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Notizie dai giornali (cartacei o del web)- 67° - Poche sorprese. Francesco è fatto così

Ultimo Aggiornamento: 04/04/2013 18:23
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15/05/2012 19:13



Un convegno alla Cattolica sulla cura delle persone colpite da gravi lesioni cerebrali

Per non dimenticare i "cittadini trasparenti"

di LAURA GOTTI TEDESCHI






Chi si prende cura di chi cura? È questa la domanda che ha fatto da sfondo al convegno svoltosi a Milano, all'Università Cattolica del Sacro Cuore, con il titolo "Il risveglio della coscienza. Curare e prendersi cura delle persone in stato vegetativo e di minima coscienza", organizzato per "risvegliare" la coscienza della società, che fatica ad affrontare la disabilità attraverso le strutture del welfare.
Lo scopo del convegno è stato quello di creare consapevolezza, di natura culturale e relazionale, per percepire la rilevanza di un problema che non può essere ricondotto soltanto ai dibattiti della bioetica. Cioè a quei conflitti esasperati che hanno dominato il mondo dei media, in questi ultimi anni, rispetto alle situazioni delle persone in stato vegetativo e di minima coscienza. Qui invece ci si è proposti di far emergere i vissuti e i bisogni esistenziali delle persone (familiari o caregivers) che hanno in cura e in assistenza questi pazienti.
La malattia e la disabilità cambiano e stravolgono quegli ambienti in cui noi costruiamo la nostra vita e le nostre relazioni significative. Per questa ragione è necessario sostenere chi, per affetto o per professione, ha il compito di ricostruire un mondo fatto di progetti e aspettative anche all'interno dell'ambiente in cui si trovano i pazienti: laddove può non essere sempre possibile guarire, si può e si deve sempre curare la persona malata, poiché anche chi è inguaribile è pur sempre curabile.
La questione della malattia e della disabilità, prima che questione clinica è, dunque, una questione antropologica: il nostro sguardo di persone sane rivolto alle persone malate non deve essere diretto a ciò che manca, ma a ciò che la persona malata è. Cioè un essere umano che gode di una dignità intrinseca. Solo in questo caso la prospettiva della cura e del prendersi cura può essere realmente attiva. Il concetto di "io trasparente", elaborato dalla filosofa americana Kittay, spiega bene in quale condizione si trovano le persone, familiari o assistenti, che hanno in cura i pazienti con gravi disabilità. Essi sono "trasparenti" in quanto mettono da parte se stessi e i loro diritti, per dedicarsi totalmente all'altro, quasi annullandosi. Ma rischiano di essere "trasparenti" anche per la società e per l'opinione pubblica.



(©L'Osservatore Romano 16 maggio 2012)



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