ultima, nel
    medesimo inchiostro rosso, in una minuta e linda scrittura ben diversa dai tremolanti
    caratteri del capitano, queste parole: "Qui il grosso del tesoro".
    Sul rovescio del foglio, la stessa mano aveva tracciato i seguenti ulteriori ragguagli:
    "Grande albero, contrafforte del Cannocchiale, punto in direzione Nord-Nord-Est,
    quarta a Nord.
    Isola dello Scheletro Est-Sud-Est, quarta ad Est.
    Dieci piedi.
    La barra d'argento è nel nascondiglio nord; trovasi nella linea del poggio est, dieci
    braccia a sud della prospiciente rupe nera.
    Le armi saranno presto trovate, nella collina di sabbia, all'estremità Nord del capo della
    baia nord: direzione Est, e una quarta Nord.
    J. F." Nient'altro: ma, pur nella sua brevità, e per quanto a me incomprensibile, il
    documento colmò di gioia il cavaliere e il dottore.
    "Livesey" proruppe il cavaliere "voi lascerete immediatamente questa vostra misera
    clientela. Io domani filo a Bristol. Tempo tre settimane, tre settimane!, due settimane,
    dieci giorni forse, avrò a mia disposizione il miglior bastimento d'Inghilterra, e la
    schiuma degli equipaggi. Hawkins ci accompagnerà come mozzo. Tu, Hawkins, sarai
    un mozzo eccellente. Voi, Livesey, sarete il medico di bordo; io l'ammiraglio.
    Prenderemo con noi Redruth, Joyce e Hunter. Avremo venti favorevoli, una rapida
    traversata, e troveremo il posto senza la minima difficoltà, e denaro a palate e a
    mucchi, da rotolarcisi dentro e affogarci fino alla fine dei nostri giorni." "Trewlaney"
    disse il dottore "io verrò con voi, e vi garantisco che Jim farà altrettanto e si farà onore.
    Non v'è che una persona, che mi preoccupi..." "E chi è costui?" esclamò il cavaliere.
    "Ditemi il nome di questo poco di buono." "Voi" rispose il dottore "perché non siete
    capace di stare zitto.
    Noi non siamo i soli a conoscere questo documento. Quei signori che stanotte
    assalirono l'albergo, diavoli scatenati e disperati se mai ve ne furono, come pure gli
    altri della combriccola rimasti a bordo del bragozzo, ed altri ancora io credo non molto
    lontani di qui, sono decisi come un sol uomo a tutto pur di entrare in possesso di quel
    denaro. Nessuno di noi deve andare da solo finché non saremo imbarcati. Jim ed io
    frattanto non ci staccheremo l'uno dall'altro; voi andando a Bristol vi farete
    accompagnare da Joyce e da Hunter; e nessun di noi dovrà lasciarsi sfuggire una
    sillaba a proposito della nostra scoperta." "Livesey" replicò il cavaliere "voi avete
    sempre ragione. Io sarò muto come una tomba."




    (continua)

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    PARTE SECONDA - IL CUOCO DI BORDO


    Capitolo 7

    Vado a Bristol



    Per approntare il nostro equipaggiamento ci volle più tempo di quanto il cavaliere non
    immaginasse, e nessuno dei nostri iniziali progetti, neppure quello del dottor Livesey di
    tenermi presso di sé, poté essere attuato secondo le nostre intenzioni. Il dottore aveva
    dovuto recarsi a Londra in cerca di un medico a cui rimettere la propria clientela; il
    cavaliere era grandemente occupato a Bristol, ed io ero rimasto al castello sotto la
    sorveglianza del vecchio Redruth, il guardacaccia. Ero quasi prigioniero, ma il mare
    riempiva i miei sogni con le più deliziose visioni di strane isole ed avventure. Per ore e
    ore il mio pensiero indugiava sulla carta della quale ricordavo esattamente i particolari.
    Seduto accanto al fuoco nella stanza dell'intendente, mi lasciavo trasportare dalla
    fantasia in quell'isola; ne esploravo ogni angolo; cento volte mi arrampicavo su per il
    largo dorso del monte denominato Il Cannocchiale, e dalla cima mi godevo i più vari e
    meravigliosi panorami. A volte l'isola si popolava di selvaggi, coi quali combattevamo;
    altre si riempiva di belve che ci inseguivano: ma in nessuna di tutte queste allucinazioni
    vidi mai cose tanto straordinarie e tragiche come quelle che dovevamo incontrare nella
    realtà.
    Passarono alcune settimane finché un bel giorno giunse all'indirizzo del dottor Livesey
    una lettera con l'avvertenza: "Da essere aperta, in caso di sua assenza, da Tom
    Redruth o dal giovane Hawkins". Dissuggellatala, trovammo, o meglio trovai, dato che
    il guardacaccia non se la cavava a leggere se non lo stampato, le seguenti importanti
    notizie:
    "Albergo dell'Ancora Vecchia - Bristol primo marzo 17...
    "Caro Livesey, ignorando se siete di ritorno al castello o tuttora a Londra, invio la
    presente in doppio ad ambedue le destinazioni.
    Il bastimento è acquistato, equipaggiato, e pronto a salpare. Mai vedeste una più
    graziosa goletta, un bambino sarebbe capace di governarla; portata, duecento
    tonnellate; nome, 'Hispaniola.' Me la procurò il mio vecchio amico Blandly, che si è
    comportato come il migliore dei camerati, dandomi prova d'una bontà stupefacente. Il
    mio meraviglioso compagno si è fatto in quattro per servirmi, e la stessa cosa posso
    dire ha fatto ogni altra persona a Bristol non appena saputo verso quale porto noi
    metteremo la prua: vale a dire, il tesoro." "Redruth" dissi interrompendo la lettura
    "questo non piacerà al dottor Livesey. Il cavaliere ha pur finito per parlare." "E chi più di
    lui ne aveva il diritto?" brontolò il guardacaccia.
    "Sarebbe bella che il cavaliere dovesse aspettare il permesso del dottor Livesey per
    aprir bocca." Dopo ciò io rinunziai a qualsiasi commento e seguitai a leggere difilato:
    "Fu lo stesso Blandly a scovare la Hispaniola e adoperandosi con incredibile
    accortezza riuscì ad ottenerla per un'inezia. C'è a Bristol una categoria di gente
    estremamente prevenuta contro Blandly. A sentir loro, questa onesta creatura sarebbe
    capace di non so che, pur di far denaro; l''Hispaniola' gli apparteneva; me l'avrebbe
    venduta a un prezzo esorbitante, e simili altre evidentissime calunnie. Nessuno,
    peraltro, osa negare le doti della nave.
    Fin qui, nessun inciampo. Gli operai, attrezzatori ed altri, d'una lentezza da stancare i
    santi: ma col tempo e la pazienza ci siamo arrivati. Ciò che m'inquietava era
    l'equipaggio.
    Io volevo una buona ventina d'uomini, per l'eventualità d'incontri con indigeni o pirati o
    con quei dannati francesi, e m'era costato una fatica del diavolo trovarne non più d'una
    mezza dozzina, quando uno straordinario colpo di fortuna mi portò tra le gambe proprio
    l'individuo che faceva per me. Ero sul molo e per puro caso attaccai discorso con lui.
    Seppi ch'era un vecchio marinaio, che aveva un'osteria, conosceva tutta quanta la
    gente di mare di Bristol, si era guastata la salute rimanendo a terra, e cercava un buon
    posto di cuoco a bordo per ritornare sul mare. Quel mattino se n'era venuto
    zoppicando fin lì, diceva, per prendervi una boccata d'aria salmastra.
    Io ne fui profondamente commosso, come sarebbe capitato a voi stesso, e per pura
    compassione lo ingaggiai lì per lì come cuoco di bordo. Si chiama Long John Silver, e
    gli manca una gamba; ma questo particolare conta per me come una
    raccomandazione, poiché codesta gamba egli l'ha perduta servendo la Patria sotto gli
    ordini dell'immortale Hawke. Eppure, non gli passano un centesimo di pensione. In che
    tristi tempi viviamo, Livesey!
    Ebbene, io credevo fin qui di non aver trovato che un cuoco, ed era invece una intera
    ciurma che avevo scoperto. Fra tutti e due riuscimmo in pochi giorni a radunare una
    brigata dei più induriti vecchi lupi di mare che si potesse immaginare, non certo belli da
    vedere, ma dei tipi, come il loro aspetto dimostra, dalla tempra indomabile. Vi assicuro
    che potremmo affrontare una fregata.
    Long John si è sbarazzato di due dei sei o sette che io già avevo ingaggiati. Egli non
    durò fatica a persuadermi ch'erano dei marinai d'acqua dolce per nulla adatti a
    un'impresa di così maschia importanza.
    Io sto magnificamente bene di corpo e di spirito: mangio come un bue e dormo come
    un ceppo; ma non me la godrò se non quando sentirò intorno all'àrgano lo scalpiccìo
    dei miei vecchi lupi di mare. Al largo! Al diavolo il tesoro! E' la gloria di questo mare che
    mi ha fatto girar la testa! Sicché, Livesey, venite senza indugio: non perdete un'ora, se
    mi volete bene.
    Mandate il giovane Hawkins a salutar sua madre accompagnato da Redruth; e poi
    volate a Bristol.
    John Trelawney.
    "Poscritto. - Non vi ho detto che Blandly, il quale tra parentesi ci manderà dietro una
    nave qualora dentro agosto non fossimo ritornati, mi ha trovato un mirabile capitano,
    un uomo duro (il che mi dispiace) ma, sotto ogni altro aspetto, una perla. Long John
    Silver ha scovato un competentissimo nostromo, di nome Arrow.
    Abbiamo pure un secondo che suona il piffero, Livesey: sicché le cose fileranno lisce
    come sopra una nave da guerra, a bordo della nostra incomparabile 'Hispaniola.'
    Dimenticavo pure di dirvi che Silver è persona seria: so da sicura fonte che ha presso
    una Banca un credito il cui importo non è mai stato oltrepassato. Egli lascerà l'osteria
    nelle mani della moglie; e siccome lei è una negra, due impenitenti celibi come voi ed
    io hanno ben ragione di pensare che non è soltanto la salute, ma anche la moglie, che
    lo risospinge a girare il mondo.
    J. T. "P.P.S. Hawkins può rimanere ventiquattr'ore presso sua madre." E' facile
    immaginare la frenesia in cui mi mise questa lettera. Io ero quasi fuori di me dalla gioia
    e guardavo con disprezzo il vecchio Tom Redruth che non sapeva fare altro che
    brontolare e gemere. Chiunque tra i guardacaccia in seconda avrebbe volentieri preso
    il suo posto: ma tale non era il desiderio del cavaliere; e i desideri del cavaliere erano
    legge, per i suoi servitori; fra i quali nessuno, all'infuori del vecchio Redruth, si sarebbe
    mai arrischiato di mormorare.
    L'indomani mattina noi due a piedi ci recammo all'"Ammiraglio Benbow", dove io trovai
    mia madre in buona salute e allegra. Il capitano, causa di tanti dolori, si era trasferito là
    dove ai malvagi è tolta la possibilità di poter nuocere agli altri. Il cavaliere aveva fatto
    riparare ogni cosa, e ridipingere l'insegna e i locali destinati al pubblico; aggiungendovi
    alcuni mobili, tra cui splendeva una bella sedia a braccioli destinata a mia madre.
    Alla quale aveva anche procurato un ragazzo apprendista, in maniera che durante la
    mia assenza non sarebbe rimasta priva di aiuto.
    Fu guardando quel ragazzo, che per la prima volta io mi resi conto della mia
    situazione. Fino a quel momento io avevo soltanto pensato alle avventure cui andavo
    incontro; non alla casa che stavo per lasciare; ed ora, alla vista di quello sgraziato
    straniero che avrebbe preso il mio posto accanto a mia madre, fui preso dalla prima
    crisi di lacrime. Io temo di avergli fatto fare una vita da cane a quel ragazzo, poiché non
    essendo pratico dei lavori, mi offrì mille occasioni di rimproverarlo e umiliarlo, delle
    quali io non esitai ad approfittare.
    La notte passò, e l'indomani nel pomeriggio Redruth ed io ci rimettemmo in cammino.
    Io dissi addio a mia madre e alla baia dov'ero vissuto fin dalla lontana infanzia, e al
    caro vecchio "Ammiraglio Benbow", per quanto forse non più così caro dopo essere
    stato ridipinto. Uno dei miei ultimi pensieri fu per il capitano che tante volte avevo visto
    correre lungo la spiaggia col suo cappello a tricorno, la sua guancia sfregiata, e il suo
    vecchio cannocchiale di rame. Un minuto dopo avevamo girato l'angolo, e la mia casa
    era scomparsa.
    La diligenza ci raccolse verso sera al "Royal George", sulla landa. Io mi trovai
    incastrato fra Redruth ed un corpulento signore, e, malgrado gli scossoni della rapida
    corsa e la pungente aria notturna, cominciai fin dal principio a sonnecchiare e poi
    dormii sodo come un ceppo, per colline e per valli e di posta in posta; e quando infine
    un pugno nelle costole mi fece riscuotere e aprire gli occhi, mi accorsi che stavamo
    davanti a un vasto fabbricato, in una via di città, ed era giorno fatto.
    "Dove siamo?" chiesi.
    "A Bristol" rispose Tom. "Scendi giù." Il signor Trelawney aveva preso alloggio in un
    albergo situato in cima al porto per poter da vicino sorvegliare i lavori della goletta. Era
    quella la nostra mèta; e, con mio grande piacere, la strada correva lungo le banchine,
    costeggiando una folla innumerevole di bastimenti di ogni forma, attrezzatura e paese.
    Su l'uno i marinai cantavano intenti alla loro fatica; sull'altro si vedevano uomini lassù
    per aria sospesi a funi sottili all'occhio come fili di ragnatele. Quantunque io avessi
    vissuto tutti i miei giorni lungo la spiaggia, avevo l'impressione di accostarmi ora al
    mare per la prima volta. L'odore del catrame e della salsedine mi sembrava una novità.
    Vedevo sulle prue meravigliose polene che s'erano specchiate nei più lontani oceani; e
    vecchi marinai dagli anellini d'oro agli orecchi, dai baffi arricciati, dai codini incatramati,
    dalla goffa e pesante andatura; e ne ero contento non meno che se avessi assistito a
    una processione di re e di arcivescovi.
    Ed ora io pure avrei navigato: sopra una goletta, con un nostromo che avrebbe
    suonato il piffero; e marinai dal codino incatramato che avrebbero cantato: sul mare,
    verso un'isola sconosciuta, alla ricerca di tesori nascosti!
    Mentre mi andavo cullando in questo sogno, giungemmo a un tratto davanti a un
    grande albergo, ed incontrammo il cavalier Trelawney, vestito proprio come un ufficiale
    di marina, con un abito blu scuro. Egli usciva dall'albergo col volto sorridente, imitando
    alla perfezione l'andatura dondolante della gente di mare.
    "Oh" esclamò "eccovi qui! E il dottore è arrivato ieri sera da Londra. Bene! La brigata è
    al completo!" "Signore" dissi io "quando partiamo?" "Quando partiamo?" rispose.
    "Domani! Domani!



    (continua)

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    Capitolo 8

    All'insegna del "Cannocchiale"



    Dopo che ebbi fatta colazione, il cavaliere mi consegnò un biglietto indirizzato a John
    Silver, all'insegna del "Cannocchiale". Costeggiando la darsena, mi disse, e facendo
    bene attenzione, avrei facilmente trovato la piccola osteria, con, per insegna, un
    grande telescopio di rame. Io mi mossi, felice dell'occasione di vedere ancora e meglio
    bastimenti e marinai; e facendomi largo tra una moltitudine di gente e carri e balle di
    mercanzie, mentre il lavoro della banchina era nel suo massimo bollore, arrivai alla
    taverna.
    Era un chiaro piccolo luogo allegro; dall'insegna ridipinta di fresco, dalle finestre ornate
    di linde tende rosse, e dal pavimento accuratamente coperto di sabbia. Posto fra due
    strade, aveva una porta aperta su ciascun lato, il che dava abbastanza luce alla bassa
    e larga sala, malgrado delle nuvole di fumo di tabacco che l'ingombravano.
    Gli avventori erano in gran parte gente di mare: e parlavano così forte che io mi fermai
    sull'uscio, quasi timoroso di entrare.
    Mentre esitavo, un uomo uscì da una stanza laterale, e in un colpo d'occhio io mi
    convinsi che era lui, Long John. Aveva la gamba sinistra tagliata fin sotto l'anca, e sotto
    l'ascella sinistra portava una gruccia della quale si serviva con prodigiosa destrezza,
    saltellandovi sopra come un uccello. Era alto di corporatura e robusto, con una faccia
    larga come un prosciutto, scialba e volgare, ma rischiarata da un intelligente sorriso.
    Con irrequieta allegria fischiettava e si aggirava tra le tavole distribuendo motti o
    pacche sulle spalle dei suoi ospiti preferiti.
    A dire il vero, già dalla prima allusione a Long John Silver contenuta nella lettera del
    cavalier Trelawney, m'era entrato il dubbio che si trattasse del marinaio dalla gamba
    sola la cui apparizione avevo così a lungo spiata al vecchio "Ammiraglio Benbow". Ma
    una sola occhiata all'uomo che mi stava davanti mi era bastata. Avendo visto il
    Capitano, Can-Nero e il cieco Pew, credevo ormai di sapere un pirata cos'era, una
    figura ben diversa, a parer mio, da questo aperto e gioviale padrone di osteria.
    Io presi subito coraggio, varcai la soglia e mi diressi verso di lui che, appoggiato alla
    sua gruccia, stava discorrendo con un cliente.
    "E' lei il signor Silver?" dissi porgendo il biglietto.
    "Sì, piccolo mio" rispose "è proprio questo il mio nome. E tu chi sei?" Ma, vista la
    lettera del cavaliere, mi parve avesse come un sobbalzo.
    "Oh" disse poi ad alta voce e porgendomi la mano "capisco. Tu sei il nuovo mozzo;
    sono ben lieto di conoscerti." E strinse la mia mano con la sua larga e solida presa.
    In quel momento uno degli avventori in fondo alla sala si alzò di scatto, lanciandosi
    verso l'uscita, e poiché questa gli era vicino, in un batter d'occhio fu sulla strada. Ma la
    sua furia aveva attirato la mia attenzione, ed in un lampo riconobbi in lui l'uomo dal viso
    cereo, mancante di due dita, che per primo era apparso all'"Ammiraglio Benbow".
    "Oh" gridai "fermatelo! E' Can-Nero!" "Non m'importa un cavolo di saper chi sia"
    esclamò Silver. "Non ha pagato il conto. Harry, corri e acchiappalo." Uno di quelli che
    stavano vicino alla porta saltò in piedi e si diede a inseguirlo.
    "Fosse pure l'ammiraglio Hawke pagherà il suo conto" strillò Silver; e lasciando andar
    la mia mano: "Chi hai detto che è? Nero che cosa?" "Cane" dissi io. "Il cavalier
    Trelawney non vi ha parlato dei pirati? E' uno di loro!" "Ah sì? In casa mia! Ben, corri a
    dare una mano ad Harry. Uno di quei brutti arnesi era lui? Morgan, eri tu che stavi
    bevendo con lui? Vieni qua." Il nominato Morgan, un vecchio marinaio dai capelli grigi
    e dalla pelle color del mogano, si fece avanti, umile come una pecora, masticando la
    sua cicca.
    "Sicché, Morgan" interrogò Long John in tono molto severo "tu questo Can... questo
    Can-Nero non l'avevi visto mai prima d'ora, no?" "No, signore" rispose Morgan con un
    inchino.
    "Neppure di nome lo conoscevi, no?" "No, signore." "Per mille diavoli, Tom Morgan, è
    meglio per te!" esclamò l'oste.
    "Se avessi avuto che fare con un individuo simile, non avresti mai più messo piede in
    casa mia, puoi star sicuro. E che cosa ti stava dicendo?" "Non saprei precisamente,
    signore." "O che ci hai sulle spalle? Una testa, o una rapa?" gridò Long John. "Tu non
    sai precisamente, non sai! E magari non sapevi che parlavi a qualcuno, eh? Suvvia, di
    che stava cianciando? Viaggi, capitani, bastimenti? Sputa fuori! Cos'era?" "Stavamo
    parlando di lavori di carenaggio" rispose Morgan.
    "Di lavori di carenaggio? Un magnifico argomento non c'è che dire.
    Ritorna pure al tuo posto, bestione." E mentre Morgan s'allontanava, Silver mi
    aggiunse sottovoce, in tono confidenziale, che mi parve molto lusinghiero:
    "E' un onest'uomo, Tom Morgan, ma è stupido. E adesso" continuò ad alta voce
    "vediamo... Can-Nero... No, non conosco questo nome...
    Però, ho come un sospetto... ma sì che l'ho già visto, il mariuolo. Veniva di solito qui
    con un mendicante cieco." "Era lui, state pur sicuro" dissi io. "Io conobbi anche il cieco.
    Si chiamava Pew." "E' così" rincalzò Silver molto eccitato. "Pew! Era questo il suo
    nome, senza dubbio. Ah che muso di gaglioffo aveva! Se noi acciuffiamo questo Can-
    Nero sarà una bella notizia per il cavalier Trelawney. Ben è un buon corridore: sono
    assai pochi i marinai che gli stanno alla pari. Dovrebbe acchiapparlo, per Satanasso!
    Parlava di lavori di carenaggio, eh? Te lo carenerò io!" Mentre sbottava in queste frasi,
    arrancava su e giù per la taverna appoggiato alla sua gruccia, battendo con il palmo
    sui tavolini, e ostentando un calore tale che avrebbe persuaso un giudice istruttore o
    un poliziotto. I miei sospetti, risvegliati dall'aver trovato Can-Nero al "Cannocchiale",
    m'inducevano a osservare il cuoco attentamente. Ma egli era troppo profondo, troppo
    svelto e troppo scaltro per me, sicché quando quei due rientrarono trafelati
    confessando che nella folla avevano perduta la pista, ed erano stati scambiati per ladri
    e maltrattati, io mi sarei dato garante dell'innocenza di Long John Silver.
    "Vedi un po', Hawkins" diceva lui «vedi un po' quale spiacevole affare per un uomo
    come me! Il capitano Trelawney che cosa penserà? Ecco che io tengo in casa mia
    questo maledetto cane olandese, e gli do da bere il mio rum! Tu arrivi e mi spieghi ogni
    cosa, ed ecco che io gli lascio tutta la comodità di svignarsela sotto i miei occhi! Ma tu,
    Hawkins, mi giustificherai presso il capitano. Sei un ragazzo, ma sei una perla di
    ragazzo. Me ne sono accorto appena entrasti. Ebbene, dimmi tu che cosa potevo fare
    io strascicandomi su questa vecchia gruccia? Quando ero mastro marinaio di prima
    classe gli sarei corso dietro e l'avrei abbrancato con queste vecchie grinfie, l'avrei, ma
    ora..." D'un tratto s'interruppe, e rimase lì, a bocca aperta, come se si ricordasse di
    qualche cosa.
    "Il conto!" esplose. "Tre bicchieri di rum! Ma guarda, imbecille che sono, se dovevo
    dimenticare il mio conto!" E si lasciò cadere sopra una panca; e rideva, rideva fino a
    farsi venir le lacrime agli occhi. Io non potei fare a meno d'imitarlo; e ridevamo insieme,
    uno scroscio dopo l'altro, tanto che la taverna ne era intronata.
    "Ah, che famosa foca sono io!" disse infine asciugandosi le guance. "Noi due faremmo
    bene il paio, perché io pure meriterei il posto di mozzo. Ma adesso tieniti pronto a
    virare. Il dovere è dovere, camerata. Io mi metto il mio tricorno, e corro con te dal
    capitano Trelawney a riferirgli la storia. Perché, bada, ragazzo mio, è una cosa seria, e
    né tu né io ne usciamo in modo da farci onore. Neanche tu, ti dico, sei stato svelto; né
    l'uno né l'altro, siamo stati svelti. Ma, vivaddio, quella del conto è una bella burla." E
    daccapo ricominciò a ridere così di gusto che io, pur non apprezzando come lui la
    facezia, fui di nuovo costretto a prender parte alla sua ilarità.
    Durante la nostra breve passeggiata lungo la banchina m'interessò molto dandomi
    spiegazioni riguardo ai vari bastimenti che passavamo in rassegna, la loro attrezzatura,
    portata, nazionalità, e operazioni che si stavano eseguendo come uno scaricava, un
    altro imbarcava mercanzia, un terzo si preparava a salpare - aggiungendovi piccoli
    aneddoti di vita marinaresca o ripetendomi qualche espressione nautica per farmela
    bene entrare in mente, cosicché io cominciai a credere che in lui avrei avuto il più
    prezioso compagno di bordo.
    Giunti all'albergo, trovammo a un tavolo il cavaliere e il dottor Livesey che stavano
    finendo di bere un boccale di birra con pane abbrustolito, per poi recarsi a bordo della
    goletta per una visita d'ispezione.
    Long John raccontò la storia dal principio alla fine con molto brio e scrupolosa
    esattezza, rivolgendosi a me di tanto in tanto per dire: "E' stato così, non è vero,
    Hawkins?", al che io non potevo fare a meno di assentire.
    I due signori si rammaricarono che Can-Nero fosse riuscito a svignarsela; ma tutti
    quanti convenimmo che non c'era niente da fare; e Long John, dopo aver ricevuto i loro
    complimenti, prese la sua stampella e ci lasciò.
    "Tutti a bordo oggi alle quattro" gli gridò dietro il cavaliere.
    "Va bene, va bene" confermò il cuoco dal corridoio.
    "Cavaliere" disse il dottore "io non ho in generale eccessiva fiducia nelle vostre
    scoperte; ma tengo a dirvi che questo John Silver mi piace." "Vale tanto oro quanto
    pesa" dichiarò il cavaliere.
    "E ora" aggiunse il dottore "Jim può venire a bordo con noi, non è vero?" "Certamente"
    disse il cavaliere. "Prendi il tuo cappello, Hawkins, e andiamo a visitare il bastimento."




    (continua)

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    Capitolo 9

    Polvere e armi



    Poiché l'"Hispaniola" era ormeggiata alquanto fuori, ci toccò passare sotto la prua e la
    poppa di molti altri navigli, i cui cavi ora sfregavano la nostra chiglia ora ciondolavano
    sulla nostra testa. Alla fine peraltro accostammo e mettemmo piede a bordo, accolti e
    salutati dal secondo Arrow, un vecchio marinaio guercio, dalla faccia abbronzata, che
    portava anelli agli orecchi.
    Lui e il cavaliere pareva se la intendessero molto bene: io notai però immediatamente
    che le cose non andavano altrettanto lisce fra il signor Trelawney e il capitano.
    Quest'ultimo era un uomo dall'aria severa, che sembrava scontento di tutto ciò che lo
    circondava; e non tardò a dircene la ragione, poiché eravamo appena scesi in cabina,
    che un marinaio ci raggiunse.
    "Signore" annunciò costui "il capitano Smollett chiede di poterle parlare." "Sono a sua
    disposizione" rispose il cavaliere. "Fatelo entrare." Il capitano, che stava alle spalle del
    suo messaggero, entrò immediatamente e chiuse l'uscio dietro di sé.
    "Ebbene, capitano Smollett, cos'ha da dirmi? Tutto è in ordine, spero, e possiamo
    prendere il mare? ~ "Signor mio" rispose il capitano "è meglio parlar franco, io penso,
    sia pure a costo di dire cose sgradevoli. Non mi piace questa crociera, non mi piace
    l'equipaggio, e non mi piace il mio secondo. Non ho altro da aggiungere." "Forse che
    non le piace il bastimento?" interrogò il cavaliere, molto irritato, a quanto vidi.
    "Riguardo al bastimento non posso parlare finché non l'abbia messo alla prova" replicò
    il capitano. "A vederlo sembrerebbe una buona vela. Di più non posso dire." "E magari,
    signore, non le piacerà il suo armatore?" "Un momento! Un momento!" intervenne il
    dottor Livesey. "Lasciamo stare questioni che non servono che ad inasprirci. Il capitano
    ha detto troppo o troppo poco, ed io ho bisogno di una spiegazione.
    Lei, capitano, ha detto che non le piace questa crociera. Perché, sentiamo?" "Io sono
    stato ingaggiato in base al sistema così detto degli ordini suggellati, per portare questa
    nave dove questo signore mi ordinerà. Fin qui, d'accordo. Ma io trovo ora che non c'è
    nessuno a bassa prua che non ne sappia più di me. E questo a loro sembra bello,
    forse?" "No, che non è bello" disse il dottor Livesey.
    "Poi" continuò il capitano "vengo a sapere che andiamo alla ricerca di un tesoro, e lo
    vengo a sapere (notino bene) dal mio stesso equipaggio. Ora, andare alla ricerca di un
    tesoro è affare delicato. Per conto mio non amo viaggi simili, tanto meno poi li amo
    quando sono segreti, e quando il segreto, mi perdoni, signor Trelawney, è stato messo
    in bocca al pappagallo." "Il pappagallo di Silver?" chiese il cavaliere.
    "E' un modo di dire" spiegò il capitano. "Divulgato, intendo dire.
    Io ritengo che nessuno di lor signori sa che cosa l'aspetta: ma devo dire ciò che penso:
    si tratta di vita o di morte, ed è un gioco serrato." "Questo è chiaro, e direi anche
    abbastanza giusto" osservò il dottor Livesey. "Noi andiamo incontro al pericolo, ma non
    siamo così ignoranti come lei crede. Poi, lei dice che non le piace l'equipaggio. Non
    sono forse buoni marinai?" «Non mi piacciono, signor mio" ribadì il capitano. "E dal
    momento che ne parliamo, aggiungerò che la scelta dei miei marinai la si sarebbe
    dovuta riserbare a me." "Forse sì" replicò il dottore "il mio amico avrebbe forse dovuto
    consultarla: ma la mancanza, se mancanza vi fu, non nascondeva nessuna cattiva
    intenzione. E a lei non piace neppure il signor Arrow?" "Si mescola troppo con
    l'equipaggio, per essere un buon ufficiale.
    Un ufficiale dovrebbe starsene da sé, non mettersi a bere con la ciurma." "Vuol dire
    che si ubriaca?" esclamò il cavaliere.
    "No signore, ma soltanto che usa troppa familiarità." "Sta bene. E ora, la conclusione,
    capitano?" interpellò il dottore. "Sentiamo che cosa desidera." "Lor signori sono proprio
    decisi a partire?" "Decisissimi" rispose il cavaliere.
    "Bene" riprese il capitano. "Allora, poiché mi hanno così pazientemente ascoltato
    mentre dicevo cose che non ero in grado di provare, prego lor signori di lasciarmi
    aggiungere poche parole.
    Polvere e armi si stanno depositando a prua. Dal momento che sotto la loro cabina c'è
    spazio, perché non piuttosto laggiù? Primo punto. Poi, lei, cavaliere, ha portato con sé
    quattro della sua gente, e mi si dice che qualcuno di essi dovrebbe dormire a prua.
    Perché non dargli invece una cuccetta accanto alla cabina? Punto secondo..." "C'è
    altro ancora?" chiese il cavalier Trelawney.
    "Ancora uno" disse il capitano. "Si è già troppo blaterato." "Troppo davvero" convenne
    il dottore.
    "Ripeterò ciò che ho sentito io stesso" proseguì il capitano; "che loro hanno la carta di
    una isola; che ci sono sopra delle croci indicanti il posto del tesoro; e che la posizione
    dell'isola è..." e qui riferì latitudine e longitudine esatte.
    "Mai ho detto questo, io" gridò il cavaliere "ad anima viva!" "Eppure l'equipaggio lo sa"
    ribatté il capitano.
    "Non può essere stato che lei, Livesey, oppure Hawkins" proclamò il cavaliere..
    "Poco importa chi sia stato" replicò il dottore.
    Ed io m'accorsi che tanto lui quanto il capitano davano ben poco peso alle proteste del
    signor Trelawney.
    A dire il vero, neppure io gliene davo molto, tale sbracato chiacchierone egli era: ma in
    questo caso penso che realmente avesse ragione, e che nessuno avesse parlato della
    posizione dell'isola.
    "Ebbene, signori miei" continuò il capitano "io non so chi di voi custodisca questa carta:
    ma pongo come punto essenziale che essa sia tenuta segreta anche a me e al signor
    Arrow: senza di che mi vedrei costretto a dimettermi." "Capisco" osservò il dottore.
    «Noi dovremmo, secondo lei, preoccuparci dei pericoli della situazione, trasformando
    la poppa della nave in una fortezza, presidiandola coi servitori personali del mio amico,
    e munendola di tutte le armi e polveri che sono a bordo. In altri termini, ella teme un
    ammutinamento." "Signore" disse il capitano Smollett, "senza volerla offendere le
    contesto il diritto di mettermi parole in bocca. Un capitano, signor mio, che prendesse il
    mare avendo sufficiente motivo di pronunciare quelle parole, non meriterebbe nessuna
    scusa. Quanto al signor Arrow lo ritengo sostanzialmente onesto; lo stesso potrei dire
    d'una parte degli uomini, o magari, che so io, di tutti. Ma io sono responsabile della
    sicurezza della nave e della vita di quanti sono a bordo. Ho l'impressione che le cose
    non vadano del tutto bene, e la prego di prendere alcune precauzioni, o di lasciarmi
    rassegnare il mio mandato. Questo è tutto." "Capitano Smollett" riprese il dottore con
    un sorriso "ha mai sentito la favola della montagna e del topo? Mi perdoni, ma lei me la
    fa ricordare. Quando entrò qui, scommetto la mia parrucca che voleva dirci qualcosa
    più di ciò." "Dottore" soggiunse il capitano, "lei ha la vista acuta. Mentre venivo qui, mi
    aspettavo di essere congedato. Non pensavo che il cavalier Trelawney mi avrebbe
    lasciato pronunciare più di una parola." "Non desidero sentire altro" gridò il cavaliere.
    "Non fosse stato qui il dottor Livesey, l'avrei mandato al diavolo. Comunque, ormai ho
    ascoltato. Farò ciò che desidera, ma ho di lei un pessimo concetto." "Come a lei piace,
    signore" disse il capitano. "Vedrà che so fare il mio dovere." E con queste parole si
    congedò.
    "Trelawney" osservò il dottore "contrariamente a tutte le mie idee, io penso che lei è
    riuscito a tirarsi a bordo due persone oneste: quell'uomo e John Silver." "Silver sì, se
    così le pare" esclamò il cavaliere "ma quanto a quell'insopportabile ciarlatano, trovo la
    sua condotta indegna d'un uomo, d'un marinaio, e più ancora d'un inglese." "Bene"
    concluse il dottore "vedremo." Quando venimmo sul ponte, gli uomini, sorvegliati dal
    capitano e dal secondo Arrow, avevano già cominciato a trasportare armi e polveri
    ritmando su voci in cadenza la loro fatica.
    La nuova sistemazione era completamente di mio gusto. L'intera goletta era stata
    messa sottosopra; sei cabine erano state preparate nell'ultima parte poppiera della
    stiva, e questa serie di cuccette comunicava col castello di prua soltanto attraverso uno
    stretto passaggio a babordo. In un primo momento si era stabilito che il capitano,
    Arrow, Hunter, Joyce, il dottore e il cavaliere avrebbero occupato queste sei cabine.
    Ora invece, due erano state destinate a me e a Redruth; e Arrow e il capitano
    avrebbero dormito sul ponte, nella copertura della scala che era stata allargata in modo
    da meritare quasi il nome di casseretto.
    Naturalmente rimaneva sempre bassa di soffitto; tuttavia c'era spazio per appendervi
    due amache, e lo stesso Arrow sembrava soddisfatto di tale soluzione. Anche lui,
    forse, dubitava dell'equipaggio: ma questa è una semplice congettura, poiché, come il
    lettore vedrà, non ci fu dato di giovarci a lungo dei suoi pareri.
    Lavoravamo con ardore intorno alle munizioni e alle cuccette, quando uno o due
    ritardatari accompagnati da Long John giunsero in un canotto.
    Il cuoco scavalcò la murata con la lestezza d'una scimmia, e visto ciò che stavamo
    facendo, gridò:
    "Ohé, camerati, che è questo?" "Stiamo cambiando posto alle polveri" rispose uno di
    loro.
    "Per mille diavoli, se facciamo questo perderemo la marea del mattino." "Miei ordini"
    tagliò corto il capitano. "Potete andare sotto, amico mio. L'equipaggio avrà bisogno di
    cenare." "Sta bene, signore, sta bene" rispose il cuoco; e toccandosi il suo ciuffo di
    capelli, sparì in direzione della cucina.
    "Ecco un brav'uomo, capitano" disse il dottore.
    "Sì, lo si direbbe" replicò il capitano Smollett. "Adagio con quello, ragazzi, adagio"
    proseguì rivolto agli uomini che maneggiavano la polvere; e subito dopo, accortosi di
    me che stavo osservando il cannone collocato a metà della nave, un pezzo in bronzo
    da nove: "O tu, mozzo" gridò "via di lì. Corri dal cuoco, che ti dia qualcosa da fare." Poi,
    mentre io mi dileguavo, sentii che diceva forte al dottore:
    "Non voglio dei privilegiati a bordo, io." Inutile dire che io condividevo in pieno il modo
    di vedere del cavaliere, e detestavo profondamente il capitano.



    (continua)

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    00 17/01/2009 15:26

    Capitolo 10

    Il viaggio



    Tutta quella notte ci fu un grande trambusto a bordo per stivare a dovere ogni cosa e
    ricevere canotti pieni di amici del cavaliere, tra cui il signor Blandly, che venivano per
    augurare buona traversata e felice ritorno. Non ebbi mai all'"Ammiraglio Benbow" una
    notte dove faticassi la metà di tanto; sicché, quando poco prima dell'alba il nostromo
    soffiò nel suo fischietto e la ciurma s'affrettò alle barre dell'àrgano, io ero stanco come
    una bestia da soma. Ma, anche due volte più stanco, non avrei abbandonato il ponte:
    ogni cosa mi era così nuova e curiosa: i rapidi comandi, il suono acuto del fischietto, le
    ombre degli uomini che correvano ai loro posti nella debole luce dei fanali di bordo.
    "Su, Porco Arrostito" gridò uno "dacci un ritornello." "Quello d'una volta" gridò un altro.
    "Sì, compagni, sì" rispose Long John, che stava lì vicino con la sua gruccia sotto
    l'ascella; e senz'altro intonò la canzone a me ben nota.
    "Quindici sulla cassa del morto..." E l'intero equipaggio riprese in coro:
    "Yo, hò-hò, e una bottiglia di rum!" Al terzo hò! concordi fecero forza sulle barre
    dell'àrgano.
    Per quanto interessante fosse quella scena, io improvvisamente fui riportato al vecchio
    "Ammiraglio Benbow" e mi sembrò di distinguere nel coro la voce del capitano. Ma
    presto l'ancora emerse e penzolò gocciolante dalla gru; presto le vele incominciarono a
    portare; e la terra e le navi a fuggire da una banda e dall'altra; e prima che io fossi
    sceso giù a schiacciare un sonnellino, già l'"Hispaniola" si era incamminata verso
    l'Isola del Tesoro.
    Non è mia intenzione raccontare i particolari del viaggio. Esso fu quanto mai prospero.
    L'"Hispaniola" si rivelò un ottimo legno; l'equipaggio una accolta di validi marinai, e il
    capitano all'altezza del suo compito. Ma prima che coprissimo tutte quelle miglia
    alcune cose accaddero che meritano d'essere conosciute.
    Anzitutto il signor Arrow si rivelò peggiore ancora che non temesse il capitano. Non
    aveva nessuna autorità sulla ciurma. I suoi uomini facevano allegramente il comodo
    loro. Né era questo il più grosso guaio, poiché dopo alcuni giorni di navigazione
    incominciò a comparire in coperta con certi occhi torbidi, le guance infuocate, la parola
    ingarbugliata, ed altri sintomi di ubriachezza. A più riprese fu messo agli arresti. A volte
    cadeva facendosi male, altre rimaneva tutto il giorno disteso nella sua cuccetta; altre
    ancora, smaltita la sbornia, faceva per un giorno o due il suo dovere in maniera
    passabile.
    Frattanto non riuscivamo a scoprire da dove egli traesse la bevanda. Era un mistero
    per tutti. Né la nostra sorveglianza, per quanto attenta, bastava a risolverlo. E se ne
    chiedevamo a lui, ci rideva sul muso quand'era ubriaco; e quando era in sé giurava
    solennemente di non aver visto mai altro che acqua.
    Non soltanto era un cattivo ufficiale, e guastava gli altri con l'esempio, ma continuando
    di questo passo correva diritto alla morte, sicché nessuno a bordo fu troppo sorpreso o
    addolorato quando una brutta notte con mare grosso egli scomparve e non se ne
    seppe altro.
    E' andato!" gridò il capitano. "E cosi, eccoci liberati dalla fatica di metterlo ai ferri." Ma
    intanto eravamo privi di un ufficiale, e bisognò, naturalmente, promuovere uno
    dell'equipaggio. Job Anderson, il nostromo, era il più indicato. Costui, pur conservando
    il suo vecchio titolo, assunse le funzioni di secondo. Il signor Trelawney aveva
    navigato, e la sua esperienza ci giovava non poco, poiché egli stesso con tempo
    tranquillo stava spesso di guardia. E il quartiermastro, Israel Hands, era un vecchio e
    pratico uomo di mare, prudente e astuto, del quale, in caso di necessità, ci si poteva
    fidare.
    Egli era l'amico del cuore di Long John Silver, e poiché mi accade di nominarlo, parlerò
    del nostro cuoco di bordo: Porco-Arrostito, come lo chiamavano i marinai.
    A bordo, per aver le mani libere il più possibile, egli portava la sua gruccia sospesa a
    una coreggia che gli girava intorno al collo, ed era curioso vederlo puntare contro una
    paratia il piede della gruccia, e appoggiato lì sopra, assecondando le ondulazioni della
    nave, continuare a curare la sua cucina tranquillo come se fosse a terra. Anche più
    curioso era, nel pieno della burrasca, vederlo attraversare il ponte. Per aiutarlo nei
    posti più larghi, erano state tese alcune cordicelle (dette gli orecchini di Long John), ed
    egli si spostava da un punto all'altro, ora servendosi della gruccia, ora trascinandosela
    dietro per la coreggia, con la sveltezza di un uomo sano. Nondimeno, quelli tra i
    marinai che prima avevano navigato con lui, vedendolo così ridotto lo compiangevano.
    "Porco-Arrostito non è un uomo qualunque" mi diceva il quartiermastro. "Da ragazzo ha
    fatto i suoi studi, e parla come un libro, quando ne ha voglia; e bravo poi! un leone è
    nulla, al paragone di Long John! Io l'ho visto alle prese con quattro, e fracassar loro la
    testa, una testa contro l'altra, lui disarmato!" L'equipaggio intero lo rispettava egli
    obbediva. Con ciascuno di loro aveva una speciale maniera di parlare e rendere
    servigi. A me non si stancava di prodigar cortesie; e era contento di vedermi nella
    cucina, che teneva pulita come uno specchio, coi piatti rilucenti appesi al muro, e, in un
    angolo, dentro una gabbia, il suo pappagallo.
    "Vieni qua, Hawkins" diceva "a fare una chiacchierata con John.
    Nessuno è più benvenuto di te, piccolo mio. Siedi, e ascolta le novità. Ecco qui il
    capitano Flint: chiamo così il mio pappagallo in memoria del famoso filibustiere, ecco
    qui il capitano Flint che predice buona fortuna al nostro viaggio. Non è vero, capitano?"
    E il pappagallo a gridare a perdifiato: "Pezzi da otto! Pezzi da otto!" finché John non gli
    gettava il fazzoletto sopra la gabbia.
    "Vedi, quest'uccello" egli diceva, "può avere i suoi duecent'anni, mio caro Hawkins, i
    pappagalli vivono magari di più, e se c'è uno che abbia visto più scelleratezze di lui,
    non può essere che il diavolo. Lui ha navigato con England, il grande capitano
    England, il pirata. Lui è stato nel Madagascar, nel Malabar, a Surinam, a Providence, e
    a Porto Bello; lui ha visto ripescare le navi della Plata, ed è là che imparò "Pezzi da
    otto": e non deve meravigliarti: trecento e cinquanta mila, ce n'erano, Hawkins! E si è
    trovato all'abbordaggio del 'Viceré delle Indie', al largo di Goa. E a vederlo, lo diresti un
    bambino! Ma tu hai sentito l'odore della polvere, non è vero, capitano?" "Attenti! Pronti
    a virare!" strillò il pappagallo.
    "Ah, è un cervello fino, questo qui!" diceva il cuoco, porgendogli zucchero tratto dalla
    tasca, mentre l'uccello picchiava col becco sulla gabbia e snocciolava una sfilza di
    bestemmie infernali.
    "Così è, ragazzo mio" seguitava John. "Chi va al mulino s'infarina. Così questo mio
    povero vecchio innocente uccello, che vomita fuoco, e non troveresti, te l'assicuro, una
    creatura più savia di lui. Bestemmierebbe, tanto per dire, alla stessa maniera davanti al
    cappellano." E John si toccava la fronte con tale gravità e compunzione che lo si
    sarebbe creduto un sant'uomo.
    Frattanto il cavaliere e il capitano Smollett seguitavano a guardarsi in cagnesco. Il
    cavaliere non dissimulava il suo disprezzo per il capitano; il capitano dal canto suo non
    parlava se non interrogato; e la risposta era tagliente, e secca e breve e non una
    sillaba di più. Egli riconosceva, una volta messo alle strette, di essersi sbagliato
    riguardo all'equipaggio; che alcuni di loro erano svelti da non poter desiderare di
    meglio; e tutti quanti si erano comportati egregiamente. Quanto al bastimento, lo
    amava alla follia.
    "Naviga più stretto al vento di come un uomo non potrebbe esigere dalla sua stessa
    moglie, signore. Però," soggiungeva "tutto ciò che posso dire è che ancora non siamo
    ritornati, e questa crociera non mi piace." Il cavaliere a questo punto voltava le spalle, e
    andava su e giù per il ponte col mento in aria.
    "Se quest'uomo non la smette" mormorava tra i denti "è la volta che scoppio." Avemmo
    un po' di cattivo tempo, il che diede modo all'"Hispaniola" di meglio provare le sue
    qualità. Tutti a bordo si mostravano arcicontenti: né poteva essere altrimenti, poiché io
    credo che mai equipaggio fu così viziato da quando Noè prese il mare. Il minimo
    pretesto era buono per distribuire il doppio "grog"; si serviva la torta in giorni fuori dai
    festivi; come, per esempio, se il cavaliere apprendeva che ricorresse il compleanno di
    qualcuno; oltre a ciò, c'era continuamente in coperta un barile di mele, aperto nel
    mezzo, a disposizione di chi ne avesse voglia.
    "Sistemi che mai resero un'oncia di bene" diceva il capitano al dottor Livesey.
    "Accarezzate i marinai, e ne farete dei diavoli.
    Questa è la mia convinzione." Ma bene ci venne dal barile di mele, come sentirete;
    poiché senza di quello noi saremmo rimasti completamente all'oscuro e tutti morti per
    tradimento.
    Ed ecco come avvenne il fatto.
    Eravamo entrati nella zona degli alisei per prendere il vento dell'isola che dovevamo
    raggiungere (non mi è concesso di spiegarmi meglio) e correvamo verso di essa
    facendo buona guardia giorno e notte. Era all'incirca l'ultimo giorno del nostro viaggio
    di andata, volendo fare il computo più largo; durante la notte, od al più tardi l'indomani
    mattina, avremmo dovuto avvistare l'Isola del Tesoro. Navigavamo con la prua a Sud-
    Sud-Ovest con una brezza costante di traverso e mare spianato. L'"Hispaniola" rullava
    regolarmente, abbassando di tanto in tanto il bompresso con una sbuffata di spruzzi.
    Tutte quante le vele, in alto e in basso, portavano; e poiché la fine della prima parte
    della nostra spedizione era così vicina, eravamo tutti di ottimo umore.
    Era appena tramontato il sole ed io, smesso di lavorare, mi dirigevo verso la mia
    cuccetta, quando mi prese voglia d'una mela.
    Corsi in coperta. I marinai tutti a prua spiavano l'apparire dell'isola. Il timoniere stava
    attento alle vele e intanto fischiettava dolcemente. A parte il fruscìo dell'acqua contro il
    tagliamare e i fianchi della nave, era questo l'unico suono che si udisse.
    Con tutto il corpo entrai nel barile, e trovai che mele non ve n'era quasi più; ma stando
    lì dentro al buio, cullato dal rullìo della barca e dal mormorìo dell'acqua, mi sarei presto
    addormentato se qualcuno dalla pesante corporatura non fosse venuto a sedersi
    rumorosamente lì contro. Il barile ebbe una scossa mentr'egli vi urtò con le spalle, ed io
    stavo per saltar fuori, quando costui incominciò a parlare. Era la voce di Silver; e mi
    bastò udire dieci parole, che per tutto l'oro del mondo non sarei più uscito; e rimasi lì,
    tutto tremante, in ascolto, preso tra curiosità e spavento; poiché da quelle poche parole
    avevo capito che la vita di tutti i galantuomini a bordo dipendeva unicamente da me.




    (continua)


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    00 20/01/2009 17:32

    Capitolo 11

    Ciò che udii nel barile delle mele



    "No, non io" diceva Silver "era Flint il capitano; io ero quartiermastro, a causa della mia
    gamba di legno. Io perdetti la mia gamba nella stessa bordata dove il vecchio Pew
    lasciò la vista. Era un dottore in chirurgia quello che mi amputò la gamba, uscito
    dall'Università con tutti i diplomi, latino fin che ne vuoi e non so che altro, ma fu
    impiccato come un cane, e seccò al sole con gli altri a Corso Castle. Erano uomini di
    Roberts, quelli là; e tutta la loro` disgrazia derivò dall'aver cambiato i nomi delle loro
    navi: "Royal", "Fortune", e così via. Ora, quando un bastimento è battezzato con un
    nome, questo nome non si deve toccare, io dico. Così fu con la "Cassandra" che ci
    trasportò sani e salvi dal Malabar, dopo che England ebbe catturato il "Viceré delle
    Indie"; così fu col vecchio "Walrus", la nave di Flint, che io vidi allagata di sangue e
    carica d'oro che a momenti affondava." "Ah," gridò un'altra voce, quella del più giovane
    marinaio, in uno scatto di ammirazione "era la perla della brigata, Flint!" "Anche Davis
    era un uomo, sotto tutti i punti di vista" riprese Silver. "Ma io non ho mai navigato con
    lui: prima con England, poi con Flint; questo è tutto; e ora qui, per conto mio, per modo
    di dire. Io misi da parte novecento sterline al tempo di England, e duemila dopo Flint.
    Non c'è mica male per un uomo di prua, e tutto in banca, al sicuro. Guadagnare non è
    niente; ciò che conta è mettere da parte: credete a me. Cosa ne è degli uomini di
    England, ora? Io non lo so. E di quelli di Flint? Eh, la maggior parte sono qui a bordo,
    contenti di pizzicar la torta, mentre ieri andavano mendicando, alcuni di loro. Il vecchio
    Pew, persa la vista, non ebbe vergogna di scialacquare milleduecento sterline in un
    anno, come un lord del Parlamento. Dov'è ora? Ebbene, ora è morto e sotto coperta;
    ma nei suoi due ultimi anni il poveraccio crepava di fame. Mendicava, rubava,
    sgozzava, e con tutto ciò crepava di fame, per mille diavoli!" "Ebbene, dopo tutto non
    importava" osservò il giovane.
    "Non importa per gli imbecilli, puoi star sicuro; né per questo, né per nient'altro" gridò
    Silver. "Ma tu, senti un po': tu sei giovane, è vero, ma sei una perla d'uomo. Me ne
    accorsi appena ti misi gli occhi addosso, e voglio parlarti come si parla a un uomo." Vi
    lascio immaginare ciò che provai sentendo quell'abominevole briccone rivolgersi a un
    altro con le medesime parole lusingatrici che già aveva adoperate con me. Credo che
    se fosse dipeso da me, l'avrei ucciso attraverso il barile. E intanto continuava, lontano
    dal supporre che c'era chi l'ascoltava.
    "Così è per tutti i cavalieri di ventura. Essi vivono duramente, e rischiano la corda, però
    mangiano e bevono come pascià, e quando una crociera è finita, olà, sono centinaia di
    sterline e non di soldi, che gli entrano in tasca. Il guaio è che la maggior parte se ne va
    in rum e sciali, e tornano in mare con la sola camicia.
    Ma questo non è il mio sistema. Io metto tutto da parte: un po' qui, un po' là; e mai
    troppo in un posto solo, a scanso di sospetti. Io ho cinquant'anni, tienilo a mente; finita
    questa crociera mi metto a fare il signore sul serio. Mi dirai che era tempo. Sì, ma
    intanto io ho vissuto comodamente; mai nulla di ciò che mi piaceva mi sono lasciato
    mancare, e ho dormito sul soffice, e tutto il tempo ho mangiato da ghiotto, eccetto che
    in mare. E come ho cominciato? Da prua, come te." "Va bene" replicò il giovane "ma
    tutto il denaro che avete da parte ora è perduto, no? Dopo questo colpo non oserete
    mica farvi più vedere a Bristol." "O dove diavolo immagini che sia?" chiese Silver
    ironico.
    "A Bristol, nelle banche o altri posti" rispose il compagno.
    "C'era sì" disse il cuoco "c'era ancora quando salpammo l'àncora.
    Ma a quest'ora è tutto nelle mani della mia vecchia governante. Il 'Cannocchiale' è
    venduto: affitto, avviamento, mobilia; e la vecchia ragazza è partita per aspettarmi. Ti
    direi dove, perché di te mi fido; ma non voglio suscitare gelosie tra i compagni." "E voi
    vi fidate della vostra governante?" chiese l'altro.
    "I cavalieri di ventura" rispose il cuoco "generalmente si fidano poco gli uni degli altri, e
    hanno ragione, credilo pure. Ma io ho il mio metodo, io. Quando un camerata mi gioca
    un tiro, uno che mi conosce, intendo dire, significa che non gli piace troppo restare al
    mondo insieme col vecchio John. C'era chi aveva paura di Pew, e chi di Flint; ma lo
    stesso Flint aveva paura di me. Paura, aveva, malgrado la sua arroganza. E la ciurma
    di Flint era la più rude canaglia che tenesse i mari; lo stesso diavolo avrebbe avuto
    paura di navigare con loro. Ebbene, ti dico, io non sono un millantatore, e tu stesso hai
    visto come sono buon compagnone; ma quando navigavo da quartiermastro, 'agnelli'
    non era un nome adatto ai vecchi filibustieri di Flint. Ah, tu puoi esser sicuro del fatto
    tuo, sul bastimento del vecchio John." "Ebbene, voglio dire" replicò il giovane "che fino
    a un momento fa l'affare non mi garbava, ma ora che vi ho sentito parlare, sono con
    voi." "Sei un bravo e sveglio ragazzo, tu" rispose Silver, dandogli una così forte stretta
    di mano che il barile ne fu scosso. "Mai ho visto persona meglio indicata per farne un
    cavaliere di ventura." Io cominciavo ad afferrare il senso dei loro termini. "Cavaliere di
    ventura" significava semplicemente e né più né meno che un volgare pirata, e la breve
    scena da me sorpresa suggellava la corruzione di uno dei marinai rimasti onesti, forse
    dell'ultimo che ancora fosse a bordo. Ma su queste cose fui presto messo al corrente,
    poiché Silver lanciò un piccolo fischio, ed un terzo uomo sopraggiunse e sedette
    accanto agli altri due.
    "Dick è dei nostri" disse Silver.
    "Oh lo sapevo bene che Dick sarebbe stato dei nostri" ribatté la voce del
    quartiermastro Israel Hands. "Non è uno stupido, Dick." E masticò la sua cicca e sputò.
    "Ma senti un po', Porco-Arrostito, si può sapere quanto tempo resteremo qui a
    ciondolare come una chiatta? Ne ho abbastanza del capitano Smollett, io; mi ha rotto
    abbastanza le scatole, corpo di mille bombe! Voglio andare in quella cabina, io. Voglio i
    loro cetrioli, i loro vini, e il resto." "Israel," proruppe Silver "la tua testa non ha molto
    giudizio, e non ne ha mai avuto. Però tu sei capace d'ascoltare, io penso:
    almeno, le orecchie le hai abbastanza lunghe. Ora, ecco ciò che ti dico: tu dormirai a
    prua, vivrai malamente, parlerai piano e non ti ubriacherai finché io non darò il segnale:
    così sarà, ragazzo mio, te l'assicuro io." "E ho forse detto il contrario io?" borbottò il
    quartiermastro.
    "Io chiedo soltanto: quando? Io non dico che questo." "Quando? Per mille diavoli!"
    scattò Silver. "Ebbene, se vuoi saperlo, te lo dirò. Più tardi che mi sarà possibile: ecco
    quando.
    Abbiamo qui un marinaio di prim'ordine, il capitano Smollett, che ci conduce. C'è il
    cavaliere e il dottore che hanno in mano una carta e non so che altro. Questa carta io
    non so dove sia. Né tu lo sai meglio di me. Allora, dunque, io desidero che il cavaliere
    e il dottore trovino la "mercanzia", e ci aiutino a imbarcarla, per tutti i diavoli. Dopo di
    che, vedremo. Se io fossi sicuro di tutti voi, doppi figli di olandesi, aspetterei a fare il
    colpo quando il capitano Smollett ci avesse riportato indietro fino a metà cammino."
    "Ebbene, a me pare che siamo tutti quanti bravi marinai, qui" osservò il giovane Dìck.
    "Vuoi dire che siamo tutti uomini di prua" insorse Silver. "Noi possiamo sì seguire una
    rotta, ma chi è che ce la dà? E' lì dove vi arenereste tutti dal primo all'ultimo, voi
    cavalieri di ventura. Potessi fare a modo mio, aspetterei che il capitano Smollett ci
    riportasse almeno fin negli alisei; allora niente più maledetti sbagli di calcoli, né acqua
    a razione d'una cucchiaiata al giorno. Ma io vi conosco bene voi! Mi sbarazzerò di loro
    nell'isola, appena che la "mercanzia" sarà a bordo, ed è un peccato. Ma voi non siete
    contenti finché non siete ubriachi.
    Maledizione! Sono nauseato di dover a navigare con gente simile!" "Piano! Piano!"
    protestò Israel. "E chi ti ha contraddetto?" "Eh, pensate un po' quanti grandi bastimenti
    ho visto ammarinati, io. E quanti diavoli di ragazzi seccare al sole sul Dock della
    Forca," gridò Silver "e tutto per questa sciagurata smania di fare in fretta, fare in fretta,
    fare in fretta. Capite? Qualcosa in mare posso dire d'aver visto, io. Se voi seguiste
    semplicemente la vostra rotta tenendovi stretti al vento, potreste passeggiare in
    carrozza, voi. Ma voi, no! Oh, vi conosco bene. Domani avrete la vostra boccata di
    rum, e andate a farvi impiccare." "Che tu parli come un predicatore, lo si sa, John; però
    ci furono pure altri capaci di manovrare e governare non meno bene di te" ribatté
    Israel. "Ma loro ammettevano lo scherzo, loro. Non erano affatto così superbi e
    intrattabili; e si prendevano le loro punzecchiature da allegri compagnoni tutti quanti."
    "Ah sì?" riprese Silver. "E dove sono ora? Pew, che era di quella razza, finì
    mendicante. Flint, lo stesso, e morì bruciato dal rum a Savannah. Oh, erano una
    graziosa brigata, erano. Soltanto, mi sapete dire dove sono?" "Ma" interruppe Dick
    "quando avremo quei signori nelle mani, che ne faremo?" "Ecco un uomo che mi va!"
    gridò il cuoco ammirato. "Questo si chiama aver senso pratico. Ebbene, che
    pensereste voi?
    Abbandonarli a terra? Sarebbe il metodo di England. O tagliarli a pezzi come carne di
    porco? Così avrebbe fatto Flint o Billy Bones." "Billy era uomo da far questo" disse
    Israel. "'Uomo morto non morde,' era solito dire. Be', lui stesso è morto, ora; e conosce
    il poco e il molto, ora; e se mai rude marinaio entrò in porto, fu Billy." "Giusto" appoggiò
    Silver «rude e pronto, era. Ma badate: io sono un uomo alla mano, un vero gentiluomo,
    nevvero? però stavolta la cosa è seria. Il dovere è dovere, amici miei. Io sono per la
    morte. Quando sarò al Parlamento, e mi farò scarrozzare nel mio cocchio, non vorrei
    che qualcuno di questi "avvocati di mare" della cabina ritornasse in paese
    improvvisamente come il diavolo alla preghiera. Aspettare, dico io: ma quando il
    momento arriva, colpire!
    "John," gridò il quartiermastro "tu sei un uomo!" "Lo dirai quando avrai visto. Io per me
    non domando che una cosa:
    Trelawney. Con queste mani gli sviterò la sua testa di vitello...
    Dick!" aggiunse poi interrompendosi "alzati, da bravo, e prendimi una mela, che possa
    inumidirmi la gola." Potete immaginare il mio terrore. Sarei balzato fuori e scappato via
    se ne avessi trovato la forza: ma cuore e muscoli mi mancarono. Sentii Dick muoversi:
    ma qualcuno parve trattenerlo. E la voce di Hands esclamò:
    "Lascia stare, John, quella roba che puzza di sentina. Beviamo piuttosto un sorso di
    rum." "Dick" acconsentì Silver "io mi fido di te. C'è una misura sul barilotto, fai
    attenzione. Eccoti la chiave: tu riempi una mezzetta e la porti su." "Così" pensavo tra
    me stretto dal terrore "Arrow doveva essersi procurati i liquori che l'avevano ucciso."
    Mentre Dick era via, Israel sussurrò qualcosa all'orecchio del cuoco. Non furono che
    poche parole, tra le quali però io colsi un'importante frase: "Nessun altro sarà con noi".
    Avevamo dunque ancora degli uomini fedeli, a bordo.
    Ritornato Dick, essi bevvero uno dopo l'altro, passandosi la mezzetta. Uno augurò:
    "Alla nostra buona fortuna!". L'altro: "Al vecchio Flint!".
    E Silver, come cantando:
    "Beviamo a noi, e teniamoci al vento. Torta, e bottino d'oro e d'argento!" In quel
    momento una piccola luce entrò nel barile, e alzando gli occhi io vidi che la luna si era
    levata e stava inargentando la cima dell'albero di mezzana e illuminando il biancore
    della vela prodiera. Quasi nello stesso istante la voce della vedetta gridò: "Terra!"



    (continua)

    _________Aurora Ageno___________
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    00 20/01/2009 17:34

    Capitolo 12

    Consiglio di guerra


    Rapidi passi sul ponte: gente uscita a precipizio dalla cabina e dal castello di prua.
    Sgusciato all'istante fuori del barile, io m'insinuai dietro la vela di trinchetto, e dopo un
    giro a poppa sboccai sul ponte, giusto in tempo per raggiungervi Hunter ed il dottor
    Livesey che correvano verso la gru di sopravvento.
    L'intero equipaggio era già lì radunato. Una zona di nebbia si era alzata quasi insieme
    con la luna. Laggiù a sud est scorgevamo due basse montagne distanti circa un paio di
    miglia; e, dietro una di esse una terza più alta, la cui cima era ancora avviluppata dalla
    nebbia. Tutte e tre sembravano aguzze e di forma conica.
    Io vidi ciò come in sogno, poiché ancora non m'ero riavuto dalla tremenda emozione di
    poco prima. Sentii poi la voce del capitano Smollett che dava ordini. L'"Hispaniola" fu
    orientata per due quarte più al vento, e ora seguiva una rotta che le avrebbe permesso
    di accostare l'isola da levante.
    "E adesso, ragazzi" disse il capitano quando le vele furono piegate "c'e qualcuno tra
    voi che abbia mai visto quella terra?" "Io, signore" rispose Silver. "Feci acqua lì una
    volta con un bastimento mercantile su cui ero cuoco." "L'ancoraggio è al sud,
    suppongo, dietro un isolotto?" chiese il capitano.
    "Sissignore: è detto l'isolotto dello Scheletro. Un tempo l'isola stessa era un rifugio di
    pirati, e un marinaio che avevamo a bordo conosceva i nomi di tutte le località Quella
    punta a nord la chiamavano l'Albero di Trinchetto. Ci sono tre punte allineate da nord a
    sud, signore: Trinchetto, Maestra, Mezzana. Ma la Maestra, la più grande cioè, con la
    nuvola sopra, di solito la chiamavano "Il Cannocchiale" perché ci mettevano una
    vedetta quando stavano all'ancoraggio in riparazione, poiché è là che riparavano le
    loro navi, signore, con licenza." "Ho qui una carta" disse il capitano Smollett. "Guardate
    se è questa la località." Le pupille di John lampeggiarono nel prendere in mano la
    carta, ma io gettando un'occhiata su essa compresi quale delusione l'aspettava. Quella
    non era la carta che noi avevamo trovato nel baule di Billy Bones, bensì una copia
    accurata contenente tutti i particolari, nomi, altezza dei fondali, eccettuate soltanto le
    crocette rosse e le postille. Per quanto acuto fosse la sua delusione, Silver ebbe la
    forza di mascherarla.
    "Sì, signore, questo è il posto, non c'è dubbio, e molto ben disegnato. O chi mai può
    aver fatto questo?, mi domando io. I pirati erano troppo ignoranti, penso. Ecco qui:
    'Ancoraggio Capitano Kidd': così appunto lo chiamava il mio camerata. C'è una forte
    corrente che segue la costa sud, e poi risale verso il nord per la costa ovest. Avete ben
    fatto, signore, a tenervi al vento dell'isola. Almeno, se è vostra intenzione di prender
    terra e carenare, nessun posto migliore esiste in queste acque." "Grazie" disse il
    capitano Smollett. "Vi chiamerò più tardi per darci una mano. Potete andare." Io ero
    stupito dell'impassibilità con cui John rivelava la sua conoscenza dell'isola, e non
    senza apprensione lo vidi avvicinarmisi. Egli certo ignorava che io dal fondo del barile
    avevo sorpreso la loro congrega; ma da quel momento un tale orrore m'aveva preso
    della sua crudeltà, doppiezza e potenza, che a stento riuscii a reprimere un brivido
    mentre egli mi posava la mano sul braccio.
    "Ah," disse "è un bel posto, quest'isola: delizioso per un ragazzo che voglia scendere a
    terra. Tu ti bagnerai, ti arrampicherai sugli alberi, darai la caccia alle capre, e
    t'inerpicherai su quelle cime tu stesso come una capra. Vedi? Io mi sento ringiovanire.
    A momenti dimenticavo la mia gamba di legno, dimenticavo. E' una bella cosa esser
    giovane e aver dieci dita, credi a me. Quando avrai voglia di fare una piccola
    escursione, avverti il vecchio John: egli ti preparerà un boccone da portare con te." E
    battendomi sulla spalla col fare più amichevole, si staccò da me zoppicando e si calò a
    bassa prua.
    Il capitano Smollett, il cavaliere e il dottor Livesey stavano discorrendo tra loro sul
    cassero di poppa; e per quanto ansioso io fossi di raccontar loro la mia storia, non
    osavo apertamente interromperli. Mentre stavo cercando un pretesto, il dottor Livesey
    mi chiamò a sé. Aveva lasciato la sua pipa dabbasso, e da fumatore appassionato
    voleva mandarmi a prenderla; ma appena gli fui vicino abbastanza da potergli parlare
    senza che altri udissero, proruppi: "Senta, dottore. Conduca il capitano e il cavaliere in
    cabina, e poi trovi un pretesto per mandarmi a chiamare. Ho delle terribili notizie." Il
    dottore apparve turbato per un momento, ma non tardò a dominarsi.
    "Grazie, Jim," disse ad alta voce, come se io avessi soddisfatto una domanda "è tutto
    ciò che desideravo sapere." Dopo di che voltò le spalle e raggiunse gli altri due. Essi
    confabularono insieme un poco; e sebbene nessuno di loro trasalisse o alzasse la
    voce, o si lasciasse sfuggire una sillaba, era chiaro che il dottor Livesey aveva loro
    riferito le mie parole, poiché subito dopo sentii il capitano dare a Job Anderson l'ordine
    di radunare tutta la gente sul ponte.
    "Ragazzi" incominciò il capitano Smollett. "Devo dirvi una parola.
    Questa terra che abbiamo avvistato e la mèta del nostro viaggio.
    Il signor Trelawney da generoso gentiluomo qual è e quale tutti lo conosciamo, mi ha
    chiesto proprio ora alcune informazioni, e poiché io ho potuto affermargli che tutti a
    bordo, dal primo all'ultimo, hanno adempiuto il proprio dovere, e come meglio io non
    avrei desiderato, ebbene, lui ed io e il dottore scenderemo in cabina a bere alla vostra
    salute e buona fortuna, e a voi sarà servito un 'grog' che berrete alla salute e fortuna
    NOSTRA. Devo dirvi che penso di ciò? Penso che è nobile e gentile da parte sua.
    E se voi siete d'accordo con me, mandate un evviva marino al gentiluomo che l'ha
    voluto." L'evviva seguì, come c'era da aspettarsi, ma risuonò così pieno e caloroso
    che, lo confesso, stentavo a credere che uscisse dal petto di quei medesimi uomini che
    stavano tramando contro le nostre vite.
    "Ancora un evviva al capitano Smollett!" gridò Long John quando il primo si fu
    acquietato.
    E anche questo scoppiò unanime.
    Dopo di che i signori scesero dabbasso, e quasi subito fu mandato a dire che Jim
    Hawkins era desiderato in cabina.
    Li trovai tutti tre seduti intorno al tavolo, con davanti una bottiglia di vin di Spagna e uva
    passa. Il dottore fumava, tenendo la sua parrucca sulle ginocchia, come sempre
    quando era agitato.
    Dalla finestra di poppa, aperta sulla notte calda, si vedeva la luna palpitare nella scia
    della nave.
    "E dunque, Hawkins" proruppe il cavaliere "tu hai qualcosa da dire. Parla." Io obbedii, e
    nel più breve modo possibile riferii tutti i particolari della conversazione di Silver.
    Nessuno m'interruppe, nessuno si mosse: mi ascoltarono dal principio alla fine senza
    staccarmi un momento gli occhi di dosso.
    "Jim," disse il dottore "siedi." Mi fecero posto alla loro tavola, mi servirono del vino, mi
    riempirono le mani d'uva passa; e l'uno dopo l'altro con un inchino bevvero alla mia
    salute, rallegrandosi della mia fortuna e del mio coraggio.
    "E ora, capitano" disse il cavaliere "riconosco che lei aveva ragione e io torto. Sono
    stato un asino, lo confesso, e mi pongo ai suoi ordini." "Non più asino di me" ribatte il
    capitano. "Io non ho mai sentito parlare di un equipaggio che avendo l'intenzione di
    ammutinarsi non ne lasciasse trapelare qualche segno dando modo a chiunque avesse
    occhi di avvertire il pericolo e provvedere. Ma quest'equipaggio mi batte." "Capitano"
    osservò il dottore "ciò, se permette, si deve a Silver.
    Quello è un uomo straordinario." "Starebbe bene appeso all'estremità d'un pennone,
    signore" rispose il capitano. "Ma queste sono chiacchiere, che non portano a niente. Io
    vedo tre o quattro punti, e con licenza del signor Trelawney li enumererò." "Lei,
    signore, è il capitano. A lei tocca parlare" disse il signor Trelawney con signorile
    cortesia.
    "Punto primo" incominciò il capitano. "Dobbiamo proseguire, poiché tornare indietro
    non è possibile. Se io dessi l'ordine di virar di bordo, essi immediatamente si
    rivolterebbero. Punto secondo, abbiamo del tempo davanti a noi, almeno finché il
    tesoro non sia trovato. Terzo punto, c'è qualche marinaio fedele. Ora, signore, siccome
    prima o dopo bisognerà pur venire alle corte, così io propongo di afferrare l'occasione
    per i capelli come si suol dire, rompendola noi stessi per primi un bel giorno, mentre
    loro meno se l'aspettano. Io credo che possiamo contare sui vostri personali servitori,
    signor Trelawney?" "Come su me stesso." "Tre. E con noi, contando Hawkins,
    facciamo sette. E quanto ai marinai onesti?" "Molto probabilmente gli uomini di
    Trelawney" disse il dottore.
    "Quelli che aveva scelti lui stesso, prima d'imbattersi in Silver." "No," chiarì il cavaliere
    "Hands era uno dei miei." "E io che mi sarei fidato di Hands!" mormorò il capitano.
    "E pensare che sono tutti inglesi!" esclamò il cavaliere.
    "Verrebbe voglia di far saltare la nave." "Ebbene, signori" riprese il capitano "il meglio
    che io possa dire non è gran cosa. A noi conviene metterci in campana e fare buona
    guardia. E' penoso, lo so. Si preferirebbe venir subito alle mani.
    Ma non c'è rimedio fin tanto che non conosciamo i nostri uomini.
    Mettersi in attesa e aspettare il vento buono: questo è il mio parere." "Jim, qui, può
    esserci d'aiuto meglio di chicchessia" disse il dottore. "Gli uomini non diffidano di lui, e
    Jim è un ragazzo che osserva." "Hawkins, io ripongo in te un'immensa fiducia"
    aggiunse il cavaliere.
    Ma io ero troppo conscio della mia impotenza per non disperare; e nondimeno, grazie
    a un curioso concorso di circostanze, doveva proprio per mezzo mio giungere la
    salvezza. Frattanto noi avevamo un bel dire, non erano più di sette su ventisei quelli su
    cui sapevamo di poter fare assegnamento, e di questi sette uno era un ragazzo,
    cosicché eravamo sei adulti da una parte, contro diciannove dall'altra.




    (continua)

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    00 21/01/2009 14:03

    PARTE TERZA - LA MIA AVVENTURA A TERRA

    Capitolo 13

    Come incominciò la mia avventura


    L'aspetto dell'isola, quando io salii sul ponte l'indomani mattina, era completamente
    cambiato. Quantunque la brezza fosse del tutto caduta, avevamo fatto un bel tratto di
    cammino durante la notte, e eravamo ora imprigionati dalla bonaccia a circa mezzo
    miglio a sud-est della piatta costa orientale. Boscaglie grigiastre rivestivano gran parte
    della sua superficie. Questa tinta uniforme era interrotta nella zona più bassa da strisce
    di sabbia gialla e da una quantità di alberi elevati, della famiglia dei pini, che
    sormontavano gli altri: alcuni isolati, altri a gruppi; ma la colorazione generale era
    monotona e triste. I monti innalzavano su questa vegetazione i loro picchi di nuda
    roccia.
    Tutti erano di forma bizzarra, e il Cannocchiale, di tre o quattrocento piedi il più alto
    dell'isola, presentava il più strano profilo, balzando su ripido e scabro da ogni lato, per
    rimanere in cima improvvisamente mozzato come un piedestallo su cui collocare una
    statua.
    L'"Hispaniola" rullava sulle onde gonfie. Le verghe squassavano i bozzelli, la barra del
    timone sbatteva di qua e di là, e l'intera nave scricchiolava, gemeva, s'impennava e
    abbatteva come una creatura torturata. Io mi tenevo attaccato ai paterazzi, e ogni cosa
    mi girava vertiginosamente intorno; poiché se ero abbastanza buon marinaio mentre la
    nave filava, questo rimaner lì piantato e sballottato come una bottiglia era cosa che non
    sopportavo senza nausea, e soprattutto a digiuno.
    Forse anche l'aspetto melanconico dell'isola con le sue cineree foreste e i suoi rocciosi
    e selvaggi picchi, e lo spumeggiare e tuonare delle onde contro l'irta riva acuivano il
    mio malessere; fatto sta che malgrado il sole smagliante e infuocato, e l'allegria degli
    uccelli marini che si tuffavano e gridavano intorno a noi, e la prospettiva così grata
    sempre a chi approda dopo una lunga navigazione, io mi sentivo il cuore oppresso, e
    fin da quella prima occhiata imparai a odiare l'Isola del Tesoro.
    Avevamo davanti una mattinata di fastidioso lavoro, poiché non c'era indizio di vento; e
    bisognava mettere in mare i canotti e tirare il bastimento a rimorchio per tre o quattro
    miglia, visto che tanto era il cammino per doppiare la punta dell'isola, passare lo stretto
    canale, e raggiungere il porto dietro l'isolotto dello Scheletro. Io presi posto in una
    imbarcazione, dove, peraltro, non avevo nulla da fare. Il calore era soffocante, e gli
    uomini curvi sulla loro fatica brontolavano rabbiosamente. Anderson, che governava il
    mio canotto, anziché richiamare l'equipaggiò all'ordine, protestava peggio degli altri.
    "Ma," disse infine con una bestemmia "non andrà sempre così." Queste parole mi
    parvero un pessimo segno. Fino a quel giorno gli uomini avevano compiuto il loro
    lavoro di buona voglia e con slancio; ma la semplice vista dell'isola era bastata ad
    allentare i vincoli della disciplina.
    Durante tutto il tragitto Long John stette vicino al timoniere a pilotare la nave. Egli
    conosceva lo stretto come la palma della sua mano, e quantunque lo scandaglio
    indicasse più acqua che non risultasse dalla carta, John non ebbe mai un momento di
    esitazione.
    "C'è una spinta violenta, qui, col riflusso" disse "ed è come se questo canale fosse
    stato scavato con una vanga." Gettammo l'àncora nel preciso punto segnato sulla
    carta, a circa un terzo di miglio da ciascuna riva: la terra da un lato, e l'isolotto dello
    Scheletro dall'altro. Il fondo era pura sabbia.
    Il tuffo della nostra àncora sollevò una nuvola di uccelli che gridando girarono sopra i
    boschi: ma in meno di un minuto si erano di nuovo posati, e tutto era ridiventato quieto
    e silenzioso.
    La rada era completamente riparata dalla costa e circondata da boschi i cui alberi
    discendevano fino quasi a lambire il mare; le rive erano in gran parte piatte; e le cime
    dei monti disposte a cerchio formavano una specie di lontano anfiteatro. Due
    fiumiciattoli o meglio due paludosi ruscelletti si scaricavano in questo che chiamerei
    stagno; e la vegetazione su quella parte della costa ostentava una specie di malvagio
    splendore. Da bordo nulla potevamo scorgere né del fortino né della palizzata
    completamente affondata nel verde; e se non fosse stato per la carta spiegata sotto i
    nostri occhi, avremmo potuto illuderci d'essere i primi ad ancorarci lì da quando l'isola
    era emersa dalle acque.
    Non c'era un alito di vento né si sentiva alcun rumore tranne il tuonar della risacca
    mezzo miglio lontano lungo la spiaggia e contro le scogliere di fuori. Caratteristiche
    esalazioni di foglie imputridite e tronchi d'alberi marciti stagnavano sul posto
    dell'ancoraggio. Io vidi il dottore arricciare il naso più volte, come si fa quando si
    annusa un uovo guasto.
    "Non so nulla del tesoro" disse "ma scommetterei che qui c'è la malaria." Se il
    contegno degli uomini era stato inquietante nel canotto, diventò addirittura minaccioso
    non appena ritornati a bordo. Si raggruppavano sul ponte a mormorare tra loro. Il più
    semplice comando veniva accolto con aria cattiva ed eseguito di mala voglia e
    trascuratamente. Persino ai marinai onesti doveva essersi appiccicato il contagio,
    poiché non c'era un uomo a bordo che riprendesse un altro. La rivolta, era chiaro, ci
    pendeva sul capo come una nuvola carica di tempesta.
    Né eravamo noi soli della cabina ad avvertire il pericolo. Long John si dava molto da
    fare, correndo di gruppo in gruppo e prodigandosi in consigli di calma. Nessuno
    avrebbe potuto offrire un miglior esempio. Egli superava se stesso in buon volere e
    cortesia; e a tutti dispensava sorrisi. Appena sentiva un comando, eccolo sulla gruccia
    col più gioviale, "sì, sì signore"; e quando non c'era altro da fare, intonava una canzone
    dietro l'altra, come per coprire il malcontento dei compagni.
    Fra tutti i lati oscuri di quel bieco pomeriggio, l'evidente ansia di Long John appariva il
    più peggiore.
    Noi tenemmo consiglio in cabina.
    "Signore" disse il capitano rivolgendosi al cavaliere "se io arrischio un altro ordine,
    l'intero equipaggio si ribellerà come un sol uomo. Sì, signore, siamo a questo punto.
    Mettiamo che mi si risponda male. Se io ribatto, eccoci ai ferri corti; se taccio, Silver
    capisce che c'è sotto qualche cosa, e la partita è perduta.
    Per il momento, noi non abbiamo che un uomo su cui poter contare." "E sarebbe?"
    domandò il cavaliere.
    "Silver, signore. Egli desidera non meno ardentemente di noi che le cose si assestino.
    Questa non è che una bizza. Silver la farebbe loro presto passare se ne avesse
    l'occasione, e ciò che io vi propongo è di fornirgli quest'occasione. Concediamo agli
    uomini il permesso di scendere a terra un pomeriggio. Se vanno tutti, la nave è nostra.
    Se nessuno si muove, noi teniamo la cabina e Dio proteggerà il nostro buon diritto. Se
    solo alcuni vanno, Silver, credete a me, li riporterà a bordo dolci come agnelli." Così fu
    deciso. Pistole cariche vennero distribuite a tutti gli uomini sicuri; Hunter, Joyce, e
    Redruth furono messi al corrente della situazione, e ricevettero le nostre confidenze
    con minor sorpresa e maggior coraggio di quanto non avessimo immaginato; dopo di
    che il capitano salì sul ponte, e arringò l'equipaggio.
    "Ragazzi" disse "la giornata è stata calda, e siamo tutti stanchi e non di buon umore.
    Un giro a terra non farà male a nessuno; i canotti stanno ancora in acqua: potete
    prenderli, e chi ne ha voglia può rimanere a terra tutto il pomeriggio. Farò tirare un
    colpo di cannone mezz'ora prima del calar del sole." Quegli sciocchi pensavano certo
    di trovarsi a inciampare nel tesoro appena sbarcati, perché in un lampo il loro
    malumore si dissipò, e mandarono un evviva che risvegliò l'eco di un monte lontano, e
    spinse in aria un altro stormo di uccelli che stridendo volteggiarono sopra l'ancoraggio.
    Il capitano era uomo troppo accorto per rimanere in mezzo a loro.
    Egli si dileguò subito lasciando a Silver il compito di regolare la spedizione, il che credo
    fu un ottimo consiglio. Si fosse trattenuto sul ponte, non avrebbe potuto più a lungo
    fingere d'ignorare la reale situazione. Era chiaro come il sole. Silver era il vero capitano
    e disponeva di un equipaggio in rivolta. Gli onesti, e io potei presto assodare che ne
    rimanevano a bordo, erano indubbiamente della gente assai stupida. O meglio, la
    verità era questa, che l'esempio dei caporioni aveva più o meno demoralizzato tutti
    quanti: e alcuni pochi, bravi ragazzi in fondo, non si sarebbero lasciati portare o
    spingere un passo più in là. Difatti, una cosa è essere poltrone e infingardo, altra cosa
    è impadronirsi di una nave e trucidare una schiera di innocenti.
    La spedizione fu finalmente allestita. Sei rimanevano a bordo, ed i tredici altri,
    compreso Silver, cominciarono a calarsi nei canotti.
    Fu allora che mi balenò in mente la prima di quelle idee pazze che tanto contribuirono
    a salvarci la vita. Restando a bordo sei uomini, era chiaro che i nostri non potevano
    pensare a impadronirsi della nave; ma poiché le forze delle due parti si bilanciavano,
    altrettanto chiaro era che, per il momento, la cabina non necessitava del mio aiuto. Mi
    prese a un tratto la voglia di scendere a terra. Con la lestezza di un gatto scivolai giù
    dal bordo e mi acquattai a prua del canotto più vicino, che quasi subito si mosse.
    Nessuno si accorse di me, tranne il rematore di prua, che mi disse:
    "Sei tu, Jim? Abbassa la testa." Ma Silver dall'altro canotto si voltò a guardare, e gettò
    una voce per sapere se ero io; e da quel momento io cominciai a pentirmi di ciò che
    avevo fatto. Gli equipaggi gareggiarono in velocità per guadagnare la riva; ma il
    canotto che mi portava, avendo qualche vantaggio iniziale, ed essendo insieme più
    leggero e meglio governato, sorpassò di molto il suo concorrente. La prua del nostro
    aveva già urtato contro il groviglio degli alberi della riva, ed io, afferrato un ramo, m'ero
    lanciato fuori piombando nel più vicino cespuglio, quando Silver e gli altri arrancavano
    ancora cinquanta metri indietro.
    "Jim! Jim!" udii gridare alle mie spalle.
    Ma io non diedi retta: saltando, curvandomi, spezzando rami per aprirmi un passaggio,
    corsi e corsi dritto da vanti a me fin tanto che le forze non mi abbandonarono.




    (continua)

    _________Aurora Ageno___________
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    00 21/01/2009 14:04

    Capitolo 14

    Il primo colpo



    Ero talmente contento di aver piantato Long John, che incominciai a divertirmi
    osservando con interesse lo strano luogo dov'ero capitato.
    Avevo attraversato una zona paludosa popolata di salici, giunchi e curiosi alberi esotici,
    ed ero giunto sull'orlo d'un terreno scoperto, ondulato e sabbioso, esteso circa un
    miglio, cosparso di rari pini e d'un gran numero di alberi contorti, non diversi nella
    struttura dalla quercia, ma dalla foglia grigio argentea come i salici. All'estremità della
    radura si drizzava una delle montagne, con due bizzarri picchi scoscesi che
    splendevano vivacemente al sole.
    Io provavo ora per la prima volta la gioia dell'esploratore.
    L'isola era disabitata; i miei compagni di bordo li avevo lasciati indietro, e nulla viveva
    davanti a me tranne mute bestie e uccelli. Andavo girando tra gli alberi. Qua e là
    fiorivano piante a me sconosciute, qua e là guizzavano serpenti, e uno tirò fuori la testa
    da una fenditura di roccia, e sibilò verso me con un rumore simile al fischio d'una
    trottola, senza che io neppure sospettassi di aver davanti un nemico mortale, il famoso
    serpente a sonagli.
    Entrai poi nel folto di quella sorta di querce (querce sempreverdi, le sentii poi
    chiamarle) che crescevano basse, rasente la sabbia, come pruni, coi rami
    capricciosamente intrecciati, dal fogliame fitto e compatto come stoppia. Il bosco
    cominciava dalla cima di un monticello sabbioso e scendeva giù guadagnando in
    estensione ed altezza, fino al margine della vasta palude piena di canne, attraverso la
    quale il più vicino dei piccoli ruscelli trovava la via per sboccare nell'ancoraggio.
    Sotto il sole cocente si alzavano dalla palude esalazioni acri, e il profilo del
    Cannocchiale tremolava dentro ai vapori.
    Improvvisamente cominciò tra i giunchi una specie di tramestìo; un'anitra selvatica volò
    via con un grido rauco, un'altra la seguì; e subito sull'intero specchio della palude
    un'enorme nuvola d'uccelli schiamazzanti roteò nell'aria. Immaginai che alcuni dei miei
    compagni di bordo stessero avvicinandosi lungo i lati della palude. E non m'ingannavo,
    poiché presto udii i lontani e sommessi accenti d'una voce umana che, continuando io
    a tendere l'orecchio, veniva a poco a poco facendosi più forte e più vicina.
    Ciò mi mise in grande agitazione e timore. Strisciai sotto il fogliame d'una quercia
    sempreverde, e là mi rannicchiai a origliare, muto come un pesce.
    Un'altra voce rispose, dopo di che la prima, che ora riconoscevo per quella di Silver,
    riprese, e continuò a lungo con una abbondanza torrenziale, interrotta solo di tratto in
    tratto dall'altra. A giudicare dal tono, discutevano animatamente e quasi litigavano: ma
    nessuna parola giungeva distinta ai miei orecchi.
    Finalmente sembrò che i due si fermassero, e forse anche sedettero, poiché non solo
    smisero di avvicinarsi, ma nella pausa gli stessi uccelli si acquietarono e a poco a poco
    scesero a riprendere i loro posti nello stagno.
    A questo punto io mi accorsi che stavo trascurando la mia faccenda. Dal momento che
    ero stato così scioccamente ardito da accompagnarmi con quei disperati, il meno che
    potessi fare era di spiarne le mosse, e mio evidente dovere era avvicinarmi loro il più
    possibile, protetto dal fogliame degli alberi ricurvi.
    Io potevo stabilire con sufficiente esattezza la direzione in cui si trovavano gli
    interlocutori, non soltanto dal suono delle loro voci, ma anche dal modo di comportarsi
    di alcuni uccelli che tuttora svolazzavano spaventati sule teste degli intrusi.
    Strisciando gatton gattoni con studiata lentezza mi diressi verso loro, e alla fine
    alzando la testa potei, attraverso un buco tra le foglie, spingere lo sguardo in una
    piccola radura verde vicino alla palude e stretta tra gli alberi, dove Long John Silver e
    un altro della ciurma stavano faccia a faccia discorrendo.
    Il sole li investiva in pieno. Silver aveva gettato il suo cappello sull'erba, e il suo largo,
    glabro e biondo viso, lucido per il calore, era alzato verso quello del camerata in atto di
    esortare.
    "Amico mio" diceva "è perché ti stimo come l'oro, come l'oro, ti dico, e puoi credermi
    sulla parola! Se io non ti fossi attaccato come la pece, ti pare che sarei qui a metterti in
    guardia? Tutto è deciso, tu non puoi né togliere né aggiungere nulla: è per salvar la tua
    testa che ti parlo: che se uno di questi cani lo sapesse, che accadrebbe di me, Tom?
    Dimmi tu, che accadrebbe di me?" "Silver" replicò l'altro col volto in fiamme e la voce
    rauca come quella del corvo, che tremava come una corda tesa "Silver, tu sei un uomo
    d'età, e sei onesto, almeno tale sei ritenuto; e in più hai del denaro, che tanti poveri
    marinai non hanno, e sei anche bravo, se non sbaglio. E vorresti farmi credere che ti
    lasci comandare da quella massa di gaglioffi? Oh no! Com'è vero che Dio mi vede,
    preferirei perdere questa mano... Se io rinnego il mio dovere..." Qui fu interrotto da un
    improvviso rumore. Avevo scoperto uno dei marinai onesti, ed ecco che, nel medesimo
    istante, un altro mi si rivelava. Lontano nella palude qualcosa come un grido di collera
    ferì l'aria; un altro subito lo seguì, e infine un urlo orribile e prolungato. Le rocce del
    Cannocchiale lo riecheggiarono molte volte; l'intera moltitudine degli uccelli di palude
    scattò di nuovo in alto, oscurando il cielo con un repentino e tumultuoso volo; e
    quell'urlo disperato mi risuonava ancora dentro mentre il silenzio aveva da tempo
    ripreso il suo dominio, e soltanto il frusciare degli uccelli che ridiscendevano, e il rombo
    della risacca lontana turbavano la stanca quiete del pomeriggio.
    Tom, al rumore, era balzato come un cavallo sotto lo sprone; ma Silver non mosse
    ciglio: rimase là dov'era, leggermente appoggiato alla sua gruccia, sorvegliando il
    compagno come un serpente pronto a schizzare.
    "John" disse il marinaio protendendo la mano.
    "Giù le mani!" intimò Silver saltando indietro un metro con la disinvolta rapidità di un
    esperto ginnasta.
    "Giù le mani, se ti piace, John Silver" disse l'altro. "Se hai paura di me, vuol dire che
    hai cattiva coscienza. Ma, in nome del Cielo, che accade?" "Che accade?" replicò
    Silver sorridendo, ma più in guardia che mai, con gli occhi piccoli come capocchie di
    spillo nella larga faccia, scintillanti come pezzetti di vetro. "Che accade? Oh, io credo
    che si tratta di Alan..." A queste parole il povero Tom avvampò di una luce eroica.
    "Alan!" gridò. "Allora la sua anima riposi in pace. Era un vero marinaio. Quanto a te,
    John Silver, tu fosti a lungo mio compagno, ma ora non lo sei più. Se io muoio come un
    cane, morirò compiendo il mio dovere. Tu hai fatto uccidere Alan, non è vero? Ebbene,
    ammazza anche me, se ne hai il coraggio. Io ti sfido." Detto ciò, quel bravo ragazzo
    voltò le spalle al cuoco e s'incamminò verso la spiaggia. Ma non doveva andare
    lontano. Con un muggito John si attaccò a un ramo d'albero, e liberata la sua gruccia
    dall'ascella la scaraventò nell'aria. La strana freccia colpì Tom con la punta proprio in
    mezzo alla schiena con tale violenza che il poveretto, levate le braccia e emesso un
    gemito, cadde.
    Era ferito: ma se gravemente o no, chi poteva dirlo? A giudicare dal rumore, credo che
    avesse la spina dorsale spezzata. Ma Silver non gli lasciò tempo di riprendersi. Agile
    come una scimmia e pure senza la gruccia, in un lampo gli fu addosso, per ben due
    volte immerse il suo coltello fino al manico in quel corpo senza difesa.
    Dal mio nascondiglio lo sentii ansimare forte mentre portava i colpi.
    Io non so cosa veramente sia svenire; ma so che per qualche istante ciò che mi
    circondava sparì dalla mia vista, confuso dentro un nebbioso caos. Silver, e gli uccelli,
    e l'alta vetta del Cannocchiale turbinavano insieme, confusi, davanti ai miei occhi; e
    non so quante campane e ronzii di voci lontane mi rintronavano gli orecchi.
    Quando ripresi coscienza, lo scellerato, gruccia sotto il braccio, cappello in testa, già si
    era ricomposto. Davanti a lui, immobile sull'erba, giaceva Tom: ma l'assassino non si
    curava minimamente di lui, badando a pulire sopra un ciuffo d'erba il suo coltello
    sporco di sangue. Ogni altra cosa era immutata: il sole continuava spietato a
    risplendere sullo stagno maleodorante e sui picchi delle montagne; ed io facevo fatica
    a persuadermi che un assassinio era stato commesso ed una vita umana
    barbaramente troncata un momento prima, sotto i miei occhi.
    Ora John ficcò la mano nella tasca, e preso un fischietto se lo portò alle labbra,
    tirandone fuori alcuni suoni modulati che si propagarono nell'aria calda. Io non potevo
    capire, naturalmente, il significato di quel segnale, ma istantaneamente esso risvegliò i
    miei timori. Altri sarebbero arrivati. Io sarei forse stato scoperto. Due dei nostri erano
    già stati tolti di mezzo. Dopo Tom e Alan, non avrebbe potuto toccare a me?
    Subito cominciai a districarmi, strisciando indietro più velocemente e silenziosamente
    che potevo verso il punto in cui il bosco si diradava. Intanto sentivo saluti scambiati fra
    il vecchio filibustiere e i suoi camerati, e queste voci mi davano le ali.
    Appena fuori del folto mi misi a correre come mai avevo corso in vita mia, badando
    poco alla direzione della mia fuga, pur di allontanarmi dagli assassini. E più correvo,
    più mi cresceva la paura, finché si trasformò in una specie di delirio.
    In verità, chi era più irreparabilmente perduto di me? Come avrei osato io, al colpo del
    cannone, raggiungere i canotti tra quei demoni fumanti ancora del loro delitto? Il primo
    che mi avesse visto non mi avrebbe torto il collo come a un beccaccino? E la mia
    stessa assenza non avrebbe denunciato loro la mia paura e perciò la conoscenza della
    sorte che mi aspettava? Tutto finito, pensavo.
    Addio "Hispaniola", addio cavaliere, addio dottore, addio capitano! Che mi rimaneva se
    non morire di fame o per mano dei rivoltosi?
    Frattanto continuavo a correre, come ho detto, e senza accorgermene ero giunto ai
    piedi della piccola montagna dai due picchi, in una zona dell'isola dove le querce
    sempreverdi crescevano meno fitte, e nel portamento e nelle dimensioni somigliavano
    meglio ad alberi forestali. In mezzo a queste si ergevano alcuni pini alti da cinquanta a
    settanta piedi, e l'aria qui circolava più pura che laggiù nei pressi dello stagno.
    Ma ecco che un nuovo allarme mi fece fermare col cuore in gola.




    (continua)

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    Capitolo 15

    L'uomo dell'isola



    Dal fianco della montagna che qui era scoscesa e rocciosa, si staccò una massa di
    ghiaia e precipitò strepitando e rimbalzando tra gli alberi. Istintivamente girai gli occhi
    da quella parte, e scorsi un'ombra rapida balzare dietro il tronco d'un pino. Cosa fosse:
    se una scimmia, un orso o un uomo, non avrei saputo dire.
    Mi sembrò nera, e pelosa: altro non colsi. Ma lo spavento della nuova apparizione mi
    legò i piedi.
    Ed eccomi la via sbarrata da ogni lato. Dietro a me, gli assassini; davanti, quel coso
    imboscato. Che fare? Non esitai a preferire agli ignoti i pericoli noti. Silver in persona
    mi sembrò meno terribile al paragone di quella creatura dei boschi, sicché voltai la
    schiena, e pur lanciando indietro sospettose occhiate da sopra le spalle, ritornai sui
    miei passi nella direzione dei canotti.
    Subito l'ombra riapparve, e facendo un largo giro accennava a tagliarmi la strada. Io
    ero stanco, sì certo; ma fossi pur stato fresco come appena alzato, avrei lo stesso
    compreso che non era il caso di voler gareggiare in velocità con un tale avversario. La
    creatura schizzava da un albero all'altro simile a un daino, muovendo su due gambe
    come noi; ma, cosa che mai vidi fare a un uomo, correva quasi piegata in due. E
    tuttavia era un uomo; ormai non potevo più dubitarne.
    Mi tornarono in mente cose udite sui cannibali, e ci mancò poco che gridassi al
    soccorso. Ma il semplice fatto che si trattava di un uomo, sia pure selvaggio, mi
    rassicurava almeno un po'; mentre la paura di Silver si ravvivava in proporzione. E
    perciò mi fermai, e stavo cercando una via di scampo, quando mi balenò il ricordo della
    mia pistola. Non ero dunque privo di mezzi di difesa. A questo pensiero ripresi animo,
    volsi risoluto la fronte all'uomo dell'isola, e gli mossi arditamente incontro.
    Egli si era in quel momento nascosto dietro il tronco d'un altro albero, ma doveva
    spiarmi attentamente, perché, vistomi avanzare nella sua direzione, riapparve e fece
    un passo verso di me; poi esitò, indietreggiò, si spinse di nuovo avanti, e finalmente,
    con mio grande stupore e confusione, si buttò in ginocchio e tese le mani giunte come
    a supplicare.
    Io di nuovo mi fermai.
    "Chi siete?" gli chiesi.
    "Ben Gunn" rispose con una voce chioccia simile a una serratura arrugginita "sono il
    povero Ben Gunn, e da tre anni non ho parlato a un cristiano." Mi accorsi allora che
    egli era un bianco come me, e le sue fattezze erano piacenti. La sua pelle era bruciata
    dal sole, e le labbra annerite; e due begli occhi azzurri brillavano sorprendenti in quella
    faccia scura. Io non avevo mai visto o immaginato nessun pezzente lacero e cencioso
    quanto costui che dei pezzenti era il principe.
    Brani di vecchie vele di bastimento e di vecchie incerate marinaresche lo ricoprivano, e
    il complicato lavoro di rattoppatura era tenuto insieme da un sistema di legature le più
    strambe e diverse, come bottoni metallici, pezzi di giunco e occhielli di cordicella
    catramata. Intorno alla vita portava un cinturino di cuoio stretto da una fibbia di rame:
    l'unico oggetto solido in tutto il suo vestiario.
    "Tre anni!" esclamai. "Naufragato?
    "No, ragazzo mio, 'marooned'." Quel termine non mi giungeva nuovo: sapevo che si
    applica a quella orribile forma di castigo, abbastanza in uso presso i pirati, consistente
    nel lasciare il colpevole, con un po' di polvere e qualche palla, su un'isola deserta e
    lontana.
    "'Marooned' tre anni fa" riprese "e da allora ho vissuto di carne di capra, di bacche e di
    ostriche. Un uomo in qualunque luogo si trovi può ben bastare a se stesso. Ma, amico
    mio, il mio cuore sospira un cibo cristiano. Non avresti per caso un pezzo di
    formaggio? No? Ah quante notti ho sognato del formaggio, soprattutto abbrustolito, e
    poi mi svegliavo, ed ecco, ero lì!" "Se mai potrò ritornare a bordo" gli dissi "avrete
    formaggio a bizzeffe." Durante tutto questo tempo egli aveva continuato a palpare la
    stoffa della mia giacca, ad accarezzare le mie mani, a osservare i miei stivali; e, mentre
    mi ascoltava, a manifestare una gioia infantile per trovarsi in presenza di un suo simile.
    Udendo però le mie ultime parole drizzò la testa con una specie di sospettoso stupore.
    "Se mai puoi ritornare a bordo, tu dici? O perché? E chi te lo impedirebbe?" "Oh, non
    voi, lo so bene" risposi.
    "No davvero," scattò. "Ma dimmi, ragazzo mio, come ti chiami?
    "Jim." "Jim, Jim" ripeteva con evidente compiacimento. "Ebbene, Jim, devi sapere che
    ho vissuto una vita talmente brutta che arrossiresti a sentirla raccontare. Adesso, per
    esempio, crederesti, a guardarmi, che io abbia avuto una buona e tenera madre?" "No,
    non precisamente." "Vedi?" replicò. "Eppure io la ebbi, e molto pia. Ed io ero un
    ragazzo gentile ed educato, ed ero capace di snocciolarti il catechismo così spedito
    che non staccavi una parola dall'altra. Ed ecco dove siamo arrivati, Jim, e si era
    cominciato con il giocare alle fossette sulle lapidi benedette dei sepolcri! Così si era
    incominciato, ma si andò ben più lontano; e mia madre mi aveva detto e predetto tutto
    quanto, la mia santa donna. Ma è stata la Provvidenza che mi ha condotto qui. Ho
    riflettuto a fondo su tutto ciò in quest'isola solitaria, e sono ritornato alla religione. Non
    mi ci lascerò più prendere a bere tanto rum: ma un goccino appena per la buona
    fortuna, naturalmente, alla prima occasione che avrò.
    Mi sono ripromesso di essere buono, e so come fare. E poi, Jim..." Dette un'occhiata in
    giro, e abbassando il tono, bisbigliò:
    "Io sono ricco." Non ci voleva meno di tanto per convincermi che al poveraccio chiuso
    nel suo lungo isolamento aveva dato di volta il cervello, ed egli dovette leggermi in viso
    quel pensiero perché rincalzò con ardore:
    "Ricco, ti dico, ricco! E perché tu lo sappia, di te, Jim, voglio fare un uomo. Ah, Jim,
    benedici pure la tua stella, che sei stato il primo a incontrarmi." A queste parole
    un'ombra improvvisa gli calò sulla faccia. Strinse la mia mano come in una tenaglia, e
    alzò davanti ai miei occhi un indice minaccioso.
    "Jim, dimmi la verità: non è la nave di Flint, quella?" A questo punto io ebbi una felice
    ispirazione. Cominciai a credere di aver trovato un alleato, e subito risposi:
    "No, non è la nave di Flint. Flint è morto, ma io vi dirò la verità come desiderate: ci sono
    alcuni marinai di Flint a bordo, ed è tanto peggio per noi altri." "Per caso un uomo...
    con una gamba sola?" ansimò.
    "Silver?" "Sì, Silver, così si chiamava." "E' il nostro cuoco, e anche il caporione." Egli
    continuava a tenermi per il polso, e udendo ciò me lo torse.
    "Se è Long John che ti manda, io sono fritto, lo so. Ma voi, lo sapete in che acque
    navigate?" Io cominciai ad attuare il mio disegno, e quasi in forma di risposta gli
    raccontai l'intera storia del nostro viaggio e la situazione in cui ci trovavamo. Egli mi
    ascoltò col più vivo interesse, e alla fine mi batté un colpetto sulla nuca.
    "Tu sei un buon ragazzo, Jim, ma voi tutti siete in una brutta situazione, non ti pare?
    Ebbene, mettetevi nelle mani di Ben Gunn:
    Ben Gunn è l'uomo che ci vuole. Ma dimmi: tu credi che il tuo cavaliere si mostrerebbe
    generoso, qualora fosse aiutato mentre si trova in questa brutta situazione, come puoi
    vedere?" Io gli 'assicurai che il cavaliere era il più liberale degli uomini.
    «Bene! Ma, intendiamoci," riprese Ben Gunn "io non vorrei che mi ricompensasse
    dandomi una livrea o roba simile, e mettendomi a fare il guardaportone: non è a questo
    che io tengo, Jim. Ciò che a me preme di conoscere è se sarebbe disposto a cedere
    qualche cosa come un migliaio di sterline sul tesoro che ormai è già come suo." "Sono
    sicuro di sì. Stando agli accordi, tutti i marinai avrebbero avuto la loro parte." "E il
    passaggio di ritorno?" aggiunse con l'aria d'uno che la sa lunga.
    "Oh! Il cavaliere è un gentiluomo. E del resto, se ci sbarazziamo degli altri, avremo pur
    bisogno di qualcuno che ci aiuti a manovrare il bastimento." "Già" disse lui "Potrei
    essere utile." E parve rasserenato.
    "Ora"continuò "voglio dirti qualcosa; qualcosa, ma non più di tanto. Io ero imbarcato
    con Flint quando sotterrò il tesoro: lui con sei altri: sei forti marinai. Essi rimasero a
    terra circa una settimana, e noi a bordeggiare col vecchio "Walrus". Un bel giorno
    vedemmo il segnale, ed ecco Flint arrivare tutto solo in un piccolo canotto con la testa
    fasciata da una sciarpa blu. Sorgeva il sole, e lui dritto a prua sembrava pallido come
    un morto. Ma intanto c'era, capisci; e gli altri sei, morti tutti, morti e sotterrati. Come
    avesse fatto, nessuno a bordo se lo seppe spiegare. Ci fu battaglia, in ogni modo, e
    assassinio, e morte immediata; lui, pensa, contro sei! Billy Bones era il suo primo
    ufficiale, Long John, quartiermastro. Gli chiesero dov'era nascosto il tesoro. 'Oh' disse
    lui 'potete andare a terra, se così vi piace, e rimanerci' disse; 'ma quanto al bastimento,
    deve salpare per cercare altro, corpo di mille bombe!' Così disse.
    "Orbene, tre anni dopo io ero su un'altra nave quando avvistammo quest'isola.
    "Ragazzi" dico "lì c'è il tesoro di Flint. Vogliamo scendere a cercarlo?" Al capitano la
    cosa non piacque, ma i miei compagni furono tutti d'accordo; e sbarcammo. Per dodici
    giorni cercarono, sempre più arrabbiati con me, finché un bel mattino tornarono tutti a
    bordo. 'Quanto a te, Beniamino Gunn, eccoti un moschetto" mi dissero "e una vanga e
    una marra. Puoi restare qui e trovarlo da te, il tesoro di Flint' mi dissero. E dunque, Jim,
    tre anni sono stato qui, e in tutto questo tempo senza un boccone da cristiano. Ma ora,
    guarda, Jim, guardami bene. Ti pare che io abbia l'aria di un uomo di bassa prua? No,
    non e vero? Né lo sono assolutamente, dico io." E qui strizzò l'occhio, e mi diede un
    energico pizzicotto.
    "Tu riferisci queste parole al tuo cavaliere" aggiunse poi. "'Né lo è, assolutamente':
    sono queste le parole. Tre anni rimasto solo in quest'isola, e di giorno e di notte, e col
    bel tempo e con la pioggia, e a volte (dirai) avrebbe magari voluto pregare (dirai) e a
    volte magari pensare alla sua vecchia madre, potesse essere ancora viva! (dirai), ma
    la maggior parte del suo tempo (è questo che dovrai dire), la maggior parte del suo
    tempo Ben Gunn la spendeva in un'altra faccenda. E qui gli darai un pizzicotto come
    faccio io." E di nuovo mi pizzicò nella maniera più confidenziale.
    "Poi" continuò "tu salterai su, e gli dirai questo: Gunn è un onest'uomo (gli dirai) e
    ripone di gran lunga più fiducia, di gran lunga più fiducia, tieni a mente, in un
    gentiluomo di nascita che in questi signori di ventura, essendo stato egli stesso uno di
    questi." "Bene" dissi io. "Non ho capito una sillaba di quel che avete detto. Ma ciò non
    conta, dal momento che io non so come andare a bordo." "Ah," fece lui "questo è un
    guaio di sicuro. Ma c'è il mio canotto, fabbricato da me, con le mie brave mani. Lo
    tengo lì, al riparo della rupe bianca. Al peggio dei peggi potremo servircene a notte
    inoltrata. Ih!" proruppe a un tratto. "Che succede?" Perché proprio in quel punto,
    mentre il sole era ancora un'ora o due lontano dal tramonto, tutti gli echi dell'isola si
    svegliarono rispondendo con un lungo mugghio al tuono di un colpo di cannone.
    "Hanno incominciato la battaglia" gridai. "Seguitemi." E dimenticando tutti i miei terrori
    mi buttai a correre verso l'ancoraggio, mentre il disgraziato nei suoi cenci caprini
    trottava agile e leggero al mio fianco.
    "A sinistra! A sinistra!" ansimava lui. "Tieniti a sinistra, compagno Jim! Sotto gli alberi!
    E' lì che ho ucciso la mia prima capra. Esse non osano più scendere fin lì: sono
    accampate sulle montagne per paura di Ben Gunn. Ah! Quello è il 'citimero' (cimitero
    voleva dire). Vedi i tumuli? Io vengo lì a pregare di tanto in tanto, quando penso che sia
    press'a poco domenica. Non è precisamente una cappella, ma ha un aspetto più serio
    che altrove; e poi, senti, Ben Gunn era un po' sprovvisto: niente cappellano, e
    nemmeno una bibbia e una bandiera, senti." In questo modo continuava a parlare
    mentre io correvo, senza aspettare né ricevere risposta.
    Il colpo di cannone fu seguito dopo una lunga pausa da una scarica di moschetteria.
    Un'altra pausa, e poi, a meno di un quarto di miglio davanti a me, io potei contemplare,
    sventolante al disopra delle cime degli alberi, la bandiera britannica.




    (continua)

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    PARTE QUARTA - IL FORTINO


    Capitolo 16

    Il dottore continua il racconto: come la nave fu abbandonata




    Era circa un'ora e mezza (tre tocchi, in linguaggio marinaresco) quando i due canotti
    dell'"Hispaniola" si recarono a terra. Il capitano, il cavaliere ed io stavamo in cabina
    discutendo della situazione. Ci fosse stato un alito di vento, saremmo piombati sui
    rivoltosi rimasti con noi a bordo, avremmo salpato l'àncora e preso il largo. Ma il vento
    mancava, e per colmo di sfortuna Hunter arrivò con la notizia che Jim Hawkins era
    sgusciato in un canotto e filato a terra con gli altri.
    Nessun di noi avrebbe mai pensato a dubitare di Jim Hawkins: ma eravamo
    preoccupati per la sua vita. Con uomini di quello stampo ci pareva quasi un miracolo
    poter rivedere quel ragazzo. Corremmo sul ponte. La pece bolliva fra le connessure. Il
    puzzo nauseabondo che era nell'aria mi rivoltava lo stomaco; se mai si respirò febbre e
    dissenteria, fu in quell'abominevole ancoraggio. I sei miserabili stavano raccolti sul
    castello di prua borbottando al riparo di una vela. Potevamo vedere le imbarcazioni,
    con un uomo in ciascuna, affrettarsi verso terra toccando già quasi la foce del fiume.
    Uno d'essi fischiettava "Lillibullero".
    L'attesa ci opprimeva. Si decise che Hunter ed io saremmo scesi a terra col piccolo
    canotto in cerca di notizie.
    Le imbarcazioni avevano accostato a destra; ma Hunter ed io puntammo in direzione
    del fortino segnato sulla carta. I due uomini rimasti a guardia delle "yole" sembrarono
    fortemente turbati dalla nostra apparizione. "Lillibullero" tacque; ed io vidi quei due
    discutere sul da farsi. Fossero andati a informare Silver, le cose avrebbero forse preso
    tutta un'altra piega; ma essi avevano le loro istruzioni, penso, e decisero di rimanere
    tranquillamente là dov'erano, e daccapo echeggiò "Lillibullero".
    La costa presentava una leggera sporgenza; ed io governavo in modo da frapporla tra
    noi e loro; sicché, anche prima di approdare, già eravamo fuori della vista delle
    imbarcazioni. Io saltai a terra, e, con un fazzolettone di seta sotto il cappello per
    ripararmi dal caldo, ed un paio di pistole cariche per mia difesa, mi incamminai con la
    maggior rapidità che la prudenza mi consentiva.
    Non avevo ancora percorso cento metri che arrivai al fortino.
    Ecco in che cosa consisteva. Una sorgente di limpidissima acqua sgorgava quasi alla
    cima d'un poggio. Su quel poggio, includendovi la sorgente, era stata costruita con dei
    tronchi d'albero una robusta ridotta capace di contenere una quarantina di uomini. Su
    ciascuno dei lati si aprivano feritoie per il fuoco di moschetteria. Tutt'intorno c'era un
    largo spazio diboscato, e il sistema difensivo era completato da una palizzata di sei
    piedi d'altezza interamente chiusa, troppo solida per poter essere abbattuta senza
    lunghi e laboriosi sforzi, e troppo aperta per poter coprire gli assalitori. Questi
    rimanevano alla mercé degli uomini del forte; i quali, standosene tranquilli nei propri
    ripari, potevano sparar loro addosso come a tante pernici. Buona guardia e viveri:
    d'altro non abbisognavano i difensori, che, a parte il caso di una completa sorpresa,
    erano in grado di tenere il posto contro un reggimento.
    Quello che particolarmente mi seduceva era la sorgente. Poiché se nella cabina
    dell'"Hispaniola" custodivamo armi e munizioni in abbondanza e viveri e squisiti vini,
    una cosa però era stata trascurata: mancavamo d'acqua. Stavo appunto pensando a
    ciò, quando il grido d'un uomo in fin di vita risuonò sull'isola. Io non ero un novellino in
    fatto di morte violenta: ho servito Sua Altezza Reale il Duca di Cumberland e sono
    stato io stesso ferito a fontenoy: malgrado ciò il mio cuore si mise a battere precipitosa
    mente. "Jim Hawkins è finito!" fu questo il mio primo pensiero.
    Essere un vecchio soldato è qualche cosa: ma essere stato medico è qualcosa di più.
    Agio per andarsene ciondolando, nella nostra professione non c'è. Sicché io subito
    presi le mie decisioni e senza perder tempo ritornai sulla spiaggia e saltai nel piccolo
    canotto.
    Per fortuna Hunter era un buon rematore. Volavamo sul pelo dell'acqua, e il canotto fu
    presto attraccato ed io a bordo della goletta.
    Trovai i miei compagni profondamente scossi com'era da aspettarsi.
    Il cavaliere era seduto, pallido come un cencio, pensando forse in quale sciagurata
    avventura ci aveva condotti, povera anima! E uno dei sei uomini di prua non aveva
    l'aria di stare molto meglio.
    "Ecco un uomo nuovo a queste faccende" disse il capitano Smollett puntando l'indice
    verso di lui. "Poco è mancato che non svenisse, dottore, quando sentì il grido. Ancora
    un colpo di barra, e quest'uomo è nostro." Io esposi il mio piano al capitano, e
    d'accordo stabilimmo i particolari della sua esecuzione.
    Collocammo il vecchio Redruth nel passavanti tra la cabina e il castello di prua, con tre
    o quattro moschetti carichi e un materasso per ripararsi. Hunter portò il canotto sotto la
    finestra di poppa, e Joyce ed io ci affrettammo a caricarlo di cassette di polvere,
    moschetti, scatole di biscotti, barili di lardo, una botticella di cognac, e la mia preziosa
    cassetta di medicinali.
    Frattanto il cavaliere e il capitano rimasero sul ponte, e quest'ultimo chiamò il
    quartiermastro, che era il principale marinaio a bordo.
    "Signor Hands," disse "come vedete siamo in due con un paio di pistole ciascuno. Se
    uno di voi fa il più piccolo segnale, è un uomo morto." Essi apparvero abbastanza
    sconcertati, e dopo essersi brevemente consultati s'immersero l'un dopo l'altro nel
    boccaporto di prua, credendo senza dubbio di poterci cogliere alle spalle. Ma, quando
    videro Redruth che sbarrava loro il passo nel corridoio, fecero dietro front, e di nuovo
    una testa emerse sul ponte.
    "Giù, cane!" intimò il capitano.
    La testa di nuovo sparì e per un po' non sentimmo altro di quei sei vigliacchi.
    Frattanto, buttando giù la roba come ci veniva alle mani, avevamo caricato il canotto
    quanto più potessimo osare. Joyce ed io ci calammo per la finestra di poppa, e
    vogando a gran forza di nuovo ci dirigemmo a terra.
    Questo secondo viaggio stuzzicò non poco l'attenzione dei guardiani lungo la costa.
    "Lillibullero" fu interrotto di nuovo, e noi stavamo per perderli di vista dietro il piccolo
    promontorio, quando uno di essi saltò a terra e si eclissò. Ebbi una mezza idea di
    modificare il mio piano e distruggere le loro imbarcazioni: ma Silver e gli altri potevano
    essere lì, e non volli espormi al rischio di perdere tutto per voler prendere troppo.
    Prendemmo terra nello stesso punto di prima e ci accingemmo ad approvvigionare la
    ridotta. Pesantemente caricati tutti e tre, facemmo il primo viaggio e lanciammo le
    nostre provvigioni al di là dello steccato. Poi, lasciato Joyce a guardarle, un uomo solo,
    a dire il vero, ma munito di una mezza dozzina di moschetti, Hunter ed io ritornammo al
    piccolo canotto e nuovamente caricammo le nostre spalle. E così seguitammo senza
    riprender fiato finché l'intero carico non fu sistemato: allora i due servitori si installarono
    nel fortino, ed io, remando a tutta forza, riguadagnai l'"Hispaniola".
    Il fatto che noi ci fossimo arrischiati a caricare una seconda volta il canotto può
    sembrare più audace di quanto in realtà non fosse. Perché se essi avevano su di noi il
    vantaggio del numero, a noi rimaneva quello delle armi. Nessuno degli uomini a terra
    disponeva di un moschetto, e prima che avessero potuto raggiungerci con le loro
    pistole, noi ci lusingavamo di riuscire a dar loro un buon acconto freddandone almeno
    una mezza dozzina.
    Il cavaliere, pienamente rimessosi dal suo abbattimento, mi aspettava alla finestra di
    poppa. Afferrò la gomena assicurandola, e noi cominciammo a riempire in fretta e furia
    il canotto. Lardo, polvere e biscotti formarono il carico, con un solo moschetto, e un
    coltellaccio a testa, per il cavaliere, per me, Redruth e il capitano. Il resto delle armi e
    delle munizioni lo buttammo in mare, e poiché non c'erano più di due braccia e mezzo
    d'acqua, potemmo vedere sotto di noi l'acciaio scintillare al sole sul nitido fondo
    sabbioso.
    In quel momento la marea cominciava a calare, e il bastimento dondolando si portava
    sull'àncora. Si sentivano, affievolite dalla lontananza, delle voci che si chiamavano fra
    le due imbarcazioni, e questa circostanza, pure rassicurandoci riguardo a Joyce e
    Hunter spostati molto più verso est, ci consigliò di affrettare la nostra partenza.
    Redruth, abbandonato il suo posto nel corridoio, saltò nel canotto che noi conducemmo
    verso la parte posteriore del ponte per comodità del capitano Smollett.
    "Marinai" gridò questi "mi sentite?" Nessuna risposta dal castello di prua.
    "E' a te, Abraham Gray, è a te che io parlo." Ancora nessuna risposta.
    "Gray," riprese il capitano alzando un poco la voce "io lascio il bastimento e ti ordino di
    seguire il tuo capitano. So che in fondo sei un buon ragazzo, non credo poi che
    nessuno della tua banda sia così cattivo come vorrebbe sembrare. Ho l'orologio in
    mano: ti do trenta secondi per raggiungermi." Seguì un altro silenzio.
    "Su, amico mio, vieni" continuò il capitano "non star lì a tentennare. Ogni secondo
    mette in pericolo la mia esistenza e quella di questi signori..." Si sentì un improvviso
    tafferuglio, un rumore di rissa, e Abraham Gray scattò fuori con una coltellata sulla
    guancia, e arrivò correndo presso il capitano come un cane al fischio del padrone.
    "Sono con lei, signore" ansimò.
    E subito dopo, lui e il capitano, si lanciarono nel canotto e noi prendemmo il largo.
    Eravamo fuori della nave, ma non ancora a terra, nella nostra ridotta.



    (continua)

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    Capitolo 17

    Continua il racconto del dottore: l'ultimo viaggio del piccolo canotto



    Questo quinto viaggio fu totalmente diverso dagli altri.
    Innanzitutto il guscio di noce che ci portava era estremamente carico. Cinque uomini
    adulti, tre dei quali, Trelawney, Redruth e il capitano alti più di sei piedi, costituivano già
    un peso superiore alla sua portata. Aggiungetevi la polvere, il lardo ed i sacchi di pane.
    A poppa, l'acqua sfiorava il bordo. A più riprese ne imbarcammo un po' e ancora non
    avevamo coperto un centinaio di metri, che già le mie brache e le falde del mio abito ne
    erano inzuppate.
    Il capitano ci fece sistemare il carico, e riuscimmo ad equilibrare un po' meglio il
    canotto. Ciò nonostante osavamo appena respirare.
    In secondo luogo, incominciava il riflusso: una forte impetuosa corrente ci spingeva a
    ovest attraverso la baia e poi a sud ed al largo per lo stretto che avevamo imboccato il
    mattino. Le stesse onde agitate mettevano in pericolo la nostra imbarcazione
    sovraccarica; ma il peggio era che noi avevamo deviati dalla nostra rotta e ci eravamo
    allontanati dal nostro conveniente punto di approdo dietro il promontorio. Se avessimo
    lasciato fare alla corrente, saremmo andati a battere accanto alle imbarcazioni dove i
    pirati potevano sorprenderci in ogni istante.
    "Non riesco a mantenere la prua sul forte, signore" dissi al capitano.
    Io manovravo il timone, mentre lui e Redruth, agili tutti e due, vogavano.
    "La marea ci trascina via. Non potrebbe remare un po' più forte?" "Il canotto si
    riempirebbe" disse lui. "Lei deve tener duro, signore, se non le rincresce: tener duro
    finché non guadagni." Io provai, e vidi concretamente che la corrente ci spingeva a
    ovest, finché non misi la prua in pieno est, ossia precisamente ad angolo retto rispetto
    alla direzione che dovevamo seguire.
    "In questo modo non approderemo mai" osservai.
    "Se è questa l'unica rotta che possiamo tenere, non c'è che da tenerla" replicò il
    capitano. "Bisogna continuare a risalire la corrente. Vede, signore, se per caso ci
    lasciamo portare sottovento al punto di approdo, è difficile dire dove prenderemo terra,
    oltre al rischio di essere attaccati dalle imbarcazioni; mentre sulla rotta che noi
    seguiamo la corrente dovrà diminuire, e allora potremo svignarcela ritornando indietro
    lungo la costa." "La corrente è già diminuita, signore" disse il marinaio Gray che stava
    a prua. "Lei può allentare un po'." "Grazie, ragazzo mio" risposi, come se niente fra di
    noi fosse accaduto; poiché ci si era tacitamente intesi di trattarlo come uno dei nostri.
    D'improvviso il capitano ruppe di nuovo il silenzio, e mi parve che la sua voce fosse
    sensibilmente alterata.
    "Il cannone!" pronunciò.
    "Ci ho pensato" dissi io, sicuro come ero che egli alludesse a un bombardamento del
    forte. "Ma non potranno mai sbarcare il cannone, e se anche vi riuscissero, sarebbero
    poi incapaci di alarlo attraverso la boscaglia." "Guardi indietro, dottore" replicò il
    capitano.
    Noi avevamo completamente dimenticato il cannone; e là, con un fremito di orrore,
    vedemmo i cinque banditi intenti a levargli la sua casacca, com'essi chiamavano il
    guscio di grossa tela incerata che in navigazione ricopriva il pezzo. E, quasi non
    bastasse, improvvisamente mi balenò in mente che palle e polvere da cannone erano
    rimaste a bordo, e un solo colpo d'ascia avrebbe messo ogni cosa nelle mani di quegli
    sciagurati.
    "Israel era il cannoniere di Flint" disse Gray con voce rauca.
    Sfidando ogni pericolo ci dirigemmo verso il punto di approdo. Ci eravamo intanto
    portati sufficientemente fuori del grosso della corrente per poter governare, sia pure
    procedendo con l'andatura necessariamente lenta dei remi, ed io riuscii a mantenere la
    prua sulla mèta. Ma il peggio era che, data la rotta che ora seguivo, presentavamo
    all'"Hispaniola" il fianco invece della prua, offrendole un bersaglio largo quanto una
    porta di granaio.
    Io potei non solo scorgere ma udire quel brutto birbante di Israel Hands gettare sul
    ponte un proiettile.
    "Chi di voi due è il miglior tiratore?" chiese il capitano.
    "Il signor Trelawney senza dubbio" dissi io.
    "Signor Trelawney, vuol avere la cortesia di togliermi di mezzo uno di quegli uomini?
    Hands possibilmente?" fece il capitano.
    Trelawney, con la freddezza d'un automa, verificò l'esca del suo fucile.
    "Ora" avvertì il capitano "piano con quel fucile, se no, riempiremo il canotto. E noi,
    attenti a mantener l'equilibrio mentre lui spara." Il cavaliere spianò il fucile, i remi
    restarono sospesi, e noi ci portammo dall'altro bordo per mantener l'equilibrio. Tutto
    riuscì così egregiamente che non imbarcammo una goccia d'acqua.
    Frattanto essi avevano fatto girare il cannone sul suo perno, e Hands, che stava vicino
    alla bocca con in mano lo spazzatoio, era di conseguenza il più esposto. Ma la fortuna
    non ci fu amica, perché egli si chinò nel preciso momento in cui Trelawney lasciava
    partire il colpo. La palla gli fischiò sopra la testa, e fu uno degli altri quattro che cadde.
    Al grido del colpito fecero eco non soltanto i suoi compagni di bordo, ma una
    moltitudine di voci dalla spiaggia, e guardando in quella direzione io vidi gli altri pirati
    sbucare dalla boscaglia e precipitarsi a prender posto nelle imbarcazioni.
    "Ecco i canotti che arrivano" dissi io.
    "Allora via!" gridò il capitano. "Non importa se imbarchiamo acqua. Prendere terra,
    bisogna: se no, è finita." "Una sola delle imbarcazioni è equipaggiata, signore"
    aggiunsi.
    "La ciurma dell'altra sta certamente facendo il giro della spiaggia per tagliarci la
    strada." "Faranno una bella sudata!" replicò il capitano. "Marinai a terra, si sa cosa
    valgono. Non sono loro che mi preoccupano: è la palla del cannone. Un gioco da
    salotto! Un ragazzo che è un ragazzo non sbaglierebbe. Mi avverta, cavaliere, appena
    vede che stanno per far fuoco, che agguanteremo." Frattanto avevamo avanzato
    abbastanza velocemente per un canotto così sovraccarico, e avevamo imbarcato ben
    poca acqua. Eravamo ormai vicini alla spiaggia: ancora trenta o quaranta colpi di remo,
    e l'avremmo toccata, poiché il riflusso già aveva scoperto una sottile lingua di sabbia ai
    piedi della macchia.
    L'imbarcazione non era più da temere: il piccolo promontorio l'aveva già nascosta ai
    nostri occhi. La marea che ci aveva così rudemente inceppati prima, ora ci
    compensava trattenendo i nostri avversari. L'unico pericolo rimaneva il cannone.
    "Se io osassi" disse il capitano "fermerei per far saltare un altro uomo." Ma era chiaro
    che a bordo dell'"Hispaniola" non pensavano affatto a differire il colpo. Essi non
    avevano nemmeno degnato di uno sguardo il loro camerata caduto, che tuttavia non
    era morto e si sforzava di trascinarsi via di là.
    "Attenti!" gridò il cavaliere.
    "Agguanta!" comandò il capitano, pronto come un'eco.
    E lui e Redruth sciarono con una tale violenza che la poppa andò interamente
    sommersa. Il colpo scoppiò nel medesimo istante. E fu questo il primo sentito da Jim,
    giacché la fucilata del cavaliere non era arrivata al suo orecchio. Dove passò il
    proiettile nessuno di noi seppe con precisione: ma io credo che fu sopra le nostre teste,
    e lo spostamento d'aria contribuì al nostro disastro.
    Comunque sia, il canotto affondò per la poppa piano piano in tre piedi d'acqua,
    lasciando me e il capitano in piedi, faccia a faccia. Gli altri tre presero un bagno
    completo e tornarono a galla inzuppati e borbottando.
    Fin qui, poco male. Nessuna vittima tra noi, e potevamo con sicurezza guadagnare la
    riva a guado. Ma tutte le nostre provviste erano in fondo al mare, e per colmo di
    sciagura dei cinque fucili solo due rimanevano utilizzabili. Il mio, che tenevo sulle
    ginocchia, l'avevo abbrancato e portato in alto con una mossa istintiva. Il capitano
    portava il suo sul dorso a bandoliera, e, per prudenza, col calcio in alto. I tre rimanenti
    erano affondati col canotto.
    La nostra inquietudine crebbe udendo voci che, attraverso gli alberi della spiaggia, si
    venivano accentuando. Non solo ci impensieriva il pericolo di essere tagliati fuori dal
    fortino, mezzo impotenti com'eravamo; ma il timore ancora che Hunter e Joyce,
    attaccati da quella mezza dozzina di nemici, non avessero l'animo e la capacita di
    resistere. Hunter lo sapevamo bene ch'era un uomo risoluto, ma di Joyce non eravamo
    altrettanto sicuri: egli era certo un piacevole e garbato domestico, maestro nell'arte di
    spazzolare abiti, ma non ugualmente adatto a servire il dio della guerra.
    Assediati da simili pensieri raggiungemmo il più presto possibile la riva, lasciando alle
    nostre spalle l'infelice piccolo canotto e una buona metà delle nostre polveri e
    provviste.




    (continua)

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    Capitolo 18

    Continua il racconto del dottore: fine della prima giornata di combattimento



    Con le ali ai piedi attraversammo la zona boscosa che ci separava dal fortino,
    sentendo a ogni passo le grida dei pirati risuonare più vicine. Presto udimmo il loro
    scalpiccìo e gli scrosci dei rami spezzati dalla furia della loro corsa.
    Io capii che andavamo incontro a una seria scaramuccia e verificai la mia esca.
    "Capitano" dissi "Trelawney è un ottimo tiratore. Dategli il vostro fucile: il suo è
    inservibile." Scambiarono i fucili, e Trelawney muto e impassibile com'era stato fin dal
    principio del trambusto, si fermò un momento per accertarsi che l'arma fosse in ordine.
    Allora io, accortomi che Gray era inerme, gli porsi il mio coltellaccio. Egli si sputò nella
    mano, aggrottò le sopracciglia e agitò nell'aria la lama facendola sibilare; e noi ne
    avemmo il cuore allargato, perché ogni suo gesto diceva chiaramente che la nostra
    nuova recluta valeva il pane che mangiava.
    Quaranta passi più in là sboccammo sul margine del bosco, e vedemmo davanti a noi
    la palizzata. Abbordammo il recinto a metà del lato sud, e quasi nello stesso istante
    sette rivoltosi con Job Anderson, il mastro d'equipaggio, alla testa, apparvero gridando
    all'angolo sud-ovest.
    Si fermarono come sconcertati, e prima che si riavessero dalla sorpresa, non solo il
    cavaliere ed io, ma anche Hunter e Joyce dall'interno della ridotta, facemmo in tempo a
    far fuoco. I quattro colpi si sparpagliarono in una salva alquanto irregolare, ma
    ottennero lo scopo: uno dei nostri nemici cadde; e gli altri senza esitare girarono le
    spalle e si tuffarono nella macchia.
    Dopo aver ricaricato andammo giù lungo l'esterno della palizzata a vedere il nemico
    caduto. Era stecchito: la palla l'aveva colpito in mezzo al cuore.
    Stavamo rallegrandoci del nostro buon successo, quando un colpo di pistola crepitò
    nella boscaglia, una palla mi fischiò vicino all'orecchio, e il povero Tom Redruth
    ondeggiò e si abbatté lungo disteso al suolo. Il cavaliere ed io rispondemmo al colpo,
    ma siccome tiravamo a casaccio, è probabile che sciupassimo soltanto la polvere.
    Dopo di che ricaricammo un'altra volta, e riportammo la nostra attenzione sul
    disgraziato Tom Il capitano e Gray erano già curvi su di lui, ed io con una occhiata
    m'accorsi che tutto era finito.
    Credo che, data la immediatezza della nostra risposta, la salva avesse disperso
    nuovamente i ribelli, poiché senza altri fastidi potemmo prendere il corpo del vecchio
    guardacaccia, issarlo al disopra dello steccato e ricoverarlo, gemente e sanguinante,
    nella ridotta.
    Il povero vecchio non aveva mai pronunciato una parola di sorpresa, di lamento, di
    paura, o anche solo di acquiescenza, dall'inizio delle nostre tribolazioni fino al
    momento in cui l'avevamo deposto lì dove doveva morire. Si era sistemato dietro al
    materasso come un valoroso troiano; aveva eseguito ogni ordine in silenzio e bene,
    con assoluta devozione; era di vent'anni il più anziano dei nostri: ed ecco, toccava a
    lui, a questo vecchio fedele e volonteroso servitore, morire.
    Il cavaliere cadde in ginocchio accanto a lui, e gli baciò la mano singhiozzando come
    un fanciullo.
    "Me ne vado, dottore?" chiese il moribondo.
    "Tom, amico mio," risposi "tu ritorni al Creatore." "Avrei prima voluto regalare qualcuno
    dei miei confetti a quelli là..." "Tom" proruppe il cavaliere "dimmi che mi perdoni, vuoi?"
    "Le pare che sarebbe rispettoso, da me a lei, signor cavaliere?
    Nondimeno, così sia. Amen!" Dopo un breve silenzio espresse il desiderio che
    qualcuno gli leggesse una preghiera. "E' l'usanza, signore" aggiunse come per
    scusarsi. E poco dopo, senza altre parole, spirò.
    Frattanto il capitano, del quale avevo osservato le tasche e il petto gonfi oltre misura,
    aveva tirato fuori un mucchio di cose le più disparate: la bandiera inglese, una bibbia,
    un rotolo di corda abbastanza forte, penna e calamaio, il libro di bordo, e una gran
    quantità di tabacco. Trovato poi nel recinto il fusto piuttosto lungo di un abete abbattuto
    e spoglio, l'aveva con l'aiuto di Hunter alzato nel posto della ridotta dove i tronchi
    incrociati formavano un angolo; e, arrampicatosi sul tetto, aveva con le sue stesse
    mani spiegata e issata la bandiera.
    Questo parve riconfortarlo assai. Dopo di che rientrò nella casa e si accinse a passare
    in rassegna le provviste, come se nient'altro lo interessasse. Ma non mancò di badare
    al trapasso di Redruth, e appena questi ebbe chiuso gl occhi si avvicinò portando
    un'altra bandiera, e devotamente la distese sul cadavere.
    "Non affliggetevi, signore" disse al cavaliere stringendogli la mano. "Egli è fortunato:
    nulla ha da temere un marinaio che è morto compiendo il proprio dovere verso il
    capitano e verso l'armatore. Può non essere buona teologia, questa, ma è un fatto."
    Poi mi tirò in disparte.
    "Dottor Livesey" mi chiese «fra quante settimane credete che arriverà l'altra nave?" Gli
    risposi che non si trattava di settimane, bensì di mesi; che se noi non fossimo ritornati
    alla fine d'agosto, Blandly avrebbe mandato a cercarci, ma né prima né dopo. "Può lei
    stesso fare il conto" aggiunsi.
    "Ebbene" riprese il capitano grattandosi la testa "pur contando molto sui benefici della
    Provvidenza, direi che siamo piuttosto mal ridotti.
    "Cioè?" "E' un peccato che abbiamo perduto questo secondo carico, ecco cosa
    intendevo dire" replicò il capitano. "Per le munizioni ce la potremo cavare, ma quanto a
    viveri siamo scarsi, assai scarsi: al punto, dottor Livesey, che quasi è un bene ritrovarci
    con quella bocca di meno." E accennò con l'indice al corpo che giaceva sotto la
    bandiera.
    In quel momento con un ruggito e un sibilo una palla passò in alto al disopra del tetto
    della casa e andò a cadere lontano nella boscaglia "Ohò!" esclamò il capitano. "Fuoco
    volante! Avete già abbastanza poca polvere, i miei giovinotti!" Al secondo tentativo il
    colpo fu meglio diretto, e il proiettile cadde entro lo steccato sollevando un nuvolo di
    sabbia, ma senza provocare nessun altro danno.
    "Capitano" fece il cavaliere "la casa è del tutto fuori dalla visuale del bastimento.
    Probabilmente mirano alla bandiera. Non converrebbe abbassarla?" "Abbassare la mia
    bandiera?" gridò il capitano. "No, signore, mai!". E queste parole riscossero il generale
    consenso, poiché quell'uscita rivelava non solo il maschio valoroso uomo di mare, ma
    anche l'accorgimento politico di chi intendeva mostrare al nemico che non temeva le
    sue cannonate.
    Durante tutta la serata si accanirono a bombardare. L'una dopo l'altra le palle ci
    oltrepassavano, o non arrivavano fino a noi, o buttavano in aria la sabbia dello
    steccato: ma il tiro era così alto che la palla ricadeva morta e si affondava nella soffice
    arena. Non c'era da temere nessun rimbalzo, e sebbene un proiettile fosse penetrato
    dal tetto nella casa, andando a conficcarsi nel pavimento, presto ci abituammo a quel
    gioco grossolano senza dargli più importanza che al cricket.
    "C'è una cosa buona, in tutto questo" osservò il capitano "ed è che il bosco dinanzi a
    noi è sgombro. La marea da un po' di tempo si sta ritirando; le nostre provviste
    dovrebbero trovarsi all'asciutto. C'è qualcuno che voglia andare a prendere del lardo?"
    Gray e Hunter si offrirono per primi. Armati fino ai denti si slanciarono fuori dallo
    steccato, ma senza risultato, poiché gli ammutinati, più arditi di quanto non
    sospettassimo, ovvero fiduciosi nella perizia di tiratore di Israel, si stavano già
    impadronendo delle provviste e le trasportavano a guado in una delle imbarcazioni che
    era 1ì vicino e che un remo opportunamente manovrato manteneva ferma contro la
    corrente. Silver, installato a poppa, teneva il comando, e ognuno di loro adesso era
    munito di un moschetto tirato da non si sa quale nascondiglio.
    Il capitano intanto, seduto davanti al libro di bordo, annotava:
    "Alessandro Smollett, capitano; Davide Livesey, medico di bordo; Abraham Gray,
    secondo carpentiere; John Trelawney, armatore; John Hunter e Riccardo Joyce, servi
    dell'armatore, i soli dell'intero equipaggio rimasti fedeli, avendo viveri per dieci giorni a
    mezza razione, sbarcarono oggi e issarono la bandiera britannica sul fortino dell'Isola
    del Tesoro. Tomaso Redruth, servo dell'armatore, guardacaccia, ucciso dai ribelli,
    James Hawkins, mozzo..." Proprio in quel momento, mentre io mi commuovevo
    pensando alla sorte del ragazzo, una voce si sentì dalla parte di terra.
    "Qualcuno che chiama" disse Hunter che era di guardia.
    "Dottore! Cavaliere! Capitano! Hallo! Hunter, siete voi?" squillò la voce.
    Ed io corsi alla porta, e giunsi in tempo per vedere Jim Hawkins sano e salvo
    scavalcare lo steccato.




    (continua)

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    Capitolo 19

    Il racconto è ripreso da Jim Hawkins: la guarnigione del fortino



    Vedendo la bandiera, Ben Gunn si fermò trattenendomi per un braccio, e sedette.
    "Ecco là i tuoi compagni" disse "non c'è dubbio." "E' più probabile che siano i rivoltosi"
    feci io.
    "Che? in un posto come questo, dove non approdano se non pirati, Silver
    spiegherebbe la bandiera nera, stanne pur certo. Sono i tuoi compagni, ti dico. C'è
    stata battaglia, e credo che loro se la siano cavata bene, e ora stanno a terra nel
    vecchio fortino costruito anni e anni fa da Flint. Ah, ci aveva una testa, quel Flint! Rum
    a parte, un uomo di quello stampo non fu mai visto Nessuno gli faceva paura; nessuno
    eccetto Silver: Silver sì, aveva quel privilegio.
    "Bene" dissi io "può essere così, e così sia: ragione in più, allora, perché io mi affretti a
    raggiungere i miei." "No, camerata" rispose Ben "niente affatto. Tu sei un buon
    ragazzo, se non m'inganno, ma non sei che un ragazzo, per dirla in una parola. Ora
    Ben Gunn sa. Neanche per del rum mi si tirerebbe dove vai, neanche per del rum,
    finché non abbia visto il tuo gentiluomo di nascita e ottenuto la sua parola d'onore. E
    non dimenticare le mie parole: 'Di gran lunga più fiducia' (questo devi dire) 'di gran
    lunga più fiducia': e qui gli dai un pizzicotto." E una terza volta, con la stessa aria di
    uomo che la sa unga, mi pizzicò.
    "E quando ci sia bisogno di Ben Gunn, tu sai dove trovarlo, Jim.
    Esattamente dove lo trovasti oggi E chi verrà tenga in mano qualcosa di bianco, e
    venga solo E tu dirai: 'Ben Gunn', dirai, 'ha le sue brave ragioni'." "Bene" dissi io.
    "Credo di aver capito. Voi avete una proposta da fare, e desiderate vedere il cavaliere
    o il dottore, e visi troverà dove io vi ho trovato. E' tutto?" "E a quale ora, di'?" aggiunse.
    "Ebbene, mettiamo da mezzogiorno alle tre, all'incirca." "Siamo intesi. E ora posso
    andare?" "Non ti dimenticherai mica?" chiese ansiosamente "'Di gran lunga più fiducia'
    e 'le sue proprie ragioni', questo è l'essenziale: te lo dico da uomo a uomo. Ebbene,
    allora," e seguitava a trattenermi "puoi andare, Jim. E, Jim, se per caso vedessi Silver,
    non lo tradiresti mica Ben Gunn? Neanche a tirarti con gli àrgani lo tradiresti. No, non è
    vero? E se i pirati si accampano a terra, Jim, che dirai tu se l'indomani ci saranno delle
    vedove?" A questo punto una forte detonazione lo interruppe, e una palla di cannone
    arrivò squarciando la macchia e andò ad affondarsi nella sabbia a meno di cinquanta
    metri dal luogo dove stavamo discorrendo. E noi fuggimmo a gambe levate, ciascuno
    per la sua strada.
    Durante un'ora buona frequenti colpi continuarono a scuotere l'isola e le palle a
    sforacchiare con fracasso la boscaglia, mentre io passavo da un nascondiglio all'altro,
    sempre inseguito, almeno così mi pareva, da quei tremendi proiettili. Ma verso la fine
    del bombardamento, pur non osando ancora avventurarmi dalla parte del fortino, dove
    le palle battevano di preferenza, cominciai in certo modo a riprendere coraggio, e dopo
    un lungo giro verso est, strisciando fra gli alberi, scesi alla riva.
    Il sole era appena tramontato: la brezza marina si alzava destando sussurri nella selva
    e increspando la superficie opaca della baia; la marea si era ritirata, scoprendo larghi
    tratti di sabbia, e l'aria fredda, seguita al calore del giorno, mi pungeva attraverso il
    camiciotto.
    L'"Hispaniola" era sempre ancorata allo stesso posto; ma in cima all'albero maestro
    sventolava il Jolly Roger, il vessillo nero dei pirati. Mentre stavo guardando, un altro
    lampo rossastro balenò, con un tuono che risvegliò il coro degli echi, e un'altra palla
    tagliò l'aria sibilando. Era la fine del bombardamento.
    Rimasi qualche tempo a osservare il trambusto che seguiva all'attacco. Sulla spiaggia
    vicino alla palizzata alcuni stavano demolendo qualcosa a colpi d'ascia: era il nostro
    piccolo disgraziato canotto, come più tardi mi accorsi. Più in là, presso l'imboccatura
    del fiume, un gran fuoco bruciava in mezzo agli alberi, e rischiarava una delle
    imbarcazioni che faceva la spola tra quel punto e la nave.
    Gli uomini, che prima avevo visti così rabbuiati, ora remando schiamazzavano allegri
    come ragazzi. Ma quelle voci sgangherate tradivano il rum.
    Mi parve finalmente di potermi incamminare verso il fortino. Io mi trovavo assai lontano,
    sulla lingua di terra bassa e sabbiosa che chiude l'ancoraggio ad est ed a mezza
    marea rimane congiunta con l'isolotto dello Scheletro; ed ecco che, alzatomi in piedi,
    vidi un po' più in là su quella striscia di terra sorgere tra i cespugli bassi, molto alta nel
    cielo, e di un candore abbagliante, una rupe isolata: e pensai che fosse la rupe di cui
    Ben Gunn mi aveva parlato, dicendo che se un giorno o l'altro vi fosse bisogno di un
    canotto avrei saputo dove cercarlo.
    Camminando rasente la boscaglia raggiunsi la parte posteriore della palizzata, dal lato
    della riva, e fui presto festosamente accolto dai fedeli camerati.
    La mia storia fu immediatamente raccontata, dopo di che cominciai a guardarmi
    intorno. La casa, cioè tetto, muri, pavimento, era fatta di rozzi tronchi di pino. Il
    pavimento sovrastava qua e là di un piede, un piede e mezzo, il livello della sabbia. La
    porta dava in un vestibolo dove la piccola sorgente scaturiva, brillando dentro una
    vasca alquanto bizzarra, formata solo da una caldaia di ferro, da nave, privata del suo
    fondo e interrata nel suolo.
    Poco rimaneva oltre la carcassa della casa; solo in un angolo si vedeva una lastra di
    pietra che faceva da posto per il fuoco, ed un vecchio e arrugginito recipiente di ferro
    destinato a contenere il fuoco.
    I pendii del monticello e tutto l'interno della palizzata erano stati liberati dagli alberi per
    costruire la casa; e i ceppi stessi mostravano quale superbo e splendido bosco era
    stato distrutto. Dopo l'abbattimento degli alberi, quasi tutto il terreno vegetale era stato
    asportato dalle acque o seppellito sotto la duna; soltanto dove il piccolo ruscello,
    diramandosi dalla caldaia, scorreva, una spessa pelliccia di muschio, alcune felci e
    certi piccoli serpeggianti cespugli mettevano ancora tra la sabbia una nota verde.
    Addossato alla palizzata, troppo addossato per la difesa, dicevano essi, il bosco
    lussureggiava ancora alto e denso, esclusivamente formato di pini dalla parte del
    monte, e mescolato di querce sempreverdi dalla parte del mare.
    La fresca brezza serale, della quale ho parlato, fischiava attraverso le fessure della
    rozza costruzione e seminava il pavimento di una incessante pioggia di sabbia fine.
    Dappertutto era sabbia: sabbia nei nostri occhi, sabbia tra i nostri denti, sabbia nelle
    nostre minestre, sabbia danzante nella sorgente al fondo della caldaia, simile a una
    zuppa quando apre il bollore. Un buco quadrato nel tetto faceva da camino: ma solo
    una parte del fumo vi trovava sfogo; il resto turbinava per la casa costringendoci a
    tossire e lacrimare.
    Aggiungete che Gray, la nuova recluta, aveva la testa fasciata per una ferita riportata
    nello strapparsi agli ammutinati, e quel povero vecchio Tom, tuttora insepolto, giaceva
    lungo il muro, rigido sotto l'Union Jack.
    Fossimo rimasti oziosi, la malinconia ci sarebbe saltata addosso; ma il capitano
    Smollett non era uomo da lasciare il tempo a ciò.
    Chiamatici, ci divise in due squadre; da una parte il dottore, Gray ed io; dall'altra il
    cavaliere, Hunter e Joyce. Malgrado la stanchezza generale, due furono mandati per
    legna nel bosco, altri due messi a scavare la fossa per Redruth; il dottore ebbe il posto
    di cuoco; io di guardia alla porta, e lo stesso capitano andava dall'uno all'altro
    incoraggiandoci tutti e dando una mano dove occorreva.
    Di tanto in tanto il dottore veniva alla porta a respirare un po' d'aria e a riposare i suoi
    occhi irritati dal fuoco; e sempre aveva una parola per me.
    "Questo Smollett" mi disse una volta "vale più di me. E ciò significa qualcosa, Jim."
    Un'altra volta, dopo un silenzio, piegò la testa da un lato e mi fissò chiedendo:
    "Questo Ben Gunn che uomo è?" "Non saprei, signore. Non sono sicuro che sia sano
    di mente." "Se hai qualche dubbio di' pure che non lo è" riprese il dottore.
    "Un uomo rimasto tre anni a rosicchiarsi le unghie sopra un'isola deserta non potrà mai
    apparire sano di mente come uno di noi. Non è conforme alla natura. Ma tu mi dicevi
    che sospirava un pezzo di formaggio, no?" "Sì, signore, formaggio." "Ebbene, Jim, vedi
    che a qualcosa giova essere ghiotto. Tu conosci la mia tabacchiera, no? E mai mi
    vedesti prender tabacco. O sai perché? Perché nella tabacchiera tengo un pezzo di
    formaggio parmigiano: un formaggio fatto in Italia, assai nutriente. Ebbene, sarà per
    Ben Gunn." Prima di metterci a tavola seppellimmo il vecchio Tom nella sabbia, e per
    alcuni istanti restammo raccolti intorno a lui a capo scoperto, nel vento. Un bel mucchio
    di legna era stato radunato, ma non sufficiente a giudizio del capitano, che scosse la
    testa, e disse che l'indomani mattina bisognava rimettersi al lavoro "con un po' più di
    accanimento". Dopo di che, mangiato il nostro lardo, e bevuto ciascuno un buon
    bicchiere di grog all'acquavite, i tre capi si riunirono in un angolo a esaminare la
    situazione.
    Io credo che non sapessero come uscirne, essendo le provviste così scarse che la
    fame ci avrebbe costretti ad arrenderci prima che l'aiuto arrivasse. Il miglior partito, così
    conclusero, era di fare dei vuoti nelle file dei filibustieri fino a deciderli ad abbassare la
    bandiera o a scappare con l'"Hispaniola". Da diciannove essi erano già ridotti a
    quindici; altri due erano feriti, ed uno, almeno, il marinaio colpito vicino al cannone, in
    gravi condizioni, se pure non morto. Non dovevamo trascurare nessuna buona
    occasione di far fuoco, e stare bene attenti a risparmiarci. A parte ciò, avevamo due
    potenti alleati: rum e clima.
    Quanto al primo, pur attraverso mezzo miglio di distanza, sentivamo quei dannati
    strepitare e cantare fino a notte alta; e quanto al secondo, il dottore scommetteva la
    sua parrucca che, accampati com'erano nel pantano e sprovvisti di medicine, non
    sarebbe passata una settimana che metà di loro sarebbero caduti come mosche.
    "Sicché" aggiunse "se non siamo noi ad essere ammazzati prima, non gli sembrerà
    vero, a loro, di scapolarsela con l''Hispaniola'. E' sempre un bastimento, e potranno
    riprendere il loro mestiere." "Sarà il primo bastimento che perdo" disse il capitano.
    Io ero morto di stanchezza, come si può immaginare; e quando mi coricai, il che non fu
    se non dopo un lungo andare e venire, dormii come una marmotta.
    Gli altri erano in piedi da un pezzo, e avevano già fatto colazione e accresciuto di
    un'altra buona metà il mucchio della legna, quando fui svegliato da un trambusto e
    rumore di voci.
    "Bandiera bianca!" sentii dire; e subito dopo, con un grido di sorpresa:
    "Silver in persona!" Allora saltai giù, e stropicciandomi gli occhi corsi una feritoia.




    (continua)

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    Capitolo 20

    L'ambasciata di Silver



    In realtà c'erano due uomini fuori dello steccato, uno dei quali sventolava un panno
    bianco, e l'altro gli stava tranquillamente accanto: nientemeno che Silver in persona.
    Era ancora assai presto, e il freddo pungeva come non mai, e penetrava fino alle ossa.
    Il cielo era chiaro e pulito, e le cime degli alberi si coloravano di rosa nel sole. Ma, dove
    stava Silver col suo seguace, tutto era ancora in ombra, ed essi apparivano immersi
    fino al ginocchio in un denso e biancastro vapore che durante la notte era salito dalla
    palude. Freddo e vapore insieme raccontavano lo squallore dell'isola: luogo umido,
    pieno di febbri, malsano.
    "Nessuno si muova" avvertì il capitano. "Dieci contro uno, questo è un tranello." Poi si
    volse al filibustiere:
    "Chi va là? Fermo, o sparo." "Bandiera parlamentare" gridò Silver.
    Il capitano si teneva nel vestibolo, attento a non esporsi ad un colpo sparato a
    tradimento. E rivolto a noi, comandò:
    "La squadra del dottore a fare la guardia. Dottor Livesey, favorisca mettersi al lato
    nord; Jim all'est, Gray all'ovest.
    L'altra squadra, tutti a caricare i moschetti. Svegli, ragazzi, e attenti." Poi di nuovo si
    rivolse ai ribelli.
    "E voi che volete con la vostra bandiera parlamentare?" Questa volta fu l'altro a
    rispondere.
    "E' il capitano Silver, signore, che viene a fare delle proposte." "Il capitano Silver? Non
    lo conosco. Chi è costui?" gridò il capitano. E a mezza voce, come parlasse tra sé,
    l'udimmo aggiungere:
    "Capitano! Una bella carriera, perbacco!" Long John replicò egli stesso:
    "Sono io, signore. Questi poveri diavoli mi hanno scelto per capitano dopo la vostra
    diserzione" e calcò sulla parola "diserzione". "Noi siamo pronti a sottometterci purché ci
    si intenda sulle condizioni, senza tante cerimonie. Tutto ciò che io vi chiedo, capitano
    Smollett, è la vostra parola che mi lascerete uscire sano e salvo da questo recinto e mi
    concederete un minuto per portarmi fuori tiro prima che si apra il fuoco." "Amico mio"
    disse il capitano Smollett "io non desidero affatto parlare con voi. Se avete qualcosa da
    dirmi, potete entrare, ecco tutto. Se un tradimento ha da venire, verrà da parte vostra,
    e il Signore vi aiuti." "Non occorre altro" esclamò Long John, allegramente. "Una vostra
    parola mi basta. So riconoscere un galantuomo: siatene pur sicuro." Vedemmo il
    compagno dalla bandiera bianca tentare di trattenere Silver: né era da stupirsene, data
    la franca risposta del capitano. Ma Silver gli rise sonoramente sul muso e gli dette una
    pacca sulla schiena, quasi che l'idea di un pericolo fosse stata assurda. Poi si avvicinò
    alla palizzata, gettò al disopra la sua gruccia, alzò in aria una gamba, e con grande
    vigore e destrezza riuscì a scavalcare il recinto e a buttarvisi dentro illeso.
    Confesso che io m'interessavo troppo a quanto stava accadendo, per essere della
    minima utilità come sentinella. Difatti, avevo già abbandonato la mia feritoia per
    sgusciare dietro al capitano; il quale stava ora seduto sulla soglia, i gomiti sui ginocchi,
    la testa nelle mani, e gli occhi fissi sull'acqua che gorgogliava versandosi fuori della
    caldaia di ferro e perdendosi nella sabbia.
    E canticchiava tra sé: "Venite fanciulle e fanciulli".
    Guadagnar la cima del monticello fu per Silver una faticaccia.
    Contro la ripidezza dell'erta, gl'intricati ceppi degli alberi, e la mollezza della sabbia
    dove il piede affondava, egli con la sua gruccia penava come un battello nel vento
    avverso. Ma vi si accanì, in silenzio, come un bravo, e arrivò infine davanti al capitano
    che salutò col più squisito garbo di questo mondo. Si era abbigliato come meglio
    poteva: uno smisurato abito azzurro carico di bottoni d'oro gli arrivava fino alle
    ginocchia; e un cappello riccamente gallonato gli troneggiava sulla nuca.
    "Eccovi qui" disse il capitano alzando il capo. "Ma fareste meglio a sedere." "Non
    vorreste lasciarmi entrare, capitano?" si lamentò Long John.
    "In verità è troppo fredda la mattinata per seder fuori sulla sabbia." "Eh, Silver" obietto il
    capitano. "Se vi fosse piaciuto di rimanere un onest'uomo, potreste ora sedere nella
    vostra cucina.
    Colpa vostra. O siete il cuoco del mio bastimento (e foste pure ben trattato!) o siete il
    capitano Silver, un volgare ribelle e pirata; e in questo caso potete andare a farvi
    impiccare!" "Bene, bene" replicò il mastro cuoco sedendo sulla sabbia secondo
    all'invito "mi darete poi una mano per rialzarmi, ecco tutto. Ma che delizioso posto
    avete trovato! Ah, ecco Jim! Buon giorno a te, Jim. Dottore, i miei rispetti. Ebbene,
    eccovi tutti riuniti insieme come una felice famiglia, se così posso esprimermi." "Se
    avete qualcosa da dire, amico mio, è meglio che vi sbrighiate" proferì il capitano.
    "Più che giusto, capitano Smollett" replicò Silver. "Il dovere anzitutto, nessun dubbio.
    Ebbene, sentite: ci avete giocato un bel tiro l'altra notte. Un bel tiro davvero, non saprei
    negarlo.
    Parecchi di voi sono discretamente abili nel maneggiare la manovella. E non negherò
    che alcuni dei miei siano stati scossi: o magari tutti, e magari io stesso: ed è
    probabilmente per questo che sono qui per trattare. Ma, badate bene, capitano: ciò non
    si ripeterà, perdio! Faremo buona guardia, e diminuiremo un tantino il rum. Voi forse
    pensate che eravamo tutti quanti fradici: ma v'assicuro che io non avevo bevuto una
    goccia; soltanto non ne potevo più dalla stanchezza, e se mi fossi risvegliato un
    secondo prima, vi avrei presi sul fatto, vi avrei. Egli non era ancora morto, quando lo
    raggiunsi, non era." "Sicché?" fece il capitano Smollett con la massima calma.
    Tutte le chiacchiere di Silver erano per lui un enigma, ma nessuno mai l'avrebbe
    immaginato, a giudicare dall'intonazione della voce.
    Quanto a me, cominciavo a scorgere un filo di luce. Le ultime parole di Ben Gunn mi
    tornarono a mente. Pensai che egli avesse visitato i filibustieri mentre giacevano
    ubriachi intorno al loro fuoco, e riflettei con gioia che non più di quattordici erano i
    nemici con cui ci restava da fare i conti.
    "E dunque, ecco qua" disse Silver. "Noi vogliamo questo tesoro, e l'avremo: ecco il
    nostro punto. A voi preme di salvar la vostra pelle, suppongo: ed ecco il vostro. Voi
    avete una carta, non è vero?" "Può darsi" rispose il capitano.
    "Oh, voi l'avete, sì, lo so bene, io" ribatté Long John. "Non è il caso di essere così
    ruvidi con la gente; non serve affatto, credete a me. Ciò che intendo dire è che ci
    occorre la vostra carta. Del resto, io per me non vi ho mai voluto male..." "Questo mi è
    indifferente, amico mio" interruppe il capitano. "Noi conosciamo perfettamente le vostre
    intenzioni, e non ce ne importa, perché, oramai, vedete, la cosa non è più possibile." E,
    guardandolo tranquillamente, il capitano prese a riempire la sua pipa.
    "Se Abraham Gray..." insinuò Silver.
    "Basta!" gridò il signor Smollett. "Gray non mi ha detto nulla, né io gli ho chiesto nulla;
    e, ciò che più importa, vorrei veder voi e lui e l'isola intera saltare in aria. Così, amico
    mio, sapete ciò che penso a tale riguardo." La piccola sfuriata smorzò i bollori di Silver.
    Egli, che già s'irritava, non tardò a ricomporsi.
    "Può essere" disse addolcendo il tono. "Io non pretendo di decidere quello che la gente
    per bene può ritenere corretto o meno, a seconda del caso. E poiché vedo che voi vi
    preparate a fare una pipata, mi permetterò di imitarvi." E riempì la sua pipa, e l'accese;
    e i due uomini rimasero per un po' a fumare in silenzio, ora guardandosi in faccia, ora
    calcando il tabacco, ora piegandosi a sputare. Era uno spasso vederli, come assistere
    a una scena di teatro.
    "E ora" riprese Silver "ecco qua. Voi ci date la carta perché possiamo procurarci il
    tesoro, e smettete di sparare sui poveri marinai e spaccar loro la testa mentre
    dormono. Voi fate ciò, e noi vi lasciamo liberi di scegliere: o venite a bordo con noi una
    volta caricato il tesoro, nel qual caso io m'impegno sulla mia parola d'onore a sbarcarvi
    in qualche luogo sani e salvi; oppure, se ciò non vi aggrada, visto che parecchi dei miei
    uomini hanno un caratteraccio e conservano vecchie ruggini a causa di punizioni,
    allora potete restare qui, potete. Noi divideremo con voi le provviste, tanto per
    ciascuno, ed io m'impegno, come sopra, ad avvertire la prima nave che incontro, e a
    mandarla qui a prendervi. Ora mi ammetterete che questo è parlare. Potevate volermi
    più liberale di così? No di certo. Ed io spero" e qui alzò la voce "che tutti i vostri
    compagni qui dentro rifletteranno alle mie parole, perché ciò che è detto a uno è detto
    a tutti." Il capitano Smollett, alzatosi, batté la pipa contro il palmo della mano
    scuotendone la cenere.
    "E' tutto qui?" domandò.
    "L'ultima mia parola, corpo di mille bombe!" rispose.
    "Respingetela, e non avrete da me altro che pallottole di moschetto." "Benissimo" disse
    il capitano. "E ora sentite me. Se voi verrete uno per uno disarmati, io m'impegno a
    mettervi tutti quanti ai ferri e trasportarvi in Inghilterra dove vi si allestirà il vostro bravo
    processo. Se rifiutate, sappiate che io mi chiamo Alessandro Smollett, che ho issato la
    bandiera del mio sovrano, e vi spedirò tutti all'inferno. Voi non potete scoprire il tesoro.
    Voi non potete manovrare l''Hispaniola': non c'è tra voi un uomo capace di ciò. Voi non
    potete combatterci. Gray, qui, si è sbrigato di cinque di voi. La vostra barca è mal
    governata, mastro Silver; siete sottovento, e correte a battere nei frangenti. Ve ne
    accorgerete. Io rimango qui, ve lo dichiaro netto. Sono le ultime parole amichevoli che
    vi rivolgo, perché vi giuro in nome del Cielo che la prossima volta che v'incontrerò vi
    caccerò una palla nella schiena. Presto, ragazzo mio. Liberateci della vostra presenza,
    vi prego, e via, un piede dopo l'altro, e al galoppo." La faccia di Silver era
    impressionante: gli occhi, nella rabbia, gli schizzavano fuori della testa. Scuoté la pipa
    ancora accesa, e gridò:
    "Datemi una mano!" "Io no!" replicò il capitano.
    "Chi mi dà una mano per rialzarmi?" grugnì il miserabile.
    Nessuno di noi si mosse.
    Masticando le più zozze imprecazioni si trascinò sulla sabbia finché riuscì ad attaccarsi
    alla parete del vestibolo, e a alzarsi di nuovo sulla gruccia. Allora sputò nella sorgente.
    "Ecco" gridò "il conto che faccio di voi. Entro un'ora vi riscalderò come un ponce nel
    vostro fortino. Ridete, corpo di Satanasso, ridete pure! Tra un'ora riderete al rovescio.
    Quelli che moriranno saranno i più fortunati." E con una spaventosa bestemmia si
    allontanò, inciampando e affondando nella sabbia; e con l'aiuto dell'uomo con il vessillo
    parlamentare riuscì, dopo quattro o cinque tentativi falliti, a scavalcare la palizzata.
    Un istante dopo scompariva dietro gli alberi.




    (continua)

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    00 21/01/2009 19:28

    Capitolo 21

    L'attacco



    Non appena Silver fu scomparso, il capitano, che l'aveva attentamente seguito, si volse
    verso l'interno della casa, e trovò che nessuno all'infuori di Gray era al proprio posto.
    Fu la prima volta che lo vedemmo in collera.
    "Al vostro posto" ruggì. Poi, dopo che avemmo ubbidito: "Gray" disse "io citerò il vostro
    nome a titolo d'onore nel libro di bordo; voi avete compiuto il vostro dovere come un
    vero marinaio.
    Signor Trelawney, mi meraviglio di lei! E lei, dottore, mi pareva che un tempo avesse
    portato l'uniforme reale! Ma se è così che ha servito a fontenoy, avrebbe fatto meglio a
    rimanersene sotto le coperte".
    La squadra del dottore era ritornata alle feritoie: gli altri stavano caricando i moschetti
    di riserva, e ciascuno, com'è naturale, col viso rosso e l'orecchio teso.
    Il capitano ci guardò un momento in silenzio; poi riprese:
    "Ragazzi miei, ho assestato a Silver una bordata. Gli ho bruciato la pelle di proposito.
    Prima che l'ora sia passata, com'egli ha detto, ci attaccheranno. Noi siamo in minor
    numero, non occorre dirlo: però combatteremo stando al coperto, e un minuto fa avrei
    soggiunto: con disciplina. Io non dubito minimamente che possiamo suonargliele, se
    voi volete." Dopo di questo, fece la ronda, e constatò, com'ebbe a dire, che tutto era in
    regola.
    Sui due lati minori del fortino, a est e a ovest, c'erano soltanto due feritoie; sul lato sud,
    dove si trovava la porta, altre due; e sul lato nord, cinque. Disponevamo, noi sette, di
    una ventina di moschetti; la legna da bruciare era ammassata in quattro cataste, come
    tavole, direi quasi, una nel mezzo di ciascun lato, con sopra munizioni e quattro
    moschetti carichi a portata di mano dei difensori. Nel centro, allineati, i coltellacci.
    "Gettate via il fuoco" ordinò il capitano. "Il freddo è passato, e non bisogna avere il
    fumo negli occhi." Il recipiente di ferro fu portato fuori dal signor Trelawney e le braci
    spente nella sabbia.
    "Hawkins non ha ancora fatto colazione. Hawkins, prendi la tua colazione e ritorna al
    tuo posto a mangiarla" continuò il capitano Smollett. "Animo, ragazzo mio, e non
    perdiamo tempo. Hunter, passa a tutti un bicchiere di grappa." E mentre questi
    eseguiva, il capitano completava mentalmente il suo piano di difesa.
    "Dottore" riprese "lei occuperà la porta. Attento a vedere, ma senza esporsi. Si tenga in
    dentro, e tiri dal vestibolo. Hunter, voi occuperete il lato est, là. Joyce, amico mio, voi
    starete all'ovest. Signor Trelawney, lei è il miglior tiratore: lei e Gray terrete questo
    lungo tratto nord con le cinque feritoie. Lì è il punto debole, lì... Se loro riuscissero a
    raggiungerlo e sparare attraverso le stesse nostre aperture, le cose prenderebbero una
    cattiva piega. Hawkins, né tu né io siamo dei tiratori valenti:
    rimarremo lì per caricare e dare una mano." Come il capitano aveva detto, il freddo era
    passato. Non appena il sole ebbe scavalcato la nostra cintura di alberi, batté con tutta
    la sua forza sopra la radura e asciugò in un baleno i vapori. La sabbia diventò
    bruciante e la resina dei tronchi d'albero del fortino si liquefece. Camiciotti e vestiti
    furono buttati all'aria: i colli delle camicie rivoltati e le maniche rimboccate fin sulle
    spalle; e aspettammo lì, ciascuno al suo posto, come in una febbre, estenuati dal caldo
    e dall'ansia.
    Passò un'ora.
    "Possano morire impiccati!" borbottò il capitano. "Ci si crepa di noia. Gray, fischiate per
    chiamare il vento." Ma proprio in quel punto apparvero i primi segni dell'attacco.
    "Scusi, signore," disse Joyce "se vedo qualcuno devo sparare?" "Ve l'ho ben detto!"
    sbuffò il capitano.
    "Grazie, signore" rispose Joyce con la stessa placida gentilezza.
    Non successe niente per un po': ma quelle parole ci avevano messi all'erta: occhi
    aguzzati, orecchi tesi, i moschettieri con l'arma bilanciata nel pugno, il capitano nel
    mezzo del fortino con le labbra tirate e le sopracciglia aggrottate.
    Passarono così alcuni secondi, finché d'improvviso Joyce puntò il suo moschetto e
    sparò. Il rimbombo non era ancora spento che altre detonazioni risposero dal di fuori
    con una diffusa scarica, colpo dietro colpo, in fila indiana, da ogni parte del recinto.
    Parecchie palle colpirono il fortino, ma nessuna vi penetrò; e come il fumo si fu
    dileguato, gli alberi e lo steccato ricomparirono immobili e deserti come prima. Non un
    ramoscello oscillava, non il luccichìo d'una canna di fucile tradiva la presenza dei nostri
    nemici.
    "Avete colpito il vostro bersaglio?" chiese il capitano.
    "No, signore," rispose Joyce "non credo." "La più bella cosa è la verità" masticò il
    capitano Smollett.
    "Carica il suo fucile, Hawkins Quanti ritenete che fossero dal vostro lato, dottore?"
    "Posso dirglielo con precisione. Tre colpi furono tirati da questo lato. Ho visto le tre
    vampe: due, vicinissime l'una all'altra, la terza più a ovest." "Tre" ripeté il capitano. "E
    quanti dalla sua parte, signor Trelawney?" Ma qui la risposta non fu così facile. Da nord
    ne erano arrivati molti: sette secondo i calcoli del cavaliere; otto o nove secondo Gray.
    Da est e da ovest un solo colpo era stato tirato. Era dunque chiaro che l'attacco veniva
    dal lato nord e che sui rimanenti tre fronti saremmo stati molestati da una semplice
    finta di ostilità.
    Ma il capitano Smollett non cambiò per niente le sue disposizioni.
    Se gli ammutinati riuscivano a superare la palizzata, pensava, si sarebbero impadroniti
    di ogni feritoia indifesa, e ci avrebbero uccisi come tanti sorci nella nostra stessa
    fortezza.
    Del resto non ci si lasciò troppo agio a riflettere. D'improvviso, con un potente urrà, una
    piccola nube di pirati si precipitò fuori della boscaglia dalla parte nord, correndo dritta
    verso la palizzata. Nello stesso tempo da oltre gli alberi fu riaperto il fuoco, e una palla
    fischiò attraverso l'entrata e mandò in pezzi il moschetto del dottore.
    Simili a un branco di scimmie gli assalitori balzarono in cima allo steccato. Il cavaliere e
    il dottore spararono continui colpi; tre uomini caddero: uno a testa in giù, dentro il
    recinto; due all'indietro, fuori: ma uno di questi era evidentemente più tramortito di
    spavento che ferito, perché in un attimo si alzò in piedi e scomparve nella macchia.
    Due avevano morso la polvere, uno era fuggito, quattro erano riusciti a guadagnare il
    nostro trinceramento, e intanto, vicino agli alberi, sette od otto provvisti ognuno di
    parecchi moschetti dirigevano un accanito quanto innocuo fuoco contro il nostro fortino.
    I quattro che erano entrati, puntavano diritti sulla casa correndo e gridando; e i
    compagni nascosti tra gli alberi con alti clamori li incoraggiavano. Alcuni colpi furono
    sparati, ma tanta era la furia dei tiratori, che nessuno colse nel segno. In un istante i
    quattro pirati avevano scalato il monticello, ed eccoli sopra noi.
    La testa di Job Anderson, il nostromo, scattò nella feritoia del mezzo.
    "Dai che ci sono tutti, dai!" ruggì con una voce di tuono.
    Nello stesso momento un altro pirata afferrò il moschetto di Hunter per la canna, glielo
    strappò di mano, e con un tremendo colpo stese il povero ragazzo inanimato al suolo.
    E un terzo, girando incolume intorno alla casa, balzò improvvisamente nell'entrata e si
    lanciò con un coltellaccio sul dottore.
    La nostra posizione era totalmente rovesciata. Poco prima, tiravamo stando al riparo,
    su un nemico scoperto; ora invece eravamo noi gli esposti e incapaci di restituire un
    colpo.
    Il fortino era pieno di fumo e a questo dovevamo la nostra relativa sicurezza. Grida
    confuse, detonazioni di colpi di pistola, e un disperato lamento riempivano i miei
    orecchi!
    "Fuori, ragazzi, fuori! Combattiamo all'aperto! Mano ai coltellacci!" comandò il capitano.
    Io tolsi con furia un coltellaccio dal mucchio, e qualcuno, prendendone un altro nel
    medesimo istante, mi fece una sbucciatura alle dita che appena sentii. Mi slanciai fuori
    della porta in pieno sole. Qualcuno, ignoro chi, mi seguiva da vicino. Proprio davanti a
    me il dottore stava inseguendo il suo assalitore giù per il pendio, e nel momento stesso
    che i miei occhi caddero su di lui, egli raggiunse lo sciagurato, e lo colpì buttandolo
    riverso per terra e con un largo taglio nella faccia.
    "Intorno alla casa, ragazzi, intorno alla casa!" gridava il capitano; ed io, pur in mezzo al
    tumulto, avvertii un cambiamento nella sua voce.
    Macchinalmente obbedii; e rivoltomi a levante, col mio coltellaccio in aria, corsi
    all'angolo della casa. Un attimo, ed eccomi di fronte ad Anderson. Con un mugghio
    feroce egli alzò sopra la testa la lama che lampeggiò nel sole. Io non ebbi tempo di
    spaventarmi perché, mentre l'arma mi pendeva addosso, fulmineamente mi spostai
    spiccando un salto; e mancatomi un piede nella soffice sabbia, ruzzolai testa all'ingiù
    lungo il pendio.
    Quando m'ero lanciato fuori della porta, gli altri ribelli stavano già arrampicandosi sullo
    steccato per farla finita con noi. Uno d'essi, con in testa un berretto rosso e il suo
    coltellaccio tra i denti, aveva persino raggiunto la cima e con una gamba l'aveva già
    scavalcata. Ebbene, l'intervallo era stato così breve, che quando io mi ritrovai di nuovo
    in piedi tutti erano ancora nella stessa posizione: l'uomo dal berretto rosso mezzo di
    qua e mezzo di là, e un altro cominciava a mostrar la testa al disopra dei pali. E
    nondimeno, in questo brevissimo lasso di tempo il combattimento era terminato, e la
    vittoria era nostra.
    Gray, che mi seguiva da vicino, aveva abbattuto con un fendente il grosso nostromo
    senza lasciargli tempo, dopo che gli era fallito il colpo, di rimettersi in sesto. Un altro
    era stato freddato a una feritoia mentre tirava dentro la casa; e ora agonizzava, con in
    mano la pistola ancora fumante. Un terzo, come dissi, era stato spacciato dal dottore.
    Dei quattro che erano riusciti a scavalcare la palizzata, solo uno rimaneva incolume, il
    quale, abbandonato il suo coltellaccio sul teatro della mischia, si arrampicava un'altra
    volta per uscirne, col timore della morte alle calcagna.
    "Fuoco, fuoco dalla casa!" ordinò il dottore. "E voi, ragazzi, ritornate al coperto!" Ma
    queste parole non furono sentite, nessun colpo partì, e l'ultimo ribaldo poté
    scapolarsela immergendosi con gli altri nel bosco. Degli assalitori non rimanevano, in
    tre secondi, che i cinque caduti: quattro dentro, e uno fuori dal recinto.
    Il dottore, Gray ed io ci affrettammo a metterci al riparo. I superstiti avrebbero presto
    raggiunto il luogo dove avevano lasciato i loro moschetti; il fuoco avrebbe potuto
    ricominciare da un momento all'altro.
    La casa si era intanto liberata un po' dal fumo; e noi in un batter d'occhio misurammo il
    prezzo della nostra vittoria.
    Hunter giaceva privo di sensi davanti alla sua feritoia; Joyce, vicino a lui con una palla
    nella testa, immobile per sempre; mentre nel mezzo il cavaliere sorreggeva il capitano:
    l'uno non meno pallido dell'altro.
    "Il capitano è ferito" disse il signor Trelawney.
    "Sono fuggiti?" chiese il signor Smollett.
    «Tutti quelli che hanno potuto, state pur sicuro" rispose il dottore "ma ce ne sono
    cinque che non corre ranno più." "Cinque!" esclamò il capitano. "Ebbene, abbiamo
    progredito. Cinque da una parte e tre dall'altra, rimaniamo quattro contro nove. La
    disparità è meno forte. Alla partenza eravamo sette contro diciannove; o quanto meno
    lo pensavamo, il che non è affatto meglio (1)." Nota 1. Gli ammutinati rimasero presto
    soltanto otto, giacché l'uomo colpito dal signor Trelawney a bordo della goletta morì
    della sua ferita la sera stessa: ma ciò, naturalmente, non fu che più tardi a conoscenza
    del partito fedele.




    (continua)

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    PARTE QUINTA - LA MIA AVVENTURA IN MARE


    Capitolo 22

    Dove incomincia la mia avventura



    I ribelli non si fecero più vedere, né spararono un solo colpo dai loro nascondigli.
    Avevano avuto il fatto loro per quel giorno, per dirla col capitano; e noi, padroni del
    luogo, potemmo in tutta tranquillità ed agio vegliare i feriti e preparare il pranzo. A
    dispetto del pericolo io e il cavaliere facemmo la cucina all'aperto; e tuttavia anche lì ci
    raggiungevano gli acuti gemiti dei pazienti del dottore; era uno strazio e una
    disperazione sentirli.
    Degli otto uomini caduti nell'azione, tre soltanto respiravano ancora: il pirata che era
    stato colpito davanti alla feritoia, Hunter e il capitano Smollett. I primi due potevano
    ritenersi perduti; difatti il rivoltoso mori sotto il bisturi del dottore, e Hunter malgrado le
    nostre cure non riprese più conoscenza. Egli languì l'intero giorno respirando
    pesantemente come il vecchio filibustiere a casa nostra dopo il suo colpo apoplettico;
    aveva avuto le costole fracassate e il cranio fratturato nella caduta, e così, nel corso
    della notte seguente, senza né un gesto né una sillaba, passò al Creatore.
    Quanto al capitano, le sue ferite erano gravi in verità, ma non pericolose. Nessun
    organo era irrimediabilmente leso. La palla di Anderson, giacché era stato Anderson il
    primo a sparargli, gli aveva spezzato una scapola e toccato leggermente il polmone;
    l'altra gli aveva soltanto lacerato e spostato qualche muscolo del polpaccio. Egli
    sarebbe senza dubbio guarito, secondo quanto affermava il dottore, ma intanto e per
    alcune settimane, doveva astenersi dal camminare o dal muovere il braccio; e,
    possibilmente, evitare di parlare.
    La mia sbucciatura alle dita non aveva più importanza di un morso di pulce. Il dottor
    Livesey ci mise sopra un impiastro, e per soprappiù vi aggiunse una tiratina d'orecchi.
    Dopo pranzo il cavaliere e il dottore si consultarono un momento al capezzale del
    capitano; e ragionato che ebbero a loro piacimento, essendo di poco passato
    mezzogiorno, il dottore prese il cappello e le pistole, cinse un coltellaccio, mise la carta
    in tasca, e con un moschetto sulle spalle scavalcò la palizzata dal lato nord e s'inoltrò
    di buon passo nel bosco.
    Gray ed io ci eravamo ritirati all'estremità del fortino per non udire i discorsi dei nostri
    superiori. La stupore del mio compagno nel vedere quella uscita fu tale che si levò la
    pipa di bocca e non pensò più a rimettervela.
    "Per Satanasso" proruppe "il dottor Livesey è matto?" "Io non lo credo" risposi. "Sono
    sicuro che è l'ultimo di noi a correre questo rischio." "Ebbene, amico mio, ti ammetterò
    che non sia pazzo; ma allora, ascoltami bene, se non è pazzo LUI, lo sono io." "Io
    suppongo" replicai "che il dottore ha una sua idea. Se non sbaglio, va in cerca di Ben
    Gunn." Indovinavo, infatti, come più tardi risultò; ma intanto, poiché nella casa si
    moriva dal caldo e la sabbia dentro il recinto, sotto il sole di mezzogiorno, mandava
    riverberi arroventati, io a poco a poco mi lasciai prendere da un'altra idea che non era
    proprio altrettanto giusta. Cominciai a invidiare il dottore che, beato lui, se ne
    camminava nella fresca ombra degli alberi, godendosi i canti degli uccelli e il gradito
    aroma dei pini, mentre io, inchiodato lì, arrostivo, coi miei abiti appiccicati alla calda
    resina, e con quel sangue sparso, e quei poveri cadaveri stesi intorno a me... Mi prese
    a poco a poco un tale disgusto di quel luogo, che quasi finì per divenire terrore.
    Per tutto il tempo che impiegai a ripulire la casa e a lavare il vasellame, questo
    disgusto e il desiderio di evadere si fecero sempre più tormentosi, finché, trovandomi
    non osservato da alcuno, accanto a un sacco di pane, mi riempii le tasche di biscotti, e
    detti inizio alla mia scappata.
    Ero pazzo, se vogliamo, e certo stavo per abbandonarmi a un'azione insensata e
    temeraria: ma ero deciso a compierla senza trascurare ogni possibile precauzione.
    Questi biscotti, qualunque cosa mi capitasse, mi avrebbero evitato di morire di fame
    almeno fino a tutto l'indomani. Altro, di cui m'impadronii, fu un paio di pistole; e siccome
    già possedevo una fiaschetta di polvere e pallottole, mi credetti sufficientemente
    armato.
    Quanto al disegno che avevo in testa, non era in se stesso cattivo. Mi proponevo di
    partire dalla lingua di sabbia che separa a levante l'ancoraggio dal mare aperto,
    portarmi fino alla Roccia Bianca che avevo osservato la sera prima, ed accertarmi se
    era lì o no che Ben Gunn teneva nascosto il canotto; fatica tutt'altro che oziosa, come
    tuttora penso. Ma, essendo certo che non mi avrebbero permesso di lasciare il recinto,
    il mio unico mezzo era congedarmi alla francese, e scappar via mentre nessuno mi
    badava:
    e questo era un modo di agire così brutto che mi rendeva la cosa stessa nettamente
    riprovevole. Ma io non ero che un ragazzo, e avevo preso la mia decisione.
    Orbene, le circostanze si disposero infine in modo da crearmi una magnifica
    occasione. Il cavaliere e Gray erano occupati a cambiare le bende al capitano; la costa
    appariva sgombra; io rapido come una saetta scavalcai lo steccato, tuffandomi nel folto
    degli alberi; e, prima che la mia assenza fosse notata, non ero già più a portata di voce
    dei miei compagni.
    E fu questa la mia seconda follia, peggiore assai della prima, dato che a guardia del
    fortino io non lasciavo che due soli uomini validi: ma al pari della prima contribuì alla
    comune salvezza.
    Io mi rivolsi dritto verso la costa a levante dell'isola, perché avevo deciso di percorrere
    la lingua di sabbia dal lato del mare, per evitare il rischio di farmi scoprire
    dall'ancoraggio.
    Nonostante che il pomeriggio fosse già inoltrato, l'aria si manteneva rovente.
    Continuando il mio cammino attraverso l'alta selva, sentivo lontano davanti a me,
    insieme col continuo fragore dei marosi, un mormorìo di frasche, un agitarsi di rami,
    segni evidenti che la brezza marina si era alzata più vivace del solito.
    Presto alcune fresche folate mi raggiunsero; e fatti alcuni passi mi ritrovai sul margine
    del bosco, e vidi il mare stendersi azzurro e luminoso fino all'orizzonte, e la risacca
    abbattersi fumante di spuma lungo la spiaggia.
    Io non ricordo di aver mai visto il mare calmo intorno all'Isola del Tesoro. Il sole poteva
    dardeggiare dall'alto, l'aria restare senza un soffio, le acque dell'ancoraggio essere
    lisce e azzurre; ma sempre ancora lungo la costa esterna quei cavalloni si
    rovesciavano tuonando e tuonando giorno e notte; né io credo vi fosse un punto
    dell'isola dove quel dannato clamore non arrivasse.
    Avanzai camminando con grande piacere lungo i frangenti, finché, sembrandomi di
    essermi ormai spinto abbastanza a sud, approfittai del riparo di alcuni folti cespugli per
    strisciare cautamente fin sulla punta della lingua di terra.
    Dietro di me c'era il mare aperto: di fronte, l'ancoraggio. Come se la brezza marina si
    fosse sfogata più presto del solito nell'inconsueta violenza, era già spenta; un leggero
    e instabile venticello da sud e sud-est era seguito, portando vasti banchi di nebbia; e
    l'ancoraggio, riparato dall'isolotto dello Scheletro, giaceva quieto e plumbeo come la
    prima volta che vi eravamo entrati. In quell'intatto specchio l'"Hispaniola" si rifletteva
    dalla cima degli alberi fino alla linea d'immersione, compresa la bandiera corsara che
    pendeva dalla punta dell'albero di maestra.
    Lungo il bordo era accostato uno dei canotti governato da Silver (lui lo riconoscevo
    sempre) verso cui si chinavano, appoggiati al bastingaggio, due uomini, uno dei quali,
    con in testa un berretto rosso, era lo stesso furfante che alcune ore prima avevo visto a
    cavalcioni sulla palizzata. Sembrava che parlassero e ridessero:
    però a quella distanza, più di un miglio, non potevo naturalmente afferrare una sillaba.
    D'improvviso scoppiò un atroce infernale gridìo, che a tutta prima mi gelò il sangue; ma
    riconobbi subito la voce di "capitano Flint", e mi sembrò anche, dalle penne sgargianti,
    di distinguere l'uccello posato sul polso del suo padrone.
    Poco dopo, il canotto si distaccò, dirigendosi verso la spiaggia, e l'uomo dal berretto
    rosso e il suo compagno si calarono dentro la cabina.
    Nel frattempo il sole era tramontato dietro il Cannocchiale, e poiché la nebbia si
    andava rapidamente addensando, l'aria cominciava a scurire. Volendo rintracciare il
    canotto quella sera stessa, non dovevo perdere tempo.
    La Roccia Bianca, abbastanza visibile al disopra dei cespugli, era ancora circa un
    ottavo di miglio distante, giù sulla lingua di terra, e mi ci volle un po' per arrivarci,
    strisciando spesso carponi attraverso il forteto. La notte già incombeva quando misi la
    mano sul suo scabro fianco. Proprio sotto di essa c'era una piccola cavità erbosa
    nascosta da rocce e da una lussureggiante vegetazione che mi arrivava al ginocchio; e
    nel mezzo della buca c'era proprio una piccola tenda di pelle di capra simile a quella
    che gli zingari si portano dietro in Inghilterra.
    Saltai nella buca, sollevai l'orlo della tenda, ed ecco il canotto di Ben Gunn: rustico
    lavoro, se altro mai ve ne fu, consistente in una rozza bistorta carcassa di legno duro,
    con tesa sopra una coperta di pelle di capra, col pelo verso il di dentro. Lo scafo era
    estremamente piccolo anche per me, e non so immaginarmi come potesse portare un
    adulto. C'era un sedile collocato più in basso che fosse possibile, una specie di pedana
    alle due estremità, e una doppia pagaia come propulsore.
    Non avevo mai visto una piroga, il battello degli antichi Bretoni, ma ne vidi poi una, e
    non saprei dare una più chiara idea dell'imbarcazione di Ben Gunn che confrontandola
    con la prima e più informe piroga che mano d'uomo avesse costruita. Ma un gran
    vantaggio alla piroga non le mancava di certo, leggerissima com'era, e portatile.
    Ora che avevo trovato il battello, sembrava naturale che l'avventura finisse lì; ma nel
    frattempo un'altra idea m'era saltata in mente, e me ne ero così ardentemente
    innamorato, che l'avrei realizzata, credo, anche a dispetto dello stesso capitano
    Smollett. Si trattava di sgusciare fuori protetto dall'oscurità notturna, tagliare l'ormeggio
    dell'"Hispaniola" e lasciarla andare alla deriva contro la costa come meglio le piacesse.
    Ero sicuro che ai ribelli, dopo lo scacco del mattino, nulla stesse tanto a cuore quanto
    levare l'àncora e prendere il largo; sarebbe, pensavo, un bel colpo impedirglielo; e
    poiché avevo constatato come lasciassero i loro guardiani sprovvisti di una
    imbarcazione, credevo di poter attuare il mio progetto con poco rischio.
    Messomi a sedere, per attendere che fosse buio, mangiai di gusto il mio biscotto. Notte
    più propizia al mio disegno non si sarebbe potuta scegliere tra mille. La nebbia aveva
    ormai invaso tutto il cielo. Quando le ultime luci del giorno diminuirono fino a
    scomparire del tutto, un'assoluta oscurità avvolse l'Isola del Tesoro. E quando infine mi
    caricai sulle spalle la piroga, e, districatomi a fatica dalla buca dove avevo mangiato,
    presi a tastoni la strada, non vi erano in tutto l'ancoraggio che due soli punti visibili.
    Uno era il gran fuoco acceso sulla riva, intorno al quale gli sconfitti pirati stavano
    gozzovigliando. L'altro, uno scialbo luccichio nelle tenebre, indicava il punto dove la
    goletta era ancorata. Il riflusso l'aveva fatta girare; ora mi presentava la prua; e poiché i
    soli lumi a bordo erano nella cabina, ciò che io vedevo non era che il riverbero dentro
    la nebbia dei vivi raggi che scaturivano dalla finestra di poppa.
    La marea calava già da qualche tempo, e mi toccò attraversare un lungo banco di
    sabbia pantanosa, affondandovi più volte fin sopra il collo del piede, prima di
    raggiungere il limite del mare. Mi addentrai un po', e, con un po' di forza e destrezza,
    deposi sulla superficie, a chiglia in giù, la piroga.




    (continua)

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    00 21/01/2009 19:33

    Capitolo 23

    La marea discende



    La piroga, com'ebbi modo di constatare prima di lasciarla, era un'imbarcazione molto
    sicura per una persona della mia statura e peso, leggera e adatta a tenere il mare: ma,
    così stramba e sbilenca, era pure il più difficile scafo da governare. In qualunque
    maniera la si prendesse, andava sempre alla deriva, e la miglior manovra che sapesse
    fare era girare in tondo. Lo stesso Ben Gunn aveva ammesso che era "dura da
    maneggiare finché non si conoscevano i suoi modi".
    Io certamente non conoscevo i suoi modi. Si girava verso tutte le direzioni fuorché
    verso quella quella dove mi premeva andare: la maggior parte del tempo avanzavamo
    di traverso, e se non fosse stato per il rincalzo della marea, sono sicurissimo che non
    avrei mai abbordato la nave. Per fortuna, mentre pagaiavo alla meglio, la marea
    seguitava a sospingermi avanti, e l'"Hispaniola" stava giusto sulla mia rotta,
    difficilmente mi sarebbe sfuggita.
    Da principio mi si parò davanti come una macchia di qualcosa più nero ancora delle
    tenebre, poi alberi e scafo presero forma, e subito dopo, siccome più avanzavo e più la
    corrente della marea rinforzava, mi trovai vicino alla gòmena, e l'afferrai.
    La gòmena era tesa come la corda di un arco, tanto la nave tirava su l'àncora.
    Tutt'intorno allo scafo, nel buio, la maretta della corrente sobbolliva e gorgogliava come
    un piccolo torrente montano. Un colpo del mio coltellaccio, e l'"Hispaniola" se ne
    sarebbe andata mormorando con la marea. Graziosissima prospettiva.
    Ma mi ricordai in tempo che il taglio improvviso d'una gòmena tesa è non meno
    pericoloso di un cavallo che spara calci. Fossi stato così temerario da tagliare il cavo
    che legava l'"Hispaniola" all'àncora, c'erano dieci probabilità contro una che io e la
    piroga insieme saremmo stati sbalzati in aria.
    Questa riflessione mi trattenne; e se il caso non mi avesse favorito in modo speciale,
    avrei dovuto abbandonare il mio disegno. Ma la leggera brezza che aveva cominciato a
    soffiare da sud-est e sud, si era, col cadere della notte, girata verso sud- ovest. Mentre
    appunto stavo meditando, arrivò una folata, investì l'"Hispaniola", e la sospinse contro
    corrente; e, con mia grande gioia, sentii la gòmena allentarsi nel mio pugno, e la mano
    con la quale la tenevo tuffarsi per un secondo nell'acqua.
    Ciò mi decise; tirai fuori il coltellaccio, l'aprii coi denti, e tagliai i cordoni del cavo finché
    non me ne rimasero che due o tre a trattenere il bastimento. Dopo di che rimasi
    tranquillo, aspettando di tagliare gli ultimi quando la loro tensione fosse un'altra volta
    diminuita in seguito a un soffio di vento.
    Durante tutto questo tempo un brusìo dalla cabina era giunto al mio orecchio; ma, a
    dire il vero, la mia mente era talmente presa da altro, che non vi avevo troppo fatto
    caso. Adesso però, che non avevo più niente da fare, cominciai a prestarvi maggiore
    attenzione.
    Riconobbi una voce come quella del quartiermastro Israel Hands, già cannoniere di
    Flint; l'altra era naturalmente la voce dell'amico mio dal berretto rosso. Tutti e due
    erano ubriachi fradici, eppure trincavano ancora, poiché, mentre io tendevo l'orecchio,
    uno di essi con un'imprecazione aprì la finestra di poppa e buttò via qualche cosa che
    indovinai essere una bottiglia vuota. Ma essi non erano solo brilli; si capiva che erano
    anche furiosamente arrabbiati. Le bestemmie volavano come grandine, e di tanto in
    tanto culminavano in una tale esplosione che pareva non potesse finire se non in una
    zuffa. Ma ogni volta la contesa si placava e il tono delle voci si abbassava, finché
    un'altra crisi non sopraggiungeva per passare allo stesso modo, senza alcun risultato.
    A terra io potevo vedere il chiarore del grande fuoco dell'accampamento che bruciava
    tra gli alberi della riva. Qualcuno andava cantando una vecchia triste e uggiosa
    canzone marinaresca, con un languido tremolare alla fine di ogni strofa, che pareva
    non dovesse aver termine se non con la pazienza del cantore. Più d'una volta durante
    il viaggio io l'avevo sentita, e ricordavo queste parole:
    Un solo della ciurma restò in vita Che numerosa era sul mare uscita.
    E pensai che era un ritornello troppo lugubremente appropriato a una brigata che il
    mattino aveva incontrato così crudeli perdite.
    Ma, in verità, a quanto vedevo, tutti questi scellerati erano altrettanto insensibili quanto
    il mare su cui navigavano.
    Finalmente la brezza arrivò; la goletta si spostò nell'oscurità, e mi si portò più vicina; io
    sentii la gòmena mollare un'altra volta, e con un rude sforzo troncai le ultime fibre.
    La brezza non ebbe che una debole azione sulla mia piroga, ed io fui quasi
    istantaneamente proiettato contro la prua dell'"Hispaniola". Nello stesso tempo la
    goletta prese lentamente a girare sul suo calcagnòlo in mezzo alla corrente.
    Io mi agitavo come un demonio aspettandomi di dover affogare da un momento
    all'altro, e quando mi fui accorto che non mi era possibile distaccare con un colpo la
    piroga, mi portai dritto verso poppa. Finalmente libero da quella pericolosa vicinanza, e
    giusto mentre stavo dando l'ultima spinta, le mie mani si scontrarono con una funicella
    che penzolava fuori bordo dal cassero di poppa. Immediatamente l'afferrai.
    Perché avessi fatto ciò, non saprei dire. Fu dapprima un atto istintivo: ma non appena
    ebbi in pugno la corda e la sentii salda, la curiosità prese il sopravvento, e decisi di
    gettare un'occhiata dalla finestra della cabina.
    A forza di braccia tirai a me la corda, e quando mi ritenni abbastanza vicino, mi alzai
    con mio grande rischio quasi in piedi sulla piroga, e potei scoprire il soffitto e parte
    dell'interno della cabina.
    Intanto la goletta e la sua piccola seguace scivolavano velocemente sull'acqua: difatti
    eravamo già arrivati all'altezza del fuoco dell'accampamento. Il bastimento
    chiacchierava, come dicono i marinai, abbastanza forte, rompendo con un incessante
    sobbollimento di spuma le innumerevoli increspature del mare; e finché io non gettai
    l'occhio al disopra del davanzale della finestra, non potei comprendere come mai i
    guardiani non avessero dato l'allarme. Uno sguardo peraltro fu sufficiente; e fu il solo
    che osai lanciare da quell'instabile scafo. Esso mi mostrò Hands e il suo compagno
    stretti in una lotta mortale, ognuno con la mano sulla gola dell'altro.
    Io mi lasciai ricadere sul banco e giusto in tempo, perché ero quasi fuori bordo. Per un
    momento non vidi altro che quelle due facce scarlatte di furore, ondeggianti sotto la
    lampada fumosa; e chiusi le palpebre per dare modo ai miei occhi di riabituarsi alle
    tenebre.
    L'eterna canzone si era infine zittita, e intorno al fuoco dell'accampamento la decimata
    banda aveva intonato il coro che così spesso io avevo udito:
    "Quindici sulla cassa del morto, Yò, hò-hò, e una bottiglia di rum!
    Satana agli altri non ha fatto torto, Con la bevanda li ha spediti in porto.
    Yo, hò-hò, e una bottiglia di rum!" Io stavo pensando all'opera che in quel preciso
    momento bevanda e diavolo compivano nella cabina dell'"Hispaniola", quando fui
    sorpreso da un improvviso rullìo della piroga. Nel medesimo istante essa si torse
    violentemente e sembrò cambiare rotta. La sua velocità era intanto stranamente
    aumentata.
    Spalancai gli occhi. Tutt'intorno a me ila mare bolliva con piccole irte creste ronzanti e
    fosforescenti. La stessa "Hispaniola" nel cui solco, a distanza di pochi metri, io fuggivo
    aggirato, pareva esitare sulla direzione da prendere, ed io vidi i suoi alberi tentennare
    contro l'oscurità della notte; poi, guardando meglio, mi accertai che anch'essa virava
    verso il sud.
    Gettai un'occhiata obliqua al disopra delle mie spalle, e il mio cuore sussultò. Là,
    proprio dietro a me, c'era il chiarore del fuoco dell'accampamento. La corrente si era
    piegata ad angolo retto, trascinando con sé l'alta mole della goletta; e la minuscola
    saltellante piroga, sempre accelerando la sua corsa e con più acuto stridere e
    borbottare di acqua, filava per lo stretto verso il mare aperto.
    D'improvviso la nave virò violentemente, deviando di forse una ventina di gradi. Quasi
    nello stesso momento due urli si susseguirono a bordo, ed io sentii un calpestìo di
    passi su per la scala del corridoio, e compresi che i due beoni erano infine stati
    interrotti nella loro contesa e richiamati al senso dell'imminente disastro.
    Io mi coricai supino nel fondo di quel disgraziato scafo e devotamente raccomandai la
    mia anima al Creatore. Ero sicuro che all'uscita dallo stretto saremmo andati a sbattere
    contro i furiosi frangenti di qualche scogliera dove tutti i miei affanni avrebbero trovato
    immediata fine; e sebbene fossi abbastanza forte da sopportare la morte, mal
    sopportavo la visione dell'avvicinarsi del mio destino.
    Credo di aver continuato a rimanere in tale stato per ore, continuamente sbalzato qua
    e là dai marosi e inzuppato dai loro spruzzi; e sempre aspettando, a un prossimo tuffo,
    la morte. A poco a poco la stanchezza mi vinse; un torpore, un passeggero stupore
    occuparono, pure in mezzo ai miei terrori, il mio spirito; finché il sonno mi prese, ed io,
    giacendo nella mia piroga sballottata dai flutti, sognai la mia casa e il mio vecchio
    "Ammiraglio Benbow".




    (continua)

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    Capitolo 24

    La crociera della piroga



    Era pieno giorno quando mi svegliai e mi trovai a navigare all'estremità sud-ovest
    dell'Isola del Tesoro. Il sole era già alto, ma nascosto alla mia vista dalla mole del
    Cannocchiale che da questo lato discendeva fino quasi al mare in paurosi dirupi.
    La punta Issa la Bolina e il monte dell'Albero di Mezzana erano vicini; il monte, nudo e
    fosco; la punta, turrita di rupi alte quaranta o cinquanta piedi e contornate in basso da
    grossi blocchi di roccia franata. Ero appena un quarto di miglio al largo e il mio primo
    pensiero fu di pagaiare verso la costa e approdare.
    Questo progetto fu presto abbandonato. Tra i massi rovinati la risacca tempestava
    urlando; clamorosi rimbombi, torrenti di spume lanciati in alto e che ricadevano
    pesantemente, si susseguivano di attimo in attimo, ed io mi vidi - se avessi osato
    avventurarmi più da vicino - sfracellato contro la selvaggia riva o condannato ad
    esaurirmi nel vano tentativo di scalare le rocce a strapiombo.
    Né questo era tutto, perché dei mostri melmosi mi apparvero, simili a lumaconi di
    straordinaria grandezza, che a branchi di due o tre dozzine strisciavano sulla piatta
    superficie dei macigni, o si lasciavano con grande strepito ricadere in mare sollevando
    coi loro latrati gli echi delle insenature.
    Seppi in seguito che erano dei leoni marini assolutamente innocui.
    Ma il loro aspetto, aggiunto alla difficoltà della spiaggia e alla furia dei cavalloni, fu più
    che sufficiente a disgustarmi di quell'approdo. In verità, preferivo morire di fame in
    mare, piuttosto che affrontare simili pericoli.
    Frattanto mi si offriva, o mi così mi sembrò, una soluzione migliore. A nord del Capo
    Issa la Bolina la costa corre per un buon tratto lasciando, con la bassa marea, scoperta
    una lunga striscia di sabbia gialla. Oltre quel capo, ancora a nord, ne spunta un altro, il
    Capo dei Boschi, com'era segnato sulla carta, rivestito di secolari pini verdi che
    discendevano fino a sfiorare il mare.
    Ricordavo di aver sentito da Silver che lungo tutta la costa occidentale dell'Isola del
    Tesoro la corrente va verso nord, e rilevando dalla mia posizione che io ero già sotto la
    sua influenza, pensai che era meglio lasciarmi dietro il Capo Issa la Bolina e riservare
    le mie forze per un tentativo di approdo al più attraente Capo dei Boschi.
    Nel mare c'erano onde grandi e lisce. Un vento piacevole e costante soffiava da sud, e
    non essendovi contrasti fra esso e la corrente, i marosi si alzavano e ricadevano senza
    frangersi.
    Fosse stato diversamente, io sarei morto da un pezzo: ma in quelle condizioni era
    stupefacente la facilità e la sicurezza con cui la mia piccola e leggera imbarcazione
    navigava. Spesso, stando ancora coricato sul fondo della piroga senza alzare più di un
    occhio al disopra del bordo, vedevo pendere su me minacciosa una grossa cresta
    azzurra; ma la piroga non faceva che sobbalzare un po', danzare come in cima a delle
    molle, e calarsi dall'altra lato dell'onda come in un nido con la disinvoltura di un uccello.
    Presi presto coraggio, e mi misi a sedere per provare la mia bravura a pagaiare. Ma
    basta un minimo cambiamento nella disposizione del peso a provocare una alterazione
    nel comportamento di una piroga. Ed io mi ero appena mosso, che il canotto,
    interrompendo di colpo la sua danzante andatura, precipitò lungo un così rapido pendio
    d'acqua che mi dette le vertigini, e con una nuvola di schiuma affondò il naso nel fianco
    dell'ondata successiva.
    Inzuppato e atterrito mi lasciai immediatamente ricadere nella primitiva posizione, al
    che la piroga sembrò tornare in sé, e riprese a portarmi tra i marosi con la delicatezza
    di prima. Era chiaro che non bisognava contrariarla; ma di questo passo, non avendo
    io modo di influire sulla sua rotta, come potevo sperare di prender terra?
    Mi prese una tremenda paura, e tuttavia non perdetti la testa.
    Innanzitutto, muovendomi con grande precauzione, aggottai col mio berretto marino
    l'acqua dalla piroga; e poi, allungando ancora una volta lo sguardo al disopra del
    bordo, presi a studiare come faceva a scivolare così dolcemente fra i cavalloni.
    Mi accorsi che ogni cavallone, anziché la voluminosa uguale e liscia eminenza che
    sembra dalla riva o dal ponte d'una nave, era del tutto simile a una catena di montagne
    terrestri, ricca di picchi, di altipiani e di valli. La piroga, abbandonata a se stessa,
    piegandosi ora sull'uno ora sull'altro fianco, s'infilava per così dire nei punti più bassi,
    evitando i ripidi declivi e le più alte ed irte creste.
    "Ebbene" dissi a me stesso "è chiaro che mi conviene rimanere dove sono e non
    turbare l'equilibrio, ma è anche chiaro che posso passare la pagaia al disopra del
    bordo, e di tanto in tanto, nelle zone piane, dare un colpo o due verso terra." Detto
    fatto. Mi alzai sui gomiti, e stando in questa disagiatissima posizione davo a intervalli
    qualche debole colpo per far volgere la prua verso la costa.
    Era una lenta e spossante fatica. Tuttavia guadagnavo terreno, e avvicinandomi al
    Capo dei Boschi, per quanto lo vedessi irremissibilmente perduto, constatai che avevo
    fatto qualche centinaio di metri ad est. In realtà, ero assai vicino a terra.
    Vedevo le fresche verdi cime degli alberi oscillare alla brezza, e ero sicuro di
    approdare al prossimo promontorio.
    Era davvero tempo, poiché la sete cominciava a torturarmi. Le vampe del sole
    spioventi dall'alto, le miriadi di riflessi lanciati dalle onde, gli spruzzi marini che mi
    cadevano addosso e si seccavano incrostando le mie labbra di sale, si alleavano per
    bruciare la mia gola e indolenzirmi la testa. La vista degli alberi così vicini mi
    consumava di smania: ma presto la corrente mi trascinò oltre il promontorio, e quando
    la nuova distesa di mare mi si aprì alla vista, io scorsi qualcosa che cambiò il cammino
    dei miei pensieri.
    Davanti a me, a distanza di neppure un miglio, scorsi l'"Hispaniola" alla vela. Ebbi
    naturalmente la certezza che sarei stato preso; ma ero talmente afflitto dalla mancanza
    d'acqua, che non sapevo io stesso se rallegrarmi o dolermi di quella prospettiva; e
    assai prima di giungere a una conclusione, la sorpresa si era al tutto impadronita di
    me, e non potei fare altro che sbarrare gli occhi e stupire.
    L'"Hispaniola" era sotto la vela di trinchetto e due fiocchi, e la bella candida tela
    splendeva al sole come neve o argento. Nel primo istante che la vidi, tutte le sue vele
    portavano, ed essa faceva rotta per nord-ovest, cosicché io presumevo che i suoi
    marinai aggirassero l'isola per ritornare all'ancoraggio. Ora, invece, appoggiava
    sempre più verso ovest, cosicché credetti che mi avessero scoperto e mi dessero la
    caccia. Ma finalmente entrò in pieno vento, fu respinta indietro, e restò là un momento
    inerte, con le vele che sbattevano.
    "Che balordi!" dissi tra me "devono essere pieni come otri." E pensai a come il capitano
    Smollett li avrebbe fatti ballare.
    Frattanto la goletta a poco a poco andava alla banda e iniziava un'altra bordata
    navigando velocemente un minuto o due, per rimanere di nuovo in panne. Questo si
    ripeté varie volte. Di qua, di là, di su, di giù; a nord, a sud, a est, a ovest:
    l'"Hispaniola" navigava a colpi impetuosi, e ogni ripetizione si concludeva come era
    cominciata, con un vano sbattere di vele. Mi persuasi che nessuno la governava. Ma, e
    gli uomini? O erano ubriachi fradici, o avevano disertato, pensavo; e forse, potendo io
    salire a bordo, riuscirei a restituire la nave al capitano.
    La corrente sospingeva piroga e goletta a sud a una stessa velocità. Ma la navigazione
    di quest'ultima era così insensata e incoerente, e il bastimento indugiava così tanto a
    virare, che sicuramente non guadagnava nulla, seppure addirittura non perdeva.
    Bastava soltanto che osassi alzarmi a pagaiare, e l'avrei sicuramente raggiunta. Il
    progetto aveva un'aria di avventura che mi tentava, e il pensiero della cassa d'acqua
    accanto al cassero di prua raddoppiava il mio rinascente coraggio.
    Alzatomi, fui quasi subito accolto da un'altra nuvola di sbruffi, ma stavolta tenni duro
    nel mio proposito, e mi misi con tutta forza e cautela a pagaiare dietro la malgovernata
    "Hispaniola".
    Ad un certo punto imbarcai un tale colpo di mare che dovetti fermarmi e aggottare, col
    cuore palpitante come un uccello; ma a poco a poco imparai la manovra e guidai la
    piroga tra i flutti senz'altro fastidio che, di tanto in tanto, un urto nella prua e uno
    schizzo di schiuma sulla mia faccia.
    Ora guadagnavo rapidamente sulla goletta; potevo vedere il rame luccicante sulla
    barra del timone quando si piegava da un lato; e tuttavia non un'anima appariva sul
    ponte. Indubbiamente l'"Hispaniola" era abbandonata. Oppure gli uomini, cotti dal rum,
    giacevano sotto, dove io avrei potuto chiuderli, forse, e disporre della nave a mio
    piacimento.
    Da qualche momento essa si stava comportando nella peggior maniera possibile per
    me. Teneva la prua quasi a sud, continuando, naturalmente, a zigzagare. Ogni volta
    che andava alla banda, le sue vele si gonfiavano parzialmente, e non tardavano di
    nuovo a drizzarla contro il vento. Ho detto che ciò era il peggio per me; infatti, deserta
    come sembrava, con le vele che sbattevano fragorose come cannoni, i bozzelli che
    ruzzolavano sul ponte e lo tempestavano di colpi, essa continuava ad allontanarsi da
    me, aggiungendo alla velocità della corrente quella non piccola della sua deriva.
    Ma finalmente la fortuna mi aiutò. Per alcuni secondi la brezza cadde fino a diventare
    un soffio, e sotto l'azione della corrente l'"Hispaniola" piano piano girò sul proprio asse,
    presentandomi da ultimo la poppa con la finestra della cabina spalancata e sul tavolo
    la lampada ancora accesa in pieno giorno. La vela di trinchetto pendeva floscia come
    una bandiera. Salvo la corrente, la nave era immobile.
    Durante gli ultimi istanti ero di nuovo rimasto indietro; ma ora, moltiplicando i miei
    sforzi, raggiungevo un'altra volta la mia preda.
    Non distavo da lei più di cento metri, quando tornò il vento con una brusca folata;
    l'"Hispaniola" ripartì, mura a babordo, e di nuovo si allontanò, inclinata sul fianco,
    sfiorando l'acqua come una rondine.
    Il mio primo moto fu di disperazione, ma il secondo fu di gioia.
    La goletta virò fino a mostrarmi il fianco, e poi ancora fino a coprire una metà e poi due
    terzi e poi tre quarti dello spazio che ci divideva. Vedevo i marosi bollire bianchi di
    spuma sotto la sua prua. Mi sembrava smisuratamente alta, guardata dall'umiltà della
    mia piroga.
    D'improvviso compresi. Non ebbi tempo né di riflettere ne di agire per salvarmi. Ero
    sulla cima di un'onda quando la goletta arrivò con impeto sulla successiva. Il
    bompresso era sulla mia testa.
    Scattai in piedi, e mi slanciai, respingendo con un calcio la piroga sott'acqua. Con una
    mano mi aggrappai al bastone di fiocco, mentre il mio piede si collocava fra lo straglio
    e il braccio; e stando io così agganciato e tutto ansimante, un sordo colpo m'avvertì
    che la goletta aveva investito e fracassato la piroga, e che io mi trovavo senza
    possibilità di scampo prigioniero dell'"Hispaniola".




    (continua)

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    Capitolo 25

    Ammaino il Jolly Roger



    Mi ero appena installato sul bompresso, che il flocco volante si riscosse e si riempì di
    vento cambiando murata, col rumore di una schioppettata. Sotto l'urto la goletta tremò
    fino alla chiglia, ma di lì a poco, continuando le altre vele a portare, il fiocco tornò a
    svolazzare, e poi ricadde ozioso.
    Poco mancò che lo scossone non mi gettasse in mare. Senza perdere tempo strisciai
    lungo il bompresso e piombai, testa in avanti, sul ponte.
    Ero sottovento al cassero di prua, e la randa maestra, che portava sempre, mi
    nascondeva una parte della coperta di poppa. Non si vedeva anima viva. Il tavolato,
    non più scopato dopo la rivolta, portava l'impronta di molte pedate; e una bottiglia
    vuota, col collo rotto, rotolava di qua e di là per gli ombrinali come una cosa viva.
    D'improvviso l'"Hispaniola" prese il vento in pieno. I fiocchi alle mie spalle strepitarono
    forte, la barra del timone si abbatté, l'intera nave ebbe un doloroso sussulto; nello
    stesso istante la verga di randa rientrò dentro il bordo, e la vela, stridendo nei bozzelli,
    mi permise di vedere la parte della coperta di poppa.
    Le due guardie erano là: Berretto Rosso supino, rigido come una stanga, con le
    braccia spalancate come quelle d'un crocifisso, le labbra semichiuse che scoprivano i
    denti; Israel Hands appoggiato contro il bastingaggio, il mento sul petto, le palme delle
    mani aperte davanti a sé, e la faccia, sotto la tinta bronzea, scialba come una candela
    di sego.
    Per un momento la nave si contorse andando storta come un cavallo vizioso, mentre le
    vele prendevano il vento ora da un bordo ora dall'altro, e la verga di randa, balzando di
    qua e di là, faceva, sotto lo sforzo, lamentare l'albero. Di tanto in tanto una nuvola di
    spruzzi saltava al disopra del bastingaggio e la prua cozzava violentemente contro un
    maroso; il grande e bene attrezzato veliero navigava assai peggio della rustica e
    bistorta piroga ormai seppellita in fondo al mare.
    A ogni sobbalzo della goletta Berretto Rosso scivolava da una banda all'altra: ma, cosa
    oscena a vedere, né il suo atteggiamento, né la smorfia che gli metteva in luce i denti,
    erano modificati da questi bruschi spostamenti. A ogni sobbalzo pure Hands lo si
    vedeva ripiegarsi su se stesso e abbioccarsi sulla coperta come un sacco vuoto; i suoi
    piedi sdrucciolavano sempre più lontani, e tutto il corpo s'inclinava verso poppa,
    cosicché il suo viso a poco a poco mi fu nascosto, e alla fine non emerse più che un
    orecchio e la punta di un baffo.
    In quell'istante mi accorsi di macchie di sangue annerito sul tavolato intorno a loro, il
    che mi fece pensare che nel furore dell'ubriachezza i due si fossero massacrati.
    Stavo così guardando e meravigliandomi, quando, in un momento di calma in cui il
    bastimento smise di rullare, Israel Hands si girò a metà verso di me, e torcendosi con
    un fioco gemito riprese la posa nella quale lo avevo trovato prima. Quel gemito che
    tradiva una pena e una debolezza mortali, e il modo come quella mascella aperta
    pendeva, mi andarono diritti al cuore. Ma ricordandomi il discorso che avevo sentito dal
    barile di mele, ogni pietà venne meno.
    Avanzai verso poppa fino all'albero di maestra.
    "Venite a bordo, signor Hands" dissi ironicamente.
    Egli girò a fatica i suoi occhi: ma era troppo abbrutito per esprimere sorpresa. Tutto
    quanto poté fare fu di dire una parola:
    "Acquavite." Io riflettei che non c'era tempo da perdere, e spostando la verga di randa
    che di nuovo dondolava di traverso alla coperta, scappai a poppa e per la scala del
    cassero discesi nella cabina.
    Era una scena di disordine difficilmente immaginabile. Tutti i cassetti chiusi a chiave
    erano stati scassinati per cercare la carta. Sul pavimento, due dita di mota, dove i
    banditi s'erano sdraiati a cioncare e consultarsi dopo essersi impantanati nello stagno
    che contornava il loro campo. Le paratie, tutte dipinte in bianco-argento e fregiate di
    dorature tutt'intorno, avevano impronte di mani sporche. Dozzine di bottiglie vuote
    tintinnavano insieme, urtandosi negli angoli al rullìo della nave. Uno dei libri di medicina
    del dottore stava aperto sulla tavola con metà delle pagine strappate, probabilmente
    per accendere la pipa. In mezzo a tutto ciò la lucerna diffondeva ancora una luce
    fumosa e rossastra, come terra d'ombra.
    Passai nella cantina. Le botti erano sparite e la maggior parte delle bottiglie erano state
    bevute e buttate via. Dall'inizio dell'ammutinamento nessun di loro certamente aveva
    smesso di bere e di ubriacarsi.
    Rovistando qua e là trovai una bottiglia con un resto d'acquavite per Hands; e per me
    afferrai alcuni biscotti, un po' di frutta in conserva, un grosso grappolo d'uva, e un
    pezzo di formaggio. Con questa roba risalii in coperta; deposi la mia provvista dietro la
    testa del timone, e tenendomi a doverosa distanza dal quartiermastro, raggiunsi a prua
    la cassa d'acqua, dove con una buona interminabile sorsata spensi la mia sete; e
    allora, ma solamente allora, porsi a Hands l'acquavite.
    Credo ne bevesse un quarto di litro prima di decidersi a staccar la bottiglia dal muso.
    "Ah" disse "un po' di questa ci voleva, per mille diavoli!" Io, seduto nel mio angoletto,
    avevo già cominciato a mangiare.
    "Molto ferito?" gli chiesi.
    Egli grugnì, o piuttosto latrò:
    "Se quel dottore fosse a bordo, un paio di volte che mi visitasse mi rimetterebbe in
    piedi, ma non ho fortuna io, vedi, ed è questo che mi secca. Quanto a quella ramazza,
    è bell'e andata" aggiunse indicando l'uomo dal berretto rosso. "Non è mai stato un
    marinaio, del resto. Ma da dove sei saltato fuori, tu?" "Sono venuto a bordo per
    prendere possesso di questa nave, signor Hands; e fino a nuovo ordine siete pregato
    di considerarmi come vostro capitano." Mi guardò stizzito, ma non articolò sillaba. Sulle
    sue guance era tornato un po' di colore, benché apparisse ancora molto sfinito e
    continuasse a scivolare e ricadere a secondo delle scosse del bastimento.
    "A proposito" continuai io "non posso battere questa bandiera, signor Hands, e con
    vostra licenza l'abbasserò. Meglio nessuna che questa." E, spostando un'altra volta la
    verga di randa, corsi alla drizza della bandiera, ammainai quella maledetta insegna, e
    la scagliai in mare.
    "Dio salvi il Re!" esclamai agitando il mio berretto. "E' finita col capitano Silver!" Egli mi
    osservava acuto e furtivo senza levare il mento dal petto.
    "Io suppongo" disse infine "io suppongo, capitano Hawkins, che tu avrai voglia di
    approdare, ora. Vogliamo discutere?" "Ma sì, con tutto il cuore, signor Hands. Dite
    pure." E mi rimisi a mangiare di buon appetito.
    "Quest'uomo" cominciò egli con un debole cenno del capo verso il cadavere, O'Brien si
    chiamava, un bestione d'irlandese, quest'uomo ed io avevamo messo alla vela con
    l'intenzione di ricondurre il bastimento all'ancoraggio. Ebbene, adesso lui è morto,
    morto come la sentina, e io non vedo chi sarà capace di manovrare questo bastimento,
    non vedo. Se non ti do qualche consiglio non te la cavi, questo è quanto io posso dire.
    Ora, ascoltami: tu mi darai da bere e da mangiare, e una vecchia sciarpa per fasciarmi
    la ferita, mi darai; e io ti dirò come manovrare. Mi sembra che la proposta quadri, no?"
    "Dovete sapere una cosa" dissi io "ed è che io non intendo ritornare all'ancoraggio del
    capitano Kidd. Io conto di andare nella baia del Nord e arenarmi là tranquillamente."
    "Me l'aspettavo" gridò lui. "E dunque tu vedi che non sono poi un così perfetto idiota,
    dopo tutto. Le cose le conosco anch'io, no?
    Ho tentato il mio colpo, ho tentato; e ho perduto, e sei tu adesso che hai il sopravvento
    su me. La baia del Nord? E sia. Non ho possibilità di scelta, io. Vorrei piuttosto aiutarti
    a portarci alla Riva delle Forche, questo sì, per Satanasso!" La proposta mi parve
    abbastanza sensata. Concludemmo senz'altro il patto. Tre minuti dopo, l'"Hispaniola"
    filava spedita col vento in poppa lungo la costa dell'Isola del Tesoro, con buona
    speranza di doppiare prima di mezzogiorno l'estrema punta settentrionale ed entrare
    nella baia prima dell'alta marea, per poter arenare in salvo e aspettare che la bassa
    marea ci permettesse di sbarcare.
    Legai allora la barra del timone e scesi dabbasso a prendere nel mio baule uno dei
    fazzoletti di seta fina, regalo di mia madre.
    Col quale, e col mio aiuto, Hands poté bendare la larga sanguinante ferita della
    pugnalata ricevuta sulla coscia; e dopo che ebbe mangiato e tracannato ancora uno o
    due sorsi di acquavite, cominciò a visibilmente a risollevarsi, si tenne meglio dritto,
    parlò più forte e più chiaro, e sembrò completamente un altro uomo.
    La brezza ci favoriva magnificamente. Procedevamo davanti a lei con la leggerezza di
    un uccello. La costa fuggiva come il lampo, e la scena cambiava ogni momento. Presto
    oltrepassammo i luoghi montuosi, volammo lungo una regione piatta e sabbiosa
    sporadicamente picchiettata di pini nani, e superata anche quella girammo lo sprone
    della collina rocciosa che chiude l'isola a nord.
    Io ero molto fiero del mio nuovo posto di comando, e mi godevo il tempo chiaro e
    luminoso, e i vari aspetti della costa. Possedevo acqua in abbondanza, e buone cose
    da mangiare, e la mia coscienza, che già mi aveva duramente rimorso per la mia
    diserzione, si acquietava ora nella grande conquista che ero riuscito a fare.
    Nulla mi sarebbe più rimasto da desiderare se non ci fossero stati gli occhi del
    quartiermastro che mi seguivano beffardi per tutto il ponte, ed il sinistro sorriso che di
    continuo affiorava sulle sue labbra. Era un sorriso fatto di sofferenza e debolezza
    insieme, un sorriso di vecchio disfatto: ma c'era pure, oltre a ciò, una punta di scherno,
    un'ombra di perfidia, nella sua espressione, mentre egli scaltramente mi spiava e
    spiava e spiava seguendo il mio lavoro.




    (continua)

    _________Aurora Ageno___________
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