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La Parola commentata della S. Messa del giorno - 2

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    00 04/10/2011 05:10

    Martedì 4 ottobre 2011
    San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia

    Parola del giorno
    Lettera ai Gàlati 6,14-18; Salmo 15,1-2b.5.7-8.11; Vangelo di Matteo 11,25-30

    Antifona e Salmo 15,1-2b.5.7-8.11
    Tu sei, Signore, mia parte di eredità.

    1 Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
    2 Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
    5 Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
    nelle tue mani è la mia vita.

    7 Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
    anche di notte il mio animo mi istruisce.
    8 Io pongo sempre davanti a me il Signore,
    sta alla mia destra, non potrò vacillare.

    11 Mi indicherai il sentiero della vita,
    gioia piena alla tua presenza,
    dolcezza senza fine alla tua destra.


    Vangelo di Matteo 11,25-30

    25 In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
    28 Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».


    Fortissimamente debole


    Lui nasce bambino e non condottiero di armate. Già da appena nato, per difendersi dalla violenza, è costretto a scappare, e lui non ha mai costretto nessuno a scappare. Tutto il suo insegnamento è su coordinate legate al perdono come scelta definitiva, all’amore per Dio e per i fratelli come principio primo, al valore imprescindibile della vita e della persona umana, indipendentemente dai beni terreni e dai possessi, dal potere e dalla gloria. Lui si autodefinisce Agnello di Dio, non tigre, il Bel Pastore, non il terrore devastatore dei popoli. Indica al mondo, come via per la liberazione e per la più grande rivoluzione verso l’evoluzione e la felicità, non le armate, il potere, la forza, le organizzazioni governative, gli imperi, ma la metànoia, il silenzioso e intimo mutamento del dialogo interiore, dell’orientamento della psyché, del modo di pensare.
    Il fiore di pesco si forma in modo straordinariamente perfetto e meraviglioso attraverso processi elettrochimici complicatissimi che utilizzano però l’interazione di forze elettrodeboli. Il tronco resistentissimo di una quercia di quattrocento anni si è formato un po’ alla volta attraverso processi elettrochimici che sfruttano energia elettrodebole.
    Le straordinarie e ancora sconosciute capacità del cervello e del sistema nervoso umano sono rese possibili da processi elettrochimici che generano una corrente elettrica debolissima, circa un decimo di volt. Insomma tutto funziona stupendamente attraverso energie elettrodeboli, non energie elettroforti. Tutta la vita umana, animale e vegetale è creata e si sostiene attraverso l’utilizzo di energie elettrodeboli, eppure si manifesta ogni istante in realtà incalcolabili e meravigliose.
    Gesù stesso sintetizza questa verità cosmica e spirituale ispirandoci ad abbandonarci in lui e a seguire lui per raggiungere in lui il tutto e ogni cosa, ai più alti e inconcepibili livelli di benessere e felicità, salute e pace. Gesù ci ispira a imparare da lui, che è mite e umile di cuore. Lui che è Dio, l’Onnipotenza, l’Onniforza che tutto può, che tutto vede e conosce, Creatore e Principio di ogni cosa, ci ispira a usare le forze elettrodeboli e invincibili della compassione, del perdono, della gratitudine, della gratuità e del distacco dagli attaccamenti, e ci assicura che così, e solo così, usando le forze elettrodeboli dell’amore, troveremo il vero ristoro e il vero benessere per la nostra vita.


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    00 04/10/2011 05:11

    Martedì 4 ottobre ’11 – Mt 11,25-30

    Nel vangelo secondo Matteo questo è fra i testi più alti e, al tempo stesso, più intimi perché ci traduce alla lettera la preghiera di Gesù. La sua «benedizione» del Padre, è la sua esclamazione di gioia nell’incontrarLo. È l’inizio di un colloquio a tu per tu; è l’apertura verso di noi del reciproco Amore; è l’invito a entrarvi per trovare il «ristoro» della vita. Non è un momento di relax, che Gesù promette, ma la pace nella quale entra il cuore di chi si fa suo discepolo del Signore e prende su di sé il suo «giogo». Con questa espressione nel linguaggio rabbinico s’intendeva l’osservanza della Legge. Anche Gesù la chiede ai discepoli né, su questo, fa sconto alcuno. Ne alleggerisce, però, il peso, riconducendo la Legge al suo nucleo essenziale. Per Francesco d’Assisi esso è la Croce. Ciò che è incomprensibile ai sapienti di questo mondo, scrive San Bonaventura, «fu svelato a questo piccolo di Cristo in tutta la sua pienezza, tanto che in tutta la sua vita egli ha seguito sempre e solo le vestigia della croce, ha conosciuto sempre e solo la dolcezza della croce, ha predicato sempre e solo la gloria della croce» (FF 1328).


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    00 05/10/2011 06:45

    Mercoledì 5 ottobre 2011
    27a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Giona 4,1-11; Salmo 85,3-6.9-10; Vangelo di Luca 11,1-4

    Antifona e Salmo 85,3-6.9-10
    Signore, tu sei misericordioso e pietoso.

    3 Pietà di me, Signore,
    a te grido tutto il giorno.
    4 Rallegra la vita del tuo servo,
    perché a te, Signore, rivolgo l’anima mia.

    5 Tu sei buono, Signore, e perdoni,
    sei pieno di misericordia con chi t’invoca.
    6 Porgi l’orecchio, Signore, alla mia preghiera
    e sii attento alla voce delle mie suppliche.

    9 Tutte le genti che hai creato verranno
    e si prostreranno davanti a te, Signore,
    per dare gloria al tuo nome.
    10 Grande tu sei e compi meraviglie:
    tu solo sei Dio.


    Vangelo di Luca 11,1-4

    1 Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».
    2 Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
    Padre,
    sia santificato il tuo nome,
    venga il tuo regno;
    3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
    4 e perdona a noi i nostri peccati,
    anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
    e non abbandonarci alla tentazione».


    Quattro pilastri dell’universo

    Primo pilastro. Sempre, ovunque, incessantemente, anticipatamente, incondizionatamente manifestare, cantare, onorare, esaltare, benedire la gloria e il nome di Dio che abita i cieli, esattamente come tutto il creato manifesta, canta, onora, esalta e benedice la gloria e il nome di Dio che abita i cieli. È il pilastro della gratitudine, del ringraziamento incessante, fedele, incondizionato, come orientamento spirituale decisivo dell’uomo.
    Secondo pilastro. Tutte le creature, pur nella loro magnificenza, non sono autosufficienti, devono alimentarsi, tutte devono ricevere dalla vita energie a loro dedicate secondo il loro metabolismo. Anche l’uomo, gloria del Dio vivente, non deve mai dimenticare che è creatura, che non è autosufficiente e che deve necessariamente alimentarsi nel corpo, nella psiche e nello spirito. Pregare per il pane del corpo, della psiche e dello spirito è segno di profonda e umile consapevolezza della propria realtà creaturale, di profonda totale fiducia e amorevole abbandono nelle mani di Dio.
    Terzo pilastro. Conoscere, praticare, sviluppare, moltiplicare la fonte elettrodebole più potente di tutto ciò che è stato creato: il perdono. Il perdono da chiedere a Dio e da offrire ai fratelli non è una prospettiva, non è una possibilità, ma una scelta definitiva del cuore e dell’anima. Se il perdono è occasionale, non è perdono, è giustificazione. Il perdono o è sempre o non lo è mai. Come la mano è formata dal palmo e dal dorso, così il perdono è formato dal perdono che si chiede a Dio e ai fratelli e dal perdono che si offre ai fratelli. Non esiste altro tipo di perdono. Come non è possibile che un uomo si tragga fuori dalle sabbie mobili tirandosi su per i capelli, così è impossibile perdonarsi. Il perdono si chiede e si offre. Come il respiro polmonare che ci tiene in vita è composto da due movimenti, inspirazione, per raccogliere aria, ed espirazione, per farla uscire, così è il respiro dello spirito. Esso è composto dal movimento dell’inspirazione del perdono, l’umile e accalorata richiesta di perdono, e dal movimento dell’espirazione, la liberante e compassionevole offerta di perdono. Così come è mortale togliere al respiro fisico una delle due azioni, perché chi non inspira non espira e chi non espira non inspira, allo stesso modo avviene per il respiro spirituale del perdono.
    Chi non sa e non osa chiedere compassione a Dio, non sa e non riesce a offrirla nemmeno ai fratelli. Chi non vuole offrire compassione ai fratelli, non può osare di ricevere compassione da Dio. Si può forse versare acqua per riempire un vaso già pieno? Se il vaso del nostro cuore non si svuota continuamente e incessantemente, riversando perdono e compassione verso i fratelli che hanno contratto dei debiti con noi, Dio non potrà continuamente e incessantemente riempirlo della sua compassione e del suo perdono.
    Quarto pilastro. Satana esiste ed è nemico di Dio e nostro. Il male non è un’entità astratta ma un essere intelligente che combatte contro la bellezza e l’armonia di Dio e delle sue creature. Essere serenamente consapevoli di questa realtà è imparare a chiedere a Dio umilmente e con fiducia di essere dal male protetti. Essere consapevoli di questa realtà permette di uscire dall’illusione e dall’inganno e di predisporsi con forza a chiedere al Signore della vita di essere costantemente strappati dal Maligno e salvati da ogni disarmonia. Chiedere al Padre di essere liberati dal Maligno è l’azione di uno spirito intelligente e saggio.
    Questi i quattro pilastri presenti nella preghiera del Padre Nostro.


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    00 05/10/2011 06:46
    Mercoledì 5 ottobre ’11 – Lc 11, 1-4

    Significativo è il contesto nel quale l’evangelista colloca l’insegnamento del Pater: la preghiera di Gesù. Egli, infatti, è, per Luca, anzitutto uomo di preghiera. Per la settima volta, infatti, lo presenta in tale atteggiamento. Ora, però, aggiunge che Gesù è anche maestro di preghiera e che prima di esserlo con la parola lo è con il suo esempio. «Quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse. “Signore, insegnaci a pregare…”». Il desiderio di apprendere la sua preghiera nasce dall’averLo visto pregare. Che Gesù corrisponda a quella domanda, vuol dire che Egli vuole associarci al suo intimo dialogo col Padre. «Egli ci rende così partecipi del suo pregare, ci introduce nel dialogo interiore dell’Amore trinitario, solleva per così dire le nostre umane necessità fino al cuore di Dio. Questo però significa anche che le parole del Padre nostro indicano la via verso la preghiera interiore, rappresentano orientamenti fondamentali per la nostra esistenza, vogliono conformarci a immagine del Figlio. Il significato del Padre nostro va oltre la comunicazione di parole di preghiera. Vuole formare il nostro essere, vuole esercitarci nei sentimenti di Gesù (cfr Fil 2,5)» (J. RATZINGER-BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. I, p. 162).


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    00 06/10/2011 05:01

    Giovedì 6 ottobre 2011
    27a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Malachìa 3,13-20a; Salmo 1,1-4.6; Vangelo di Luca 11,5-13

    Antifona e Salmo 1,1-4.6
    Beato l’uomo che confida nel Signore.

    1 Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
    non resta nella via dei peccatori
    e non siede in compagnia degli arroganti,
    2 ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
    la sua legge medita giorno e notte.

    3 È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
    che dà frutto a suo tempo:
    le sue foglie non appassiscono
    e tutto quello che fa, riesce bene.

    4 Non così, non così i malvagi,
    ma come pula che il vento disperde;
    6 poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
    mentre la via dei malvagi va in rovina.


    Vangelo di Luca 11,5-13

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 5 «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, 6 perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, 7 e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, 8 vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. 9 Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10 Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 11 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12 O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13 Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!»


    Ispirare principi


    Sa ispirare come nessun altro e non smette di farlo un solo istante, in tutti e in ciascuno dei cuori dell’umanità. Lui, il Maestro Gesù, è l’unico Maestro che sa ispirare da dentro con la potenza e la dolcezza del Paraclito. Niente e nessuno sulla terra sa ispirare così. Da questo deriva la potenza straordinaria e assolutamente unica del vangelo. Niente di ciò che è scritto e proposto sulla terra suona alle orecchie e al cuore dell’uomo in modo così semplice, perfetto, completo nel saper ispirare alla metànoia come il vangelo.
    Ma cosa significa saper ispirare? Ispirare è prima di ogni cosa mostrare, indicare, proporre alla mente e al cuore, senza provocare giudizi, pressioni o divisioni, che i principi fondanti per essere felici potrebbero essere altri, per arrivare poi a far sperimentare e a comprendere che i principi fondanti per essere felici sono realmente altri. Quando lo spirito accetta di farsi ispirare su nuovi principi, allora è pronto per modificare i presupposti delle scelte e delle azioni: la modificazione dei presupposti rende possibile all’orientamento mentale di cambiare le regole, e questo permette all’uomo di aprire nuove prospettive e scelte per il proprio benessere e felicità.
    L’indicazione umana “il tempo è denaro” si fonda su dei principi di un certo tipo, che determinano presupposti, regole, prospettive, scelte e azioni, abitudini alimentari, stili di vita, disarmonie e malattie di un certo tipo. L’indicazione divina “shabbat-riposati con regolarità e celebra la vita con gratitudine” si fonda su dei principi di un altro tipo, che determinano presupposti, regole, prospettive, scelte e azioni, abitudini alimentari, stili di vita, armonie e salute di un altro tipo. Lottare per la carriera, l’ambizione, il successo è il comportamento di colui che si è così rassegnato alla propria miseria spirituale e alla sfiducia psichica in se stesso, da essersi aggrappato al principio primo di compiacere se stesso e gli altri a tutti i costi, per tutta la vita. Appassionarsi al bene comune, alla condivisione, al benessere per tutti, è il comportamento di colui che crede in se stesso come figlio di Dio, crede ai doni ricevuti da Dio e, con umiltà spirituale e produttività psichica, si è legato al principio primo di essere felice e di far felici gli altri, senza pressioni, violenza, separazioni, per tutta la vita, anche in tempo di persecuzione. Famiglie divise e in lotta per l’eredità, coppie in separazione che si massacrano in tribunale per il denaro, la proprietà privata della terra, dell’acqua, dei beni di assoluta necessità offrono il segno chiaro non solo della durezza del cuore dell’uomo ma soprattutto dei principi che lo alimentano.
    Gesù è venuto sulla terra a ispirarci nuovi principi, nuovi presupposti, nuove procedure, prospettive, scelte e azioni. È venuto sulla terra e ci ha parlato e mostrato lui stesso che è possibile cambiare quello che ci sembra impossibile cambiare, che è possibile migliorare ciò che ci sembra impossibile migliorare. Ecco perché nella sua Parola insiste così tanto e così spesso nel non smettere di cercare, di bussare, di cercare ispirazione e nel lasciarsi ispirare: Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.


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    00 06/10/2011 05:01

    Giovedì 6 ottobre ’11- Lc 11,5-13

    L’insegnamento sulla preghiera prosegue. Ora, attraverso alcuni verbi, ci sono mostrate alcune sue caratteristiche proprie: chiedete… cercate… bussate! Il verbo chiedere, è ripetuto per ben cinque volte. La prima caratteristica della preghiera è, dunque, la perseveranza; l’altra è la fiducia. La ragione dell’insistenza e della perseveranza non è in Dio, ma piuttosto in noi. Dio è padre e conosce ciò di cui abbiamo bisogno. Egli vede nel nostro cuore. La preghiera perseverante ci aiuta a vedere meglio in noi stessi, a purificare e rendere verace la nostra domanda. Pregare non è come premere un pulsante per ottenere un prodotto, né la soluzione facile per i nostri problemi. Il «ritardo» di Dio ci ha aiuta a stare dinnanzi a Lui nella maniera più giusta. L’altra caratteristica della preghiera, invece, di essere, cioè, fiduciosa, è riposta nella paternità di Dio. «Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!». La risposta di Dio a una domanda retta e sincera và sempre al di là. Il dono che il Padre ci riserva è quello che c’è di più grande: lo Spirito Santo.


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    00 06/10/2011 12:53
    Giovedì 6 ottobre 2011

    XXVII Tempo Ordinario



    + VANGELO (Lc 11,5-13)

    Chiedete e vi sarà dato.



    + Dal Vangelo secondo Luca

    In quel tempo, Gesù disse ai discepoli: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!». Parola del Signore


    Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

    Da un lato Gesù ci chiede di insistere nella preghiera, dall’altro lato molti di noi hanno difficoltà a pregare. La preghiera migliore è quella fatta bene, ma c’è una difficoltà sostanziale nel pregare bene. Come si prega bene?

    L’ho scritto tantissime volte in passato, il cammino spirituale non si improvvisa, per raggiungere certi obiettivi importanti nella vita occorre sacrificarsi. Questo si fa per una specializzazione in qualcosa o per sapere utilizzare determinati mezzi. C’è un impegno giornaliero da osservare, questo è il punto centrale della questione.

    Per la vita spirituale è ancora più impegnativo, è un lavoro da svolgere all’interno della persona, non c’è qualcosa da gestire all’esterno con le mani o compiendo elaborazioni mentali. Ed è molto impegnativo controllare e fermare il naturale istinto verso qualcosa che non è lecito compiere o usare il linguaggio per offendere.

    Per compiere un buon cammino spirituale è indispensabile pregare bene, ogni giorno e con umiltà.

    È la preghiera a spingerci a recarci alla Confessione e alla Santa Messa, a darci la forza spirituale per controllare le inclinazioni sbagliate. La preghiera è la vita orientata volontariamente a Dio.

    Quando la preghiera è presente nella vita, si assumono comportamenti più spirituali, i pensieri diventano nel tempo sempre più puri e sinceri. E la risposta che viene data all’esterno è sempre carica di amore, perdono, verità, giustizia.

    Gesù dice che quando un amico chiede qualcosa, si riconosce la vera amicizia nel bisogno. Oggi la vera amicizia per molti aspetti è scomparsa, c’è più una complicità momentanea, poi quando svanisce quel divertimento o quell’intesa, si rompe anche quella che sembrava compagnia sincera. E molte persone sbagliano più per debolezza spirituale che per malizia. Poi, possono arrivare anche a comportamenti gravissimi.

    Gesù e la Madonna ci invitano a chiedere tutto quello che ci necessita per la vita spirituale e la vita quotidiana. A volte si chiedono cose sbagliate e non arrivano mai, perché Loro non concedono Grazie sbagliate. Però, noi abbiamo bisogno di molte Grazie spirituali, per il bene dell’anima e per diventare forti nel cammino spirituale.

    Nell’apparizione di Parigi, a Rue du Bac, nella rivelazione della Medaglia Miracolosa, dalle mani della Madonna uscivano raggi, Ella disse che erano Grazie che non si chiedevano e si perdevano.

    Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.



    Proposito

    Cercherò oggi di fare tutto il bene che posso, dando gratuitamente a chiunque abbia bisogno. Specialmente, mi sforzerò di essere fedele alla mia coscienza per non diventare un lupo che cerca i suoi propri interessi, dimentico del prossimo.



    Pensiero

    La grande gloria della Chiesa è di essere Santa con dei membri peccatori. (J. Maritain)



    Messaggio della Madonna a Medjugorje del 25 settembre 2011

    Cari figli, vi invito affinché questo tempo sia per tutti voi il tempo per testimoniare. Voi che vivete nell’amore di Dio e avete sperimentato i Suoi doni, testimoniateli con le vostre parole e con la vostra vita perchè siano gioia ed esortazione alla fede per gli altri. Io sono con voi e intercedo incessantemente presso Dio per tutti voi perché la vostra fede sia sempre viva, gioiosa e nell’amore di Dio. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.


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    Venerdì 7 ottobre 2011
    27a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Gioèle 1,13-15; 2,1-2; Salmo 9,2-3.6.16.8-9; Vangelo di Luca 11,15-26

    Antifona e Salmo 9,2-3.6.16.8-9
    Il Signore governerà il mondo con giustizia.

    2 Renderò grazie al Signore con tutto il cuore,
    annuncerò tutte le tue meraviglie.
    5 Gioirò ed esulterò in te,
    canterò inni al tuo nome, o Altissimo.

    6 Hai minacciato le nazioni, hai sterminato il malvagio,
    il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre.
    16 Sono sprofondate le genti
    nella fossa che hanno scavato,
    nella rete che hanno nascosto
    si è impigliato il loro piede.

    8 Ma il Signore siede in eterno,
    stabilisce il suo trono per il giudizio:
    9 governerà il mondo con giustizia,
    giudicherà i popoli con rettitudine.

    Vangelo di Luca 11, 15-26

    In quel tempo, dopo che Gesù ebbe scacciato un demonio, 15 alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». 16 Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.
    17 Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. 18 Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. 19 Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. 20 Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
    21 Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. 22 Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino.
    23 Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde.
    24 Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. 25 Venuto, la trova spazzata e adorna. 26 Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima».


    Inganno ingannevole


    Siamo stati così profondamente e continuativamente ingannati su tutto e ogni cosa che non solo non riusciamo più a distinguere chi ci inganna, ma prediligiamo ascoltare e accettare come veritiero proprio chi ci inganna, rigettando la realtà e la verità come ingannevoli. Perché? Una mente che è stata indotta, addestrata e abituata a essere ingannata chiede al cervello collegamenti neuronali – questi nel tempo diventano una rete neuronale – che producono sostanze elettrochimiche di un certo tipo, che sono riconosciute dal cervello per quel certo “gusto” elettrochimico che rilasciano. In pratica il cervello si abitua al “gusto” delle sostanze elettrochimiche prodotte dai nostri orientamenti mentali ingannati, ne diventa dipendente e, se improvvisamente non gli viene più fornita quella particolare sostanza, va in crisi, in crisi di astinenza. L’inganno quindi crea crisi di astinenza e dunque dipendenza. Conoscendo e sapendo ben manipolare questo meccanismo cerebrale, è estremamente facile indurre le persone a generare “gusti” indotti e preconfezionati, creando lo spettro dell’astinenza e di conseguenza ogni forma di dipendenza. L’uomo chiama questa dipendenza elettrochimica “gusti”, e i gusti sono intoccabili come recita il proverbio: de gustibus non disputandun est, riguardo ai gusti non ha senso discutere. È come dire: sì, siamo schiavi, completamente schiavi e dipendenti, ma almeno lasciateci la libertà di scegliere la nostra schiavitù. Per questo chi si è abituato a essere ingannato, più facilmente può essere ingannato e l’ingannato riconosce più vero e più proprio l’inganno della realtà e della verità. Questo spiega perché milioni di persone, a seconda dell’età e del ceto sociale e culturale, creino un certo tipo di musica, ascoltino un certo tipo di musica, e perché chi ascolta e balla quella musica deve essere vestito in un certo modo, camminare, alimentarsi, bere, pensare alla vita in quel certo modo.
    Quando invece una mente si abitua a essere percettiva della realtà, chiede al cervello collegamenti neuronali – questi nel tempo diventano una rete neuronale – che producono sostanze elettrochimiche di un altro tipo, che sono riconosciute dal cervello per il certo “gusto” elettrochimico che rilasciano. Ma qui, per un misterioso comportamento dei neuroni cerebrali, accade qualcosa di imprevisto: questa sostanza, definita DMT (dimetiltriptamina), crea benessere a tutta la persona, ma non crea dipendenza. Crea benessere, ma lascia liberi. Questa è la sostanza che la ghiandola pineale produce quando la mente si collega allo spirito ed entra in meditazione amante, in preghiera intima con Dio.
    Gli uomini che accusano Gesù – è per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni – non manifestano solamente la totale stupidità del loro sistema cerebrale, che Gesù svela facilmente, ma qualcosa di ben più triste: l’assoluta mancanza nella loro vita della più elementare forma di meditazione e rapporto amante con Dio nella preghiera. Questa mancanza di intimità con Dio fa sì che le novità proposte da Dio vengano scartate a priori con feroce pregiudizio e stupida, arrogante, prepotente ignoranza.
    Per quanto la realtà si possa manifestare nuova, incomprensibile, imprevedibile, inattesa, incontrollabile, per l’uomo, che nell’intimo prega il Signore di tutte le cose, è impossibile non avere lo sguardo amante, spirituale, umile, intelligente, accogliente, percettivo, lucido dello Spirito. Sono la preghiera e la meditazione che uniscono amorevolmente l’uomo alla realtà e alla vita.
    È l’assenza della preghiera profonda e comunitaria – e la preghiera vera non è ripetizione di parole – che rende possibile tutto l’inganno in cui stiamo vivendo e l’inquisizione per tutto ciò che è novità dello Spirito.


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    00 07/10/2011 05:26

    Venerdì 7 ottobre ‘11– Lc 11,15-26

    Il racconto evangelico inizia con la rievocazione di una vittoria di Gesù sullo spirito cattivo. Ciò dà adito a insinuazioni malevole, che Gesù smonta nella loro logicità. Egli, al contrario, illustra in positivo la sua azione e ricorre ad un’immagine che esprime tutta la sollecitudine operosa di Dio per noi: «Io scaccio i demòni con il dito di Dio». Sant’Ambrogio – richiamando il passo parallelo del Vangelo di Matteo – piega che si tratta dello Spirito Santo e che con ciò s’indica come la Trinità stessa sia all’opera nella sconfitta di Satana. Lo Spirito è, come un dito, inscindibile dalla mano del Padre, che è Cristo. L’immagine passerà nel canto liturgico del Veni creator e indicherà l’opera di Dio: Egli che col suo dito aveva scritto sulle tavole della prima Legge, ora incide col fuoco dello Spirito la nuova legge dell’amore nel cuore dei fedeli. Satana, tuttavia, non desiste dall’insidiare e cerca di erodere qualcosa dal cuore dei fedeli. Oggi, però, la Liturgia ci presenta l’immagine della Vergine del Rosario, l’Immacolata Madre di Dio. Ella è per noi segno vivo della vittoria totale di Cristo. Nella sua nota «Supplica», il beato Bartolo Longo chiama il Rosario «Torre di salvezza negli assalti d’inferno».


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    Sabato 8 ottobre 2011
    27a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Gioèle 4,12-21; Salmo 96,1-2.5-6.11-12; Vangelo di Luca 11,27-28

    Antifona e Salmo 96,1-2.5-6.11-12
    Gioite, giusti, nel Signore.

    1 Il Signore regna: esulti la terra,
    gioiscano le isole tutte.
    2 Nubi e tenebre lo avvolgono,
    giustizia e diritto sostengono il suo trono.

    5 I monti fondono come cera davanti al Signore,
    davanti al Signore di tutta la terra.
    6 Annunciano i cieli la sua giustizia,
    e tutti i popoli vedono la sua gloria.

    11 Una luce è spuntata per il giusto,
    una gioia per i retti di cuore.
    12 Gioite, giusti, nel Signore,
    della sua santità celebrate il ricordo.

    Vangelo di Luca 11,27-28

    In quel tempo, 27 mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!»
    28 Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!»


    È tutto


    Bello, spontaneo, travolgente, un grido da innamorati quello della donna, una benedizione solenne, vibrante, per Maria la Madre e per Gesù il Figlio: Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato! Un grido ispirato dalla bellezza, dalla grazia, dalla potenza amante e salvifica, dalla pace sovrana, sprigionate in ogni gesto e parola da quell’uomo-Dio, così mite e sapiente, buono e giusto, umile e onnipotente. Un grido carico di benedizione e di lode, di gratitudine e stupore per Gesù, un grido che, almeno in quel momento, l’umanità, nella voce di quella donna, non è riuscita a tacere e che nessuno è riuscito a zittire.
    Gesù gradisce, sorride, incontra e accarezza con lo sguardo, e poi, come sempre, ispira, ispira al mutamento, allarga oltre la visione, apre prospettive diverse, predispone a verità più alte. Dio Padre, nelle parole del Figlio Gesù, ci rivela qual è il legame che sopra ogni altro genera unità con lui e garantisce la nostra felicità: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano. In ogni angolo della terra e della storia umana, ascoltare, conoscere, amare la Parola di Gesù e metterla in pratica è in assoluto l’unico modo, il modo supremo, per essere uniti a Dio ed essere beati, felici, nel benessere vero per tutti, nella vera evoluzione. Nemmeno appartenere a una tradizione religiosa, seguire una devozione o una ritualità particolare può assicurare l’unità con Dio e garantire qualche forma di felicità, ma solo e unicamente ascoltare con amore la Parola di Gesù e metterla in pratica. È fuor di dubbio che anche le generazioni venute prima di Gesù hanno avuto, per dono dello Spirito, la possibilità di conoscere il cuore della Parola del Figlio nel loro cuore e di poterla mettere in pratica, ma la nostra generazione, che ha potuto ascoltare la sua Parola dalle sue stesse labbra in tutta la sua pienezza, ha avuto per certo una possibilità mai data ad altre generazioni. Ascoltare e mettere in pratica la Parola di Gesù è tutto, è per tutti, è oltre, è per sempre.


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    00 08/10/2011 07:37

    Sabato 8 ottobre ’11 – Lc 11,27-28

    Il giorno di sabato è tradizionalmente dedicato dalla pietà cristiana alla Vergine Maria, la «Madonna del sabato». Oggi dalla pagina del Vangelo emerge una lode piena alla Santa Madre di Dio. Per nessuno, infatti, vale con simile pienezza e verità l’affermazione di Gesù: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». Maria non solo ha «ascoltato», ma ancora di più ha voluto penetrare nella Parola del Signore per tutto ciò che è possibile ad una creatura umana. Commentando il vangelo dell’Annunciazione, il beato J. H. Newman scriveva: «Santa Maria è il modello della nostra fede, sia per quanto riguarda l’accoglierla che per quanto riguarda lo studiarla. Non le basta accettarla, vi riflette sopra; non le basta possederla, la usa; non le basta assentirvi, la sviluppa; non le basta sottomettere la ragione; essa ragiona sulla propria fede; non che prima ragioni e poi creda, come Zaccaria; al contrario, prima crede senza ragionare, poi, con rispettoso amore, ragione su ciò che essa crede» (Sermone XIV all’Università di Oxford – 1841). In verità, Gesù ha invitato quell’anonima donna, che ha levato la sua voce tra la folla, ed esorta oggi anche noi a non invidiare Maria, ma piuttosto a imitarla.


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    00 09/10/2011 03:44

    Domenica 9 ottobre 2011
    28a del Tempo Ordinario – Anno A

    Parola del giorno
    Isaìa 25,6-10a; Salmo 22,1-6; Lettera ai Filippési 4,12-14.19-20; Vangelo di Matteo 22,1-14

    Antifona e Salmo 22,1-6
    Abiterò per sempre nella casa del Signore.

    1 Il Signore è il mio pastore:
    non manco di nulla.
    2 Su pascoli erbosi mi fa riposare,
    ad acque tranquille mi conduce.
    3 Rinfranca l’anima mia.

    Mi guida per il giusto cammino
    a motivo del suo nome.
    4 Anche se vado per una valle oscura,
    non temo alcun male, perché tu sei con me.
    Il tuo bastone e il tuo vincastro
    mi danno sicurezza.

    5 Davanti a me tu prepari una mensa
    sotto gli occhi dei miei nemici.
    Ungi di olio il mio capo;
    il mio calice trabocca.

    6 Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
    tutti i giorni della mia vita,
    abiterò ancora nella casa del Signore
    per lunghi giorni.


    Vangelo di Matteo 22,1-14

    In quel tempo, 1 Gesù riprese a parlare con parabole ai capi dei sacerdoti e ai farisei e disse: 2 «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
    4 Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!” 5 Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7 Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
    8 Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10 Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
    11 Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12 Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?” Quello ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


    I tre culti


    Nei desideri di Dio questa vita terrena doveva essere una festa meravigliosa, un’esperienza di straordinaria bellezza e irrepetibile per tutti i suoi figli, in nome del Figlio, secondo la potenza e la fantasia dello Spirito Paraclito. Nei desideri di Dio questa vita terrena doveva essere un’occasione unica perché l’umanità potesse evolversi spiritualmente e intellettualmente, così da essere preparata a vivere per sempre nella gioia e nella pace senza fine, nella vita senza fine nei cieli dei cieli. L’umanità non ha accolto l’invito di Dio, non ha accolto la sua voce, ma si è lasciata ingannare e addestrare dagli addestratori umani. In questo mondo immenso e meraviglioso, così ricco e lussureggiante, dove gli uccelli del cielo hanno di che mangiare senza granai e i fiori sono rivestiti di splendore senza sarti e sfilate di mode, in mezzo a questo splendore, le agenzie addette all’addestramento hanno addestrato gli uomini a venerare il primo culto, il culto del campo. Gli addestratori umani, famiglia, scuola, religione, politica, in nome del potere, in nome di Dio, della morale, della tradizione, della reputazione, del successo, delle convinzioni umane, hanno insegnato alle generazioni il culto del campo, a venerare cioè il culto della proprietà privata, del possesso e dell’attaccamento. Prima di tutto, il campo da possedere sono state le cose, poi la terra, e, gradatamente, si è arrivati al possesso delle persone, ridotte a oggetti nella schiavitù, poi si è passati al possesso privato dell’acqua e di ogni altra risorsa della terra. Il culto del campo si è propagato, come una patologia cancerogena, proprio attraverso quelle che noi definiamo le generazioni civilizzate e religiose. Il secondo culto, a cui gli addestratori hanno assoggettato le generazioni, è il culto degli affari. È il culto del denaro e della moltiplicazione del denaro a tutti i costi, e del potere a esso legato. È il culto che addestra a venerare il lavoro come il dovere primo e assoluto, dovere che divora tempo, gioia, affetti, relazioni, salute, realizzazione personale, benessere vero per tutti. Abbiamo scelto di venerare il culto del denaro, così ora il denaro governa ogni cosa, determina e organizza ogni cosa, anche la nostra fine. Terzo culto a cui gli addestratori hanno sottomesso i popoli: la venerazione della violenza. L’addestramento ha insegnato per secoli e millenni l’utilizzo dell’insulto e della violenza come risposta normale e consueta alle situazioni, anzi ha reso l’insulto e la violenza opzioni necessarie e legali per mantenere l’ordine, per mantenere il potere contro ogni dissenziente. In che modo, uccidendo e massacrando, si possono mantenere l’ordine e l’armonia? Nascere in una nazione dove l’utilizzo della violenza, della forza della coercizione, l’uso delle armi e degli eserciti è un dato acquisito, anzi è sinonimo di onore e rispettabilità, è un abominio.
    Il culto del campo, degli affari e della violenza hanno distrutto la nostra vita e stanno distruggendo la nostra terra e gli equilibri stessi della sopravvivenza. L’addestramento umano ha rifiutato l’invito divino, ha rovesciato nel letame la festa della vita. L’addestramento umano ha fallito, ha miseramente fallito e non è più occultabile. Il culto del campo, degli affari e della violenza ha fallito, completamente fallito, e la prova è che ha procurato ingiusto e insanguinato benessere solo ad alcuni degli uomini e non a tutti.
    A questo punto della nostra storia ci può essere solo un’illusione peggiore e più devastante di tutte le altre, l’illusione che questa crisi, che il mondo sta vivendo riguardo il campo, gli affari, la violenza, avrà una ripresa. È l’illusione terribile, peggiore di tutte le altre, di colui che, entrato quasi per caso nella festa, cioè nella storia nuova, senza la veste nuziale, con la faccia triste perché ancora affezionato alla venerazione dei tre culti del vecchio addestramento, crede ancora in cuor suo di poter restaurare il vecchio sistema. No, non ci sarà nessuna ripresa, nessuna ripresa del vecchio sistema fondato sui tre culti. Questo è il tempo in cui ciò che cade non si risolleverà mai più. È il tempo in cui i centri nevralgici del potere e dell’addestramento alla venerazione dei tre culti vedranno le loro città, tutte le loro città, date alle fiamme e rase al suolo, e in tempi così brevi da non lasciare nemmeno il tempo di un ultimo sguardo.
    Dalle ceneri di questo sistema di addestramento nascerà una meravigliosa evoluzione spirituale e intellettuale per tutti quelli che lo hanno sempre desiderato, e che hanno sempre vissuto per questa evoluzione, per il vero e reale benessere e per felicità di tutti. Quello sarà il tempo in cui se ancora qualcuno parlerà di campo, affari, insulto e violenza, sarà amorevolmente condotto tra le montagne e curato e accudito con infinita pazienza e compassione come da una terribile malattia, fino a che non abbia ritrovato se stesso e l’intelligenza dell’invito divino in lui.


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    Domenica 9 ottobre 2011

    XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


    + VANGELO (Mt 22,1-14)

    Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.



    + Dal Vangelo secondo Matteo

    In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
    Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». Parola del Signore



    Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro


    La verità che emerge in maniera forte è la salvezza eterna aperta a tutti. Nessuno è escluso, nessuno è emarginato. Dio invita tutti a banchettare, Lui che si rappresenta nel re chiama tutti a festeggiare il proprio Figlio, che con la sua venuta nel mondo e la sua Risurrezione ha preparato il banchetto nuziale.

    Gesù ha aperto le porte del suo Regno ad ogni uomo. Nessuno è escluso!

    Gesù non considera i raccomandati come avviene in questo misero mondo, più che di una raccomandazione occorre l’abito della festa. Tutto qui. Non ci possono assolutamente essere invitati privilegiati, in quanto tutti sono privilegiati nell'invito che Dio ha fatto ad ogni essere umano.

    Lo scrive bene San Paolo: “Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il Mediatore fra Dio e gli uomini, l'Uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,3-7).

    Da parte di Dio non c’è solamente una disponibilità, è la sua volontà che gli uomini siano salvi, gli uomini hanno poi il libero arbitrio di accettare o rifiutare l’invito, come viene spiegato nella parabola di oggi.

    Non possiamo però ignorare che la condizione spirituale di chi non accetta l’invito di Dio, non potrà mai ottenere il premio eterno. Sempre San Paolo scrive: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il Regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il Regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio” (1 Cor 6,9-11).

    Chi vive in questa triste condizione non deve abbattersi, il Paradiso è negato a quanti arrivano alla fine della vita immersi nel fango della corruzione, quanti invece incontrano il Signore misericordioso, anche in punto di morte, troveranno le porte della salvezza spalancate.

    Commuove sicuramente l’Amore totale, infinito, che Dio ha per tutti e per ognuno di noi, una misericordia che non si esaurisce mai, addirittura per salvarci ha mandato il proprio Figlio a morire in Croce.

    Una sola condizione viene richiesta per entrare nella vita eterna e festeggiare non per un determinato tempo che poi svanisce, è una festa che dura per l’eternità, è infinita. Fuori dal tempo.

    Dobbiamo avere indosso l’abito della festa che è la Grazia sacramentale.

    A quanti vivono in uno stato di peccato particolare come i divorziati risposati, dico di desiderare questa Grazia soprattutto quando vanno a Messa e non possono ricevere l’Eucaristia. Questo desiderio è potente davanti a Gesù, e nel momento del bisogno Gesù guarderà il loro amore.

    Grandissimi peccatori si sono convertiti in punto di morte, perché questo non deve avvenire ai credenti che si pentono già durante la loro vita, pur non potendo ottenere l’assoluzione sacramentale? Ovvio che ci sarà di più da espiare in Purgatorio, ma la salvezza eterna è assicurata. Occorre chiedere la Grazia di poter trovare la forza spirituale in punto di morte ed invocare il perdono da Gesù, e questa è una Grazia!

    L’abito che dobbiamo indossare è la Grazia, avviciniamoci spesso alla Confessione, facciamo giornalmente l’esame di coscienza per verificare lo stato spirituale della nostra anima.

    Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.




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    Lunedì 10 ottobre 2011
    28a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Lettera ai Romani 1,1-7; Salmo 97,1-4; Vangelo di Luca 11,29-32

    Antifona e Salmo 97,1-4
    Il Signore si è ricordato del suo amore.

    1 Cantate al Signore un canto nuovo,
    perché ha compiuto meraviglie.
    Gli ha dato vittoria la sua destra
    e il suo braccio santo.

    2 Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
    agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
    3 Egli si è ricordato del suo amore,
    della sua fedeltà alla casa d’Israele.

    Tutti i confini della terra hanno veduto
    la vittoria del nostro Dio.
    4 Acclami il Signore tutta la terra,
    gridate, esultate, cantate inni!


    Vangelo di Luca 11,29-32

    In quel tempo, 29 mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. 30 Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.
    31 Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone.
    32 Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».


    Segno di Giona


    A questa generazione non sarà dato alcun segno se non il segno di Giona. Cosa significa? Giona è stato il profeta che, per ordine divino, si è preso cura di avvisare la grande città di Ninive che se non avesse repentinamente e completamente fatto verità in Dio - così dice letteralmente il testo ebraico – sarebbe stata rivoltata. La profezia di Giona è una minaccia? È un ricatto? No. È, come dice il testo, una chiamata, un’opportunità per la vita e l’evoluzione. Giona è dunque un dono di Dio, una proposta per l’evoluzione, una possibilità di cambiamento, ma, vista la situazione e l’emergenza, Giona è anche segno di un avvertimento, l’ultimo avvertimento.
    A questa generazione, la nostra generazione, è stato offerto ben più della sapienza di Salomone, ben più della predicazione di Giona, sono state offerte la presenza, la sapienza, la predicazione, sono state offerte le procedure e la vita stessa del Figlio Gesù. Gesù afferma che a questa nostra generazione malvagia non sarà dato nessun altro segno se non il segno che Giona diede a Ninive. Gesù è il segno. Gesù ci ha offerto interamente la propria vita pur di donarci le procedure divine mai rivelate alla storia umana, nel desiderio che riuscissimo a costruire un’umanità veramente evoluta, felice, serena, sana e pacifica. Considerare Gesù un’avvincente proposta per fondare una nuova religione, e rinchiuderlo negli ambienti della ritualità e della confessione religiosa, è stato un errore colossale, il più grande errore della storia, l’errore che ci è costato l’annullamento di ogni evoluzione umana e sociale. Quando duemila anni fa Gesù si è presentato al mondo con il suo messaggio, non ha voluto far parte degli ambienti religiosi, né ha mai cercato di integrarsi con le strutture e le istituzioni confessionali del tempo, perché Gesù voleva essere un nuovo modo di vivere e di amare Dio e la vita, per tutti e per sempre, non una religione. Solo una generazione folgorata mentalmente dall’inganno satanico ha potuto rinchiudere Gesù nelle chiese e non sentirsi onorata di farlo entrare nei laboratori dove si studia il DNA, la biologia e la chimica. Solo una generazione malvagia ha potuto rinchiudere Gesù nei libri di teologia e non sentirsi onorata né fortunata di fare entrare lui e il suo messaggio nei fondamentali delle costituzioni, nel cuore della politica, nell’educazione delle giovani generazioni, come principio e metodo nei sistemi di condivisione delle risorse terrestri e nella ricerca delle sorgenti di energia gratuita e pulita, nel modo di costruire, di viaggiare, di lavorare, di vivere le relazioni e gli affetti. Gesù si è donato a noi così completamente che si è offerto persino come cibo e bevanda dell’anima e del corpo, per donarci energie e intelligenza, salute e armonia oltre ogni desiderio e immaginazione. Ma questa generazione, impazzita e arrogante, ha preferito masticare la sabbia degli addestramenti umani, dell’ignoranza e della paura, schiava dei poteri forti. Gesù è la reale e straordinaria possibilità di cambiamento verso una straordinaria evoluzione della vita umana, in ogni ordine e grado, ma ora, vista la situazione in cui versa l’umanità e la terra tutta, Gesù si trasforma nel segno, nel segno di Giona, un avvertimento, l’ultimo avvertimento.


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    Lunedì 10 ottobre ’11 – Lc 11,29-32
    C’è un testo paolino, che si potrebbe mettere in parallelo con la parola di Gesù: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1Cor 1,22-23). Ritroviamo in questo passo i medesimi termini di «segno» e di «sapienza», che ricorrono nel brano evangelico. C’è una «generazione» (e potrebbe essere anche la nostra) che domanda miracoli e chiede di assistere ad opere prodigiose. Quando mai i «segni» hanno convinto cuori non disponibili? Iddio stesso si lamenterà con Mosè: «fino a quando non crederanno in me, dopo tutti i segni che ho compiuto in mezzo a loro?» (Nm 14,11). Parafrasando B. Pascal si potrebbe rispondere che la verità va errando sconosciuta fra gli uomini, perché Dio l’ha coperta con un velo sicché se non la si ama veramente non si è capaci di riconoscerla (cfr Pensieri, 843-864 ed. Br.). È Gesù la «sapienza», prefigurata da Salomone. Cosa occorre fare? «Ascoltare», come fece la regina del Sud e «convertirsi», come fecero gli abitanti di Ninive. Perché «per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,24).

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    Martedì 11 ottobre 2011
    28a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Lettera ai Romani 1,16-25; Salmo 18,2-5; Vangelo di Luca 11,37-41

    Antifona e Salmo 18,2-5
    I Cieli narrano la gloria di Dio.

    2 I cieli narrano la gloria di Dio,
    l’opera delle sue mani annuncia il firmamento.
    3 Il giorno al giorno ne affida il racconto
    e la notte alla notte ne trasmette notizia.

    4 Senza linguaggio, senza parole,
    senza che si oda la loro voce,
    5 per tutta la terra si diffonde il loro annuncio
    e ai confini del mondo il loro messaggio.

    Vangelo di Luca 11,37-41

    In quel tempo, 37 mentre stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. 38 Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.
    39 Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. 40 Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? 41 Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».


    Le regole


    Letteralmente è scritto: voi farisei purificate [greco: katharìzo] il di fuori della coppa e del piatto, ma il di dentro di voi è pieno di rapina [greco: harpaghè] e di malvagità [greco ponerìa]. Katharìzo, “purifico, rendo puro”, nella sua etimologia significa “senza mescolanza”. Arpàghe, denominativo del verbo arpàzo, significa “ruberia, rapina, saccheggio, preda”, è ciò che è stato strappato a forza, rapinato, posseduto con la violenza. La radice arp- indica una vera e propria attività che avviene nel buio e nel nascondimento; l’accadico arapu significa, infatti, “diventare buio”. Ponerìa significa “malvagità, cattiva intenzione, malizia”.
    Gesù riprende con forza quanti seguono le regole e le prescrizioni ed esercitano pressione sugli altri perché facciano lo stesso, anzi, li accusa di stoltezza. Perché? La regola è la modalità secondo cui si svolge un’attività, si compie un’azione. La regola è convenzionalmente stabilita e dettata perlopiù dalla consuetudine, dall’esperienza, da principi religiosi, da tradizioni e, con il tempo, può diventare norma di comportamento e stile di vita. Le regole possono essere utili in certi contesti per controllare e guidare gli atteggiamenti esterni dell’uomo, ma hanno il limite di non avere nessun potere di modificare l’interno del cuore dell’uomo nelle sue scelte. In verità più che un limite è proprio un’impossibilità della regola stessa. Le regole del codice stradale, per esempio, aiutano l’autista a viaggiare con maggior sicurezza per sé e per gli altri, ma non possono in alcun modo insegnare dal di dentro a una persona cosa significhi essere al volante, guidare con piacere, vantaggiosamente e in sicurezza. La regola costringe a fare, non a essere. Le regole possono obbligare a rispettare la festa, lo shabbat, la celebrazione dell’Eucaristia, ma non possono in nessun modo far nascere dal di dentro del cuore delle persone la gratitudine per la festa, il gusto per lo shabbat, l’amore per l’Eucaristia.
    Altra cosa importante: le regole non sono le procedure. Le regole sono di provenienza umana, le procedure sono di provenienza divina. Mangiare secondo un orario è regola umana, mangiare quando si ha fame è procedura divina. Mangiare con le posate è regola umana, mangiare con le mani è procedura divina. La proprietà privata è regola umana, la condivisione di ogni benessere senza recinti e proprietà è procedura divina. Amare chi ci ama è regola umana, amare tutti è procedura divina. Perdonare quando ce la sentiamo e ci sembra il caso è regola umana, perdonare sempre come scelta definitiva è procedura divina. Gesù chiama stolti coloro che insistono a seguire le regole con fanatica determinazione, come se queste avessero il potere di cambiare dal di dentro il cuore dell’uomo, e ignorano che le regole non saranno mai le procedure.
    Gesù spiega come liberarci dalle regole per arrivare al cuore della metànoia, del capovolgimento-rovesciamento del modo di pensare. Dice letteralmente: piuttosto date misericordia-compassione [greco: elemosùne] al contenuto [greco: enèimi, “le cose esistenti, le cose che esistono dentro”], ed ecco tutte le cose pure-purificate-senza mescolanza [greco: katharòs] per voi saranno. Difficile, quasi impossibile tradurre elemosùne con “elemosina monetaria”: questo termine porta infatti con sé un’importante valenza altamente spirituale. Gesù spiega che prima e al di sopra di ogni regola scritta o non scritta, la Regola suprema o, per meglio dire, la non-Regola suprema è la Procedura dell’Amore, dare, offrire misericordia e compassione dal di dentro della nostra essenza. Misericordia e compassione che, evento per evento, incontro su incontro, si trasformano in perdono, soccorso, aiuto, elemosina, sostegno, parola, ispirazione, gratuità, ospitalità, vestiti, cibo, tolleranza, giustizia, condivisione. Dare amore in nome dell’amore: questo vince la fobia delle regole, l’ipocrisia del fanatismo normativo, la stoltezza delle vuote pressioni per i protocolli morali.


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    Martedì 11 ottobre ’11 – Lc 11,37-41

    La dialettica esterno – interno domina questa pagina del Vangelo, ma diversamente da Mt 23,25, dove la contrapposizione è fra «l’esterno del bicchiere e del piatto», il cui interno, però è pieno «di avidità e d’intemperanza», qui è chiaro che si tratta dell’interno dell’uomo, ossia del suo cuore: «il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria». Il quod superest evangelico è stato variamente interpretato; da qualcuno come il dovere di dare ai poveri ciò che va oltre il necessario per sé, oppure ciò che è superfluo per i propri bisogni, o ancora come invito alla condivisione dei beni. La traduzione: «Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro…», aiuta a comprendere meglio il senso del detto evangelico. La decisione interiore – per quanto ignota agli altri e non visibile all’esterno – qualifica un atto. La distinzione fra il bene e il male passa attraverso il cuore dell’uomo. Occorre, dunque, compiere un gesto di purificazione e di pulizia riguardo a quello che è dentro di noi. Quando il cuore dell’uomo (l’«interno») è fatto nuovo dalla conversione, allora tutto diventa pulito. Si passa, così, da una religione impostata sulla separazione, ad una più autentica fatta di partecipazione, di dono e di comunione.

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    Mercoledì 12 ottobre 2011
    28a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Lettera ai Romani 2,1-11; Salmo 61,2-3.6.8-9; Vangelo di Luca 11,42-46

    Antifona e Salmo 61,2-3.6.8-9
    Secondo le sue opere, Signore, tu ripaghi ogni uomo.

    2 Solo in Dio riposa l’anima mia:
    da lui la mia salvezza.
    3 Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
    mia difesa: mai potrò vacillare.

    6 Solo in Dio riposa l’anima mia:
    da lui la mia speranza.
    8 In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
    il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.

    9 Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
    davanti a lui aprite il vostro cuore:
    nostro rifugio è Dio.


    Vangelo di Luca 11,42-46

    In quel tempo, il Signore disse: «42 Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. 43 Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. 44 Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
    45 Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». 46 Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!»


    Krìsis


    Gesù lo ripete molte e molte volte. In modi diversi e in diverse occasioni, il cuore pulsante della sua ispirazione proposta all’uomo è uno e uno solo. Lo spiega stupendamente nel capitolo 4 di Giovanni nell’incontro con la samaritana, quando afferma che con l’avvento della sua persona è arrivato il momento di vivere una nuova spiritualità che si genera nell’adorazione spirituale e amante di Dio e nella verità delle azioni. Lo ribadisce in Luca 10,28 quando nell’amore a Dio e al prossimo pone la chiave di tutta la sua proposta. Ora, in questa pagina del vangelo, Gesù lo ripete, anche se in un contesto meno gioioso, mentre cioè sta riprendendo con forza l’ipocrisia e la falsità di alcuni appartenenti alla setta dei farisei e mentre apostrofa duramente i dottori della legge e dice loro: caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito. Gesù ripete che per non vivere più in modo stolto, pericoloso, mortale, distruttivo, ma per vivere nel vero benessere per tutti gli uomini, per vivere in pace e serenamente, è assolutamente necessario vivere e praticare la krìsis e l’agàpe, il giudizio e l’amore.
    Krìsis, “giudizio”, deverbativo da krìno, “distinguo, scelgo, ritengo, penso, credo, stimo, stabilisco, decido”. Collegato etimologicamente al latino cèrno, “separo, distinguo”, l’azione espressa dalla radice di questo verbo è “separo dalla paglia, distribuisco, vaglio, setaccio”, meglio, “faccio dei mucchi separati di grano e di paglia”, dall’antico babilonese qaranu, “ammucchiare grano e paglia”, nonché dall’accadico karamu, “separare”. Krìsis indica la scelta, la scelta di essere giusti, di vivere e praticare la giustizia.
    Col termine krìsis qui non si intende l’attività intellettuale e spirituale del giudicare, giudicare i fratelli, di sottoporli al tribunale del nostro sguardo inquisitorio, ma quella superiore di fare giustizia vera, vera giustizia che comporta il vero benessere nella condivisione serena e pacifica di tutte le risorse, per tutti gli uomini di questa terra. Fino a che, a ogni manciata di secondi, ci sono nostri simili che muoiono di fame e di sete, qualsiasi altro discorso sulla giustizia, la democrazia, la legge o la solidarietà, ogni altro tribunale e giudizio è un’ipocrita e violenta pagliacciata collettiva.
    Insieme al termine krìsis, giudizio nel senso di giustizia, Gesù pone come pratica altrettanto necessaria per la vita felice dell’uomo l’agàpe, l’amore a Dio, che il testo ebraico svela e splendidamente racchiude in: ama il Signore Dio di te con tutta la tua mente-cuore-parte interna, con tutta la tua anima corporata, e con tutto il meglio di te.
    Gesù ha posto la giustizia e l’amore a Dio come il vero cuore palpitante nel petto dell’umanità, come il duplice movimento del respiro spirituale e sociale che permette la vita felice all’umanità. Se questo cuore non palpita giustizia-krìsis e amore-agàpe a Dio, se questo respiro s’interrompe, l’umanità entrerà in “crisi”. La crisi è il momento in cui accade un subitaneo mutamento che separa un modo di essere da un altro. Si è in crisi quando un sistema crolla sotto il peso della sua inefficacia e non si è ancora pronti a sostituirlo con un altro. È il momento della sospensione tra uno stile di vita, tra abitudini, convenzioni che si stanno sgretolando sotto i propri piedi e un salto evolutivo che non si è ancora in grado di compiere serenamente e senza rischi.
    Quando un sistema entra in crisi, in realtà non c’è altro da fare che trovarne immediatamente un altro di migliore: questo permette l’evoluzione e il vero progresso, altrimenti sono guai, guai seri. In questo senso il guai a voi di Gesù non è una feroce minaccia, ma un’amorevole, anche se decisa, previsione. Gesù preannuncia ai farisei e ai dottori della legge, gente dal cuore duro e dalla dura cervice, che il loro sistema religioso, morale, educativo, sociale, economico è un sistema che, dopo aver soffocato per millenni i popoli, generando sofferenza e morte, ignoranza e paura, ora sta soffocando in se stesso; è un sistema senza giustizia e senza amore per Dio, è un sistema che sta collassando, che è già entrato pesantemente in crisi e, se non vi si porrà rimedio, i guai saranno molto, molto più grossi e devastanti di quanto l’immaginazione possa fornire.
    Tra tutte le stoltezze ingannevoli in cui la mente può far affogare le ultime luci dell’intelligenza, l’idea, la convinzione che da una crisi si possa uscire, senza cambiare completamente il sistema che ha determinato la crisi stessa, è in assoluto la più colossale e gigantesca di tutte, perché estende l’agonia del sistema, prolungando il male, la tristezza, l’insicurezza, la paura, la devastazione, la morte.
    Coloro che si mettono, con tutte le forze, a cercare di sistemare una crisi, e non mettono mano a tutte le loro risorse per cambiare completamente il sistema fallimentare e compromesso che ha determinato la crisi stessa, sono simili a coloro che, dopo l’evidente fallimento, continuano a voler tagliare un faggio di trecento anni, alto trenta metri, con un pelapatate. Se, dopo l’evidente fallimento, continuano a usare lo stesso sistema, o sono stupidi o sono in mala fede. Se sono stupidi, non c’è niente da fare. Se sono in mala fede, e sono del gruppo dei vantaggi, per cui le crisi per loro sono una fonte di ricchezza e di immani opportunità, non c’è niente da fare. In qualsiasi caso è perfettamente stupido continuare ad affidare la propria vita e le prospettive dell’umanità a stupidi di tal fatta.


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    Mercoledì 12 ottobre ’11 – Lc 11,42-46

    «Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle». Ad una religiosità che seleziona, Gesù contrappone un agire che ama coniugare e tenere insieme; ad una visione miope dell’osservanza della Legge, che predilige il dettaglio e perde di vista l’insieme, Gesù propone una concezione integrale che abbraccia tutto il reale. Una religiosità che trascura l’interno per fissarsi sull’esteriore, diventa presto una pietà vuota, formalista, mummificata sulle cose esteriori. È d’altra parte illusorio pensare di concentrarsi sull’interiorità trascurando l’esterno. Benedetto XVI ama ripetere la regola benedettina del mens concordet voci (cfr Regola, cap. 19) È un criterio richiamato esplicitamente per la preghiera corale e per l’Ufficio divino, ma è una norma generale per la vita di un credente: stabilire armonia e accordo fra ciò che si fa esternamente e ciò che alberga nel cuore. L’esteriore non è privo di importanza, ma ha piuttosto il valore di un segno. Quando, però, ci si ferma unilateralmente all’aspetto esterno, allora si diventa superbi e arroganti. Gesù parla di uomini che impongono agli altri pesi, che loro non toccano neppure con un dito. Se un maestro, una guida (anche spirituale), un educatore fa così, allora vuol dire che ha pervertito la sua missione.


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    Giovedì 13 ottobre 2011
    28a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Lettera ai Romani 3,21-30a; Salmo 129,1-6b; Vangelo di Luca 11,47-54

    Antifona e Salmo 129,1-6b
    Con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione.

    1 Dal profondo a te grido, o Signore;
    2 Signore, ascolta la mia voce.
    Siano i tuoi orecchi attenti
    alla voce della mia supplica.

    3 Se consideri le colpe, Signore,
    Signore, chi ti può resistere?
    4 Ma con te è il perdono:
    così avremo il tuo timore.

    5 Io spero, Signore.
    Spera l’anima mia,
    attendo la sua parola.
    6 L’anima mia è rivolta al Signore
    più che le sentinelle all’aurora.


    Vangelo di Luca 11,47-54

    In quel tempo, il Signore disse: «47 Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. 48 Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. 49 Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, 50 perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: 51 dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. 52 Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».
53 Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, 54 tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.


    Gnòsis


    Letteralmente è scritto: guai a voi dottori della legge che avete preso [greco: àiro] la chiave della conoscenza [greco: klèida tès gnòseos]: voi non entraste e agli entranti lo impediste [greco: kolùo]. Una cosa è certa: i dottori della legge, i teologi della Toràh, gli esponenti più religiosi e osservanti della Legge, i rabbini, quindi i maestri che studiavano e insegnavano le Sacre Scritture, non sono entrati nella conoscenza, non hanno conosciuto e non conoscono la sapienza, non hanno partecipato della sua grazia né goduto intellettualmente della sua luce né hanno onorato la sua bellezza divina. Quindi, da parte di costoro, per tutta la storia e per sempre, non ci saranno mai la conoscenza e la sapienza come sono rivelate nel capitolo 6 di Sapienza, conoscenza e sapienza che dovevano offrire all’umanità, perché fossero il fondamento intellettuale e cardiaco per costruire il vivere, le città, l’economia, il benessere, l’evoluzione, il progresso dell’uomo come Dio desiderava.
    Un giorno Pietro riceve da Gesù le chiavi, le chiavi del regno dei cieli, con il compito di usare queste chiavi per aprire a tutta l’umanità le porte di una vita meravigliosa, serena, sana già su questa terra, per predisporre tutti gli uomini all’incontro con la vita senza fine nei cieli. Anche i dottori della legge avevano questo stesso compito e, invece di offrirlo al mondo, lo hanno preso, hanno preso, rapito, trafugato la chiave della conoscenza: loro non l’hanno usata e hanno impedito a tutti gli altri di usarla. Il verbo, con cui nel testo greco è espresso il “prendere”, il “portare via” da parte dei dottori della legge, è àiro, “tolgo via, tolgo di mezzo, elimino, distruggo; sollevo, levo su, aggancio, tengo sospeso, alzo; prendo, porto via, uccido; mi assumo, mi addosso, intraprendo”. L’etimologia accadica ba’aru indica il prendere all’amo, lo stringere al laccio. Klèida tès gnòseos o “chiave della conoscenza” è un’espressione molto particolare, ma cosa significa? Cosa significa chiave della gnòsis? Gnòsis è la conoscenza; implica un’attività intuitiva oltre che intellettiva, in quanto è la comprensione, è l’intelligenza applicata al raggiungimento della verità. La gnòsis, in senso biblico, è una conoscenza penetrativa, efficace, è entrare in unità con una realtà, entrarci dentro per farne parte. Condurre alla gnosi significa liberare l’uomo dal più possente e gigantesco dei capestri che sta strangolando la mente e la vita dell’uomo: l’ignoranza. Risvegliare la gnosi significa affrancare l’uomo dalla paura e dalla confusione, dalla schiavitù del non percepire da sé vitale e mortale. La conoscenza che non conduce alla liberazione sociale e insieme alla liberazione dalla malattia e dalla morte non è conoscenza. La gnosi che non genera felicità non è gnosi, non è sapienza che viene da Dio. Guai a voi dottori della legge che avete preso la chiave della conoscenza: voi non entraste e agli entranti lo impediste. Guai a voi, dice Gesù a questa gente, perché questa gente ha messo gravemente nei guai l’umanità, perché per millenni ha strappato dalle mani e dal cuore dei popoli le chiavi della conoscenza, che sono le chiavi che aprono le porte della felicità e della pace. Questa gente ha trafugato e nascosto le chiavi della felicità al mondo come fossero un bene personale che loro hanno usato per il proprio esclusivo potere e completamente negato all’umanità. La gnosi ha il suo nemico nell’ignoranza spirituale e l’ignoranza spirituale non si supera con le conoscenze e le informazioni accademiche e teologiche né tanto meno con il continuo vociare delle argomentazioni a confronto, ma solo ed esclusivamente nel contatto amoroso con Dio e cercando di mettere in pratica le procedure evangeliche. Nulla più del silenzio turgido di amore davanti a Dio apre alla visione della realtà e supera l’ignoranza dello spirito e della mente.


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    00 13/10/2011 04:53

    Giovedì 13 ottobre ’11 – Lc 11,47-54


    Il trattato ebraico di Avòt («dei Padri»), tra i più popolari della Mishnà, s’introduce con una massima dov’è tracciata la linea di tradizione che, partendo da Mosé, giunge ai dottori dell’epoca di Gesù e oltre. Essa contiene la raccomandazione di «fare una siepe attorno alla Legge» (cfr Pirkè Avòth, cap. 1). Lo scopo era creare come un baluardo di difesa per la santità della Legge di Dio e di aiutarne l’osservanza da parte del popolo. Era, perciò, un gesto di protezione e un segno di amore. Anche gli abbracci più affettuosi, però, possono diventare soffocanti. È quello che Gesù rimprovera dottori della Legge: «avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». Il richiamo di Gesù deve essere accolto con grande attenzione anche da noi. Non possiamo pensare che i rimproveri del Signore sia riservati ai suoi interlocutori di quel tempo e aggirare il compito di attualizzarli. Nell’esortazione apostolica Verbum Domini, Benedetto XVI ha rinnovato a voce alta l’appello: «Non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza» (n. 2).


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    00 14/10/2011 08:38

    Venerdì 14 ottobre 2011

    XXVIII Tempo Ordinario



    + VANGELO (Lc 12,1-7)

    Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati.



    + Dal Vangelo secondo Luca

    In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze. Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!». Parola del Signore


    Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

    Dopo avere approfondito la gravità dell’ipocrisia, Gesù rassicura i cristiani di non temere quanti agiscono nelle tenebre e compiono arti magiche o giudicano e malignano o preparano congiure. È indirizzata a coloro che amano l’occulto e il pettegolezzo, questa ramanzina del Signore, svela anche le tenebre gradite a quanti tramano contro i buoni.

    Gesù fa vedere ai discepoli le tenebre illuminate dalla sua Parola, quelle tenebre che conservano molti segreti e che prima o poi dovranno svelare pienamente.

    Tutto quello che viene compiuto nelle tenebre per danneggiare il prossimo, sarà svelato nel Giudizio.

    Non immediatamente, verrà il tempo di conoscere ogni verità, si chiama Giudizio Universale, ma adesso c’è la possibilità di riparare certe azioni che hanno causato sofferenze negli altri, o si può porre rimedio a quelle opere compiute per istinto e le passioni disordinate. Oltre la Confessione, è indispensabile sanare il male compiuto se c’è ancora la possibilità.

    Però Gesù afferma che non bisogna temere le opere compiute nelle tenebre dagli uomini, possono al massimo uccidere il corpo ed è certamente un’azione drammatica. Lui mette l’accento sull’anima, evidenzia che gli uomini cattivi possono compiere ogni forma di male verso i buoni ma non possono danneggiare l’anima. Solo il diavolo è capace di danneggiare il corpo e l’anima.

    Del diavolo bisogna stare attenti, dagli “amici” ci guarda Gesù. Soprattutto ci guarda dai nemici.

    La rassicurazione finale che dà Gesù, ci arreca grande gioia, Egli ci conosce perfettamente, fino a conoscere il numero dei capelli. La grande consolazione che abbiamo noi cristiani è la certezza che Dio ci ama ed è sempre vicino, perché lui sempre risponde ai nostri richiami e ci garantisce la sua assistenza.

    È bello anche l’esempio dei passeri: Dio si cura di loro, li conosce uno per uno. Figuriamoci come conosce perfettamente noi, come ci considera veri figli.

    Dio è un Padre paziente e aspetta nonostante i peccati degli uomini, ma chiede una risposta giornaliera al suo Amore. Chi si considera figlio Lo cerca e Lo prega ogni giorno, mettendolo al corrente di ogni cosa. Questa è la vera confidenza, e Dio ci ascolta sempre.

    Vi benedico e prego per tutti voi. Pregate per me ogni giorno nella Messa e nel Rosario.




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    00 14/10/2011 08:40

    Venerdì 14 ottobre 2011
    28a settimana del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Lettera ai Romani 4,1-8; Salmo 31,1-2.5.11; Vangelo di Luca 12,1-7

    Antifona e Salmo 31,1-2.5.11
    Tu sei il mio rifugio, Signore.
    Oppure: Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!

    1 Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
    e coperto il peccato.
    2 Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
    e nel cui spirito non è inganno.

    5 Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
    non ho coperto la mia colpa.
    Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
    e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.

    11 Rallegratevi nel Signore
    ed esultate, o giusti!
    Voi tutti, retti di cuore,
    gridate di gioia!


    Vangelo di Luca 12,1-7

    In quel tempo, il Signore disse: 1 si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. 2 Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. 3 Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze. 4 Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. 5 Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. 6 Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. 7 Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!»


    Lievito


    In questo caso Gesù non rivolge la sua Parola alle folle, a quella moltitudine che si sta calpestando. Il verbo greco che descrive questo assordante e disordinato stato di confusione della folla, dato dall’ammassamento, è katapatèo, che significa “pesto fino a sfondare, fracassare, sbattere, urtare contro, sfondare”. Questo atteggiamento della folla è il risultato e il simbolo dell’addestramento dell’ignoranza, frutto del non avere un ordine, non avere le procedure vitali, una direzione, un modo da seguire, tanto da arrivare a distruggersi e a schiacciarsi a vicenda.
    In questo caso Gesù si rivolge solo ed esclusivamente ai discepoli, ai dodici che poi guideranno le folle, e lo fa per metterli in guardia da un possente, mortale pericolo. Dice letteralmente il testo: Guardate [greco: prosècho] voi stessi [greco: heautòu] dal lievito [greco: zùme] che è l’ipocrisia dei farisei. Il verbo prosècho – composto dalla preposizione pròs, “a, verso”, unita al verbo ècho, “ho, tengo, trattengo, posseggo” – significa “dirigo la nave verso terra, approdo, sbarco; rivolgo l’attenzione, sto attento a; seguo come guida; vigilo su”, il pronome riflessivo heautòu, significa “se stesso, proprio sé, la propria persona”. Gesù rivela il principio di ogni sapienza e prudenza: la prima cosa da fare è vigilare, portare la nave della propria persona all’approdo sicuro. La prima attenzione è verso se stessi. Attenzione rispetto a che cosa? Al lievito, al lievito dell’ipocrisia.
    Zùme, “lievito”, etimologicamente indica l’azione del rimescolare, del mischiare, dalla radice sanscrita yus- che significa “aggiogare, collegare”. Il greco zùme, tradotto con “lievito”, più letteralmente si traduce con “fermento”. Il fermento, per costituzione, è una realtà infinitesimale ed è inefficace fino a quando è separato dall’elemento attivante. Quando viene in contatto con l’elemento-ambiente a cui è destinato, il fermento si innesca. A questo punto comincia ad alimentarsi e a venir alimentato fino a diventare parte integrante del luogo in cui è stato immesso.
    Qual è il fermento più pericoloso per il cuore dell’uomo?
    Hupòkrisis – dal verbo hupokrìnomai, “rispondo, faccio l’attore, sostengo la parte di, declamo, fingo” – è il sostenere una parte, è la recitazione, la declamazione, la finzione, la simulazione. Il cuore della parola è krìno, verbo che indica separazione e giudizio.
    Il fermento più pericoloso per il cuore umano è l’ipocrisia, il fermento dell’ipocrisia. Il fermento della separazione in se stessi, della separazione tra ciò che siamo veramente e ciò che, per paura, ambizione, potere, vanità, vogliamo mostrare e dimostrare agli altri. Questo è il lievito della separazione e dell’ipocrisia.
    Per non farsi deformare e degenerare dal fermento dell’ipocrisia non occorre essere perfetti e sempre perfettamente coerenti: chi degli uomini potrebbe mai esserlo? Non è il lievito della perfezione che vince il lievito dell’ipocrisia, non è non commettere mai errori e peccati che libera dal lievito della separazione interiore. Chi degli uomini potrà mai essere perfetto e perfettamente coincidente e coerente in se stesso? Che non sarà la perfezione e la perfetta coerenza a salvarci dal lievito dell’ipocrisia è potentemente espresso da un uomo santo e pieno di Spirito come Paolo di Tarso quando afferma di se stesso: infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Romani 7,19).
    Non è la perfetta coerenza tra ciò che si vive dentro e ciò che si dimostra fuori che Gesù indica come liberazione dal lievito mortale dell’ipocrisia, ma l’amore-sacro timore di Dio. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. Gesù usa il termine paura e timore, perché in verità l’uomo si lascia fermentare dal veleno dell’ipocrisia e della separazione interna per timore e paura, il gigantesco timore e la devastante paura del giudizio altrui, di perdere davanti agli uomini prestigio, fama e potere. Secondo Gesù, l’ipocrisia velenosa non deriva dalla fatica e dal limite umano di essere coerenti tra ciò che si crede e si ama e quello che si riesce a mettere in pratica. In questo senso in poche occasioni l’ignoranza spirituale e la stupidità mentale si sanno unire in un amplesso sinaptico cerebrale tanto potente da essere capace di affermare: quello è uno che predica bene ma razzola male. Quale uomo o donna della storia umana, di qualsiasi ordine e grado, in qualsiasi compito e responsabilità è mai stato perfettamente coerente e trasparentemente luminoso? L’ipocrisia che Gesù ci invita a evitare come lievito velenoso è l’ipocrisia che è messa in atto come scelta di vita, come scelta definita dell’anima, come orientamento mentale preciso e scelto per assicurare la popolarità, ingrassare la reputazione, mantenere la celebrità, favorire l’etichetta, mantenere la facciata, il credito, la fama, l’onorabilità.
    Gesù insiste nel dire che è meglio temere Dio piuttosto che temere gli uomini e il loro giudizio e di conseguenza usare l’ipocrisia come arma di potere e prestigio. Che poi Gesù non intenda affatto ispirarci ad avere paura di Dio ma a diventare sapienti, rispettando la sua autorevolezza, è chiaramente esplicitato quando dice: Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!
    Gesù ci invita a liberarci per sempre dalla paura, dalla paura provocata dalla vanità e dall’ambizione. Ci ispira a smettere di aver paura, a smettere definitivamente di avere paura degli uomini, del loro giudizio, del loro riconoscimento, dei loro poteri terreni.


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    00 14/10/2011 08:41

    Venerdì 14 ottobre ’11 – Lc 12,1-7


    Commovente davvero è il modo con cui Gesù si rivolge ai suoi discepoli chiamandoli con l’appellativo di «amici miei». Nei testi evangelici questa è l’unica volta in cui si trova usato, insieme a Gv 15, 14-15. Anche lì i discepoli sono chiamati «amici», perché depositari di un’intimità inaudita. Dicendo ora a loro – e per ben due volte – di non avere paura, Gesù sembra presentarsi come l’amico fidato la cui vicinanza rende sereni nel pericolo, sicuri nell’affrontare il rischio. Stando insieme con Gesù e vivendo uniti a Lui i discepoli non debbono, non possono avere paura. Il racconto evangelico contiene una paradossale espressione circa il computo dei capelli del capo di ciascuno di noi. Anche il Salmo 147 dice che Egli «conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome». Simpatica, questa funzione calcolatrice di Dio, che conta le stelle del cielo e i capelli dell’uomo. Nel commento a quest’espressione, sant’Ambrogio scrive: «Dio non sta lì a fare meticolosamente da sentinella con la preoccupazione di elencare numeri; ma è opportunamente detto così perché noi contiamo quelle cose che non vogliamo vadano perdute» (VII,112). Vedendoci con le nostre paure, Gesù ci rassicura: Dio per primo vuole che non andiamo perduti!


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    Domenica 16 ottobre 2011
    29a del Tempo Ordinario

    Parola del giorno
    Isaìa 45,1.4-6; Salmo 95,1.3-5.7-10a.10c; Prima lettera ai Tessalonicési 1,1-5b; Vangelo di Matteo 22,15-21

    Antifona e Salmo 95,1.3-5.7-10a.10c
    Grande è il Signore e degno di lode.

    1 Cantate al Signore un canto nuovo,
    cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
    3 In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
    a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

    4 Grande è il Signore e degno di ogni lode,
    terribile sopra tutti gli dèi.
    5 Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
    il Signore invece ha fatto i cieli.

    7 Date al Signore, o famiglie dei popoli,
    date al Signore gloria e potenza,
    8 date al Signore la gloria del suo nome.
    Portate offerte ed entrate nei suoi atri.

    9 Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
    Tremi davanti a lui tutta la terra.
    10 Dite tra le genti: «Il Signore regna!»
    Egli giudica i popoli con rettitudine.


    Vangelo di Matteo 22,15-21

    In quel tempo, 15 i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
    16 Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17 Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?»
    18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?»
    21 Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».


    Sistemi


    Il sistema di Cesare è un sistema senza amore per costituzione, dunque è un sistema omicida per essenza e per natura. Il sistema di Cesare riempie bocche e biblioteche, parlamenti e cattedre di diritti e legislazioni ma, non essendo fondato in alcun modo sull’amore, è un sistema ladrone e omicida. Per il sistema di Cesare l’ingiustizia è naturale come lo sono la sopraffazione, la coercizione, gli eserciti, l’ambizione, il conflitto, l’assedio, l’inganno, lo sfruttamento. È evidente che la legge, la giustizia, l’economia, il mercato, la cultura senza amore sono un capestro per ogni singolo collo di uomo, sono una sedia elettrica sempre attiva dove è già seduto ogni singolo impero, governo e individuo. Nelle piazze del sistema di Cesare i poveri protestano e fanno le rivoluzioni chiedendo giustizia e ricevono, dai servi del sistema, bastonate, carcere, morte, oppressione. Il sistema di Cesare crede di creare l’assenso rompendo e tagliando teste, ma sa benissimo che non ha creato alcun consenso, ha solo eliminato un contestatore dissidente. Chiedere giustizia al sistema di Cesare è come chiedere refrigerio al cuore di un vulcano, è come chiedere a una leonessa affamata di non scagliarsi contro il cucciolo di una gazzella rimasto impigliato tra i rami. È stupido, inconcludente, sciocco, inutile, frustrante. I sistemi di Cesare si autodefiniscono laici, senza riferimenti religiosi, per rispetto di tutti, ma in verità sarebbe più corretto affermare che sono naturalmente e normalmente senza amore, senza alcun minimo riferimento alla forza e alla luce dell’amore.
    Il sistema di Dio è un sistema dove tutto deve essere amore per costituzione, per essenza stessa, dunque è un sistema vitale, rispettoso, armonioso per essenza e natura. Il sistema di Dio riempie il cuore e le menti delle supreme e sbalorditive ispirazioni evangeliche, perché l’uomo scelga e operi per il vero e splendido benessere di tutti gli uomini e di ogni essere vivente. Nelle piazze del sistema di Dio, gli uomini imparano e conoscono cosa sia la forza sconosciuta della condivisione rispettosa, la forza scientificamente evoluta della distribuzione delle energie e delle risorse che la terra e la natura offrono a tutti. Nel sistema di Dio si può chiedere di imparare ad amare, a perdonare, a essere grati e gratuiti nelle azioni di ogni giorno, perché è il sistema di Dio, il sistema più laico mai esistito, in quanto fondato sull’amore e per amore del popolo di Dio. Laico significa, appunto, “appartenente al popolo”. Il sistema di Cesare è in modo evidente un sistema di fiere rapaci, di uno contro l’altro, dove vince il più forte, il più ricco, il più prepotente. Il sistema di Dio è il sistema delle Beatitudini evangeliche, della compassione, del perdono, della condivisione. Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, dice Gesù. Gesù ci invita a rendere e a offrire a ogni sistema la stima e l’onore che riteniamo sia giusto. Questo è il modo più efficace per intraprendere e scegliere la nostra luminosa evoluzione o la nostra scomparsa dalla faccia della terra.


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