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LA MIA ESPERIENZA IN INDIA -1972- Prima parte (l'incontro)

Ultimo Aggiornamento: 23/06/2008 17:57
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17/06/2008 14:23

MADRE TERESA (parte prima) l'incontro.

Premessa e dedica
Dedico questo racconto, di un pezzo della mia vita, a Maria Antonietta e Francesca ringraziandole perché mi hanno fatto ricercare i miei appunti di viaggio giovanili messi in un angolo.
In questo caso però mi sono serviti solo per alcune date ed episodi, il resto, nonostante siano passati trent'anni è ancora vivo nella mia mente come se fosse stato ieri, soprattutto quegli occhi, quella forza interiore e... mi fermo qui. Nel racconto spero di riuscire a descrivere quello che ho sentito e continuo a sentire nell'animo. Ma le parole sono sempre una limitazione a ciò che uno vorrebbe descrivere si si potesse parlare con il cuore.
Giuliano

1972:
Compivo il mio 18° anno di età il 1° luglio, erano due anni che subivo una crisi religiosa, non mi importava più di niente, vivevo senza nessun ideale; ero uscito dalla contestazione studentesca del '68/69 vuoto e in parte deluso.
Festeggiavo, con Bruno e Franco, in gelateria il raggiungimento della mia maggiore età, mio padre quel giorno mi aveva perfino dato le chiavi di casa dicendomi:
- da oggi puoi rientrare dopo le 11 di sera, però questo non vuol dire esagerare, devi avere coscienza della tua libertà da maggiorenne, non credere che ti sia permesso tutto! L'uso della maggiore età non significa che devi abusarne e dare pensiero di te a chi vive in casa con te.

Bruno era figlio, nipote, pronipote di notai, credo che la sua famiglia avesse fondato la categoria, tanto si perdeva nella notte dei tempi, aveva appena finito il liceo classico e, per tradizione sarebbe andato all'università per preparasi a cogliere l'eredità del padre.
Franco era un estroso, a lui piaceva tutto e di tutto, il padre, impiegato amministrativo e la madre, centralinista in un'azienda, gli avevano lasciato ampia libertà di scelta, da un anno si era iscritto al conservatorio, voleva diventare un musicista ed imparare a suonare vari strumenti.

Io, figlio di operai, avevo abbandonato gli studi a 15 anni, in Seminario, in parte per l'atteggiamento "fascista" dei preti che lo dirigevano (aprivano la mia posta, cancellavano con pennarello nero le righe che non si potevano leggere, ci portavano a passeggio per le colline per evitare che guardassimo le ragazze che frequentavano la piazza ecc.), ma il motivo principale fu la caduta di mio padre dai 12 metri di una gru edile (vivo per miracolo) ed io dovetti assumermi sulle spalle il mantenimento della famiglia, a quei tempi l'Inail pagava dopo 4-5 mesi.

Eravamo amici da una vita. Quella sera, davanti ad un mega gelato stavamo discutendo di cosa fare, da una settimana avevo finito il mio lavoro e non ne avrei cercato un altro fino a settembre, volevo godermi un paio di mesi di ferie.
- Dove potremmo andare? - chiese Bruno.
- Potremmo fare un giretto per l'Europa, tenda, sacco a pelo e via. - propose Franco.
- Per me va bene - aggiunsi io - il tempo di fare il passaporto e sono con voi.
Entrarono i genitori di Bruno e quelli di Franco, mi fecero gli auguri e ci chiesero che programmi avevamo.
Spiegammo le nostre idee, ma il padre di Bruno intervenne:
- Perché non andate a fare un giro più largo e istruttivo? Oggi va di moda l'Oriente, anche i Beatles sono andati in India, andateci anche voi così meditate un po' sulla vostra prospettiva di vita invece di ciondolare in giro senza niente da fare.
- Eh bravo, - rispose Bruno - ma lì non ci possiamo mica andare in auto!
- Beh - intervenne il padre di Franco. - io potrei darvi un contributo per il volo aereo!
- Allora facciamo così - terminò il papà di Bruno - noi vi offriamo il biglietto aereo di andata e ritorno, però al resto ci pensate voi almeno così cominciate a responsabilizzarvi un pochino; guardate il vostro amico, che a 16 anni ha mantenuto la famiglia mentre voi ve la siete spassata con i soldi dei vostri padri, anzi il viaggio a lui lo pago io, perché se lo è meritato.
Tacqui, ma mi sono venuti in mente quei genitori che, danno tutto ai figli per non averli intorno, poi si lamentano perché hanno poco dialogo con loro e, infine, se ne escono con frasi del tipo: "vedi quello? Vorrei avere io un figlio così".
Cercai di rifiutare, qualcosa avevo da parte, non certo per pagarmi il biglietto aereo, ma fra l'insistenza di Franco e Bruno, quella dei loro genitori cedetti, diciamo che volevo cedere, ma... questo lo so solo io.
Decidemmo la partenza per metà luglio, fra il preparare le cose da portare, niente valigie, ma una borsa a testa di bagaglio, comoda da portare in giro e un po' di soldi, meglio se dollari, per vivere almeno una quindicina di giorni.

16 luglio:
Partiti! Volo da Milano per Istanbul e poi direttamente Calcutta dove una guida, prenotata dal padre di Bruno, ci avrebbe fatto conoscere usi e costumi indiani e magari anche un monastero di monaci buddisti.

17 luglio:
Arrivati! Sembrava che il volo fosse stato relativamente breve, ma volando verso il sorgere del sole i fusi orari passavano più velocemente, le ore erano poche ma il fuso orario ci aveva tolto un giorno. La guida, ci aspettava all'aeroporto, ci condusse in un albergo relativamente economico, 2 dollari al giorno, dove potemmo recuperare il fuso orario facendo una doccia e riposandoci. Avremmo fatto conoscenza con Calcutta dopo un paio di giorni. Il nostro corpo diceva una cosa mentre l'orario locale ne diceva un'altra, non ci capivamo, e per questo la guida ci consigliò di riposarci, sarebbe ripassato lui.

19 luglio:
Ritornò dopo un giorno e mezzo il mattino verso le 9,30 locali, ormai avevamo assimilato il cambio di fuso orario, ed eravamo pronti per un primo giro di Calcutta.
Quel giorno, a bordo di una jeep, forse residuo dell'occupazione inglese, ci fece conoscere il centro, città, cioè la zona più agiata. Un formicaio di gente che andava e veniva, di bancarelle e mercati che vendevano di tutto.
Osservai i palazzi costruiti in varie epoche, dal periodo coloniale al periodo moderno, architetture strane, dal grattacielo di recente costruzione alla villa padronale dei signorotti indiani, tutto costruito di seguito, senza ordine di consecutività.
Percorremmo anche un pezzo della via principale a piedi, seguendo le raccomandazioni della guida per non perderci e approfittammo per acquistare qualche ricordino da portarci a casa al ritorno. Ogni tanto notai che la guida ci faceva aggirare delle persone, quasi sempre malvestite, le quali si addossavano al muro. Anche i mendicanti venivano aggirati e se qualcuno faceva l'elemosina, gettava delle rupie standosene a non meno di due metri. Chiesi, facendolo nel modo più casuale possibile anche se lo immaginavo, una spiegazione e mi sentii rispondere che erano gli intoccabili, gente immonda "paria".
Vedemmo moltissime cose, varie razze di abitanti abbigliati ognuno in modo diverso in base alla loro etnia, c'erano anche molti occidentali che vivevano lì o c'erano per turismo. Rientrammo in albergo verso sera impolverati sudati e stanchi ma contenti del giro turistico. L'alberghetto ci sembrò un'oasi dopo quel bagno di folla, ma noi avevamo bisogno di un altro bagno, tirammo a sorte la precedenza, mentre sfatti ci lasciavamo cadere sui letti.
Bruno chiese alla guida se per il giorno dopo fosse stato possibile visitare qualche quartiere periferico, la guida tentennò qualche minuto ma poi acconsentì. Dormimmo come sassi protetti dalle tendine a velo che ci salvavano dalle zanzare.

20 luglio:
Sempre con la jeep sferragliante, la guida ci condusse verso la periferia, man mano che ci si allontanava dal centro la folla diminuiva ed anche l'abbigliamento dei passanti era più sobrio, la guida si fermò in una piazza, di cui non ricordo il nome, la chiuse mettendoci anche una grossa catena attorno al volante ed alla pedaliera e ci disse:
- Bene, questi sono i quartieri poveri della città, dovete promettermi di non toccare nulla se non prima di avermelo chiesto, non ci dovrebbero essere pericoli comunque la polizia è sempre in giro.
Annuimmo e lo seguimmo per una strada che, come la piazza, non era proprio il massimo della pulizia, c'erano dei mucchi di rifiuti qua e là e l'aria aveva uno strano odore, le costruzioni erano più basse a vecchie, sembrava di essere tornati indietro di un secolo, panni appesi dalle finestre, gatti e cani randagi, qualche mucca dalle lunghe corna e magrissima e della gente che passava guardandoci incuriosita.
Erano passate un paio d'ore durante le quali la guida ci indicava in quali negozi potevamo entrare e in quali no, ci spiegava che tipo di gente viveva in quei quartieri, ci faceva girare al largo da qualche abitazione, di non toccare quel muro, tutte cose strane che potevamo immaginare anche se non capivamo.
Da un vicoletto laterale uscì un uomo che chiese, in modo un po' concitato, alla guida se potevamo aiutarlo, la guida si bloccò poi, dopo qualche tentennamento, lo seguimmo per il vicoletto. L'uomo entrò attraverso una porta ma la guida si fermò all'improvviso dicendoci:
- No! Non entrate!
- Perché? - Chiese Bruno guardando attraverso l'uscio diroccato.
- E' un luogo immondo - replicò la guida arretrando.
Sbirciando vedemmo in un angolo della stanza una un'ombra stesa a terra, accanto c'era una figura di spalle, indossava una tunica bianca con delle bande azzurre.
Ignorando la guida ci precipitammo nella stanza, l'uomo che ci aveva chiesto aiuto mormorò qualcosa all'orecchio della figura in abito bianco che stava bendando una donna distesa su un fasci di erbe secche e stracci, da in fagotto, che stringeva fra le braccia quest'ultima, uscì un lamento fanciullesco.
La figura vestita di bianco e azzurro si voltò, in perfetto inglese, ci disse di prendere la barella che si trovava lì vicino.
Era alta circa un metro e sessanta, un viso anziano segnato da rughe, più o meno, pensai, sui 60 / 70 anni, ma gli occhi... gli occhi, vivi, profondi, scuri. Io e Franco prendemmo la barella mentre Bruno aiutò l'uomo ad alzare l'inferma e adagiarcela sopra. Era magrissima, con dei stani gonfiori al viso, le mani e avambracci le erano stati fasciati dalla signora anziana, sembrava non avesse peso, e fra le braccia teneva un bambino sui sei o sette mesi che si muoveva appena.
- Presto! - disse la signora o li perdiamo tutti e due.
Uscimmo con la barella, la guida arretrò quasi urlandoci:
- Pazzi che avete fatto? Quella ha la lebbra ed è una intoccabile, dovrete lavarvi con le acque del Gange se volete purificarvi, ora siete immondi anche voi.
Si voltò e fuggì dal vicolo. Rimanemmo sorpresi, Bruno cercò di fermarlo senza successo sembrava avesse il diavolo alle calcagna tanto correva.
- Non ci pensate, - ci disse la signora, la cui voce aveva una profondità che non potevo fare a meno di ascoltare.- Venite!
In fondo al vicolo c'era un vecchio camion coperto, appoggiammo la barella sul cassone mentre L'uomo salì al posto di guida e la bianca signora saliva sul cassone a fianco della barella.
- Venite! - ci ripeté la signora in bianco - la vostra guida vi ha abbandonato se non conoscete la città vi potrete perdere.
Ci guardammo a vicenda dandoci un muto assenso, quindi salimmo assieme a lei. Il fatto della lebbra ci aveva un po' impressionato, io non avrei mai pensato di arrivare così vicino ad un malato di quella terribile malattia. Il cuore mi batteva forte. Dove ci siamo cacciati? Mi chiesi, ma la voce della signora aveva un qualcosa di calmante e rassicurante mentre con gentilezza ci chiedeva chi eravamo e cosa facevamo da quelle parti.
Bruno e Franco che conoscevano l'inglese meglio di me la misero al corrente del nostro viaggio, mentre lei ci studiava con quegli occhi profondi.
- La vie del Signore sono infinite. - disse alla fine - E' Lui che vi ha mandati perché ne avevo bisogno.

Rimanemmo in silenzio appoggiati alle sponde del saltellante camion che aveva imboccato una strada sterrata fuori dalla città, non riuscivo a togliere lo sguardo da quella vecchia signora che aveva una vitalità da ragazzina mentre accarezzava e consolava la donna che continuava a stringere il bambino fra le braccia.
La mia mente si arrovellava alla ricerca di qualcosa che avevo sentito dire o visto in televisione ma che continuava a sfuggirmi.
Mai e poi mai avrei immaginato che quell'incontro avrebbe stravolto completamente la mia, anzi le nostre, vite.

G. (continua)

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Utente Gold
17/06/2008 14:54


(Non vorrei intromettermi con queste parole, ma desidero troppo dirti che questo che ci fai è un dono raro e prezioso!! Ti seguo con il fiato sospeso...)






_________Aurora Ageno___________
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17/06/2008 17:05

Re:
auroraageno, 17/06/2008 14.54:


(Non vorrei intromettermi con queste parole, ma desidero troppo dirti che questo che ci fai è un dono raro e prezioso!! Ti seguo con il fiato sospeso...)



Ti ringrazio, dopo tanti anni... io, al pensiero, il fiato sospeso ce l'ho ancora.



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Oh Uomo! conosci te stesso! (Oracolo di delfi)
23/06/2008 17:55



Trovo tanta dignità e saggezza in quegli occhi che mi ricordano una piccola suorina ancora sconosciuta.

vado alla seconda parte.


Gasp leggo ora che trattasi proprio da lei, avevo saltato il titolo sottostante.
[Modificato da fiordineve 23/06/2008 17:57]
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