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La Parola commentata della S. Messa del giorno-1

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    Venerdì 10 Giugno 2011
    7a settimana di Pasqua

    Parola del giorno
    Atti degli Apostoli 25,13-21; Salmo 102,1-2.11-12.19-20b; Vangelo di Giovanni 21,15-19

    Antifona e Salmo 102,1-2.11-12.19-20b
    Il Signore ha posto il suo trono nei cieli.
    Oppure: Alleluia, alleluia, alleluia.

    1 Benedici il Signore, anima mia,
    quanto è in me benedica il suo santo nome.
    2 Benedici il Signore, anima mia,
    non dimenticare tutti i suoi benefici.

    11 Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
    così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;
    12 quanto dista l’oriente dall’occidente,
    così egli allontana da noi le nostre colpe.

    19 Il Signore ha posto il suo trono nei cieli
    e il suo regno domina l’universo.
    20 Benedite il Signore, angeli suoi,
    potenti esecutori dei suoi comandi.


    Vangelo di Giovanni 21,15-19

    In quel tempo, quando si fu manifestato ai discepoli ed essi 15 ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?» Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16 Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17 Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?» Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18 In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19 Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».


    Mi ami?

    I tre verbi che nei vangeli esprimono l’azione di “amare” sono: epithyméo, philéo e agapáo.
    Epithyméo (Matteo 5,28), “bramo, desidero, amo appassionatamente, sono invaghito”, non differisce semanticamente dal greco eráo, il verbo che indica l’amare attraverso il desiderio, la passione, spinti dal desiderio e dalla seduzione del piacere. Philéo, “sono amico, affezionato; voglio bene, tratto con affetto, accolgo amichevolmente un ospite, mi prendo cura dell’altro”, è il verbo dedicato all’affetto amicale, indica un rapporto interpersonale fondato sull’uguaglianza, sull’affinità all’interno di una comunità, di una città, di una razza. Infatti, come aggettivo, philós significa “caro” e veniva usato nella relazione fra genitori e figli o tra fratelli. È il verbo della tenerezza, della familiarità. Agapáo, infine, indica la totale predilezione, l’amore gratuito senza aspettative né pretese, frutto di libera scelta, un modo di essere, di vivere. Il verbo agapào, con cui si esprime l’amore vicendevole tra uomo e donna, indica soprattutto il rapporto intimo e profondo con Dio, è un tipo di amore che parte dall’alto e all’alto si rivolge. Pervade tutto il capitolo 17 di Giovanni: E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro; è il verbo fondante della procedura dell’amore: Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi (Giovanni 15,9); amatevi gli uni gli altri (Giovanni 15,17).
    Proprio nel vangelo di oggi, nella domanda che Gesù risorto rivolge a Pietro, risulta particolarmente chiara la differenza tra philèo e agapào – differenza in realtà ignota ai Greci dell’epoca classica. Per ben 3 volte Gesù chiede: Mi ami tu? In realtà la prima e la seconda domanda recano il verbo agapáo, la terza domanda usa il verbo philèo.
    Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami [greco: agapào] più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene [greco: philèo]». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami [greco: agapào]?» Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene [greco: philèo]». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene [greco: philèo]?» La terza volta Gesù usa il verbo philèo perché, prima della Pentecoste, prima della discesa dello Spirito Paraclito, ogni relazione-legame d’amore che vivevano gli apostoli era ancora secondo rapporti di sangue, secondo affinità di gruppo o di famiglia, secondo cioè la connotazione espressa dal verbo philèo. Soltanto dopo la Pentecoste, un po’ alla volta, gli apostoli potranno aprirsi al valore universale dell’agàpe.
    Mi ami? Ti chiede Gesù, e in verità non ti chiede nient’altro, non ti chiede più nient’altro. Te lo chiede prima di tutto, te lo chiede alla fine di tutto e al di sopra di tutto. Mi ami? Te lo chiede appena lo incontri e anche quando scappi arrabbiato, quando piangi da solo e quando implori perdono e pace. Mi ami? Te lo chiede quando ti senti al sicuro nei tuoi compromessi, o tradito da tutti, deluso dalle tue illusioni. Mi ami? Te lo ha chiesto Gesù la prima volta che l’hai incontrato e poi quando hai deciso di seguirlo e annunciarlo. Te lo chiede in ogni istante di solitudine e paura, a ogni caduta e infedeltà, a ogni passo sereno e disteso, a ogni pienezza di gioia e pace. Esauriti i nostri affetti terreni, spezzate le catene degli addestramenti, pacificate le rivolte interiori, sciolte in perdono le ferite ricevute e inferte, smesse le sfide e svuotate le ambizioni, terminato questo respiro terreno, mentre attraverseremo il ponte verso la vita senza fine, Lui si farà al nostro fianco e ci chiederà dolcissimamente, al presente, sempre eternamente al presente: Mi ami tu?




    -People in Praise-


    _________Aurora Ageno___________
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    Sabato 11 Giugno 2011

    San Barnaba apostolo


    Parola del giorno
    Atti degli Apostoli 11,21b-26; 13,1-3; Salmo 97,1-6; Vangelo di Matteo 10,7-13

    Antifona e Salmo 97,1-6
    Annunzierò ai fratelli la salvezza del Signore.

    1 Cantate al Signore un canto nuovo,
    perché ha compiuto meraviglie.
    Gli ha dato vittoria la sua destra
    e il suo braccio santo.

    2 Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
    agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
    3 Egli si è ricordato del suo amore,
    della sua fedeltà alla casa d’Israele.

    Tutti i confini della terra hanno veduto
    la vittoria del nostro Dio.
    4 Acclami il Signore tutta la terra,
    gridate, esultate, cantate inni!

    5 Cantate inni al Signore con la cetra,
    con la cetra e al suono di strumenti a corde;
    6 con le trombe e al suono del corno
    acclamate davanti al re, il Signore.


    Vangelo di Matteo 10,7-13

    In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: 7 «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. 9 Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, 10 né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento. 11 In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti. 12 Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. 13 Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi».


    Così semplice così difficile

    Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino.
    Così semplice, così difficile. Semplice, perché si tratta di annunciare qualcosa che non proviene dall’uomo, ma è per l’assoluto vantaggio e beneficio di tutti gli uomini. Si tratta di annunciare qualcosa che non è di nostra proprietà, ma è per noi. È un messaggio completamente nuovo e mai sentito, di una bellezza mai vista e inaudita, che conduce inevitabilmente solo alla gioia e alla felicità. È difficile, perché abbiamo paura di annunciare un messaggio che ha la potenza di cambiare tutto, proprio tutto, iniziando a cambiare l’uomo da dentro: nessuno di noi è pronto ad abbandonare per sempre le abitudini, le certezze, gli addestramenti, i propri vantaggi, l’orientamento mentale così dedicato all’interesse e al guadagno.
    Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.
    Così semplice, così difficile. Semplice, perché guarire è un dono di Gesù, una potenza da lui affidataci per il bene di tutti e di ciascuno, per realizzare all’istante, nella pelle dell’uomo, la forza e l’armonia spirituale delle procedure evangeliche annunciate. Difficile, perché non vogliamo accettare che Gesù non vuole e non ha mai voluto separare la salvezza dalla salute: lui ci vuole sempre e contemporaneamente sani nel corpo e salvi nello spirito, in pace e felici nel cuore. Il primo segno secondo cui i seguaci di Gesù non erano più radicati nel vangelo è stata la netta separazione tra il dono di annunciare e il dono di guarire gli ammalati, risuscitare i morti, cacciare i demoni.
    Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
    Così semplice, così difficile. Semplice, perché è una realtà oltre ogni evidenza, tutto e sempre riceviamo da Lui. Semplice, perché la gratuità è una delle più grandi energie dell’universo e tutto rende possibile. Difficile, perché per paura di perdere il potere e il prestigio, per amor di ambizione e vanità abbiamo confuso il dono con il controllo, il compito di amministrare con la presunzione del possedere, il servizio di guidare con l’arroganza del comandare.
    Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
    Così semplice, così difficile. Semplice, perché da nessuna sostanza umana possiamo ricevere energia dedicata e funzionante per la nostra vita. Semplice, perché l’energia dedicata al metabolismo spirituale dell’uomo può nutrirsi solo delle energie di Dio, ed è evidente che le cose costringono all’attaccamento, l’attaccamento al possesso, ed entrambi riducono il movimento della mente e dell’anima e determinano la morte della vita. Difficile, perché le antiche ferite ci obbligano alla paura che ci manchi sempre qualcosa, e ci obbligano al trattenere e al possedere. Difficile, perché siamo stati addestrati nell’inganno gigantesco che il denaro e le cose possano darci sicurezza e benessere, felicità e considerazione, mentre, in verità, ci tolgono tempo, energia, salute, serenità, relazioni, amore, vita.
    In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.
    Così semplice, così difficile. Semplice, perché in ogni angolo del mondo, secondo le procedure del regno dell’amore, ci sarà sempre qualcuno con il cuore al posto giusto, capace di essere grato della ricchezza portata dalla conoscenza di Gesù e della sua Parola e tradurrà questa gratitudine in generosità e condivisione. Difficile, perché anche la ricchezza straordinaria del vangelo può essere preda di feroci predatori che la utilizzano falsamente per predare i popoli della loro forza e ridurli alla più abbietta ignoranza e sottomissione.
    Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi.
    Così semplice, così difficile. Semplice, perché la pace è un’energia, è una forza vera e propria, e la può ricevere solo chi ne è degno, solo chi desidera utilizzarla per unire, non per separare. Difficile, perché, per interessi e vantaggi di ogni tipo, ovunque si confondono facilmente e volutamente sottomissione con obbedienza, compromesso con pace, legge con giustizia, compiacimento con felicità, e così la forza della pace non trova cuori, menti, mani, piedi degni di essere caricati della sua energia divina.
    Semplice e difficile, come solo il vangelo può essere.






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    Domenica 12 Giugno 2011
    Pentecoste – Anno A

    Parola del giorno
    Atti degli Apostoli 2,1-11; Salmo 103,1ab.24.29bc-31.34; Prima letta ai Corìnzi 12,3b-7.12-13; Vangelo di Giovanni 20,19-23


    Antifona e Salmo 103,1ab.24.29bc-31.34
    Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.

    1 Benedici il Signore, anima mia!
    Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
    24 Quante sono le tue opere, Signore!
    Le hai fatte tutte con saggezza;
    la terra è piena delle tue creature.

    29 Togli loro il respiro: muoiono,
    e ritornano nella loro polvere.
    30 Mandi il tuo spirito, sono creati,
    e rinnovi la faccia della terra.

    31 Sia per sempre la gloria del Signore;
    gioisca il Signore delle sue opere.
    34 A lui sia gradito il mio canto,
    io gioirò nel Signore.


    Vangelo di Giovanni 20,19-23


    19 La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!» 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
    21 Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22 Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23 A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».



    Si riparte

    Dopo la paura, da dove si riparte? Dopo la solitudine e le incomprensioni, da dove si riparte? Dopo il tradimento, dopo l’infedeltà, dopo gli incidenti di ogni tipo, da dove si riparte? Dopo i fallimenti, gli errori, le porte sbattute in faccia, da dove si riparte? Dopo l’odio, le guerre, la violenza, il terrore inflitto e subito, da dove si riparte? Dopo la persecuzione, dopo la derisione, gli sputi in faccia, i chiodi e la croce, da dove si riparte? Dopo la pietra del sepolcro, da dove si riparte? Dopo la delusione, l’amarezza e la schiacciante vittoria del male, da dove si riparte?
    Si riparte dallo Spirito Santo. Da dove altrimenti? Si deve e si può sempre ripartire dallo Spirito, dalla dimensione spirituale della vita. Gesù fa ripartire i suoi dallo Spirito, dal soffio del mantice dell’Amore di Dio, lo Spirito Paraclito.
    Gesù soffia, e il verbo usato è emphysào. Formato dalla preposizione èn, “dentro”, unita al verbo physào, “soffio, gonfio”, emphysào significa “soffio dentro, gonfio, ispiro dentro”. L’accadico napashu significa “respirare ampiamente”. È lo stesso verbo con cui la LXX (versione in lingua greca dell’Antico Testamento) traduce in Genesi 2,7 l’azione di Dio che insuffla negli uomini il soffio della vita, oppure quando soffia su di essi con lo Spirito. Il respiro di Dio suscita sempre la vita in ogni creatura: nel salmo 104,29-30 è scritto che dove Dio fa giungere il suo soffio vitale, là germoglia la vita; se Dio lo rifiuta o lo ritira la vita svanisce.
    Nei vangeli, solo in Giovanni troviamo il verbo emphysào, quando Gesù soffia dentro e sopra i suoi lo Spirito. Poi si riparte. Ma non si riparte da capo, si riparte dallo Spirito e solo dallo Spirito, perché lo Spirito è vita e dà la vita a ogni vita. Si riparte dallo Spirito, perché la vita non può essere senza lo Spirito e, quando la vita cede alla paura e alla necrosi, non c’è forza che possa darle nuovo respiro, salute e salvezza se non lo Spirito.
    Ma cosa significa realmente ripartire dallo Spirito, cosa significa nella pratica quotidiana della vita? Semplice, Gesù lo spiega immediatamente dopo. Ripartire dallo Spirito significa ripartire dal perdono. Gesù soffia dentro i discepoli la potenza dell’Amore, la potenza spirituale del perdono. Nulla può ripartire dopo essere stato ferito, corrotto, sporcato, rovinato, se non dalla potenza del perdono. Il perdono è rinascere da qualsiasi tipo di disarmonia. Il perdono chiesto umilmente a Dio Amore per ogni debito contratto nei riguardi dell’Amore, assieme al perdono chiesto ai fratelli per ogni ferita e danno a loro inferti e al perdono offerto ai fratelli per ogni ferita e danno da loro provocatici. Quando Gesù entra a porte chiuse nel luogo dove si trovano i discepoli, si presenta ed esordisce con la parola Pace. Sembra un saluto, un augurio, ma in realtà non lo è. Gesù esordisce con la parola Pace e, in questa parola, indica un nuovo stato dell’essere, un modo nuovo di vivere, un modo assolutamente sconosciuto di ripartire, di guarire, di riarmonizzare, di salvare e salvarsi: il movimento del perdono, che deve coinvolgere mente, cuore e anima. Il movimento vitale e rivitalizzante del perdono è l’unico vento che può riempire di pace vera le vele della vita. Ma questo vento rivitalizzante del perdono non è possibile all’uomo con le sue sole forze, necessita dell’invasione, del soffio “dentro e sopra” dello Spirito; per questo Gesù non ha perso un secondo a soffiare il vento forte della Vita dentro il cuore dei suoi.
    Ecco faccio nuove tutte le cose afferma Gesù in Apocalisse 21,5; ecco cos’è la Pace che Gesù dona ai suoi. La Pace è la sintesi perfetta di questa meravigliosa verità: Gesù ha fatto nuove tutte le cose per sempre, attraverso il dono di sé e del suo vento Santo Paraclito, Signore del Perdono.





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    Lunedì 13 Giugno 2011
    11a settimana del tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Seconda lettera ai Corìnzi 6,1-10; Salmo 97,1-4; Vangelo di Matteo 5,38-42


    Antifona e Salmo 97,1-4
    Il Signore ha rivelato la sua giustizia.

    1 Cantate al Signore un canto nuovo,
    perché ha compiuto meraviglie.
    Gli ha dato vittoria la sua destra
    e il suo braccio santo.

    2 Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
    agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
    3 Egli si è ricordato del suo amore,
    della sua fedeltà alla casa d’Israele.

    Tutti i confini della terra hanno veduto
    la vittoria del nostro Dio.
    4 Acclami il Signore tutta la terra,
    gridate, esultate, cantate inni!


    Vangelo di Matteo 5,38-42

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 38 «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio” e “dente per dente”. 39 Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, 40 e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41 E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42 Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle».


    Procedure di morte e di vita

    Prima procedura.
    Non opporvi al malvagio, letteralmente: non fate resistenza [greco: anthìstemi] al malvagio. Anthìstemi – formato dall’avverbio antì, “contro, di fronte”, unito al verbo ìstemi, “pongo, colloco” – significa: “faccio resistenza, tengo duro, resisto, mi oppongo, contraddico; pongo contro, oppongo, contrappongo”. Esprime lo stato spirituale dello stare, del vivere, dell’essere fondato, conficcato, strutturato nel contro, nella rivolta, nella sfida, nel confronto, nel di fronte, in faccia a, in conflitto con. Ogni non-accettazione della realtà, nel dialogo interiore comporta automaticamente l’essere in opposizione, lo stare contro, il muoversi in rivolta. Per sua provenienza e natura divina, l’uomo tende a non accettare il male, perché è diretto e predisposto al bene e all’amore. Satana usa questa naturale inclinazione dell’uomo, a non aver nulla a che fare col male, per farlo entrare nel male, così che risieda stabile nel male. La più potente delle tentazioni è istigare l’uomo a stare nell’antì, in uno stato di normale opposizione e rivolta. La procedura vitale, secondo il vangelo, sta proprio nello scegliere di essere e restare nel non opporre resistenza, cioè nel non collocarsi nello stato dell’essere contro, della rivolta, della sfida. La legge del taglione, in quanto forma di resistenza, di opposizione al male, va ad alimentare e a nutrire la potenza e la forza del Maligno. Invece che opporre resistenza, Gesù propone un’altra via: a chi ti percuote nella guancia destra, volta [greco: strèpho] a lui anche l’altra. Gesù propone volgi anche l’altra, letteralmente, capovolgi, sconvolgi: l’antica radice di questo verbo, strèpho, è l’accadico turbu’u, “turbine”. È come dire: sconvolgi il male con una scelta che sia un turbine, uno sconvolgimento totale del male. Non usare il male per opporti al male, sconvolgi questo sistema con il turbine, con l’energia superiore dell’amore e del perdono.

    Seconda procedura.
    E a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia [greco: aphìemi] anche il mantello. Aphìemi, verbo che ha tantissime corrispondenze in ebraico, significa “lascio andare, lascio libero, abbandono, lascio in pace, permetto, rimetto”. Lasciar andare, non trattenere è la seconda procedura offerta da Gesù per vivere sani e salvi. Lasciar andare non significa mai disinteresse, assenza di passione e impegno, menefreghismo. Se sei nella tensione del trattenere, è senz’altro perché qualcuno ti sta portando via qualcosa, ed è proprio questo trattenere dentro e fuori che semina il male e la morte. Gesù a questo stato propone un’alternativa, una via inedita, sconosciuta, difficile da concepire con la mente umana: lascia andare, non trattenere. Non trattenere significa a chi vuole toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. Incredibile, sconvolgente, inimmaginabile, impensabile. È oltre ogni comprensione e procedura mentale e morale. È oltre ogni addestramento, costituzione, cultura, politica, giustizia, legge, convenzione, convinzione, principio. È oltre ogni saggezza, filosofia, religione. È perfino oltre la carità, oltre la condivisione. È totalmente al di là di ogni contestualizzazione e interpretazione possibile. Questo è il vangelo, questo è Gesù.

    Terza procedura.
    Letteralmente: al chiedente a te dà [greco: dìdomi] e al volente da te ricevere un prestito non volgere le spalle. La procedura è dìdomi, “dono, affido, rendo, permetto, assicuro, consegno, do in premio”. Dìdomi ha in sé tutti i significati del dare, dal donare, al distribuire, al provvedere, al ricompensare. La terza procedura è la gratuità. La gratuità è imparare a donare e a offrire senza paura di perdere o di dover rinunciare a qualcosa e senza aspettarsi qualcosa in cambio. In verità donare gratuitamente svela immediatamente come la sensazione incontrollabile di perdere o di rinunciare a qualcosa è solo una potentissima illusione.
    In pratica il vangelo propone, allo stato mortale e distruttivo di anthìstemi, dell’opposizione e della rivolta, l’antidoto dell’accettazione, traducibile spiritualmente con lo stato della gratitudine. Mentre allo stato mortale e distruttivo del trattenere, del non lasciar andare, Gesù propone come antidoto dìdomi, il movimento spirituale del donare con gratuità.

    Opposizione-rivolta-trattenere, la procedura di Satana.
    Gratitudine-gratuità-lasciar andare, la procedura del Signore Gesù.





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    Martedì 14 Giugno 2011
    11a settimana del tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Seconda lettera ai Corìnzi 8,1-9; Salmo 145,1-2.5-9a; Vangelo di Matteo 5,43-48


    Antifona e Salmo 145,1-2.5-9a
    Loda il Signore, anima mia.

    1 Loda il Signore, anima mia:
    2 loderò il Signore finché ho vita,
    canterò inni al mio Dio finché esisto.

    5 Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe:
    la sua speranza è nel Signore suo Dio,
    6 che ha fatto il cielo e la terra,
    il mare e quanto contiene,
    che rimane fedele per sempre.

    7 Rende giustizia agli oppressi,
    dà il pane agli affamati.
    Il Signore libera i prigionieri.

    8 Il Signore ridona la vista ai ciechi,
    il Signore rialza chi è caduto,
    il Signore ama i giusti,
    9 il Signore protegge i forestieri.


    Vangelo di Matteo 5,43-48

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 43 «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. 44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
    46 Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».



    Oltre

    Oltre l’amore non c’è, l’amore è oltre tutto ciò che c’è. L’amore è oltre le convenienze, oltre il buon senso, oltre le apparenze, oltre le parole, oltre i principi e le leggi, è oltre ogni morale umana. L’amore è oltre il pianto e la gioia. L’amore è oltre il nemico, oltre il vantaggio, oltre ogni calcolo. L’amore è oltre ciascuno di noi, è oltre ciascuno degli altri. L’amore è oltre il martirio, oltre la santità, oltre la fede, oltre il tempo e lo spazio. L’amore è oltre la giustizia, oltre la perfezione, oltre la condivisione. L’amore è oltre la fedeltà, oltre la passione, oltre il piacere e la felicità. L’amore è oltre ciò che si vede, oltre ciò che è giusto e sbagliato, oltre le appartenenze, oltre ogni compiacimento. L’amore è oltre ogni circuito e processo mentale, oltre le sicurezze, oltre le prospettive, oltre l’onore, il pregio, oltre le previsioni e le profezie.
    L’amore è oltre le gabbie e le prigioni di ogni tipo, oltre la razza, le discipline, le politiche, oltre la libertà, oltre le proprie e altrui aspettative, oltre la conversione, il mutamento, oltre la croce e la morte.
    L’amore di Dio è così oltre ogni cosa, che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. L’amore di Dio è così oltre ogni cosa che Gesù in croce ha effuso tutto per noi, figli-assassini, fino al sangue e acqua. L’amore di Dio è così oltre ogni cosa, che lo Spirito Paraclito non ha smesso un istante di consolarci e difenderci con una gentilezza e una grazia così inesprimibili e sconosciute che il nostro cuore non può neppure lontanamente percepire.
    L’amore di Dio è così oltre ogni cosa, perché è prima di ogni cosa e noi siamo figli immortali di questo amore così oltre.




    da People in Praise - padre Paolo Spoladore



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    Mercoledì 15 Giugno 2011
    11a settimana del tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Seconda lettera ai Corìnzi 9,6-11; Salmo 111,1-4.9; Vangelo di Matteo 6,1-6.16-18



    Antifona e Salmo 111,1-4.9
    Beato l’uomo che teme il Signore.

    1 Beato l’uomo che teme il Signore
    e nei suoi precetti trova grande gioia.
    2 Potente sulla terra sarà la sua stirpe,
    la discendenza degli uomini retti sarà benedetta.

    3 Prosperità e ricchezza nella sua casa,
    la sua giustizia rimane per sempre.
    4 Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti:
    misericordioso, pietoso e giusto.

    9 Egli dona largamente ai poveri,
    la sua giustizia rimane per sempre,
    la sua fronte s’innalza nella gloria.



    Vangelo di Matteo 6,1-6.16-18

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1 «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
    2 Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3 Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4 perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
    5 E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6 Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
    16 E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 17 Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, 18 perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».



    Lui vede

    Lui vede nel segreto e vede l’ambizione che sta facendo scivolare il mondo verso l’abisso del simulacro della pace che non è la sua pace, la pace che Lui, il Signore di tutte le cose, è venuto a portare. La pace sua è perdono, misericordia, condivisione, giustizia. Quella del mondo è la pace dei predatori, quella circoscritta nelle costituzioni umane più rispettate e onorate della Parola divina. Pace osannata, doverosa, scritta, cantata, imbandierata, quella pace costruita con gli eserciti, che permette ai predatori con le loro leggi di compiere ogni tipo di sopruso e corruzione, violenza e terrore.
    Lui vede nel segreto e vede l’ambizione compiersi ogni secondo nell’orrore più devastante, orrore dei poveri che, istigati dai ricchi e dai potenti predatori, si fanno la guerra tra loro nei campi di battaglia, nei tribunali, nei posti di lavoro, negli stadi, per la strada, in casa.
    I poveri si fanno la guerra tra loro, e i predatori sbranano la terra e fanno violenza al regno dell’amore, che Gesù è venuto a portare come unica soluzione affinché l’uomo non s’inabissi miseramente nell’autodistruzione. Lui vede nel segreto e vede l’ambizione dei predatori trasformarsi in persecuzione, derisione, calunnia, sfruttamento e abbandono di coloro che Lui stesso aveva donato all’umanità per guarirla dalle sue malattie, liberarla dalla sua ignoranza, ispirarla con la conoscenza del vangelo per aprirle il cuore all’amore. È in questo modo che gli uomini, con le loro mani, eliminano da loro stessi gli unici parafulmini utili contro il Maligno, le uniche ancore di salvezza possibili. Lui vede nel segreto e vede l’ambizione che inganna gli uomini a non coltivare per nulla il regno dell’amore, ma a preferire di coltivare il regno della paura, seminando ovunque, con impegno e con tutte le forze, i semi del successo, della vanità, dell’avidità. Lui vede nel segreto e vede che l’ambizione si è sostituita all’amore. L’ambizione rinnega l’amore, lo denuda e lo riduce a brandelli velenosi. Lui vede nel segreto e vede l’ambizione di tutti quelli che trasformano la loro vita in un meccanismo calcolato di compiacimento, per piacere a tutti gli altri e compiacere tutti gli altri. Lui vede nel segreto e vede che l’ambizione ha ingannato gli uomini perfino nella loro possibilità di trasmettere la vita. L’ambizione ha ingannato gli uomini al punto che credono di aver avuto la vita dal padre e dalla madre terreni, e perdono così la loro regalità e nobiltà divina, oltre che il rapporto intimo con il loro vero Padre e Madre, Signore e Dio. Lui vede nel segreto e vede che l’ambizione si è sostituita all’anima, al cuore, ai sogni dei suoi figli ed è diventata la vera regina del regno umano. Lui vede e tace. Lui vede tutto e ogni cosa e tace; tace perché l’Amore non ritiene rispettoso e onorevole nei nostri confronti aggiungere qualcosa all’evidenza del nostro fallimento. Lui vede e tace, e continua ad amare, continua ad avere misericordia infinita. Lui vede e ama, ma non può costringerci a coltivare il Regno dell’Amore se noi non desideriamo goderne i frutti. Lui vede e con tenerezza infinita ci affida alle braccia dolcissime della grande Madre Maria, perché dove non riesce a entrare la sapienza del vangelo, la potenza del sacrificio amoroso di Gesù, possa fare breccia la tenerissima carezza, la tiepida e profumatissima lacrima della Madre celeste.



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    Giovedì 16 Giugno 2011
    11a settimana del tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Seconda lettera ai Corìnzi 11,1-11; Salmo 110,1-4.7-8; Vangelo di Matteo 6,7-15


    Antifona e Salmo 110,1-4.7-8
    Le opere delle tue mani sono verità e diritto.
    Oppure: Amore e verità è la giustizia del Signore.


    1 Renderò grazie al Signore con tutto il cuore,
    tra gli uomini retti riuniti in assemblea.
    2 Grandi sono le opere del Signore:
    le ricerchino coloro che le amano.

    3 Il suo agire è splendido e maestoso,
    la sua giustizia rimane per sempre.
    4 Ha lasciato un ricordo delle sue meraviglie:
    misericordioso e pietoso è il Signore.

    7 Le opere delle sue mani sono verità e diritto,
    stabili sono tutti i suoi comandi,
    8 immutabili nei secoli, per sempre,
    da eseguire con verità e rettitudine.


    Vangelo di Matteo 6,7-15

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 7 «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
    9 Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, 10 venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. 11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 12 e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
    13 e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.
    14 Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».



    Avùn

    La parola aramaica con cui Gesù si rivolge all’Elohim è Abbà, invocazione definita ipsissima vox Jesu [la stessa voce di Gesù]. Abbà in aramaico è lo stato enfatico del sostantivo av e a partire da questa forma si costruiscono tutte le altre. In epoca precedente al Nuovo Testamento si trovano forme come Avì, “Padre mio”, Avùna, “padre nostro”, ma non la forma Abbà come è traslitterata nel greco e come appare per la prima volta in Marco 14,36, prima testimonianza di tale termine in questo stato grammaticale.
    Etimologicamente abbà nasce dal balbettio infantile. La usavano i bambini per dire “papà” e costituisce un modo molto dolce e affettuoso con cui un semita che parla aramaico si rivolge a un ospite, a un amico caro o a un servitore di cui si fida ciecamente. È l’espressione della tenerezza e della fiducia, della totale intimità, è espressione di onore. Avùn, “Padre nostro”, è segno di vicinanza, è come dire “papi nostro”. Fu una novità straordinaria sentire invocare Dio Abbà, Padre mio, Padre nostro. Dio era nominato Elohìm, il Dio che ha creato i cieli e la terra, il Dio dei Padri, il Dio di Israele; Dio, il Signore, traduzione di YHWH, Tetragramma impronunciabile, ora è Padre, connotazione nuova. Nelle lingue semitiche av/ab è colui che genera, e il figlio generato sarà sempre denominato bar, “figlio di un padre”. Non è che nell’esperienza ebraica questa fosse un’accezione isolata e del tutto nuova, in quanto Dio chiama il suo popolo figlio/figli: moltissimi salmi riportano momenti in cui Dio afferma amore per i suoi figli. Dio si manifesta cioè da sempre padre amorevole, ma l’idea di Dio come Padre non è centrale nella mentalità di Israele e in qualche modo è una paternità spesso severa e limitata ai soli figli di Israele o una paternità che riprende piuttosto il concetto di padrone e garante dell’ordine dell’universo. In questo senso si può affermare che l’espressione Padre, usata dagli uomini nei confronti di Dio, diventa con Gesù un’esperienza assolutamente nuova, perché nuovo è il rapporto che Gesù dimostra e rivela di avere con l’Altissimo, l’Elohìm. Potessimo raccogliere in un solo punto il suono, l’energia conosciuta e sconosciuta, la luce brillante sprigionata da ogni stella in tutte le galassie nell’universo intero; potessimo unire in questo punto il suono e il canto delle schiere senza numero degli angeli e degli spiriti celesti beati nei cieli dei cieli che da sempre cantano a Dio; potessimo ancora unire in questo punto il canto degli uccelli, di tutti gli uccelli di tutta la terra, insieme al suono e all’energia e alle forze di tutta la natura e di tutti gli animali che abitano e hanno abitato la terra lungo tutta la storia della terra; potessimo concentrare in un solo punto tutta l’energia, la luce, la potenza, la forza, il suono di tutto il creato visibile e invisibile, questo punto di incommensurabile potenza e luce sembrerebbe una candela vicino al sole, se paragonato al punto di luce e di potenza sprigionato dal suono della parola che Gesù quel giorno ha pronunciato rivolto al Padre, in quel nascosto angolo di terra d’Israele: Avùn, “Papà nostro”.
    Dal momento in cui Gesù ha pronunciato il suono Avùn, Papà, ogni altra parola, ogni altro rapporto uomo-Dio, ogni altro nome divino, ogni altra appartenenza religiosa e confessionale sono stati adombrati e superati. Avùn è il suono che mostra una strada d’amore verso Dio mai prima rivelata, mai prima percorsa. È il suono che completa ogni altra rivelazione biblica, cancella ogni lontananza, supera ogni reticenza, scioglie ogni ignoranza. Gesù non ci offre solo un nuovo nome di Dio, ma ci rivela chi è Dio, chi è sempre stato Dio, chi sempre sarà Dio per noi, Avùn, Papà. È un punto di luce senza ritorno, dal quale non si può più prescindere, Avùn si è rivelato, ora sta a noi tutti e a ciascuno decidere chi vogliamo essere per lui. Pregare e conoscere Dio come papà non è questione che deve aprire a nuove suggestioni teologiche o a inedite forme di spiritualità emotiva, ma è la realtà, l’unica realtà, la sola realtà che esiste e che tutto fa esistere. Dio è Onnipotente, è Eterno, è Creatore, ma Gesù ci ha rivelato che prima di tutto e oltre tutto Dio è Avùn. Gesù aggiunge poi ad Avùn due termini tanto straordinariamente lontani quanto stupendamente complementari. Aggiunge nostro e che sei nei cieli. Nostro sta a indicare che Dio è papà di tutti gli uomini allo stesso modo, senza alcuna distinzione. Nostro cancella in un istante ogni distinzione operata dall’uomo lungo la storia, riguardo la dignità e la nobiltà di ciascuno degli uomini, e segna definitivamente che ogni distinzione e disparità è sempre e solo frutto di una profonda satanica perversione, è contro Dio e l’uomo. Nostro indica anche che, se l’uomo è in grado di trasmettere la vita ad altri uomini, non è padre di nessuno, e che, seppur generato da altri uomini, l’uomo non ha altro Padre che Dio, e questo ci rende tutti perfettamente fratelli e famiglia. È Avùn perché a lui apparteniamo e in qualche modo lui appartiene a noi, in tutti noi lui abita e dimora in perfetta unità, ma al tempo stesso è Avùn che sta nei cieli, a indicare la sua assoluta trascendenza rispetto a tutto ciò che è creato, perché lui è Spirito.



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    Venerdì 17 Giugno 2011
    11a settimana del tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Seconda lettera ai Corìnzi 11,18.21b-30; Salmo 33,2-7; Vangelo di Matteo 6,19-23

    Antifona e Salmo 33,2-7
    Il Signore libera i giusti da tutte le loro angosce.
    Oppure: Il Signore è con noi nell’ora della prova.


    2 Benedirò il Signore in ogni tempo,
    sulla mia bocca sempre la sua lode.
    3 Io mi glorio nel Signore:
    i poveri ascoltino e si rallegrino.

    4 Magnificate con me il Signore,
    esaltiamo insieme il suo nome.
    5 Ho cercato il Signore: mi ha risposto
    e da ogni mia paura mi ha liberato.

    6 Guardate a lui e sarete raggianti,
    i vostri volti non dovranno arrossire.
    7 Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
    lo salva da tutte le sue angosce.


    Vangelo di Matteo 6,19-23

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 19 «Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; 20 accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. 21 Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
    22 La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; 23 ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!»



    Tesoro, quale?

    Secondo il vangelo, accumulare tesori sulla terra, letteralmente, tesorizzare sulla terra, è profondamente pericoloso. Perché? Prima di tutto perché è un tipo di ricchezza-energia che si consuma, e ciò che si consuma può essere depredato e rubato, non è di Dio, non proviene da Dio, ma da qualcun altro. Perciò tesorizzare sulla terra tesori terreni, consumare energie vitali, rovinare la salute, rinunciare agli affetti, alla serenità e alla pace, dedicandosi con ansia e violenza a depredare i fratelli per tutta la vita, per accumulare ricchezze e cose che si consumano e vengono poi sicuramente depredate, perché non provengono da Dio e non conducono a Lui, oltre che pericoloso è stupido.
    Se il nostro occhio mentale e spirituale è così stupido e instupidito, tenebroso, dice il testo, da vedere così importanti e indispensabili le ricchezze terrene, il nostro cuore si darà da fare per tesorizzare questo tipo di tesoro inutile e inutilizzabile. Se il nostro occhio mentale e spirituale è così semplice e pulito, da vedere così importanti e indispensabili le ricchezze del regno dell’amore, il nostro cuore si darà da fare per tesorizzare questo tipo di tesoro utile ora, utilizzabile per sempre e del quale nulla e nessuno potrà mai derubarci.
    Precisazione sul testo greco. Ai versetti 22 e 23 il testo dice letteralmente: la lampada del corpo è l’occhio, se dunque il tuo occhio è semplice, intero il tuo corpo sarà luminoso; se invece il tuo occhio è cattivo, intero il tuo corpo sarà tenebroso. Gesù pone un nesso inedito tra la qualità e il tipo della visione dell’occhio con la situazione del corpo, del fisico. Occhio semplice, corpo luminoso, occhio cattivo, corpo tenebroso. Gesù rivela un’interdipendenza, una connessione, una relazione inscindibile tra la qualità della visione spirituale dell’occhio e la salute, l’armonia, la qualità della vita del corpo. Secondo il vangelo, la tipologia di tesoro scelto dal cuore, il profilo spirituale scelto dal cuore, ha una connessione diretta e inscindibile con la salute e l’armonia dello stato fisico. Il tesoro del cuore vale la luce o la tenebra, la vita e la morte dell’uomo.



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    Sabato 18 Giugno 2011
    11a settimana del tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Seconda lettera ai Corìnzi 12,1-10; Salmo 33,8-13; Vangelo di Matteo 6,24-34

    Antifona e Salmo 33,8-13
    Gustate e vedete com’è buono il Signore.


    8 L’angelo del Signore si accampa
    attorno a quelli che lo temono, e li libera.
    9 Gustate e vedete com’è buono il Signore;
    beato l’uomo che in lui si rifugia.

    10 Temete il Signore, suoi santi:
    nulla manca a coloro che lo temono.
    11 I leoni sono miseri e affamati,
    ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.

    12 Venite, figli, ascoltatemi:
    vi insegnerò il timore del Signore.
    13 Chi è l’uomo che desidera la vita
    e ama i giorni in cui vedere il bene?



    Vangelo di Matteo 6,24-34

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 24 «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
    25 Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
    26 Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27 E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
    28 E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30 Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
    31 Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?” 32 Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
    33 Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34 Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».



    Mamonàs

    Il greco mamonàs riproduce lo stato enfatico mamòna del sostantivo aramaico di uso comune mamòn. L’etimologia della parola è incerta. La derivazione più probabile è la radice semitica ’mn, “ciò in cui si ripone la propria fiducia”; altri traducono: “ciò che è depositato”, “ciò che è posto al sicuro”. Questo vocabolo non è attestato nell’Antico Testamento, tuttavia faceva parte del linguaggio giudaico, poiché si trova in testi come il Talmud o nel linguaggio giuridico della Mishna. Mamòn è qui definito il “patrimonio”, non solo nel senso di denaro ma anche di tutto ciò che è possedimento e che può essere tradotto in denaro. È il possesso di oggetti, e spesso, nel mondo ebraico, si contrappone alla nefèsh, la vita. Mamòn era usato anche per indicare il denaro che si usava per corrompere il giudice nei processi, oppure il denaro dei ricatti. Quindi mamòn, presso i giudei, aveva un senso di biasimo, di critica, di disonorevole, abbietto. Mamòn era sempre in contrapposizione agli anawìm, cioè coloro che mettevano tutte le loro forze in Dio. Gli uomini di mamòn erano coloro che affidavano tutto di sé ai beni della terra, erano cioè i ricchi e i potenti, che ottenevano questa condizione di vita praticando l’ingiustizia e il sopruso come predatori violenti.
    Nel vangelo questo termine ricorre solo in bocca a Gesù che lo contrappone direttamente a Dio, definendo così, senza possibilità di fuorvianti interpretazioni, i due possibili padroni-signori assoluti della vita dell’uomo. Dio, il non-possesso, che diventa dono e gratuità e mammona, il possesso che diventa attaccamento e trattenere.
    Indipendentemente da quale padrone-signore hai deciso di servire, una cosa è certa: questi due padroni non possono essere scelti ed essere serviti dallo stesso cuore, nello stesso momento. Sono entità opposte e generatrici di opposte energie, e uno esclude sempre l’altro. Perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. È possibile l’abbandono-sicurezza in Dio o la sicurezza in mammona, che a sua volta diventa dio.
    Quando servi qualcuno, appartieni al suo regno, aderisci alle sue regole, al suo regolamento, alle sue procedure, ai suoi obiettivi, ai suoi principi. In questo contesto, la realtà più devastante che possa esistere oggi sulla terra è che la stragrande maggioranza degli uomini, ridotti in miseria e mancanza di ogni bene indispensabile, si trovi a servire mammona e a odiare Dio senza nemmeno saperlo; questo è ad assoluto vantaggio dei poteri forti e dei predatori, del gruppo dei vantaggi. Quando i poveri saranno ispirati a riconoscere questo inganno a cui sono incatenati e si libereranno dal possesso e dalla paura di quel poco che potrebbe loro mancare, in pochi minuti i potenti della terra vedranno crollare il loro castello di ricchezze e potere.
    Agli uomini non servono guerre e proteste di piazza per ristabilire l’armonia e la giustizia, serve una nuova consapevolezza secondo l’ispirazione evangelica.



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    Domenica 19 Giugno 2011
    Santissima Trinità – Anno A

    Parola del giorno

    Èsodo 34,4b-6.8-9; Salmo: Danièle 3,52a.52c-53a.54a.55a.56a; Seconda lettera ai Corìnzi 13,11-13; Vangelo di Giovanni 3,16-18

    Antifona e Salmo Daniele 3,52a.52c-53a.54a.55a.56a
    A te la lode e la gloria nei secoli!


    52 Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri.
    Benedetto il tuo nome glorioso e santo.
    53 Benedetto sei tu nel tuo tempio santo, glorioso.
    54 Benedetto sei tu sul trono del tuo regno.
    55 Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi e siedi sui cherubini.
    56 Benedetto sei tu nel firmamento del cielo.


    Vangelo di Giovanni 3,16-18

    In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: 16 «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
    17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
    18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».



    Tutto l’amore

    Non ha limiti l’amore di Dio Padre per noi, ma non è tutto. È un amore tenerissimo e sempre infinitamente gentile, appassionato e fedele, che ci pervade totalmente anche quando ci sentiamo soli e abbandonati, ma non è tutto. Dio Padre non domina mai l’uomo, non domina mai la sua volontà e il suo cuore, Dio Padre desidera semplicemente farci innamorare di lui perché l’amore chiama amore e cerca amore. Ma non è tutto. Il suo immenso amore di Padre si manifesta pienamente quando per amore dei suoi figli dona al mondo il suo stesso Figlio, anche se questo comporta consegnare il proprio Figlio nelle mani dei suoi stessi carnefici, ma non è tutto. C’è dell’altro. E questa è veramente , ma veramente, una cosa misteriosa.
    Il vero grande mistero di Dio non è che è un unico Dio in tre persone – se in natura è possibile al fuoco essere un’unica sostanza ed esistere in tre persone distinte, luce, fiamma, calore, dev’essere semplicemente possibile anche per l’Onnipotente –, no, il vero mistero di Dio è un altro. La mente umana non riesce a capire, accettare, comprendere che Dio Padre, Dio Figlio Gesù, Dio Spirito Paraclito è sì bontà infinita, misericordia viscerale, provvidenza premurosa, ma prima di tutto e sopra tutto è completamente, follemente, totalmente innamorato di noi, di ciascuno di noi. Questo è veramente misterioso: Dio è innamorato di noi. La nostra mente fatica ad accettare questa verità sublime e sconvolgente, e la vita di schiavitù e miseria, lotte e divisioni, che ci siamo costruiti, ne è la prova evidente.
    Dio è innamorato di noi e non basterà l’eternità per provare lo splendore, la totalità, la fragranza, l’unione, la pace, la pienezza di questo travolgente amore.
    Una preghiera potremmo fare alla Trinità Santissima:

    Padre Santo,
    Figlio Santo,
    Santo Paraclito
    facci sentire dentro
    quanto sei innamorato di noi.
    Così che l’immensità del tuo amore per noi,
    ora impossibile per la nostra mente,
    renda per sempre possibile al nostro cuore
    l’amore per te.
    Amen




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    Lunedì 20 Giugno 2011
    12a settimana del tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Gènesi 12,1-9; Salmo 32,12-13.18-20.22; Vangelo di Matteo 7,1-5


    Antifona e Salmo 32,12-13.18-20.22
    Beato il popolo che Dio ha scelto come sua eredità.


    12 Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
    il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
    13 Il Signore guarda dal cielo:
    egli vede tutti gli uomini;

    18 Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
    su chi spera nel suo amore,
    19 per liberarlo dalla morte
    e nutrirlo in tempo di fame.

    20 L’anima nostra attende il Signore:
    egli è nostro aiuto e nostro scudo.
    22 Su di noi sia il tuo amore, Signore,
    come da te noi speriamo.


    Vangelo di Matteo 7,1-5

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1 «Non giudicate, per non essere giudicati; 2 perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi.
    3 Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 4 O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? 5 Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello»
    .


    Krìno

    Letteralmente è scritto: non giudicate-separate [greco: krìno].
    Krìno, “distinguo, scelgo, ritengo, penso, stimo, stabilisco, decido, processo, accuso”. La radice rimanda a quella del latino cèrno, “separo, distinguo”, infatti l’azione alla base di questo verbo è il separare, distribuire, vagliare, setacciare; decidere. Anticamente riguardava l’azione del fare mucchi separati di grano e di paglia: l’antico babilonese qaranu, infatti, significa “ammucchiare grano e paglia”, l’accadico karawu, “separare”. Krìno è l’atto del vagliare, che si estende poi, nel suo percorso semantico, all’atto del “sentenziare, pensare, considerare, determinare, decidere”.
    Gesù ci invita con molta forza a rispettare questa procedura, letteralmente è scritto: Non giudicate-separate perché non siate giudicati. Con quel giudizio infatti giudicate sarete giudicati, e con quella misura misurate sarà misurato a voi. Perché? Giudicare-separare è un’azione di Dio, e solo Dio ha le competenze e l’autorità per farlo. Giudicare è sempre porsi al posto di Dio, sempre e comunque. Gesù ci avverte che, allo stesso modo in cui, giudicando i nostri fratelli, ci mettiamo al posto di Dio, compiendo un’azione di Dio, così altri lo faranno con noi. Anzi precisa che, addirittura, la misura, il vaglio, il setaccio usato per giudicare gli altri sarà usato con noi e con la nostra vita. Non è un ricatto, è semplicemente una procedura. Semplicemente funziona così per tutti.
    Ma perché giudicare è così grave secondo le procedure evangeliche?
    Quando l’uomo giudica compie sempre queste tre cose abominevoli e mortali.
    Primo, si mette al posto di Dio e, stabilendo pesi e misure del tutto umani, compie all’istante un gesto mentale e spirituale di assurda idolatria che, al tempo stesso, denota profonda, arrogante ignoranza.
    Secondo, mentre giudica, l’uomo si erige a superiore giudice di giustizia nei confronti dei suoi fratelli, quando nessun uomo è in realtà senza debiti e peccati nei confronti dell’amore. Perciò, quando si giudica un proprio simile, si compie sempre inevitabilmente un atto di assoluta ipocrisia e superba alterigia nei confronti dei propri fratelli e di Dio. Gesù sottolinea questo concetto affermando letteralmente: Perché poi osservi la pagliuzza quella nell’occhio di tuo fratello, la trave invece nel tuo occhio non consideri?
    Terzo abominio, il più pericoloso. Quando si giudica, si usano per forza dei metri e delle misure stabilite dagli uomini stessi, senza avere la minima capacità divina di conoscere l’intelligenza della misericordia e la sapienza del perdono. Nell’istante in cui decidiamo di giudicare, e lo facciamo con metri e misure da noi decisi, nello stesso istante decidiamo che quei metri e quelle misure vengano un giorno usati per giudicare la nostra vita e la nostra persona.
    Giudicare è un’azione profondamente pericolosa e molto stupida. Giudicare non porta a nessun vantaggio, genera la separazione e ci predispone a sicura condanna.



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    Martedì 21 Giugno 2011
    12a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Gènesi 13,2.5-18; Salmo 14,2-4b.5; Vangelo di Matteo 7,6.12-14

    Antifona e Salmo 14,2-4b.5
    Signore, chi sarà ospite nella tua tenda?


    2 Colui che cammina senza colpa,
    pratica la giustizia
    e dice la verità che ha nel cuore,
    3 non sparge calunnie con la sua lingua.

    Non fa danno al suo prossimo
    e non lancia insulti al suo vicino.
    4 Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
    ma onora chi teme il Signore.

    5 Non presta il suo denaro a usura
    e non accetta doni contro l’innocente.
    Colui che agisce in questo modo
    resterà saldo per sempre.


    Vangelo di Matteo 7,6.12-14

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 6 «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
    12 Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
    13 Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. 14 Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!»



    Ùtos

    Letteralmente: tutte dunque quante le cose volete che facciano a voi gli uomini, così [in greco ùtos] anche voi fate a loro: questa infatti è la legge e i profeti.
    Ùtos, avverbio, determina il modo, la quantità, la qualità dell’azione dell’uomo. Ùtos indica “proprio questa cosa e nel modo di questa cosa”, significa “in questo modo, così tanto, la medesima cosa”. Quando l’uomo sarà intellettualmente e spiritualmente disposto e pronto a imparare la legge dell’ùtos, del “allo stesso modo”, non ci sarà bisogno di altre leggi, né di profezia.
    Ma c’è qualcosa di più. L’ùtos è una legge in “andata e in ritorno”. Cosa vuol dire?

    Questa è la prima procedura madre del vangelo, la procedura matrice che deriva da una delle più importanti e gerarchicamente prime leggi dominanti che reggono l’universo e ogni vita: la legge di azione/reazione.
    Tutti i pensieri e tutte le azioni generano e muovono un certo tipo di energia, che varia di volta in volta per potenza, qualità, profilo. Ogni energia che muoviamo è un’azione che crea una reazione eguale e proporzionata all’energia di partenza. Ogni energia sviluppata, ogni azione mossa torna indietro alla persona o al popolo che ne ha dato inizio, che l’ha lanciata e suscitata, stabilita. Un giudizio mentale accusatorio, una parola di condanna gratuita nei riguardi di un nostro simile è energia che decidiamo di suscitare, è un’azione che decidiamo di intraprendere; quella stessa energia, con quella stessa forza, tornerà a noi in un modo-ùtos perfettamente corrispondente, come giudizio mentale accusatorio, condanna gratuita. Così è se decidiamo di sviluppare misericordia, gratitudine, perdono, comprensione, amore e gioia.

    Conosciuta questa legge dominante, diventa decisamente stupido muovere energie conflittuali, di rabbia, ira, condanna, vendetta, competizione, invidia nei confronti di chiunque, visto che la decisione di suscitare e muovere queste energie corrisponde alla decisione di vedercele perfettamente ricadere tutte addosso e contro con la stessa violenza con cui le abbiamo generate e coltivate. Conosciuta questa legge dominante è decisamente sapiente e vantaggioso muovere energie di comprensione, di condivisione, accoglienza, misericordia, perdono, gratitudine, fiducia nei confronti di chiunque, visto che la decisione di suscitare e muovere queste energie corrisponde alla decisione di vedercele ritornare indietro, perfettamente recapitate nella vita e nel cuore, con la stessa forza, qualità, profilo con cui le abbiamo generate e coltivate. Il vangelo precisa, riguardo a questa legge, che tale procedura solo in caso di persecuzione funziona con un’accezione diversa: Gesù ne è splendido esempio. In caso di persecuzione si riceve rabbia, odio, calunnia, condanna, violenza e morte senza averli seminati e suscitati, anzi si può essere perseguitati proprio perché si è deciso di intraprendere la strada del vangelo e di Gesù.
    Il vangelo insiste più volte su questa legge-procedura: chi prende la spada perisce di spada; chi opprime sarà oppresso, chi giudica sarà giudicato, chi condanna sarà condannato, chi misura sarà misurato. Tutto nell’universo funziona così, sempre. Per questo Gesù insegna a vivere nell’amore e nel perdono; questo modo di vivere è la cosa più intelligente e vantaggiosa da insegnare se desideriamo che amore e perdono ci tornino.
    Tutti i poteri forti, i grandi poteri e regni, le millenarie dinastie di alcuni imperi, che hanno violato questo principio dell’amore, una volta conquistati, sono stati misurati già su questa terra con la stessa misura: le ingiustizie, le angherie, le umiliazioni, le violenze sono state fatte a loro, pari pari. Il modo con cui sono spariti dalla faccia della terra dimostra chiaramente il modo con cui hanno governato o applicato la legge dell’ùtos. In Isaia 33,1 questo è detto con potenza inaudita e quasi inquietante.

    Gesù pone un’avvertenza importante sul modo di far conoscere e annunciare alle genti la legge dell’ùtos, che è in pratica la sintesi di tutto il vangelo. Letteralmente dice: Non date l’oggetto santo [in greco: tò àghion] ai cani, neppure gettate le perle [in greco: margarìtas] vostre davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e, voltatisi, sbranino voi. Gesù ammonisce-spiega-avverte i discepoli di non offrire l’oggetto santo, il vangelo e le divine procedure in esso racchiuse, in questo caso la legge dell’ùtos, a due categorie di persone: quelli che per ignoranza non possono capire, perché non possiedono gli elementari piani comuni di comunicazione, e quelli che, per pregiudizio e arroganza, non vogliono capire. Il vangelo non è difficile, anzi, è scritto con simbologie e immagini semplici, prese dalla vita di tutti i giorni, per essere da tutti compreso e capito, ma necessita di un minimo di onestà intellettuale da parte di chi lo ascolta, per essere apprezzato nella sua novità e considerato nella sua potenza illuminante. Da precisare che l’onestà intellettuale non corrisponde mai automaticamente alla preparazione e allo studio accademico, ma è garantita da altri fattori spirituali e intellettuali.
    Offrire nelle mani, nella mente, nella bocca di queste due categorie di persone l’oggetto santo, il vangelo, e le perle, le procedure evangeliche, fornisce loro inevitabili motivi di fraintendimento che al loro culmine diventeranno necessariamente semi generatori di rivolta, opposizione, conflitto, battaglia, persecuzione, violenza.



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    Mercoledì 22 Giugno 2011
    12a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Gènesi 15,1-12.17-18; Salmo 104,1-4.6-9; Vangelo di Matteo 7,15-20

    Antifona e Salmo 104,1-4.6-9
    Il Signore si è sempre ricordato della sua alleanza.


    1 Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
    proclamate fra i popoli le sue opere.
    2 A lui cantate, a lui inneggiate,
    meditate tutte le sue meraviglie.

    3 Gloriatevi del suo santo nome:
    gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
    4 Cercate il Signore e la sua potenza,
    ricercate sempre il suo volto.

    6 Voi, stirpe di Abramo, suo servo,
    figli di Giacobbe, suo eletto.
    7 È lui il Signore, nostro Dio:
    su tutta la terra i suoi giudizi.

    8 Si è sempre ricordato della sua alleanza,
    parola data per mille generazioni,
    9 dell’alleanza stabilita con Abramo
    e del suo giuramento a Isacco.



    Vangelo di Matteo 7,15-20

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15 «Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! 16 Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? 17 Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18 un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19 Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 20 Dai loro frutti dunque li riconoscerete».


    Fruttare e sfruttare

    Da cosa si differenzia il falso profeta dal profeta di Dio? Il falso profeta ha bisogno di mostrarsi alla gente come pecora per nascondere la sua vera indole di lupo rapace. Perché? Perché la vera natura del falso profeta è sfruttare, sfruttare fino all’osso e convenientemente tutto e tutti.
    Sfruttare significa avvantaggiarsi a svantaggio di altri, caricare su altri ciò che non si vuole toccare nemmeno con un dito, dissanguare le energie altrui per proprio tornaconto, ricavare compromettendo l’armonia delle forze naturali, abusare del proprio potere, approfittare dell’ignoranza altrui, spremere oltre ogni dignità, far fruttare contro la condivisione, l’unità e la giustizia, succhiare potenzialità altrui per la propria vanità, depauperare le energie altrui per invidia e competizione.
    Davanti agli occhi dell’uomo, sfruttare gli altri, le situazioni, il potere è un modo per ricavare per se stessi frutti vantaggiosi per ogni tipo di convenienza, per fruttificare interessi e ricchezza.

    Secondo lo sguardo umano sfruttare è sfruttare-ricavare frutto.
    E secondo Dio cosa significa sfruttare? Per capirlo ci può essere utile l’analogia dell’albero da frutto che, nel momento in cui non produce frutto e consuma ossigeno, acqua e un posto nella terra, si dice che sta sfruttando il terreno, cioè che sta inutilmente consumando energia e terreno senza produrre nulla di utile, vantaggioso, fruttuoso. Secondo lo sguardo di Dio chiunque sfrutta la propria esistenza, i propri doni, gli altri, le situazioni solo per il proprio vantaggio, sfrutta inutilmente il terreno della vita, è un uomo inutile, senza frutto, senza senso. Secondo il vangelo chi sfrutta, sfrutta.
    Per la mentalità umana saper sfruttare è il comportamento che denota furbizia e scaltrezza, secondo il cuore di Dio invece è un comportamento che riduce la vita dell’uomo a uno spreco inutile e inutilizzabile e denota tanta stupidità quanta arroganza.
    I falsi profeti sfruttano l’umanità e non portano frutto per l’umanità. I profeti di Dio si riconoscono dai loro frutti, dall’aroma e dalla fragranza dello Spirito che ti lasciano dentro e sulla punta del naso, si riconoscono dal fatto che quello che ti rivelano ti scalda il cuore e ti allarga la mente. Un profeta di Dio può anche sbagliare come sbagliano tutti gli uomini, ma non può dare frutti cattivi e contro l’umanità. Mozart era un profeta della musica, la sua vita non era perfetta, ma la sua musica sì, e ha aperto porte armoniche e sonore prima sconosciute e inedite. Mosè era un assassino e il Signore gli ha chiesto di salvare il suo popolo. Il re Davide non era perfetto, ma la creazione dei suoi salmi ha generato un nuovo modo di pregare che usiamo ancor oggi, così come magnifica e potente era la sua musica. Paolo di Tarso aveva fatto uccidere e lapidare centinaia di cristiani e il Signore l’ha scelto come cuore pulsante della prima evangelizzazione per traghettare la chiesa oltre il primo secolo. Sembra che il Signore, conoscendo bene il cuore dei suoi figli, prediliga un cuore profondamente innamorato di Lui, anche se imperfetto, piuttosto che il cuore non innamorato di un perfetto.



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    Giovedì 23 Giugno 2011
    12a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Gènesi 16,1-12.15-16; Salmo 105,1-5; Vangelo di Matteo 7,21-29

    Antifona e Salmo 105,1-5
    Rendete grazie al Signore, perché è buono.


    1 Rendete grazie al Signore, perché è buono,
    perché il suo amore è per sempre.
    2 Chi può narrare le prodezze del Signore,
    far risuonare tutta la sua lode?

    3 Beati coloro che osservano il diritto
    e agiscono con giustizia in ogni tempo.
    4 Ricòrdati di me, Signore, per amore del tuo popolo.

    Visitami con la tua salvezza,
    5 perché io veda il bene dei tuoi eletti,
    gioisca della gioia del tuo popolo,
    mi vanti della tua eredità.



    Vangelo di Matteo 7,21-29

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 21 «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22 In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”
    23 Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!”
    24 Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
    26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande». 28 Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: 29 egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.



    Akùo e poièo

    Chiunque ascolta e fa è la procedura per poter costruire la propria vita forte e resistente contro il Maligno, come una casa sulla roccia, forte e resistente contro le tempeste e il vento.
    Ascoltare. Il verbo evangelico è akùo, “ascolto, sento, imparo, apprendo; vengo a conoscere; afferro con l’udito; do retta, obbedisco, esaudisco; aderisco”. Non è solo percepire con l’udito, ma è anche percepire e insieme ubbidire spiritualmente. Akùo è ancora “ascolto con attenzione, comprendo e apprendo, esaudisco”. Si tratta di essere in uno stato di attenzione acustica dove, insieme all’orecchio, proteso a sentire ogni cosa, anche tutto l’essere è in uno stato di percezione per orientarsi. È l’ascolto attento, totalizzante di colui che in un bosco, ascoltando i rumori e i suoni, non solo capisce dov’è e cosa si sta muovendo, ma anche si orienta e orienta il proprio cammino. La radice di questo verbo parla di “umiltà”: la sua base accadica aku significa infatti “umile”.
    La Parola prevede l’umile ascolto e insieme il poièin, il fare. Il verbo poièo, “faccio, creo, procuro; fabbrico, produco, realizzo, compio, eseguo, opero, agisco”, indica l’azione di eseguire un’opera, un lavoro, un compito. Pachu, “fare”, è la base accadica di questo verbo, indica il portare a compimento l’esecuzione di un’opera, quindi poièo si traduce anche con “concludo, finisco, risolvo, termino, ultimo un progetto”. Poièo indica il mettersi in moto per iniziare, compiere e concludere un’opera, è il fare, l’eseguire un progetto da cima a fondo.
    Secondo le parole di Gesù, rispetto alle procedure evangeliche, è chiaro che nella vita non si possono mai separare questi due verbi akùo e poièo, pena la costruzione di una casa, di una vita spirituale e sociale pericolosamente fondata sulla sabbia, sul nulla. Ascoltare umilmente e fare con passione la Parola è l’unico modo per realizzare il vangelo e renderlo vivo e splendidamente contagioso nella vita. È l’unico modo per essere di Gesù e per essere da lui riconosciuti come figli di Dio. Nessuno di noi sarà mai perfetto su questa terra nel realizzare con pienezza e coerenza l’unione di questi due verbi rispetto al vangelo, ma Dio non chiede perfezione per riconoscerci come figli, chiede piuttosto costante passione per non mollare, intramontabile desiderio per non scoraggiarsi, continua umiltà per chiedere perdono e ricominciare, ricominciare sempre e comunque. Al termine della nostra vita il Signore non ci riconoscerà suoi figli e amici se ci incontrerà vittoriosi, con l’albero del nostro orgoglio, della vanità e pigrizia, dei vizi, delle invidie e ambizioni, dei possessi, delle presunzioni e mancanze di amore completamente abbattuto ai nostri piedi, ma se ci incontrerà con l’accetta in mano ancora umilmente e tenacemente al lavoro.
    Non la giustizia, il senso del dovere, la paura dell’inferno, la legge, l’ambizione hanno la forza di tenere incollati tra loro questi due verbi akùo e poièo, per realizzare il vangelo nella vita quotidiana. L’amore, solo l’amore è la colla suprema che ha il potere di tenere tenacemente e quotidianamente incollati questi due verbi per realizzare la potenza del vangelo. L’amore nessuno lo possiede, l’amore non è una meta, è un cammino, l’amore si impara, l’amore si chiede e si implora a Dio, che è Amore, si implora a lungo, a lungo, senza mai stancarsi, nell’intimità del cuore.
    Secondo Gesù, chi non desidera imparare ad amare e non vuole fondare la sua vita sull’amore, è semplicemente uno stolto, perché costruisce per la propria rovina.
    Gesù usa due analogie per distinguere due modi opposti di interpretare, intraprendere e costruire la vita: una casa costruita sulla sabbia è una vita senza imparare ad amare, una casa costruita sulla roccia è una vita che umilmente impara ad amare. Sabbia e roccia sono lo stesso materiale osservato in tempi diversi. La sabbia era roccia che attraverso il tempo si è usurata e frantumata in miliardi d’infinitesimali cristalli. L’amore può essere eroso dai venti della mancanza di fede, dalle tempeste di povertà e miseria, provocate dall’assenza della forza del desiderio, dallo spegnimento della passione, dalla riduzione dell’entusiasmo, dalla negazione della potenza guaritrice del perdono dato e implorato. La roccia può diventare sabbia, ma è anche vero che al fuoco dello Spirito Paraclito e dell’Amore divino la sabbia può rifondersi in lava e diventare nuova roccia, roccia d’amore su cui costruire casa, vita, città e storia.



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    Venerdì 24 Giugno 2011
    Natività di San Giovanni Battista

    Parola del giorno

    Isaìa 49,1-6; Salmo 138,1-3.13-15; Atti degli Apostoli 13,22-26; Vangelo di Luca 1,57-66.80

    Antifona e Salmo 138,1-3.13-15
    Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda.


    1 Signore, tu mi scruti e mi conosci,
    2 tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
    intendi da lontano i miei pensieri,
    3 osservi il mio cammino e il mio riposo,
    ti sono note tutte le mie vie.

    13 Sei tu che hai formato i miei reni
    e mi hai tessuto nel grembo di mia madre.
    14 Io ti rendo grazie:
    hai fatto di me una meraviglia stupenda.

    Meravigliose sono le tue opere,
    le riconosce pienamente l’anima mia.
    15 Non ti erano nascoste le mie ossa
    quando venivo formato nel segreto,
    ricamato nelle profondità della terra.


    Vangelo di Luca 1,57-66.80

    57 Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
    59 Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61 Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
    62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64 All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
    65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66 Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?» E davvero la mano del Signore era con lui.
    80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.



    Dettagli

    Il desiderio divino desidera che un figlio degli uomini predisponga i tempi e le persone all’incontro, alla venuta del Figlio di Dio sulla terra. Per questo compito ha designato Giovanni, che dovrà nascere da Elisabetta e Zaccaria.
    La realtà dice che Elisabetta è sterile, il desiderio divino dice: dettagli, si va avanti. La realtà dice: Zaccaria ed Elisabetta sono avanti negli anni ed è terminata per loro l’opzione per figliare, il desiderio divino dice: dettagli, si va avanti.
    Zaccaria è un sacerdote, Giovanni suo figlio sarà il più grande e l’ultimo dei profeti dell’antica alleanza. Nella storia la realtà dice che la linea sacerdotale non è mai andata d’accordo con la linea profetica, anzi tra loro c’è sempre stata guerra e opposizione, il desiderio divino dice: dettagli, si va avanti. Nemmeno sul nome da imporre a questo bambino ci si trova d’accordo, la realtà, le tradizioni, le leggi dicono che Zaccaria deve essere il suo nome, il desiderio divino dice: dettagli, il suo nome è Giovanni, si va avanti.
    La realtà dice che i potenti della terra potrebbero non apprezzare il gesto d’amore del Padre di offrire una nuova vita, una nuova evoluzione a tutti i livelli attraverso l’incarnazione, la presenza, la Parola di Gesù, suo Figlio, il desiderio divino dice: dettagli, si va avanti. La realtà dice che la proposta di Gesù di costruire sulla terra il regno dell’amore e del vero benessere, che liberi i popoli dall’ignoranza, dalla paura e dalla sottomissione, subirà sempre opposizione, persecuzione e violenza da parte dei poteri forti dei predatori terreni, il desiderio divino dice: dettagli, si va avanti.
    La realtà dice che i popoli faranno fatica ad accogliere Gesù e la sua proposta di liberazione che parte da dentro, dal cuore e non dalle politiche e dagli eserciti, molti anzi lo rifiuteranno e lo vorranno eliminare, il desiderio divino dice: dettagli, si va avanti.
    La realtà dice che l’uomo preferisce le catene della schiavitù e il buio dell’inganno e della bugia alla potenza della libertà e alla luce della verità, il desiderio divino dice: dettagli, si va avanti. La realtà dice che Giovanni – dall’ebraico Yohanàn, Dio è misericordia – vivrà nel deserto lontano da uomini e poteri, ambizioni e compromessi, intrighi politici e convenienze partitiche, sarà imprigionato e decapitato dai governatori, misconosciuto dalla gerarchia sacerdotale: dettagli, si va avanti. La realtà dice che il Figlio Gesù sarà torturato e ucciso in croce, che i potenti faranno in modo, lungo tutta la storia, di coprire con il fango del ridicolo il suo vangelo e di spegnere nell’ignoranza e nella paura l’intelligenza dei popoli, il desiderio divino dice: dettagli, si va avanti.
    La realtà dice che l’uomo è costituzionalmente debole, non vuole essere liberato, non crede in nulla se non al proprio tornaconto e vantaggio. L’uomo ha un solo dio, il denaro, una sola religione, l’ambizione, una sola intelligenza, il possesso, una sola opzione per affrontare e risolvere i problemi, la violenza, il desiderio divino dice: dettagli, si va avanti.
    Il nostro bene, la nostra salute totale e la nostra salvezza completa, questo è il cuore del desiderio e della volontà divini, e questo si realizzerà nella misteriosa gradualità regolata dalla potenza dell’amore divino e nella potenza della libertà umana.
    Non temere dice l’angelo a Zaccaria la prima volta che lo incontra. Non temere dice il vangelo all’umanità, non temete dice Gesù a tutti coloro che incontra, e lo ripete innumerevoli volte durante la sua vita terrena. Non temere dice il desiderio divino, dice il cuore di Dio a tutta l’umanità, non temere, i miei desideri di bene totale per te e per tutte le cose si realizzeranno in pienezza e bellezza come io ho pensato e voluto da sempre. Non temere dice il cuore di Dio al cuore dell’uomo, non temere.
    Molti saranno gli impedimenti, gli ostacoli, i nemici, molti e diversi i rallentamenti al regno di Dio, ma Dio ci ripete non temere, perché il regno dell’Amore si compie e si compirà. Tutto il resto è un dettaglio, un semplice dettaglio. Si va avanti.



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    00 25/06/2011 09:04

    Sabato 25 Giugno 2011
    12a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Gènesi 18,1-15; Salmo: Vangelo di Luca 1,46-50.52-55; Vangelo di Matteo 8,5-17

    Antifona e Salmo Vangelo di Luca 1,46-50.52-55
    Il Signore si è ricolmato della sua misericordia.


    46 L’anima mia magnifica il Signore
    47 e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
    48 perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
    D’ora in poi tutte le generazioni
    mi chiameranno beata.

    49 Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
    e Santo è il suo nome.
    50 Di generazione in generazione la sua misericordia
    per quelli che lo temono.

    52 Ha rovesciato i potenti dai troni,
    ha innalzato gli umili;
    53 ha ricolmato di beni gli affamati,
    ha rimandato i ricchi a mani vuote.

    54 Ha soccorso Israele, suo servo,
    ricordandosi della sua misericordia,
    55 come aveva detto ai nostri padri,
    per Abramo e la sua discendenza, per sempre.



    Vangelo di Matteo 8,5-17

    In quel tempo 5 entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: 6 «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». 7 Gli disse: «Verrò e lo guarirò». 8 Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. 9 Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
    10 Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! 11 Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, 12 mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». 13 E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito. 14 Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre.
    15 Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva. 16 Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, 17 perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: “Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie”.



    Accade ciò che credi

    Un tipo di evangelizzazione si occupa principalmente di aiutare le persone a credere a Gesù attraverso la rivelazione e la spiegazione di ciò che è accaduto nella storia, attraverso i fatti, i miracoli, l’uccisone, la risurrezione di Gesù. È il credere fondato sull’accettazione mentale e spirituale di ciò che è accaduto a Gesù e su ciò che Lui ha compiuto e detto.
    È l’evangelizzazione che richiama la prima catechesi di Pietro in Atti 2,14 dove, per ovvi motivi, visto il momento storico, il primo degli apostoli non parla del vangelo, non annuncia l’anima della Parola di Gesù, ma annuncia i fatti che riguardano Gesù, concentrandosi sulla sua uccisione e risurrezione. Così sarà per l’altro grande annuncio in Atti 3,12, così è la predicazione di Stefano davanti al tribunale, quando la figura di Gesù viene collegata a tutta la straordinaria storia della salvezza. Così è per la catechesi di Filippo quando incontra il funzionario della regina Candace, così è per l’evangelizzazione di Paolo, almeno come ci viene riportata e come possiamo conoscerla dai suoi stessi scritti. Da questi primi scritti della chiesa, dalla prima evangelizzazione dunque, non potremmo mai ricostruire un vangelo che contenga le linee fondamentali delle procedure evangeliche annunciate da Gesù. Perché la gente possa credere alla Parola di Gesù, il cuore di questa catechesi è avvalorare storicamente la sua persona come vero Dio e vero uomo, come il vero e unico Messia al centro della storia del popolo ebreo e, ora, secondo il disegno del Padre, al centro della storia del mondo. Questa è l’evangelizzazione che aiuta le menti e i cuori a credere al vangelo per l’autorevolezza del fatto che Gesù è Dio, è l’evangelizzazione che narra, dice, racconta di Gesù.
    C’è un altro tipo di evangelizzazione che, senza rinnegare in alcun modo quella iniziale, cerca di aiutare le menti e i cuori delle persone partendo da ciò che Gesù ha narrato, detto, raccontato, affinché la bellezza, la novità e la divina efficacia delle sue indicazioni conducano da sole all’amore e alla fede in Gesù come vero Dio.
    Si può credere nelle sue parole perché Gesù è Dio, si può credere che Gesù è Dio dalle sue parole. Sono due approcci diversi e complementari, perfettamente funzionali ai passaggi storici, ma che non dovrebbero mai essere separati.
    Oggi, per esempio, il vangelo dice letteralmente: Va’, come hai creduto avvenga a te. In queste parole c’è una procedura, un’istruzione per l’uso sfolgorante di luce e di potenza. Ci viene rivelato senza mezzi termini e con chiarezza assoluta che la dimensione dello spirito comanda su tutto e ogni cosa. Ci viene rivelato che niente ha la potenza dei nostri desideri coltivati con la forza della fede e che tutto obbedisce a essi. Ci viene rivelato che la potenza di Dio, di Gesù e dello Spirito Paraclito si rivela nel far realizzare e accadere ciò che crediamo fortemente e con tutta la forza. Come hai creduto avvenga a te rivela al mondo una verità sconosciuta, una forza gigantesca mai usata. Rivela che quello che succede in quest’occasione (avvenga a te come tu hai creduto) non è un caso, non è un’occasione unica, non è una rarità, ma è quello che succede sempre e in tutti immancabilmente con la forza della fede che Gesù può suscitare. Rivela che la potenza di quel come hai creduto è sempre potente e sempre l’universo e tutta l’energia del mondo si piega umilmente e si mette all’opera gioiosamente, per ordine delle leggi divine, per realizzarlo perfettamente e adeguatamente. Ci rivela che la mente e il corpo obbediscono a questa potenza ed eseguono sempre gli ordini e i desideri di questo capitano che è lo spirito, a seconda di come crede, quanto crede, senza discutere e interferire mai.
    Rivela che in nome di Dio la potenza di ciò che crediamo e come lo crediamo è capace di trasformare la biologia del corpo e l’energia degli eventi. Rivela che ogni cellula del nostro corpo è sempre perfettamente e costantemente concentrata e attenta sull’energia sviluppata dal nostro spirito e dal nostro dialogo interiore, per modificarsi e adeguarsi a essi in modo energeticamente coerente. Credere di non farcela, smettere di credere nell’onnipotente, fedele difesa e protezione dell’amore di Dio, smettere di aver totale e indiscutibile fiducia in lui e nel suo gentilissimo e tenerissimo abbraccio chiede alle cellule lo sforzo di adeguarsi a questo stato energetico, impoverendo il loro sistema di difesa, il sistema immunitario. Coltivare pensieri di fede e di amore anche nei giorni difficili è liberare ormoni e processi elettrochimici adatti alla salute e alla vita. Coltivare pensieri oscuri, senza fiducia, senza fede, senza amore obbliga il nostro metabolismo a produrre coerentemente sostanze tossiche e distruttive. Proiettare nel futuro dialoghi interiori cupi e sfiduciati, senza fede in Dio, in se stessi e nella vita, è chiedere alle sinapsi cerebrali, ai recettori, ai neuropeptidi di adeguarsi coerentemente a questo tipo di energia distruttiva, tossica e acida. Come hai creduto avvenga a te, rivela che se desideriamo avere un corpo sano, forte, giovane per servire il regno di Dio, il regno dell’Amore, avverrà esattamente secondo la qualità e il profilo dei nostri desideri e della nostra fede. Rivela che le disarmonie, le tensioni, la tossicità di oggi dipendono dai pensieri e dai dialoghi interiori senza fede e amore di ieri. È una rivelazione semplice e meravigliosa che aiuta a crescere nella scuola dell’osservazione, della meditazione. Osservare in meditazione, con attenzione e fiducia, quali sono i pensieri e i dialoghi interiori che stanno occupando la nostra mente e il nostro spirito, è un’attività fondamentale per verificare la linea, la forza, la direzione, la pulizia, la luminosità o meno del nostro credere, e attivare l’eventuale sostituzione e purificazione. Non c’è nulla di più efficace al mondo che modificare il proprio dialogo interiore nella preghiera e nella meditazione, nell’adorazione intima e amante di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito.
    Come hai creduto avvenga a te significa che il vero miracolo Gesù lo compie suscitando, con la potenza della sua Parola e del suo Spirito, una forza divina, risanatrice, guaritrice, salvifica che lui stesso ha posto tra le vene del nostro spirito e del nostro essere, fatto a sua immagine e somiglianza. Senza di Lui non possiamo far nulla, ma in Lui, con la forza del nostro desiderio e della nostra fede, tutto è possibile.
    Come hai creduto avvenga a te afferma una novità mai sentita: tutto, ma proprio tutto avviene nella vita e dipende da ciò che crediamo, da come lo crediamo, da quanto lo crediamo dentro. Dalla fragranza o dalla puzza dei nostri pensieri accade una vita profumata o maleodorante. Dalla luminosità o dalla cupezza dei nostri desideri derivano giorni e avvenimenti luminosi o cupi. Dall’amorosa passione o dall’inerzia sviluppata per ciò che crediamo, discendono azioni, fatti, incontri, scelte per una vita appassionata o sbiadita nell’inedia. Come hai creduto avvenga a te è una universale legge dominante, è una universale fonte di conoscenza, è una universale procedura. Tutto e ogni cosa funziona così, sempre, da sempre.
    È proprio vero che questa è Parola del Signore: solo il Signore di tutto e di ogni cosa può rivelare una Parola così, per il vero benessere e per la piena felicità dell’uomo.



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    00 26/06/2011 09:20

    Domenica 26 Giugno 2011
    Santissimo Corpo e Sangue di Cristo – Anno A

    Parola del giorno

    Deuteronòmio 8,2-3.14b-16a; Salmo 147,12-15.19-20; Prima lettera ai Corìnzi 10,16-17; Vangelo di Giovanni 6,51-58

    Antifona e Salmo 147,12-15.19-20
    Loda il Signore, Gerusalemme.


    12 Celebra il Signore, Gerusalemme,
    loda il tuo Dio, Sion,
    13 perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
    in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

    14 Egli mette pace nei tuoi confini
    e ti sazia con fiore di frumento.
    15 Manda sulla terra il suo messaggio:
    la sua parola corre veloce.

    19 Annuncia a Giacobbe la sua parola,
    i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
    20 Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
    non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.


    Vangelo di Giovanni 6,51-58

    In quel tempo, Gesù disse alla folla: 51 «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?»
    53 Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
    56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».



    Prova

    Quando un uomo ha sete, è indispensabile, per la sua sopravvivenza, trovare una sorgente d’acqua, perché non può darsi acqua da se stesso. Quando un uomo ha fame, è indispensabile, per la sua sopravvivenza, trovare alimenti commestibili, perché non può darsi cibo da se stesso. Quando in un bosco, di notte, serve luce, un uomo deve fare un fuoco o accendere una torcia, perché non può darsi luce da se stesso.
    Se rimani imprigionato nelle sabbie mobili, puoi uscirne afferrando con forza il tuo braccio destro con il sinistro per poi tirarti fuori? No. Che possibilità ha una donna che sta annegando in mare di trascinarsi a riva tirandosi per i capelli? Nessuna. Semplicemente non si può fare e, se si prova, non funziona, non serve a nulla. Non ci possiamo salvare da soli. Non è possibile. Allo stesso modo, se anche è possibile uccidere una formica, non siamo poi in grado di rifarla, e se possiamo toglierci e togliere la vita, non possiamo riprendercela né ridarla. Compreso questo, non è strano, non è incomprensibile, anzi è perfino naturale e ovvio che Gesù, il Signore, si proponga all’umanità come vera sorgente d’acqua, come vero pane, vera luce, vera e unica sorgente del perdono, vero medico e medicina, salute dell’anima e del corpo, piena salvezza purificatrice, totale gioia, pace senza fine, vero benessere.
    Solo gli abissi dell’ignoranza e le vette dell’arroganza possono ritenere strano, duro, incomprensibile questo proporsi di Gesù come vero cibo, totale e onnicomprensivo nutrimento, divino e completo alimento per tutte le dimensioni dell’uomo.




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    00 27/06/2011 10:52

    Lunedì 27 Giugno 2011
    13a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Gènesi 18,16-33; Salmo 102,1-4.8-11; Vangelo di Matteo 8,18-22

    Antifona e Salmo 102,1-4.8-11
    Misericordioso e pietoso è il Signore.
    Oppure: È grande, Signore, la tua misericordia.


    1 Benedici il Signore, anima mia,
    quanto è in me benedica il suo santo nome.
    2 Benedici il Signore, anima mia,
    non dimenticare tutti i suoi benefici.

    3 Egli perdona tutte le tue colpe,
    guarisce tutte le tue infermità,
    4 salva dalla fossa la tua vita,
    ti circonda di bontà e misericordia.

    8 Misericordioso e pietoso è il Signore,
    lento all’ira e grande nell’amore.
    9 Non è in lite per sempre,
    non rimane adirato in eterno.

    10 Non ci tratta secondo i nostri peccati
    e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
    11 Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
    così la sua misericordia è potente
    su quelli che lo temono.


    Vangelo di Matteo 8,18-22

    In quel tempo, 18 vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva.
    19 Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». 20 Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
    21 E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 22 Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».


    Oltre

    Lui vede la folla attorno a sé e ordina: èis tò pèran, oltre, alla riva opposta. Pèran significa al di là, oltre, opposto, in questo caso con il significato di opposta riva, ma meglio sarebbe, il più in là, qualcosa in più, oltre quel limite, quel confine, quella fine, quel termine, quella conclusione.
    Gli si avvicina un esperto della legge di Dio, un teologo di allora, che afferma: Maestro, ti seguirò dovunque tu vada; Lui allora risponde che chi lo segue non può farlo per avere una tana per la sicurezza personale, un rifugio affettivo, una protezione sociale, un privilegio politico, un nido di certezze o un vantaggio economico. Non lo può fare per avere un posto nel mondo, per il beneficio di qualche rassicurante contatto e appoggio, per la comodità della prerogativa, per convenienza di qualsivoglia tipo. Seguire Lui non offre nessun tipo di garanzia umana. Seguire Lui garantisce altro, garantisce oltre, al di là, ma non corrisponde a nessuna delle attese umane.
    Poi si avvicina uno dei suoi discepoli e gli chiede: Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre. Anche qui Lui, risponde oltre i legami familiari, oltre la morte, oltre le convenienze, completamente al di là delle convinzioni e delle aspettative umane. Afferma che i morti si devono seppellire da soli, che la storia passata si archivia da sola. Afferma che chi ha intrapreso il cammino con Lui, non ha più famiglia, non ha più legami, non ha più case, aspettative altrui da rispettare e onorare.
    Lui è oltre, è veramente oltre, al di là. Oltre cosa? Oltre quale dove? Oltre quale quando? Oltre chi? Lui è oltre il respiro, il cuore, la mente, il centro motore che tutto fa girare in questo mondo così come ce lo siamo costruiti. Lui è oltre l’ambizione. In questo mondo tutto e ogni cosa è guidato dall’ambizione. Lavoro, affetti, denaro, prestigio, successo, religione, morale, legge, politica, relazioni. L’ambizione è il vero realissimo motore che muove e motiva tutte le cose che si fanno ogni secondo in questo mondo. È il sangue che scorre nelle vene delle famiglie, è il collante dei rapporti umani, riempie i conti in banca, irrora di sangue i campi di battaglia. È l’ambizione che fa morire di stenti, di fame e miseria milioni di poveri nello stesso istante in cui pochi altri gozzovigliano spudoratamente con ogni bene. È l’ambizione che fa scegliere le cose e le persone. È l’ambizione che sveglia di notte con la tachicardia, che procura acidi in eccesso alla digestione, che crea la tensione indiavolata alle strutture connettive, che agita il respiro e genera ansia e sensi di colpa, che abbassa le difese immunitarie, toglie energie, che si preoccupa ossessivamente dei dettagli e tralascia i beni supremi, moltiplica gli sforzi e riduce i risultati. È l’ambizione che si prende cura di spingere ai conflitti, all’omicidio, al suicidio, che trasforma la fede in religione, la religione in fanatismo, la scienza in ignoranza, la politica in drago violento e predatore. È l’ambizione che trasforma il dono in protagonismo, l’amore in possesso, la misericordia in giustizia, la giustizia in legge, la legge in tribunale, il tribunale in prigione. È l’ambizione che spoglia la gratitudine fino alla nuda arroganza, e scioglie la potenza del perdono da chiedere e offrire nel veleno volgare e insipiente della giustificazione. È l’ambizione che annulla la dignità umana e violenta la sua libertà e la sua nobiltà divina e devia il vero progresso in perversa involuzione. È l’ambizione che può entrare dovunque nella vita dell’uomo e avvelenare ogni cosa.
    Lui ci invita ad andare oltre, molto oltre, al di là delle rive dell’ambizione, dove ci aspetta una vita ancora sconosciuta e meravigliosa, piena di vero benessere per tutti, di gioia e condivisione. Il primo passo del risveglio spirituale, il primo gradino verso la sapienza e l’illuminazione, il primo respiro della consapevolezza, il primo pensiero della metànoia, la prima novità del cambiamento accade quando una persona si rende serenamente ma decisamente conto che tutta la sua vita, proprio tutto della sua vita, anche senza accorgersi, era spinto, mosso, motivato completamente dell’ambizione. Oltre l’ambizione c’è la strada maestra del vangelo, la porta stretta, il segreto dei segreti, la via di luce, la risurrezione dell’umanità. Oltre l’ambizione ci sono le rive evangeliche delle Beatitudini, il cuore del cuore del vangelo, le Beatitudini che Lui ha lasciato al mondo come il vero motore della vita, per il movimento dello spirito verso il vero benessere e la felicità piena, alternativa al motore che da dentro sta muovendo l’uomo, in ogni suo passo, verso l’infelicità. Le Beatitudini sono completamente oltre il veleno che sta avvelenando il mondo e il modo di vivere dell’uomo in ogni sua dimensione, perché le Beatitudini ispirano a fare ogni cosa per amore, umilmente, con gratuità e gratitudine.




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    Martedì 28 Giugno 2011
    13a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Gènesi 19,15-29; Salmo 25,2-3.9-12; Vangelo di Matteo 8,23-27

    Antifona e Salmo 25,2-3.9-12
    La tua bontà, Signore, è davanti ai miei occhi.


    2 Scrutami, Signore, e mettimi alla prova,
    raffinami al fuoco il cuore e la mente.
    3 La tua bontà è davanti ai miei occhi,
    ella tua verità ho camminato.

    9 Non associare me ai peccatori
    né la mia vita agli uomini di sangue,
    10 perché vi è delitto nelle loro mani,
    di corruzione è piena la loro destra.

    11 Ma io cammino nella mia integrità;
    riscattami e abbi pietà di me.
    12 Il mio piede sta su terra piana;
    nelle assemblee benedirò il Signore.


    Vangelo di Matteo 8,23-27

    In quel tempo, 23 salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. 24 Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
    25 Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!» 26 Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?» Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.
    27 Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?»



    Tzunami

    Seismòs, dalla radice sanscrita tuesami – da cui tzunami –, “sono sconvolto, eccitato, sbigottito”, significa letteralmente “scuotimento, burrasca, terremoto, sisma”. La tempesta vera, la sensazione che la barca affondi tra le acque agitate del mare, è più nell’anima e nella mente che fuori. La tempesta, come la valle oscura e i sentieri senza via di fuga, il più delle volte è dentro, dentro la mente. Lo tzunami provocato dai nostri pensieri, dalla serie tempestosa dei nostri dialoghi interiori è dentro, dentro di noi.
    Perché avete paura, gente di poca fede? Poca fede, tanta paura. Tanta fede, poca paura. Che siamo gente di poca fede è reso evidente dal fatto che abbiamo paura, tanta paura, paura che si trasforma in ansia, fretta, sensi di colpa, indifferenza, rabbia, ira furibonda, conflitto, ambizione, ma sempre di paura si tratta. Fede non è credere in Dio, credere che Lui c’è, credere è prima di tutto non dubitare mai di Lui, della sua predilezione e del suo amore, non pensare mai male di Lui, non permettere mai alla mente, per nessun motivo, di considerarlo colpevole o responsabile dei nostri guai. Aver fede in Lui è fidarsi di lui, è fidarsi talmente del suo amore da abbandonarsi in lui fino a rilassarsi. Sì, fede è rilassarsi completamente in Dio, perché lui è il Signore di tutto e di ogni cosa, ci ama come noi non potremmo nemmeno immaginare, ci tiene in braccio e ci stringe teneramente alla sua guancia. Fede è abbandonarsi fino a rilassarsi completamente in Dio, qualsiasi cosa accada.
    Fede è non agitarsi, l’agitazione aggiunge forza al vigore dello tzunami interno o esterno che sia. Fede è non sorprendersi, la sorpresa e lo sgomento aggiungono estensione allo tzunami. Fede è non spaventarsi, spavento e inquietudine aggiungono profondità e peso allo tzunami. Fede è non creare ansia perché l’ansia aggiunge resistenza allo tzunami. È non esercitare pressione, quella pressione psichica che aggiunge efficacia e durata allo tzunami. Fede è non opporsi, non entrare in conflitto. Opposizione e conflitto sono la modalità certa per farsi avvolgere dalle spire mortali, per far parte integrante dello tzunami stesso.
    Qualsiasi cosa ti accada, abbi fede. Mantieni la fede, aumenta la fede, abbandonati in Lui, rilassati in Lui. Sempre e in qualsiasi occasione, felice o triste, amalo con tutte le forze e sentiti amato. Qualsiasi cosa accada non combattere, medita i fatti nel tuo cuore e impara ad amare di più, medita e respira a fondo e a ogni respiro ringrazia profondamente. Medita e ringrazia, non ribellarti, non entrare in sfida con Dio, non urlargli contro, come i discepoli sulla barca, il suo presunto disinteresse: Salvaci, Signore, siamo perduti! Non entrare in sfida, non entrare in giudizio con il prossimo, non combattere, l’unico risultato sicuro di ogni guerra sono i morti e il sangue sparso. Medita e ringrazia sempre e comunque, nulla è mai per caso, Dio non ti ha abbandonato. Anche se tutte le evidenze sembrano dire il contrario, Lui è con te con tenerezza infinita e gentilezza suprema; chiedi perdono per le ferite agli altri inferte e perdona per le ferite dagli altri a te provocate e non dubitare. Ogni tzunami è più facile scioglierlo con il sorriso della fede che con il blocco della paura. Maria Santissima nella sua vita terrena ha dovuto superare tzunami imprevisti e impietosi, ed è vera maestra nella fede e nell’abbandono, nella meditazione e nella lode. Da lei corriamo per imparare, a lei ricorriamo quando lo tzunami arriva segretamente nel cuore o gigantesco e improvviso dai quattro venti.



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    00 29/06/2011 10:00

    Mercoledì 29 Giugno 2011
    Santi Pietro e Paolo, apostoli

    Parola del giorno

    Atti degli Apostoli 12,1-11; Salmo 33,2-9; Seconda lettera a Timòteo 4,6-8.17-18; Vangelo di Matteo 16,13-19

    Antifona e Salmo 33,2-9
    Il Signore mi ha liberato da ogni paura.


    2 Benedirò il Signore in ogni tempo,
    sulla mia bocca sempre la sua lode.
    3 Io mi glorio nel Signore:
    i poveri ascoltino e si rallegrino.

    4 Magnificate con me il Signore,
    esaltiamo insieme il suo nome.
    5 Ho cercato il Signore: mi ha risposto
    e da ogni mia paura mi ha liberato.

    6 Guardate a lui e sarete raggianti,
    i vostri volti non dovranno arrossire.
    7 Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
    lo salva da tutte le sue angosce.

    8 L’angelo del Signore si accampa
    attorno a quelli che lo temono, e li libera.
    9 Gustate e vedete com’è buono il Signore;
    beato l’uomo che in lui si rifugia.


    Vangelo di Matteo 16,13-19

    In quel tempo, 13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» 14 Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».

    15 Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?» 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

    17 E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».



    ‘Etò’-Chiesa

    Chiesa, alcuni approfondimenti linguistici.
    Il termine chiesa in Peshitta, il testo aramaico dei vangeli, è ‘etò’ – da ‘adt, radice ‘ad, “celebrare, dare una festa” – termine che indica un grande raduno, un’immensa riunione dove si fa musica, c’è cibo in abbondanza, divertimento e tutti e l’universo intero ne possono godere. Il primo segno da cui si riconosce se la chiesa sta seguendo l’ispirazione di Dio e la Parola di Gesù è la sua dimensione di festa e di gioia in tutto il suo muoversi tra gli uomini. Dove non ci sono gioia e festa, lode e banchetto-condivisione non c’è la chiesa di Dio. Chiesa significa trasparenza e condivisione della gioia. La chiesa terrena è racchiusa in un termine che esprime il significato di un gigantesco, festosissimo banchetto, esattamente come viene descritta (in tutta la bibbia) la chiesa celeste: un gigantesco, festosissimo banchetto senza fine. Sono due le parole ebraiche da cui la radice aramaica di ‘etò’ deriva. Il verbo ia‘ad – radice w(e)d – “indicare, stabilire, costruire, fissare”; detto per la donna, “sposare”; significa anche “adunarsi, convenire, andare insieme presso uno”. Poi c’è il sostantivo ‘edàh, che ha due significati fondamentali: il primo è “adunanza, assemblea, congregazione, moltitudine, comunità familiare”, il secondo significato è “testimonianza”.
    Quando Kefa/Kepa risponde a Gesù: Tu sei il Figlio del Dio Vivente, Gesù lo chiama Simone figlio di Giona, perché Dio Padre ha rivelato proprio a lui un segreto, gli ha aperto la visione, gli ha dettato la verità. La chiesa però non si fonda su argomenti e riflessioni umane. Infatti Gesù, subito dopo, allo stesso Simone impone il nome Pietro. Qui Gesù fa un gioco di parole con il suo nomignolo Kefa-roccia-pietra.
    I semiti per parlare della verità usano la metafora della pietra, kepa; chi, per compiere un paragone, usa la parola pietra o roccia, sta parlando della verità. La verità, come la pietra, è così ferma e dura che non può essere modificata o alterata. È sulla kepa, su questa kepa-pietra, è sulla verità che viene ispirata da Dio, che Gesù costruisce la sua chiesa. Il pronunciamento di Pietro è la verità, ferma e dura come la roccia. Il termine kepa inoltre significa e implica anche l’idea di protezione, rifugio, supporto. Il salmista dice: Dio è la mia roccia, un porto, rifugio, protezione. Gesù ha chiesto quindi a Pietro non solo di essere una roccia ma anche un supporto-rifugio.
    Gesù sottolinea che la chiesa è sua, non è di Pietro, non è di Roma, né del Vaticano, né di alcuno degli uomini santi o peccatori di questa terra; la chiesa è di Gesù, è sua proprietà. E non si tratta solo di un atto di proprietà ma di una rivelazione di provenienza. Simone, la roccia di fondamento, è al tempo stesso costituito anche come forza, rifugio per i suoi amici soprattutto dopo la crocifissione e risurrezione di Gesù. Pietro deve essere un aiuto solerte per rinforzare i fratelli nella loro fede e aiutarli a costruire comunità innamorate, generate dalla condivisione, liberate da ogni forma di ambizione, potere, prestigio umano e sete di preda e conquista, piene di uomini e donne felici, comunità gioiose nel Signore Gesù. Questa è la chiesa che le potenze del Maligno non potranno mai, mai conquistare, perché una chiesa che non ha depredato e conquistato non dovrà mai e poi mai temere di essere a sua volta depredata e conquistata.



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    Giovedì 30 Giugno 2011
    13a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Gènesi 22,1-19; Salmo 114,1-6.8-9; Vangelo di Matteo 9,1-8

    Antifona e Salmo 114,1-6.8-9
    Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.


    1 Amo il Signore, perché ascolta
    il grido della mia preghiera.
    2 Verso di me ha teso l’orecchio
    nel giorno in cui lo invocavo.

    3 Mi stringevano funi di morte,
    ero preso nei lacci degli inferi,
    ero preso da tristezza e angoscia.
    4 Allora ho invocato il nome del Signore:
    «Ti prego, liberami, Signore».

    5 Pietoso e giusto è il Signore,
    il nostro Dio è misericordioso.
    6 Il Signore protegge i piccoli:
    ero misero ed egli mi ha salvato.

    8 Sì, hai liberato la mia vita dalla morte,
    i miei occhi dalle lacrime,
    i miei piedi dalla caduta.
    9 Io camminerò alla presenza del Signore
    nella terra dei viventi.


    Vangelo di Matteo 9,1-8

    In quel tempo, 1 salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. 2 Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati».
    3 Allora alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». 4 Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? 5 Che cosa infatti è più facile: dire “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? 6 Ma, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati - disse allora al paralitico -, prendi il tuo letto e va’ a casa tua». 7 Ed egli si alzò e andò a casa sua. 8 Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.



    Che fatica

    Letteralmente il versetto 8 dice: Avendo visto allora le folle, temettero e glorificarono Dio, l’avente dato un potere tale agli uomini. Le folle sono stupite e meravigliate, tuttavia non riconoscono Gesù come Dio ma come un uomo a cui Dio ha dato poteri soprannaturali.
    In questa affermazione evangelica è racchiusa la più grande fatica mentale e spirituale dell’uomo e, al tempo stesso, la più facile delle tentazioni e il più grande inganno di tutta la storia umana. Inevitabile, impossibile non riconoscere a Gesù, alle sue parole, ai suoi miracoli provenienza soprannaturale e straordinaria, una potenza e un fascino inauditi e inediti. Perfino i suoi più acerrimi nemici e giurati oppositori più e più volte manifestano evidente stupore e meraviglia, sorpresa e perfino un mal celato senso di nostalgia e ammirazione nei suoi confronti. Ma la fatica mentale e spirituale è di accettare che Gesù è quello che è, fa quello che fa, dice quello che dice perché è Dio, Figlio di Dio e non solo perché è un uomo rivestito della forza e della potenza divina.
    È proprio questa fatica che fa scaturire sulle labbra degli accademici di allora la bestemmia suprema: affermare che è Gesù stesso che bestemmia nell’istante in cui rivela che lui è Dio. È proprio questa fatica che produce ancora errori e incomprensioni, interpretazioni scivolose anche nella traduzione del testo evangelico. Ne è un esempio il versetto 6. Questo versetto che, iniziando con la preposizione greca ìna – generalmente tradotta con “affinché, perché” – seguita da un congiuntivo, resta irrimediabilmente sospeso. Il testo greco prevede letteralmente un versetto inconcluso o, meglio, che inizia con un “affinché” e non ha una preposizione principale a cui riferirsi; suona infatti così: Affinché dunque sappiate che [in greco: ìna dè èidete hòti] il Figlio dell’Uomo ha potere sulla terra di rimettere i peccati. Dice allora al paralitico […].
    I traduttori hanno cercato, come meglio hanno potuto, di rimediare al versetto greco non concluso in modo da portare una certa continuità con il versetto successivo; la CEI, per esempio, scrive: Ma, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati - disse allora al paralitico -, prendi il tuo letto e va’ a casa tua. Ma non si tratta di una traduzione corretta e nemmeno letterale, è piuttosto un aggiustamento che prevede tra l’altro il cambiamento di un verbo dal presente al passato (dice allora al paralitico diventa: disse allora al paralitico). Inoltre, i traduttori inseriscono un “ma” non presente nel testo greco: “Ma perché sappiate che […]”, in modo che la frase possa reggersi.
    Il greco del Nuovo Testamento, denominato anche greco ellenistico o koiné, usava ìna unito al congiuntivo non come preposizione subordinata, ma indipendente, con il senso di preghiera, meglio ancora di desiderio o di decisione, significato questo già presente nel greco antico e documentato dai vocabolari, ma decisamente entrato nell’uso comune solo dal primo secolo a.C. La traduzione corretta del versetto 6 introdotto dalla preposizione ìna – letteralmente “ecco” – diventa quindi: Ecco, sappiate che il figlio dell’uomo ha autorità di perdonare i peccati sulla terra. Frase indipendente e di senso compiuto. Essa testimonia come Gesù non si presenti al mondo come profeta che annuncia il perdono di Dio, ma come il Figlio di Dio e, come Dio, ha l’autorità e il potere di perdonare i peccati e il peccato del mondo. I dottori della legge, i teologi, i dirigenti del popolo negano a Gesù questo potere, gli negano l’autorità e la verità di essere Dio, e Gesù risponde guarendo il paralitico.
    Ma non sono solo i teologi di allora a fare fatica; questa fatica mentale e teologica di riconoscerlo e accettarlo come Dio è la fatica di molti cuori e di molte menti che lo incontreranno lungo la storia. È la fatica di chi ha il cuore in sfida e in rivolta, anche se inconsapevole, con Dio stesso. Come si può non riconoscere il Figlio, quando si ama, si conosce, si adora intimamente il Padre? Solo se i processi della mente si sono indirizzati a pensare male di Dio Padre, a dubitare del suo amore e della sua amorosa presenza, si fa fatica, molta fatica a riconoscere e ad accettare Gesù come Figlio del Padre e non come uomo dai doni soprannaturali. I sacerdoti del tempio, i teologi e i dottori della legge, i depositari della Parola di Dio, senza accorgersi, si erano così allontanati da Dio Padre, si erano così posizionati nella sfida e nella rivolta con il volto del Padre, da costruirsi un altro dio, a loro immagine e somiglianza: per questo non potevano che fare fatica, una enorme, insormontabile fatica a riconoscere in Gesù il volto del Figlio di Dio.
    Ecco cosa vede Gesù nella mente di ciascuno degli uomini – il testo letteralmente dice proprio avendo visto i loro pensieri e non conoscendo i loro pensieri –, Gesù vede all’istante la fatica, la fatica di riconoscerlo vero Dio e vero uomo, fatica che, al di là del tipo di confessione e appartenenza religiosa, di ritualità, di ceto sociale, di preparazione teologica, non deriva dalla mancanza di fede, e non è solo frutto del pregiudizio, ma è generata dalla rivolta e dalla sfida mentale maturata per qualsiasi motivo contro Dio stesso.



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    Venerdì 1 Luglio 2011
    Sacratissimo Cuore di Gesù – Anno A

    Parola del giorno

    Deuteronòmio 7,6-11; Salmo 102,1-4.6-8.10; Prima lettera di Giovanni 4,7-16; Vangelo di Matteo 11,25-30

    Antifona e Salmo 102,1-4.6-8.10
    L’amore del Signore è per sempre.


    1 Benedici il Signore, anima mia,
    quanto è in me benedica il suo santo nome.
    2 Benedici il Signore, anima mia,
    non dimenticare tutti i suoi benefici.

    3 Egli perdona tutte le tue colpe,
    guarisce tutte le tue infermità,
    4 salva dalla fossa la tua vita,
    ti circonda di bontà e misericordia.

    6 Il Signore compie cose giuste,
    difende i diritti di tutti gli oppressi.
    7 Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
    le sue opere ai figli d’Israele.

    8 Misericordioso e pietoso è il Signore,
    lento all’ira e grande nell’amore.
    10 Non ci tratta secondo i nostri peccati
    e non ci ripaga secondo le nostre colpe.


    Vangelo di Matteo 11,25-30

    25 In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
    28 Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».



    Cuore di Gesù

    Com’è Gesù? Come persona, come caratteristiche personali? Cosa scorre nel suo spirito e nella sua mente? Com’è il cuore di Gesù? Come palpita, di cosa è piena la sua pienezza? Impossibile saperlo se lui stesso non lo rivelasse.
    È il cuore di colui che può dire serenamente e nella totale verità: Tutto è stato dato a me dal Padre mio. È il cuore di colui che può dire serenamente e nella totale verità di avere tutto ciò che esiste nelle sue mani, di colui che può dire: nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. È il cuore di un Re, del Re, del Signore di tutte le cose. Cuore di Re, da cui scaturisce ogni bellezza, grazia, nobiltà, onore, maestà, magnificenza, fascino e splendore di tutto ciò che vive nei mondi visibili e invisibili.
    Cuore di Re, mite e umile, è Gesù. Regalità, mitezza e umiltà, le energie divine che abitano il cuore del Figlio di Dio. Regalità, mitezza e umiltà palpitano nelle sue divine vene. Regalità, mitezza e umiltà, all’origine di ogni suo battito. Regalità, mitezza e umiltà, con tutti, sempre. Regalità, mitezza e umiltà di Gesù nella culla a Betlemme, sfolgorante nel durante la trasfigurazione, in dialogo con i suoi nemici giurati nelle piazze polverose di Galilea e Giudea, quando piange per la morte dei suoi amici, quando si commuove per l’umanità affaticata e disorientata, nel momento del tradimento di Giuda e di Pietro, tra le urla degli accusatori al processo, davanti a Pilato governatore, di fronte alla folla inferocita, legato alle catene per la flagellazione. Regalità, mitezza e umiltà con gli sputi in faccia, la croce in spalla, i chiodi nei piedi, nella solitudine della morte. Regalità, mitezza e umiltà nel suo ultimo grido di vita sotto la pioggia, e nella dolce alba della risurrezione. Il suo cuore è regalità, mitezza e umiltà sempre e ogni volta che ci incontra felici e appassionati, infangati e soli, pentiti e pronti a ricominciare, ingrati, peccatori, delusi e tristi. Regalità, mitezza e umiltà in quell’Eucaristia sempre presente nel silenzio delle nostre chiese, sempre presente all’epiclesi nei nostri altari, al di là della fede e dell’amore delle nostre comunità. Regalità, mitezza e umiltà sempre e comunque per tutti: Gesù ci invita a imparare da lui a vivere così. Regalità, mitezza e umiltà sempre e comunque, per vivere una vita più leggera e dolce. Questo è il suo giogo, la sua procedura. Non è una legge. È la carne del suo cuore, il cuore del suo Spirito, l’essenza del suo essere Dio e uomo. Regalità, mitezza e umiltà. Impossibile, impossibile non amarlo.



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    Sabato 2 Luglio 2011
    Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria

    Parola del giorno

    Isaìa 61,9-11; Salmo: Primo libro di Samuele 2,1.4-8d; Vangelo di Luca 2,41-51


    Antifona e Salmo Primo libro di Samuele 2,1.4-8d
    Il mio cuore esulta nel Signore, mio salvatore.


    1 Il mio cuore esulta nel Signore,
    la mia forza s’innalza grazie al mio Dio.
    Si apre la mia bocca contro i miei nemici,
    perché io gioisco per la tua salvezza.

    4 L’arco dei forti s’è spezzato,
    ma i deboli si sono rivestiti di vigore.
    5 I sazi si sono venduti per un pane,
    hanno smesso di farlo gli affamati.
    La sterile ha partorito sette volte
    e la ricca di figli è sfiorita.

    6 Il Signore fa morire e fa vivere,
    scendere agli inferi e risalire.
    7Il Signore rende povero e arricchisce,
    abbassa ed esalta.

    8 Solleva dalla polvere il debole,
    dall’immondizia rialza il povero,
    per farli sedere con i nobili
    e assegnare loro un trono di gloria.


    Vangelo di Luca 2,41-51

    41 I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42 Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43 Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44 Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45 non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
    46 Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47 E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48 Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49 Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» 50 Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
    51 Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.


    Stupefatti


    Versetto 47, letteralmente: Erano stupefatti – verbo greco exìstemi, “esco, vado via; degenero; mi allontano davanti a una realtà che non accetto; sono confuso davanti a un prodigio; divento pazzo” – ora tutti gli ascoltanti lui per l’intelligenza e le risposte di lui. Il verbo exìstemi descrive perfettamente la disperazione della mente associativa, sicura di aver raggiunto una sicurezza intellettuale, una struttura speculativa vincente e inattaccabile e all’’improvviso si trova infantile, banale, fragile di fronte a una sapienza superiore, e non trova più vie di fuga per garantirsi la vittoria con i suoi processi limitati e prevedibili. È il verbo che la mente umana coniuga immediatamente ogni qualvolta si trova davanti a qualcosa di inedito, di profetico, di nuovo, di innovativo, di sapiente ma che, allo stesso tempo, non si può né vendere né comprare né controllare né pilotare. È il verbo che la mente dei potenti, degli accademici, dei luminari usa a turno per accusare di pazzia la visione mentale dei dissidenti, dei non allineati, archiviando come un pericolo pubblico, con il quale è impraticabile ogni forma di dialogo, chi non è inquadrato, osservante, massificato, ossequente.
    Gesù a dodici anni si presenta alla “crema” dei dotti e dei sapienti del suo tempio, rappresentanti e depositari della verità biblica. Costoro, invece di abbracciare questo divino bambino, per condividere con lui le sapienze divine e i segreti dei segreti, lodando Dio per tanta grazia e meravigliosa bellezza, lo prendono per pazzo e ritengono impossibile dialogare e condividere con lui.
    Anche Maria, dal canto suo, non comprende Gesù in quei giorni del tempio, tuttavia conserva nel proprio cuore queste cose, medita, medita e lascia scendere dentro, senza giudicare e accusare, senza interferire, senza dubitare né pensare male di Dio e della vita. Maria è la maestra suprema della meditazione, per questo è sempre aperta e disponibile alle novità di Dio, intelligentemente pronta a servire il Signore anche nelle sue proposte più sorprendenti e inattese. Chi non medita non può essere aperto alla novità di Dio e penserà sempre male di qualcosa e di qualcuno.




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    Domenica 3 Luglio 2011
    14a del Tempo Ordinario – Anno A

    Parola del giorno

    Zaccarìa 9,9-10; Salmo 144,1-2.8-11.13c-14; Lettera ai Romani 8,9.11-13; Vangelo di Matteo 11,25-30

    Antifona e Salmo 144,1-2.8-11.13c-14
    Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.


    1 O Dio, mio re, voglio esaltarti
    e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
    2 Ti voglio benedire ogni giorno,
    lodare il tuo nome in eterno e per sempre.

    8 Misericordioso e pietoso è il Signore,
    lento all’ira e grande nell’amore.
    9 Buono è il Signore verso tutti,
    la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

    10 Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
    e ti benedicano i tuoi fedeli.
    11 Dicano la gloria del tuo regno
    e parlino della tua potenza.

    13 Fedele è il Signore in tutte le sue parole
    e buono in tutte le sue opere.
    14 Il Signore sostiene quelli che vacillano
    e rialza chiunque è caduto.


    Vangelo di Matteo 11,25-30

    25 In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
    28 Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».



    Giogo

    Non c’è giorno della sua vita che l’uomo non cerchi, in modo personale e collettivo, il benessere, la felicità, il ristoro dalle fatiche, la sicurezza nel pericolo. Questa è la più gigantesca ricerca dell’uomo, quella che più lo occupa e lo consuma. Ma la mente dell’uomo, soprattutto quella dei dotti e dei sapienti – lo dice Gesù – non sa o non vuole ricordare che tutto nell’universo funziona attraverso la legge dominante dell’azione-reazione: ogni energia sviluppata dal nostro cuore, dalla nostra mente e dalle nostre azioni produce una conseguenza, un ritorno, un obbligo, un legame con quell’energia, un giogo. L’energia delle scelte e delle azioni tornerà a noi con tutta la sua grazia e bellezza, se era energia di amore, con tutta la sua forza distruttiva, se era energia di rabbia, vendetta, sopruso, morte. In pratica Gesù ci rivela – ed è proprio lui a dirlo, che più di ogni altro sa come funzionano le leggi universali, lui che può dire di se stesso: tutto è stato dato a me dal Padre mio – che, per ogni pensiero e azione, l’uomo entra in un giogo, giogo di grazia e amore, per l’energia di grazia e amore sviluppata, giogo di morte e distruzione, per l’energia di morte e distruzione sviluppata. La legge dominante universale dell’azione-reazione prevede che l’energia che noi sviluppiamo in un’azione crei un legame con quell’energia: è come la firma in un contratto, è siglare un patto certo e inviolabile con le forze che abbiamo sviluppato, nel bene e nel male.
    Ora, si sa, in nome di questa ricerca del benessere, della felicità, della sicurezza l’uomo si è organizzato nei secoli e millenni, e si organizza tutt’ora, in pensieri e scelte che muovono energie, producono strutture politiche, imperi, nazioni, ingaggia guerre, invade nazioni, colonizza e sottomette popoli, impone leggi e domini, umiliazioni inaudite, solo con un unico denominatore comune: l’ambizione, la competizione, il conflitto, la violenza. Al tempo stesso, però, non è chiaro all’uomo che, attraverso queste procedure violente, nessuno, assolutamente nessuno mai raggiungerà il benessere vero, la felicità, la sicurezza e, in più, che in questo modo i popoli entrano nel giogo e nel cerchio dell’energia mortale e distruttiva.
    Ogni popolo e nazione, impero e regno che, per qualche secolo o manciata di decenni, ha raggiunto il simulacro del proprio benessere, sicurezza e potere, determinando la miseria dei molti per le smodate ricchezze dei pochi, depredando ingiustamente le risorse di altri con la violenza della guerra, dell’oppressione e con l’umiliazione della schiavitù, ha solo firmato e controfirmato con il sangue di legare il suo destino al giogo delle stesse schiavitù e umiliazioni inflitte. Non c’è costituzione scritta dai padri fondatori delle nostre democrazie, non c’è parlamento illuminato, non ci sono principi morali, non ci sono celebrazioni e anniversari, che possano salvare e sciogliere dal giogo creato da queste azioni compiute e dall’energia da esse sviluppata. Alla luce di questa verità è perfino stupefacente notare di quanta primitiva ignoranza e colossale stupidità possa essere frutto l’affermazione: il fine giustifica i mezzi. Per quanto un obiettivo sia di grande valore e di fondamentale importanza, per quanto sia il più giusto e perfino il più santo, il nostro destino sarà legato al giogo dell’energia, alla luce o alle tenebre dei mezzi che avremo usato per raggiungerlo, e non al suo obiettivo.
    Ora, le parole di Gesù suonano in modo molto illuminante, preciso e potente. Sono parole che ispirano alla vera sapienza, alla conoscenza del giogo azione-reazione universale, che i dotti e i sapienti non conoscono, ma che Dio rivela ai piccoli. Sono parole che ispirano quali energie devono far sempre parte del bagaglio, dei mezzi per raggiungere ogni obiettivo: mitezza e umiltà. Gesù identifica tali energie come le caratteristiche stesse del suo cuore, della sua mente, e della sua persona. Queste sono anche le energie scelte e sviluppate da tutti coloro che ricercano benessere, felicità, sicurezza e ogni altro bene nel suo Nome. Sono parole che ispirano ad abbracciare le energie che determinano il giogo dell’amore, che lui traduce, nella pratica, come energie della mitezza e dell’umiltà. Sono parole che ispirano ad abbandonarci a queste due energie divine e universali, per avere la certezza di legare il nostro destino e la nostra storia umana a un giogo celeste e splendidamente vitale, capace di ristorare la stanchezza del nostro cuore e l’oppressione della nostra mente.
    Gesù sa che scegliere umiltà e mitezza e far partire dal cuore l’energia dell’amore, per raggiungere i propri obiettivi in questo mondo, è difficile, è strano, può sembrare ridicolo e inefficace, ma sa anche che, quando l’energia dell’amore ritorna a noi e lega il nostro destino al giogo della felicità, è proprio una meraviglia.




    - People in Praise - padre Paolo Spoladore


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    00 04/07/2011 08:51

    Lunedì 4 Luglio 2011
    14a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno

    Gènesi 28,10-22a; Salmo 90,1-4.14-15ab; Vangelo di Matteo 9,18-26

    Antifona e Salmo 90,1-4.14-15ab
    Mio Dio, in te confido.


    1 Chi abita al riparo dell’Altissimo
    passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente.
    2 Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
    mio Dio in cui confido».

    3 Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,
    dalla peste che distrugge.
    4 Ti coprirà con le sue penne,
    sotto le sue ali troverai rifugio;
    la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza.

    14 «Lo libererò, perché a me si è legato,
    lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome.
    15 Mi invocherà e io gli darò risposta;
    nell’angoscia io sarò con lui».


    Vangelo di Matteo 9,18-26


    In quel tempo, mentre Gesù parlava,18 giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». 19Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli.
    20 Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. 21 Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». 22 Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell’istante la donna fu salvata.
23 Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù 24 disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. 25 Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. 26 E questa notizia si diffuse in tutta quella regione.



    Mente e cellule

    La mente-spirito di uno dei capi del popolo riconosce in Gesù la signoria di Dio, si china e si prostra davanti a Gesù. Non è un atto di sottomissione, tanto meno di rassegnazione; è un atto di profonda fede amante, un atto di nuova, totale obbedienza alla sua maestà, alla sua regalità salvifica. Il dialogo interiore di fede totale e amante obbedienza del padre permette ai miliardi di cellule del corpo della figlia, al solo contatto con la mano di Gesù, di obbedire alla Vita per riprendere vita.
    La mente-spirito della donna ammalata riconosce in Gesù la signoria di Dio, gli si avvicina e, sfiorandogli il mantello con amore, si mette in unione e contatto con la sua maestà. Non è un atto di magia, tanto meno di superstizione; è un atto di profonda fede amante, un atto di totale unione e obbedienza alla regalità salvifica di Gesù. Il dialogo interiore di fede totale e amante obbedienza della donna permette ai miliardi di cellule del suo corpo, al solo contatto con il lembo del mantello di Gesù, di obbedire alla Vita per riprendere salute, armonia e vita.
    La mente-spirito di coloro che Gesù incontra nella casa della fanciulla non riconosce in Gesù nient’altro che qualcuno da deridere, da ridicolizzare. È un atto di totale obbedienza alla propria ignoranza, arroganza, presunzione. È un atto di prostrazione alla propria inconcludente stupidità, prodotto da un dialogo interiore di sottomissione piena ai propri pregiudizi e alle proprie convinzioni. Miliardi di cellule obbediranno in un modo o nell’altro all’energia sviluppata dalla miseria e dalla presunzione di questo dialogo interiore.
    Miliardi e miliardi di cellule del nostro corpo, in ogni istante, sono perfettamente attente e concentrate sulla nobiltà o sulla miseria del nostro dialogo interiore per obbedirvi prontamente.




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