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LIPIKA - Biglietti dall'India - di Rabindranath Tagore

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2009 09:35
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22/01/2008 07:41



L'uomo superfluo



1



Era un perdigiorno, uno sfaccendato e per giunta un po' strambo.
Per lui lavorare significava coprire di terra dei fornelletti di legno e ornarli con piccole conchiglie. Da lontano tutto questo appariva come un quadro in disordine. Le conchiglie sembravano uno stormo d'uccelli, o un campo brullo su cui pascolassero mucche, o una teoria di colline digradanti tagliate da un sentiero o da un ruscello che scendesse lungo il pendio.
I suoi familiari lo rimproveravano di continuo e aspramente. Ogni tanto decideva di lasciare da parte per sempre le sue stranezze, ma le sue stranezze non lasciavano lui.


2



Ci sono ragazzi che per tutto l'anno non studiano mai, e che poi riescono a superare agevolmente gli esami contro ogni previsione.
Al nostro perdigiorno accadde qualcosa di simile. Aveva consumato tutta l'esistenza senza far niente, ma dopo la morte gli fu comunicato che gli veniva concesso di entrare in paradiso.
Ma il suo destino lo seguì anche in quel luogo. Infatti gli angeli lo avevano portato per errore nella zona riservata ai lavoratori. In questo settore si trovava di tutto, tranne che il tempo per riposarsi.
Gli uomini dicevano: « Non c'è tempo per fermarsi » e le donne: « Devo andarmene, ho tanto da fare » e tutti, in coro: « Il tempo è prezioso ». Nessuno diceva: « Il tempo non ha valore ».
Tutti si lamentavano d'essere stanchi e di non poter lavorare di più, ma erano molto felici. Un paradiso con il coro: « Sono stanco » per musica. A quel povero uomo sembrava un inferno: non potendo mai riposare non si sentiva a suo agio. Quando camminava per la strada era sempre distratto e ostacolava il cammino degli altri, perennemente occupati.
Se stendeva il suo mantello per sdraiarsi, qualcuno lo avvertiva che quello era un campo di grano, già arato e seminato, e così doveva alzarsi e andarsene.


3



Una ragazza inquieta veniva ogni giorno ad attingere acqua al ruscello del paradiso. I suoi passi risuonavano sulla strada come la musica allegra del sitar.
Quel giorno si era pettinata in fretta e alcune ciocche le ricadevano sulla fronte e sugli occhi, come se volessero gettare un rapido sguardo verso i suoi occhi neri e stupendi.
Il perdigiorno se ne stava vicino al ruscello, immobile come un albero di tamàl(*).
Il cuore della ragazza si intenerì per lui, così come si può commuovere il cuore di una principessa quando vede un mendicante sulla strada.
« Ehi! Non hai forse lavoro? »
« Non ho tempo per lavorare » rispose il perdigiorno sospirando.
La ragazza non comprese, e aggiunse: « Vuoi che ti dia del lavoro? »
« Con piacere! Io mi trovo qui precisamente per questo. »
« Che lavoro desideri? » chiese lei.
« Dammi una di quelle brocche con cui porti l'acqua. Mi piacerebbe dipingerla. »
La fanciulla, irritata, rispose che non aveva più tempo, che doveva andar via.
Ma quel perdigiorno era un uomo insistente. Nei giorni seguenti l'attese vicino al ruscello, rinnovando ogni volta la sua richiesta: « Dammi una delle tue brocche affinché possa dipingerla ».
Finalmente la ragazza acconsentì, e il perdigiorno cominciò a dipingere la brocca con un'infinità di linee e colori.
Quando il lavoro fu terminato, la ragazza prese la brocca e la osservò da ogni parte. Alla fine, aggrottando le sopracciglia, chiese: « Cosa significano queste figure? ».
Il fannullone rispose che non avevano nessun significato, e la fanciulla se ne andò con la brocca.
A casa, di nascosto, osservò le figure facendo ruotare la brocca sotto la luce. Di notte si svegliò molte volte, e sempre accendeva la lampada e contemplava in silenzio la brocca dipinta. Era la prima volta in vita sua che vedeva qualcosa priva di senso.
Anche il giorno dopo trovò il perdigiorno presso il ruscello, e gli chiese: « Cosa vuoi ancora? ».
« Dammi dell'altro lavoro. »
« Quale lavoro? »
« Se lo desideri, ti farò dei nastri per le trecce con dei fili colorati. »
« A che mi serviranno quei nastri? »
« A niente. »
Il perdigiorno fece delle fettucce con fili di colori diversi e con diversi disegni.
Ormai la fanciulla aveva perduto ogni voglia di lavorare. Rimaneva davanti allo specchio a intrecciarsi i capelli, perdendo così la misura del tempo. Consumava ore e ore senza far niente.


(*)Tamàl: palissandro, molto ricco di fogliame e prodigo d'ombra.



4


In quel paradiso del lavoro gli abitanti avvertivano che qualcosa non funzionava più come un tempo. Il ritmo del lavoro era continuamente interrotto da pause piene di lamenti e di canti.
I vecchi saggi del paradiso, preoccupati, si riunirono in consiglio, e dissero: « Non è accaduto mai nel paradiso qualcosa di simile ».
Il perdigiorno fu presentato al consiglio. Dal suo turbante dai colori vivaci e dalla fascia splendente che gli cingeva la vita, tutti si resero conto che era stato commesso un grave errore. Il presidente dell'assemblea sentenziò: « Tu devi tornare sulla terra ».
Il perdigiorno prese i suoi colori e con un sospiro di sollievo rispose: « Sono felice di andarmene ».
Si presentò la fanciulla e disse: « Vado con lui ».
Il vecchio presidente rimase stupito. Per la prima volta aveva visto una cosa del tutto priva di significato.









_________Aurora Ageno___________
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