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L'ISOLA DEL TESORO - di Robert Louis Stevenson - Completo -

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 20:01
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Capitolo 26

Israel Hands



Il vento favoriva il nostro desiderio soffiando verso ponente, cosicché potevamo correre
dalla punta nord-est dell'isola alla bocca della baia del Nord molto più agevolmente.
Non avendo però la possibilità di ancorarci, e non osando arenare prima che la marea
fosse salita un bel po', avevamo del tempo d'avanzo. Il quartiermastro mi disse in quale
modo mettere il bastimento in panna; vi riuscii dopo molti tentativi, e in silenzio ci
sedemmo per fare un altro pasto.
"Capitano" disse infine con lo stesso inquietante sorriso "ecco qui il mio vecchio
camerata O'Brien. Io penso che tu vorrai bene gettarlo in mare. Io, in genere, non sono
troppo delicato, e non mi faccio nessuna colpa per averlo conciato così; ma, non lo
trovo decorativo, ti pare?" "Io non mi sento forte abbastanza" risposi "e non è una
faccenda che mi piaccia. Per me, può restare dov'è." "E' un bastimento che porta
disgrazia questa 'Hispaniola', Jim" continuò lui ammiccando. "Un mucchio di uomini
sono stati uccisi su questa 'Hispaniola': una fila di poveri marinai morti e seppelliti da
quando tu ed io ci imbarcammo a Bristol. Mai ho visto una così maledetta sorte, io,
mai. Questo O' Brien era pure dei nostri, e ora è morto, no? Ebbene, senti, io non sono
istruito, mentre tu sei un ragazzo capace di leggere e scrivere; per parlar chiaro, credi
tu che un uomo morto sia morto per davvero, o torni a vivere di nuovo?" "Voi potete
uccidere il corpo, signor Hands, ma non lo spirito, dovreste pur saperlo. O' Brien è
passato in un altro mondo, e forse in questo momento ci spia." "Ah" disse lui "questo è
spiacevole: vuol dire che ammazzare la gente non è che un perder tempo. Comunque
sia, gli spiriti non contano molto, a quanto ho visto.
Mi ci voglio misurare, io, con gli spiriti, Jim. E ora, che hai parlato liberamente, mi
useresti una vera cortesia se volessi scendere giù in cabina a prendermi una... ma sì,
una... corpo di Satanasso! non riesco a tirar fuori il nome; ah, ecco, una bottiglia di
vino, Jim; quest'acquavite è troppo forte per la mia testa." L'esitazione del
quartiermastro non mi parve naturale, e quanto al suo preferire il vino all'acquavite, non
gli credetti affatto.
L'intera storia non era che un pretesto. Egli voleva allontanarmi dal ponte, questo era
evidente: ma, a quale scopo, non riuscivo a immaginare. I suoi occhi evitavano di
incontrarsi coi miei: essi vagavano senza posa da un punto all'altro; e ora si volgevano
al cielo, ora con un rapido sguardo al cadavere di O' Brien. Egli non smetteva di
sorridere e di tirar fuori la lingua con un'aria così colpevole e imbarazzata che persino
un ragazzo avrebbe detto che stava macchinando qualche tradimento. Io peraltro non
esitai a rispondere, perché ero conscio della mia superiorità su di lui, e convinto che
con un essere così supinamente stupido, avrei potuto facilmente tener nascosti i miei
sospetti fino alla fine.
"Del vino?" dissi. "Perfettamente. Bianco o rosso?" "Bah! Ti confesso che per me è
quasi la stessa cosa. Purché sia forte e abbondante, che differenza c'è?" "Benissimo"
risposi. "Vi darò del Porto, signor Hands. Ma mi toccherà faticare, per trovarlo." Dopo di
che mi infilai nel portello con tutto il fracasso possibile; mi levai le scarpe, percorsi
piano piano il corridoio, e salito per la scala di prua, misi fuori la testa da quel
boccaporto. Io sapevo che lui non si sarebbe aspettato di vedermi là, tuttavia non
trascurai nessuna precauzione, ed effettivamente i miei peggiori sospetti risultarono
giustificati.
Egli si era alzato sulle mani e sulle ginocchia, e sebbene la gamba gli facesse un gran
male mentre si muoveva - lo sentii infatti soffocare un gemito - riuscì tuttavia a
attraversare abbastanza rapidamente il ponte. In mezzo minuto raggiunse gli ombrinali
di babordo, e tirato fuori da un rotolo di cordame un lungo coltello, o meglio un corto
pugnale macchiato di sangue fino all'impugnatura, lo esaminò un istante con una truce
smorfia, ne provò la punta sulla mano, poi, nascostolo in fretta sotto il camiciotto,
raggiunse precipitosamente il suo posto di prima contro il bastingaggio.
Avevo visto abbastanza. Israel poteva muoversi, era armato adesso; e la gran pena
che si era data per liberarsi della mia presenza diceva chiaro che ero io la vittima
designata. Che cosa avrebbe fatto poi? Si sarebbe sforzato per attraversare l'isola
trascinandosi dalla baia del Nord al campo della palude? O avrebbe sparato un colpo
di cannone con la speranza di far accorrere i compagni in suo aiuto? Qui,
naturalmente, ero al buio.
Sentivo però di potermi fidar di lui riguardo a un punto di comune interesse; ed era la
sorte della goletta. Tutti e due tenevamo a portarla ad arenare in salvo; in un luogo
riparato, di modo che, a tempo opportuno con poco rischio e disagio, la si potesse
condurre fuori di là: finché ciò non fosse avvenuto, la mia vita, pensavo, sarebbe stata
sicuramente risparmiata.
Mentre la mia mente girava intorno a queste cose, il mio fisico non era rimasto
inoperoso. Di furia ero ritornato nella cabina, mi ero rimesso le scarpe, avevo arraffato
a caso una bottiglia di vino; e, con questa in mano a giustificazione del ritardo, ero
riapparso in coperta.
Hands giaceva come l'avevo lasciato, ripiegato su di sé, e raggomitolato, le palpebre
abbassate come fosse troppo debole per sopportare la luce. Al mio sopraggiungere
dette peraltro una sbirciata in su, ruppe il collo della bottiglia con la disinvoltura d'uno
abituato a quel gesto, e tracannò un lungo sorso accompagnandovi il suo brindisi
favorito: "Alla nostra buona fortuna!". Rimase un momento quieto, e poi, tirato fuori un
rotolo di tabacco, mi pregò di tagliargli una cicca.
"Tagliami un pezzetto di questo," disse "non ho il coltello, io, e se anche lo avessi mi
mancherebbe la forza. Ah, Jim, Jim, riconosco che ho sbagliato manovra! Tagliami un
pezzetto, che sarà forse l'ultimo, ragazzo; perché io sto incamminandomi verso quella
lontana dimora, e non c'è dubbio!" "Sta bene, vi taglierò un po' di tabacco; ma se fossi
in voi e mi sentissi così male, io direi le mie orazioni da buon cristiano." "O perché?"
fece lui. "Su, dimmi un po' perché." "Perché?" gridai. "Non stavate poco fa
interrogandomi a proposito del morto? Voi avete mancato alla parola data, siete vissuto
in peccato menzogna e sangue; c'è qui un uomo che avete ucciso e vi giace ai piedi in
questo momento, e voi mi domandate perché! Per l'amor di Dio, mastro Hands, ma è
questo il perché!" Parlavo con un certo calore pensando al pugnale insanguinato che
egli teneva nascosto nella sua tasca e destinato al suo perfido disegno di sopprimermi.
Egli, dal canto suo, bevve un'altra lunga sorsata di vino, e con un tono di eccezionale
solennità riprese:
"Durante trent'anni ho corso i mari e ho visto il buono e il cattivo, e il meglio e il peggio,
il bel tempo e la burrasca, e le provviste esaurirsi, e i coltelli lavorare, e cos'altro non ho
visto? Ebbene, ora io ti dico che mai ho visto dalla bontà uscire il bene. Io sono per chi
picchia per primo; i morti non mordono:
questa è la mia opinione... amen, così sia. E ora ascoltami" aggiunse cambiando tono
a un tratto "basta con queste sciocchezze.
La marea è sufficientemente alta, adesso. Ti darò i miei ordini, capitano Hawkins, e
sarà cosa fatta." Ci rimanevano appena, tutto calcolato, un paio di miglia da fare; ma la
navigazione era delicata, l'imboccatura di questo ancoraggio nord era non solo stretta
e poco profonda, ma orientata da est a ovest, in modo che per entrare bisognava
governare la goletta con molta abilità. Io ero, credo, un buon subalterno e Hands era
certamente un ottimo pilota, poiché andammo intorno intorno piegando di qua e di là,
rasentando i banchi di sabbia con una precisione e accuratezza che facevano piacere
a vedere.
Subito dopo superata la bocca, la terra ci circondò da ogni parte.
Le rive della baia del Nord erano altrettanto boscose quanto quelle dell'ancoraggio sud;
ma lo specchio d'acqua si distendeva più lungo e più stretto, e somigliava di più
all'estuario di un fiume, come in realtà era. Dritta davanti a noi, all'estremità sud, si
scorgeva la carcassa d'un bastimento naufragato in completo sfacelo. Era stato un
grande trealberi, ma tante intemperie e stagioni vi erano passate sopra, che lungo i
fianchi gli pendevano come delle reti di alghe gocciolanti, e in coperta erbe terrestri
avevano messo radici, e ora si ornavano di una ricca fioritura. Malinconico spettacolo,
in verità, ma che denotava la tranquillità del rifugio.
"E ora," disse Hands "guarda: c'è un bel posticino là per arenarvi. Un fondo di sabbia
fina e liscia, senza una ruga; alberi tutt'intorno e fiori che sbocciano come un giardino
su quella vecchia nave." "Ma una volta arrenati" domandai "come faremo a rimetterci a
galla?" "Ebbene," rispose lui "ascolta. Con la bassa marea, tu porti un cavo a terra, da
quell'altra parte; lo fai girare intorno al tronco di uno di quei grossi pini; riporti il cavo a
bordo, lo leghi all'àrgano, e aspetti l'alta marea. Venuta l'alta marea, tutto l'equipaggio
sul cavo ad alare, e il bastimento esce via facile come un olio. E ora, ragazzo mio,
attenzione. Siamo vicini al posto, e abbiamo troppo abbrivo. Un po' più a tribordo, così,
diritto, a tribordo, a babordo un po', diritto, diritto!" Così egli lanciava i suoi comandi che
io eseguivo senza fiatare, finché tutt'a un tratto gridò: "E ora, mio caro, forza!" Ed io
con tutta la mia forza passai la barra al vento, e l'"Hispaniola" virò rapidamente e corse
con alta la verga di prua verso la piatta riva boscosa.
L'eccitazione di queste ultime manovre aveva molto allentato la vigilanza da me fino ad
allora esercitata con sufficiente attenzione sul quartiermastro. Completamente assorto
nell'attesa che la nave toccasse, avevo del tutto dimenticato il pericolo che incombeva,
e stavo curvo sul bastingaggio di tribordo a osservare la schiuma che si allargava
davanti al tagliamare; quando mi guardai attorno, Hands era lì vicino a me e che col
pugnale nella sua destra.
Credo che tutti e due gettammo un forte grido quando i nostri occhi si incontrarono: ma
mentre il mio era il grido del terrore bianco, il suo era un ruggito di rabbia pari a quello
del toro che assale. Egli mi si lanciò contro, ed io con un balzo mi spostai di lato, verso
prua. In quell'atto mollai la barra del timone che si abbatté violentemente a babordo; e
fu indubbiamente questo che mi salvò la vita, giacché la barra colpì Hands in pieno
petto e lo lasciò per un momento intontito.
Prima che potesse riaversi io ero al sicuro fuori dall'angolo dove mi aveva stretto, con
davanti, libera tutta la coperta. Proprio di fronte all'albero di maestra mi fermai, tirai
fuori dalla tasca una pistola, mirai con sangue freddo, anche se si era già voltato e mi
si gettasse di nuovo contro, e tirai il grilletto. Il cane si abbassò, ma non seguì né
lampo né detonazione: l'umidità marina aveva guastato la polvere. Maledissi la mia
trascuratezza. Come mai non avevo da tanto tempo cambiato l'esca e la polvere delle
mie uniche armi? Non sarei stato come adesso un nudo agnello che fugge dinanzi al
beccaio.
Sorprendente era la sveltezza con cui, ferito com'era, egli si muoveva, coi suoi capelli
grigi spioventi sugli occhi, rosso in viso come il rosso d'una bandiera, ubriaco di
precipitazione e di furore. Io non ebbi tempo né, in realtà, molta voglia di provare l'altra
pistola, persuaso che sarebbe stato inutile. Una cosa vidi chiaramente: cioè che non
dovevo limitarmi a indietreggiare, altrimenti ben presto egli mi avrebbe spinto e stretto
contro la prua, così come un attimo prima quasi mi aveva stretto contro la poppa. Una
volta così catturato, nove o dieci pollici del pugnale sporco di sangue sarebbero stati
l'ultima mia esperienza da questa parte dell'eternità. Appoggiai il palmo delle mani
sull'albero di maestra, che era di notevole grossezza, e aspettai con tutti i miei nervi
tesi.
Vedendo che io mi preparavo a spostarmi, si fermò anche lui, e passarono alcuni
istanti in finte da parte sua e corrispondenti mosse da parte mia. In questo modo io
avevo spesso giocato a casa, tra le rocce della baia della Montagna nera, ma non
certo, lo si può credere, con un simile batticuore. Tuttavia, come sto dìcendo, era un
gioco da ragazzi, ed io mi sentivo capace di vincere la partita, contro un marinaio
anziano e ferito a una coscia. In verità ero talmente imbaldanzito che mi permisi alcune
furtive riflessioni sulla probabile fine della contesa. Ma, mentre ero certo di poterla
tirare molto in lungo, non vedevo alcuna speranza di un definitivo scampo.
Le cose stavano a questo punto, quando all'improvviso l'"Hispaniola" urtò contro il
fondo, vacillò, sfregò un istante con la chiglia la sabbia, e poi, come sotto un potente
ceffone, sbandò sulla sinistra, in modo tale che il ponte fece un angolo di
quarantacinque gradi e dai fori degli ombrinali scaturì una mezza tonnellata d'acqua
che si allargò come uno stagno fra il mezzo del ponte e il bastingaggio.
Tutti e due noi andammo a gambe levate e quasi insieme ruzzolammo negli ombrinali,
mentre il morto dal berretto rosso, con le sue braccia sempre stese in croce, venne
rigido a sbattere dietro a noi. Eravamo così vicini, che la mia testa urtò sul piede del
quartiermastro e i miei denti ne scricchiolarono. Malgrado il colpo e tutto, fui io il primo
a rialzarmi, tanto più che Hands era rimasto ostacolato dal corpo dell'ucciso.
L'improvviso sbandamento della nave aveva reso il ponte inadatto alla corsa:
dovevo escogitare qualche altro mezzo di evasione, e questo all'istante, poiché il mio
avversario mi era quasi alle costole.
Rapido come il lampo saltai sulle sartie di mezzana, divorai le griselle una dopo l'altra,
e non ripresi fiato se non quando mi trovai installato sulla verga di gabbia.
La mia prontezza mi aveva salvato: il pugnale aveva colpito neanche un mezzo piede
al disotto di me, mentre io scappavo su, e Israel Hands rimase lì a bocca aperta, la
faccia tesa verso di me, proprio come fosse la statua della sorpresa e della delusione.
Poiché l'attimo era mio, non indugiai a cambiare l'innesco alla mia pistola, e appena
una fu in ordine, mi affrettai, per maggior sicurezza, a vuotare l'altra e ricaricarla da
capo.
La mia nuova occupazione sconvolse Hands: egli cominciò a capire che la sorte gli
girava le spalle; e dopo una evidente esitazione si alzò pesantemente fra le sartie e col
pugnale tra i denti incominciò con penosa lentezza a salire. Gli ci volle molto tempo e
lamenti a tirarsi dietro la sua gamba ferita; ma prima che egli avesse coperto poco più
di un terzo della distanza che ci separava, io avevo tranquillamente finito i miei
preparativi.
Allora con una pistola in ogni mano mi rivolsi a lui.
"Un passo di più, mastro Hands, e vi brucio le cervella. I morti non mordono, lo sapete
bene" aggiunsi con una risatina.
Di colpo si fermò. Io lessi nelle contrazioni del suo volto gli sforzi che egli faceva per
riflettere; e il processo era così lento e laborioso che, forte della mia recuperata
sicurezza, scoppiai in una risata. Finalmente, dopo aver inghiottito una o due volte la
saliva, parlò con ancora sulla faccia i segni della stessa estrema perplessità. Dovette,
per parlare, togliersi il pugnale dalla bocca, ma non fece altro.
"Jim," disse "vedo che siamo a un brutto punto, tu ed io, e ci conviene concludere la
pace. Io ti avrei preso se non fosse stato per quello sbandamento, ma non ho fortuna,
io, e vedo che mi tocca ammainare; cosa dura, capisci, per un mastro marinaio come
me, di fronte a uno sbarbatello tuo pari, Jim." Io bevevo le sue parole sorridendoci
sopra, tronfio come un gallo in cima a un muro, quando in un battibaleno la sua mano
destra sormontò le sue spalle. Qualche cosa ronzò come una freccia attraverso l'aria;
io sentii un urto e poi un lancinante dolore e mi trovai conficcato all'albero per una
spalla. Nel bruciore dello spasimo e nella scossa della sorpresa, non posso dire
completamente di mia volontà ma sono comunque certo che non mirai, tutt'e due le
mie pistole scattarono, e tutt'e due mi caddero di mano. Esse non caddero sole: con un
grido soffocato il quartiermastro lasciò andare le sartie, e piombò in mare a capofitto.




(continua)

_________Aurora Ageno___________
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21/01/2009 19:41


Capitolo 27

"Pezzi da otto"



Stante l'inclinazione della nave, gli alberi pendevano per un bel pezzo sull'acqua, e
dalla mia gruccia del pennone di gabbia io non avevo sotto di me che la superficie della
baia. Hands, che non era salito tanto, stava perciò più vicino al bastimento, ed era
caduto fra me e il bastingaggio. Egli tornò a galla una volta in un cerchio di spuma e
sangue, dopodiché affondò per davvero. Tornata calma l'acqua lo vidi giacere
raggomitolato sulla nitida sabbia lucente, nell'ombra dei fianchi della nave. Uno o due
pesci guizzarono lungo il suo corpo. A volte nel tremolìo dell'acqua sembrava muoversi
un po', quasi tentasse di alzarsi. Ma, colpito da un paio di palle, e per giunta annegato,
egli era ben morto, ed era carne per i pesci in quel preciso luogo dove egli aveva
pensato di scannarmi.
Mi ero appena convinto di questo, che cominciai a sentirmi venir meno per la
stanchezza e la paura. Il sangue caldo mi scorreva sul petto e per la schiena. Il
pugnale, nel punto dove m'aveva inchiodato la spalla all'albero, bruciava come un ferro
arroventato: tuttavia quello che mi torturava non era tanto questa sofferenza fisica, che
avrei sopportato senza lamentarmi, quanto il timore di piombar giù dal pennone in
quelle quiete acque verdi, accanto al cadavere del quartiermastro.
Mi aggrappai con tutte e due le mani fino a farmi dolere le unghie, e chiusi gli occhi,
quasi a nascondermi la vista del pericolo. Piano piano recuperai la mia calma, il mio
polso rallentò i suoi battiti ed io ripresi possesso del mio equilibrio.
Il mio primo pensiero fu di tirar via il pugnale; ma, o che fosse penetrato troppo in
profondità, o che i miei nervi non resistessero, ci rinunziai con un violento brivido. Cosa
strana, quel brivido fu provvidenziale. Difatti per poco il colpo non era fallito; la lama mi
tratteneva appena per una linguetta di pelle, e quel sussulto la lacerò. Il sangue corse
naturalmente più spedito, ma io mi ritrovai padrone dei miei movimenti, rimanendo
attaccato all'albero soltanto col camiciotto e la camicia.
Con un energico strappone staccai l'uno e l'altra e per le sartie di tribordo riguadagnai
la coperta. Per nulla al mondo, agitato come ero, mi sarei una seconda volta arrischiato
sulle sartie strapiombanti di bordo da dove Israel era appena precipitato.
Scesi dabbasso e fasciai come meglio potei la mia ferita. Essa mi pungeva assai e
sanguinava abbondantemente, ma non era né profonda né pericolosa, né m'infastidiva
granché mentre adoperavo il mio braccio. Mi guardai attorno, e poiché la nave adesso
era in un certo senso mia proprietà, mi detti a pensare al modo di liberarla del suo
ultimo passeggero, il morto O' Brien.
Come dissi, egli era stato sbattuto contro il bastingaggio dove se ne stava simile a una
specie di osceno e goffo pupazzo; di grandezza naturale, sì, ma quanto diverso dai
colori e dalla grazia della vita! Data la sua postura ci riuscii facilmente; e poiché le
tragiche avventure alle quali ero abituato mi avevano reso quasi insensibile all'orrore
della morte, lo presi per la cintola come fosse un sacco di crusca, e con una poderosa
spinta lo mandai fuori bordo. Egli affondò con un sonoro tonfo, perdendo il berretto
rosso che rimase a galleggiare sulla superficie; e quando le acque si ricomposero vidi
lui e Israel coricati l'uno accanto all'altro, che tutti e due parevano tremare attraverso il
leggero increspamento dell'acqua. O' Brien sebbene ancora giovane era molto calvo. E
ora stava là con quel suo cranio pelato contro le ginocchia dell'uomo che l'aveva
ucciso, e i pesci passeggiavano alacremente sopra l'uno e l'altro.
Ero ormai solo sul bastimento. La marea cominciava a scendere. Il sole era così poco
lontano dal tramonto che già l'ombra dei pini della riva ovest si allungava dentro
l'ancoraggio, stampandosi in ritagli di figure sul ponte. La brezza della sera erasi
svegliata, e per quanto la baia fosse ben riparata dalla montagna dei due picchi situata
a est, il cordame cominciava a zufolare una sua piccola dolce canzone e le vele oziose
chiacchieravano sbattendo qua e là.
Mi accorsi del pericolo che la nave correva. Abbassai prontamente i flocchi
raccogliendoli in un mucchio sul ponte, ma quanto alla grande vela fu un affare serio.
Al momento dello sbandamento della nave la verga s'era naturalmente abbattuta fuori
bordo e il capo di essa, con un piede o due della vela, pescavano dentro l'acqua.
Ciò aumentava il pericolo: ma la tensione era così forte che io esitavo a metter le mani
nella faccenda. Finalmente presi il coltello e tagliai le drizze. Il picco cadde, la vela con
una gran pancia si accasciò sull'acqua, ma io ebbi poi un bel tirare: non potei
rimuovere l'ala bassa. Questo fu tutto ciò che le mie forze mi permisero di fare: per il
resto l'"Hispaniola" doveva al pari di me confidare nella sua buona stella.
Intanto l'ombra aveva occupato l'intero ancoraggio, e gli ultimi raggi di sole, ricordo,
lampeggiando attraverso un'apertura del bosco spargevano splendori come di gioielli
sul mantello fiorito della nave naufragata. L'aria cominciava a mordere; le acque
fluivano rapide verso l'alto mare, e la goletta si coricava sempre più sul suo fianco.
Mi arrampicai a prua e guardai giù. L'acqua sembrava poco profonda; e per maggior
sicurezza, tenendomi con tutte e due le mani al provese tagliato, mi lasciai dolcemente
scivolare fuori bordo. L'acqua mi arrivava appena alla cintola; la sabbia era salda e
attraversata da rughe, ed io lietamente raggiunsi la riva lasciando l'"Hispaniola"
inclinata a quel modo, con la gran vela appollaiata sulla superficie della baia. E il sole
sparì del tutto e la brezza sibilò nel crepuscolo fra gli ondeggianti ombrelli dei pini.
Ero almeno e, finalmente, fuori dal mare, e non me ne tornavo a mani vuote. La
goletta, libera ormai dei filibustieri e pronta a imbarcare i nostri uomini e a prendere il
largo, era là. Io non desideravo solo rientrare nello steccato e farvi sfoggio delle mie
prodezze. Rischiavo forse di essere un po' biasimato per la mia audacia, ma la ripresa
dell'"Hispaniola" costituiva uno stringente argomento, ed io speravo che lo stesso
capitano Smollett avrebbe riconosciuto che io non avevo sprecato il mio tempo.
Inebriato da tali pensieri mi preparai a ritornare al fortino, dai miei compagni.
Ricordandomi che il più orientale dei fiumi che si riversavano nell'ancoraggio del
capitano Kidd discendeva dalla montagna dei due picchi posta alla mia sinistra, mi
diressi da quella parte per poter attraversare il corso d'acqua alla sorgente. La selva
non era troppo intricata, e camminando lungo gli speroni inferiori del monte riuscii
presto ad aggirarlo e poco dopo, con l'acqua ai polpacci, guadai il fiumicello.
Arrivai così vicino al luogo dove avevo incontrato Ben Gunn, e perciò mi inoltravo con
maggior precauzione, tenendo gli occhi ben spalancati. L'oscurità era quasi completa,
e quando sboccai dalla valle che divideva i due picchi, scorsi laggiù contro il cielo un
vacillante riverbero, e pensai che l'uomo dell'isola stesse cuocendo la sua cena davanti
a un gagliardo fuoco. E però mi meravigliavo dentro di me di tanta imprudenza, poiché
se la vedevo io quella luce, non poteva esser vista dallo stesso Silver accampato sulla
riva paludosa?
La notte diventava sempre più scura: era tanto se riuscivo a orientarmi
approssimativamente verso la mia destinazione: la doppia montagna dietro di me e il
Cannocchiale alla mia destra si disegnavano nelle tenebre sempre più sfumati; poche
e pallide le stelle; e procedendo lungo il terreno ondulato, continuamente inciampavo
nei cespugli e cadevo nelle buche della sabbia.
D'improvviso un lieve chiarore si diffuse intorno a me. Alzai gli occhi: la cima del
Cannocchiale appariva debolmente illuminata; poco dopo qualcosa di argenteo luccicò
laggiù dietro gli alberi: la luna si era alzata.
Con quest'aiuto compii in fretta il resto del mio cammino; e, a volte camminando, altre
correndo, mi avvicinavo impazientemente alla palizzata. Tuttavia, addentrandomi nella
boscaglia che la fronteggiava, non fui così spensierato da non rallentare il passo e
procedere con un po' più di cautela. Misera in verità sarebbe stata la conclusione delle
mie avventure se per sbaglio mi fossi presa una palla dai miei stessi compagni.
La luna saliva sempre più su: la sua luce cadeva qua e là a chiazze nelle zone più rade
del bosco, e proprio davanti a me un lume di diverso colore filtrava attraverso gli alberi.
Era di un rosso ardente che, di quando in quando, si velava un po' come se provenisse
dalle braci di un falò agonizzante.
Per quanto aguzzassi gli occhi non riuscivo a capire di che si trattasse.
Arrivai infine al limite della radura. L'estremità ovest era già inondata dal plenilunio; il
resto e lo stesso fortino rimaneva tuttora immerso in una nera oscurità solcata da
lunghe strisce di luce argentata. Dall'altro lato della casa un enorme fuoco aveva
bruciato, le cui braci spargevano attorno un robusto riverbero purpureo nettamente
contrastante col molle pallore della luna. Non un'anima che si muovesse, non un
suono, eccetto i bisbigli della brezza tra gli alberi.
Mi fermai molto sorpreso in cuor mio e forse anche un po' spaventato. Noi non
usavamo accendere grandi fuochi; secondo gli ordini del capitano eravamo infatti molto
guardinghi circa il bruciar legna; cosicché io cominciai a dubitare che le cose in mia
assenza avessero preso una cattiva piega.
Quatto quatto feci il giro dall'estremità est, tenendomi vicino all'ombra, e trovato il punto
propizio dove il buio era più fitto, scavalcai lo steccato.
Per maggior sicurezza mi buttai a terra carponi e strisciai silenzioso verso l'angolo della
casa. Avvicinandomi mi entrò in cuore un improvviso sollievo. Non è un grato rumore in
sé, ed io l'ho spesso, altre volte, maledetto; ma quella notte fu come una musica al mio
orecchio il russare concorde e fragoroso dei miei amici nel loro placido sonno. II grido
marino della sentinella, quel "Tutto bene!" mai mi diede un così beato senso di
sicurezza.
Intanto una cosa era certa: essi facevano una pessima guardia.
Fosse stato Silver, coi suoi, ora al mio posto, non un anima avrebbe visto l'aurora.
Ecco cosa voleva dire, pensavo, avere il capitano ferito; e di nuovo aspramente mi
rimproverai di averli lasciati in quel pericolo e con una così scarsa guardia.
Giunto intanto alla porta, mi alzai in piedi. Buio pesto, là dentro; i miei occhi non
distinguevano nulla. Quanto a rumori, udivo il continuo ronzìo di calabrone dei
dormenti, e, a intervalli, un timido suono, quasi uno svolazzare e beccare, di cui non
riuscivo a rendermi conto.
Tendendo le braccia in avanti mi inoltrai. Mi sarei coricato al mio posto (con una tacita
risatina pensavo) e goduto le loro facce sorprese quando mi avrebbero scoperto al
mattino.
Il mio piede urtò in qualcosa di molle: le gambe di un dormente; il quale si voltò
grugnendo, ma senza svegliarsi.
D'improvviso una voce stridula lacerò le tenebre:
"Pezzi da otto! Pezzi da otto! Pezzi da otto! Pezzi da otto! Pezzi da otto!" e così via,
senza pausa né cambiamento, come lo strepito di un piccolo mulino.
Il pappagallo verde di Silver, capitano Flint! Era lui che avevo sentito picchiare col
becco su un pezzo di corteccia; era lui che, vigilando meglio di qualsiasi essere
umano, annunciava del mio arrivo col suo noioso ritornello.
Mi mancò il tempo di riavermi. Agli acuti strilli del pappagallo gli uomini si svegliarono e
saltarono in piedi, e con una infernale imprecazione la voce di Silver tuonò:
"Chi va là?" Voltatomi per fuggire, battei violentemente contro uno, indietreggiai, e
caddi nelle braccia di un altro che mi strinse e tenne saldo.
"Porta una torcia, Dick" comandò Silver non appena la mia cattura fu assicurata.
E uno di loro lasciò la casa per rientrare subito dopo con un tizzone acceso.





(continua)

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PARTE SESTA - IL CAPITANO SILVER


Capitolo 28

Nel campo nemico


Il rosso bagliore della fiaccola, illuminando l'interno del fortino, mi mostrò realizzate le
mie peggiori apprensioni. I pirati erano in possesso della casa e delle provviste: ecco il
barile dell'acquavite, ecco la carne salata, ecco il biscotto:
tutto come prima; e, ciò che moltiplicava la mia angoscia, nessuna traccia di prigionieri.
Non potevo pensare altro se non che fossero tutti morti; e il rimorso di non essermi
trovato lì, a morire insieme con loro, mi spaccava il cuore.
Erano in tutto sei: nessun altro era sopravvissuto. Cinque di essi scossi all'improvviso
dal primo sonno dell'ubriachezza, stavano in piedi, ancora accesi e gonfi. Il sesto si era
sollevato soltanto su un gomito: il suo viso era coperto da un pallore mortale, e le
bende sporche di sangue che gli avvolgevano la testa dicevano che era stato ferito di
recente e ancora più di recente fasciato. Mi ricordai di uno che durante il grande
attacco, colpito da una palla, era scappato nel bosco: senza dubbio era lui.
Il pappagallo si lisciava le penne, appollaiato sulla spalla di Long John. Questi mi parve
alquanto più pallido e duro del solito.
Portava ancora lo stesso bell'abito di panno con il quale aveva compiuto la sua
missione: ma quest'abito, per un amaro contrasto, era sporco di fango e lacerato dagli
spini dei rovi.
"E così, ecco qua Jim Hawkins, morte delle mie ossa, piovuto a farci visita, eh? Vieni,
vieni pure, io prendo la cosa amichevolmente." Così dicendo sedette sul barile
dell'acquavite e si mise a riempire la pipa.
E, dopo che ebbe acceso:
"Va bene, ragazzo: pianta la torcia nella catasta della legna; e voi, signori miei, andate
pure: non è il caso dl rimanere in piedi per il signor Hawkins: egli vi scuserà, state
tranquilli." "E così, Jim" e caricava il tabacco "eccoti qui: una ben amabile sorpresa per
il povero vecchio John. Io m'ero accorto che tu eri un ragazzo sveglio, quando ti misi gli
occhi addosso la prima volta: ma ora quest'improvvisata finisce di sbalordirmi, finisce."
A tutto ciò, naturalmente, io nulla replicai. Essi mi avevano messo con le spalle al
muro; ed io rimanevo là, guardando Silver in faccia, con un piglio abbastanza
coraggioso, forse, ma con in cuore la più cupa disperazione.
Silver tirò con molto sussiego una o due boccate di fumo, e continuò:
"E ora, Jim, dal momento che ti trovi qui, voglio un po' dirti come la penso. Tu mi sei
sempre stato caro come un ragazzo di spirito, ed io t'ho amato come l'immagine di me
stesso quando ero giovane e bello. Ho sempre desiderato che ti unissi a noi per avere
la tua parte e morire da gentiluomo; e ora, ecco che ci sei venuto, mio piccolo ardito. Il
capitano Smollett è un distinto uomo di mare, non mi stancherò di riconoscerlo: ma
quanto a disciplina è inflessibile. "Il dovere è dovere" dice lui, e ha ragione. Devi
guardarti dal capitano, tu. Lo stesso dottore ce l'ha a morte con te: "ingrato furfante",
così ti chiamava; e insomma la conclusione è questa, che tu non puoi ritornare coi tuoi
perché di te non si vuol più sapere; e a meno che tu non formassi un terzo equipaggio,
nel qual caso non raccoglieresti gran compagnia, non ti resta che unirti al capitano
Silver." Fin qui tutto andava bene. I miei amici vivevano dunque, e sebbene io credessi
vera in parte l'affermazione di Silver, che quelli della cabina me ne volevano per la mia
diserzione, le parole udite mi diedero più sollievo che afflizione.
"Quanto al fatto che sei nelle nostre mani" continuò Silver "e che ci sei non ne puoi
dubitare, io non dirò nulla. Io preferisco ragionare: dalle minacce non ho mai visto uscir
niente di buono.
Se il servizio ti quadra, ebbene, tu ti arruoli con noi; se non ti quadra, sei padrone
padronissimo di dir di no, camerata mio; e se c'è un marinaio al mondo capace di
parlare più chiaro di così, Dio mi fulmini!" Attraverso tutte queste beffarde parole io
avevo bene avvertito la minaccia di morte che mi pendeva sul capo; le mie guance
scottavano e il mio cuore martellava affannosamente dentro il mio petto.
"Devo dunque rispondere?" chiesi con un filo di voce.
"Nessuno ti sta alle costole, ragazzo mio. Rileva la tua posizione. Nessuno vuole farti
premura; il tempo, come vedi, scorre così piacevolmente in tua compagnia." "Ebbene"
dissi io prendendo un po' di coraggio "se devo scegliere, dichiaro che ho diritto di
sapere che cosa è successo, e perché voi siete qui, e dove si trovano i miei amici."
"Che cosa è successo?" echeggiò uno dei filibustieri con un sordo grugnito. "Fortunato
chi lo sa!" "Sarebbe meglio che tenessi chiusi i tuoi boccaporti fino a quando non ti si
dirige la parola, amico mio" intervenne Silver trucemente. E rivolgendosi a me con
l'amabile tono di prima, rispose: "Ieri mattina, durante il piccolo quarto, si presenta il
dottor Livesey con bandiera bianca. Capitano Silver, mi dice, siete tradito. Il bastimento
non c'è più. Ebbene, può darsi che nella notte avessimo bevuto un bicchiere di più, e
cantato magari per farla passare. Non dico di no. Comunque, nessuno di noi aveva
messo il muso fuori. Guardammo, e, corpo di mille bombe, la vecchia goletta non c'era
più. Io non ho mai visto una banda di minchioni restare lì con un'aria più istupidita.
Ebbene, dice il dottore, vogliamo trattare? Trattammo, lui ed io, e il risultato eccolo qui:
provviste, acquavite, fortino, legna da ardere che voi aveste la preveggenza di tagliare
e accatastare; e, per così dire, tutta quella benedetta nave, dalle crocette alla chiglia,
nelle nostre mani. Quanto a loro, sono filati via, né so dove si trovino." Tirò
placidamente un'altra boccata di fumo, e proseguì:
"E perché tu non ti metta in testa che sei compreso nel patto, ecco le ultime parole
pronunciate: Quanti siete, dico io, ad andarvene? Quattro, dice lui, quattro, uno dei
quali ferito.
Quanto a quel ragazzo, ignoro dov'è, che il diavolo se lo porti, dice lui, non me ne
importa affatto. Ne siamo stufi. Queste furono le sue parole." "E' tutto qui?" "Sì, è tutto
quanto devi sapere, figliolo mio." "E ora devo scegliere?" "Ora devi scegliere, sicuro."
"Ebbene" dissi io "io non sono così sciocco da non sapere che cosa mi aspetta. Ma
accada quel che accada, non me ne importa. Ne ho visti morire abbastanza da quando
vi ho incontrato. Ci sono però una o due cose che mi preme dirvi" e mentre così
parlavo ero assai eccitato "e la prima è questa: voi siete in una brutta situazione: nave
perduta, tesoro perduto, uomini perduti: tutta la vostra impresa naufragata; e se
desiderate sapere chi ne è stato la causa, io sono stato. Io stavo acquattato nel barile
delle mele la sera che avvistammo l'isola, e sentii voi, John, e voi, Dick Johnson, e
Hands che dorme ora in fondo al mare, e immediatamente riferii sillaba per sillaba ciò
che avevate detto. E quanto alla goletta, sono stato io a tagliare il cavo, io a uccidere
gli uomini che erano a bordo, io a portarla dove né voi né nessuno dei vostri uomini la
rivedrà mai. E sono io che posso ridere; il filo della matassa era in mano mia, e voi non
mi fate paura più di una mosca. Ammazzatemi o risparmiatemi come più vi piacerà. Ma
una sola cosa dirò ancora: se voi mi risparmiate, dimenticherò il passato, e quando
comparirete davanti alla corte sotto l'accusa di pirateria, vi difenderò con tutte le mie
forze. Tocca a voi scegliere. O sopprimermi senza trarne il minimo utile, o risparmiarmi
assicurandovi un testimonio che vi salverà dalla forca." M'interruppi perché proprio mi
mancava il respiro. Con mia gran meraviglia nessuno di loro si mosse; rimasero tutti a
guardarmi mogi come tante pecore. E mentre così mi guardavano, ripresi: "E ora,
mastro Silver, poiché voi siete il migliore di tutti, se le cose andassero alla peggio
usatemi la cortesia di far conoscere al dottore in che modo mi sono comportato." "Me
lo ricorderò" disse Silver con un accento così curioso che io non avrei potuto, anche a
prezzo della mia vita, decidere se si burlasse della mia richiesta o fosse
simpaticamente commosso dalla mia prova di coraggio.
"Aggiungerò io qualche cosa" gridò il vecchio marinaio dalla faccia color di mogano,
detto Morgan, che avevo visto nella taverna di Silver sulla banchina di Bristol "è stato
lui a riconoscere Can-Nero." "E sentite me" intervenne il mastro cuoco "che ve ne dico
un'altra, corpo d'una saetta: è stato questo ragazzo a sgraffignare la carta a Billy
Bones. Dal principio alla fine, Jim Hawkins è stato il nostro scoglio!" "E allora, ecco per
lui" proferì Morgan accompagnandovi una bestemmia.
E balzò in piedi tirando fuori il coltello con selvaggia irruenza.
«Alto là!" gridò Silver. "Chi sei tu, Tom Morgan? Ti credi forse di essere il capitano? Se
così è, per mille diavoli, ti mostrerò che t'inganni. Prova a mettermiti contro, e andrai
dove tanti cristiani da trent'anni a questa parte sono andati prima di te, dal primo
all'ultimo: qualcuno sulla punta del pennone, che Dio mi fulmini, qualcuno fuori bordo, e
tutti quanti a pascere i pesci.
Non c'è mai stato nessuno che mi abbia guardato nel bianco degli occhi e abbia poi
visto un giorno felice, Tom Morgan, te l'assicuro io." Morgan tacque; ma tra gli altri
sorse un roco mormorìo.
"Tom ha ragione" disse una voce.
"Io sono stato seccato abbastanza da un capitano" aggiunse un altro. "M'impicchino se
mi lascio romper le scatole da voi, John Silver." "C'è qualcuno di voi, miei signori, che
voglia venire a spiegarsi di fuori con me?" urlò Silver sporgendosi di sul caratello con in
pugno la sua pipa accesa. "Coraggio, su: parlate: non siete mica muti? Chi lo desidera
sarà servito. Avrò dunque vissuto tanti anni per vedermi provocare dal figlio di un
ubriaco? Voi conoscete le regole: siete gentiluomini di fortuna, a quanto dite. Ebbene,
eccomi pronto. Prenda un coltellaccio chi ha fegato, e io vi prometto che vedrò il colore
delle sue budella malgrado la mia gruccia e tutto, prima che questa pipata sia finita."
Nessuno si mosse, nessuno rispose.
"Così siete voi, no?" aggiunse riportando la pipa alla bocca. "Ah, bellissimi da vedere,
non c'è dubbio. Ma non troppo bravi sul terreno, no davvero. Ma se vi parlo nell'inglese
di Re Giorgio credo che mi capirete. Orbene: io sono vostro capitano per elezione. Io
sono il capitano qui perché sono migliore di tutti d'un buon miglio marino. Voi rifiutate di
battervi come dovrebbero dei gentiluomini di fortuna. Allora, corpo d'una saetta,
obbedirete, state pur certi. Ora, io voglio bene a questo ragazzo:
non ho mai visto un ragazzo migliore di lui. Vale più lui d'un qualsiasi paio di vigliacchi
che siete qui dentro; ed ecco cosa vi dico: vorrò vedere chi oserà mettergli le mani
addosso, ecco che cosa vi dico, e potete star sicuri." Seguì un lungo silenzio. Io stavo
dritto con le spalle al muro, e con il cuore che continuava a battere come il martello d
un fabbro; ma un raggio di speranza ora mi spuntava dentro. Silver si piazzò contro il
muro, con le braccia incrociate, la pipa all'angolo della bocca, immobile come fosse in
chiesa; ma lanciava intorno sguardi furtivi, e con la coda dell'occhio spiava i suoi
irrequieti compagni. I quali si andavano gradatamente raccogliendo all'estremità del
fortino, e il loro sommesso bisbigliare risuonava continuo al mio orecchio come un
ruscello. Uno dopo l'altro alzavano gli occhi, e la luce rossastra della fiaccola batteva
per un istante sulle loro torbide facce: ma non era su me, era su Silver che cadevano i
loro sguardi.
"Sembra che ne abbiate delle cose da dire" osservò Silver lanciando lontano uno
sputo. "Cantatemela, che la possa sentire, o se no, mettetevi alla cappa." "Chiedo
perdono, capitano" replicò uno degli uomini "voi prendete un po' troppo alla leggera
qualcuna delle nostre regole. Questo equipaggio è scontento; questo equipaggio non
ama le intimazioni più dei colpi di agucchione; quest'equipaggio ha i suoi diritti non
meno degli altri; mi permetto di dirlo; e a norma delle stesse vostre regole sostengo
che noi possiamo discutere insieme. Chiedo perdono, vi riconosco come capitano in
questo momento, ma reclamo il mio diritto, ed esco per tenere consiglio." E con un
diligente saluto marittimo, quest'individuo, un uomo di trentacinque anni, alto,
malaticcio, dagli occhi gialli, si diresse freddamente verso la porta e scomparve. I
rimanenti, uno dopo l'altro, seguirono il suo esempio; ciascuno facendo il proprio
saluto, passando, e accompagnandovi qualche scusa.
"Conforme alle regole" disse uno. "Consiglio di prua" disse Morgan. E così, con una o
un'altra frase, sfilarono tutti lasciando Silver e me soli alla luce della torcia.
Il mastro cuoco si levò la pipa dalla bocca.
"Ora stai attento, Jim Hawkins" disse con voce ferma, ma così sommessa che appena
mi arrivava all orecchio. "Tu sei a due passi dalla morte, e, ciò che è ben peggio, dalla
tortura. Essi stanno per disfarsi di me. Ma io ti assicuro che qualunque cosa accada,
sarò con te. In verità non era questa la mia precisa intenzione prima di averti sentito,
no. Ero quasi disperato di perdere questa grossa focaccia e rischiare di essere
impiccato per giunta. Ma ho visto che tu sei di buona razza. E mi son detto: sostieni
Hawkins, John, e Hawkins sosterrà te. Tu sei l'ultima sua carta, e, corpo di mille
bombe, John è la tua. Spalla a spalla, dico io. Tu salvi il tuo testimonio, e lui salverà la
tua testa." Cominciavo più o meno a capire.
"Intendete dire che tutto è perduto?" "Ma sì, perdio, sì! Partita la nave, partirà la mia
testa: una cosa tira l'altra. Quando guardai la baia, Jim Hawkins, e non vidi più la
goletta, ebbene, duro come sono, mi diedi per vinto. Per ciò che riguarda quella
combriccola e il loro consiglio, credi a me, non sono che degli stupidi e dei vigliacchi
sputati. Io ti salverò, se mi riesce, dalle loro grinfie. Ma, attenzione, Jim: tu in
compenso salverai Long John dalla forca." Io ero sgomento: mi sembrava una cosa
così disperata quella che mi chiedeva, lui, il vecchio pirata, il caporione della banda.
"Ciò che potrò lo farò" dissi.
"Affare fatto!" gridò Long John. "Tu parli da ragazzo coraggioso, e, corpo d'una bomba,
io non sono ancora perduto." Arrancò fino alla torcia infissa nel mucchio della legna, e
riaccese la pipa.
"Ascoltami bene, Jim" riprese tornando. "Io ho la testa sul collo.
Io sono dalla parte del cavaliere, ormai. So che tu hai condotto l'"Hispaniola" in salvo, e
non importa dove. Come tu abbia fatto, lo ignoro; ma in salvo c'è. Immagino che Hands
e O'Brien sono rimbecilliti. In verità non ho mai nutrito eccessiva fiducia in nessuno dei
due. Ora, bada a ciò che ti dico. Io non faccio domande né desidero che altri me ne
faccia. Quando una partita è perduta io lo riconosco, io. E riconosco quando un
ragazzo è bravo. Ah, tu che sei giovane, quante belle cose avremmo potuto combinare
insieme, tu ed io!" Spillò dalla botticella un po' d'acquavite.
"Vuoi assaggiare, camerata?" E, avuto il mio rifiuto, disse:
"Bene, ne prenderò un sorso io, Jim. Ho bisogno di calafatarmi, io, perché c'è del
torbido in vista. E a proposito di torbido, Jim, mi sai dire perché mai quel dottore mi ha
dato la carta?" Il mio viso espresse un così ingenuo stupore che egli giudicò inutile
pormi altre domande.
"Comunque sia, me l'ha data. E là sotto c'è qualche cosa, senza dubbio, qualche cosa
sicuramente, là sotto, Jim, di cattivo o di buono." E inghiottì un altro sorso d'acquavite,
scotendo la grossa testa bionda con l'aria di uno che non presagisce niente di allegro.




(continua)

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Capitolo 29

Di nuovo la macchia nera



Il consiglio dei pirati durava da qualche tempo, quando uno di loro rientrò nella casa; e,
ripetendo lo stesso saluto che aveva ai miei occhi un senso ironico, chiese per un
momento in prestito la torcia. Silver acconsentì e quello si ritirò lasciandoci al buio.
"La burrasca s'avvicina, Jim" disse Silver che frattanto aveva preso un tono
schiettamente amichevole e familiare.
Mi accostai alla feritoia più vicina, e guardai. Le braci del grande fuoco si erano
consumate e la fioca luce che ora mandavano spiegava il perché della richiesta della
torcia. Essi stavano radunati lungo il pendio, a metà strada dalla palizzata; uno
reggeva la torcia, un altro era in ginocchio in mezzo a loro, ed io vidi la lama di un
coltello aperto nel suo pugno balenare colorandosi ora al lume della luna ora a quello
della torcia, mentre gli altri, curvi, osservavano i suoi movimenti. Riuscii poi a scorgere
che oltre al coltello teneva in mano un libro, e ancora non avevo finito di stupirmi di
come un così strano oggetto fosse capitato in loro possesso, che l'inginocchiato si
rialzò e l'intera banda si incamminò verso la casa.
"Vengono" dissi; e ripresi il posto di prima, sembrandomi poco dignitoso farmi
sorprendere a spiare.
"Bene, lasciali venire, piccolo mio, lasciali venire;" fece Silver allegramente "io ho
ancora una palla nella mia sacca." La porta si aprì, e i cinque ammucchiati sulla soglia
spinsero avanti uno di loro. In altre circostanze sarebbe stato comico vedere costui
procedere adagio, un piede dopo l'altro, esitando e tendendo davanti a sé la sua mano
chiusa.
"Avanti, ragazzo, avanti" gridò Silver. "Non ti voglio mica mangiare. Dai qui, marinaio
d'acqua dolce. Conosco le regole, e mi guarderò bene dall'offendere una deputazione."
Rinfrancato da queste parole, il filibustiere si affrettò, e dopo aver passato qualcosa a
Silver da mano a mano, si ritirò più veloce ancora nel gruppo dei compagni. Il cuoco
dette un'occhiata a ciò che gli era stato consegnato.
"La macchia nera! Me l'aspettavo. O dove mai avete pescato questo pezzo di carta?
Oh! Oh! Guardate un po' qui! Non vi porterà fortuna: da una bibbia, l'avete strappato.
Ma chi è quell'idiota che strappa una bibbia?" "Ecco," proruppe Morgan "ecco! Che vi
dicevo io? Niente di buono ne verrà fuori, vi dicevo." "Ebbene, ormai è cosa fatta per
tutti" riprese Silver. "Prevedo che sarete tutti impiccati. Ma chi è quel rammollito che
possedeva una bibbia?" "E' Dick" disse una voce.
"Dick? Allora Dick può andare a pregare per l'anima sua. Ha visto i suoi giorni migliori,
credete a me." A questo punto l'uomo dagli occhi gialli interruppe.
"Piantala, John Silver, con queste chiacchiere. L'equipaggio ti ha decretato la macchia
nera con voto unanime, conforme dovuto; rivolta la carta conforme dovuto, e leggi ciò
che c'è scritto.
Poi, potrai parlare." "Grazie, Giorgio" replico il cuoco. "Tu sei sempre sveglio, in fatto
d'affari; e le regole le sai a memoria, come mi piace di constatare. Ebbene, a ogni
modo, cos'è questo? Ah! Destituito!
così, non è vero? Molto elegantemente scritto davvero; quasi giurerei che è stampato.
E' la tua scrittura, Giorgio? Eh, tu vai diventando un uomo di comando, in questo
equipaggio. Potresti essere capitano domani, che non mi stupirei affatto. Porgimi
ancora quella torcia per cortesia, vuoi? Questa pipa non tira." "Andiamo" scattò
Giorgio. "Finisci di prenderti gioco di quest'equipaggio. Lo sappiamo che sei un
buffone, ma ormai non rappresenti più nulla e puoi scendere dal barile e prendere
parte alla votazione." "Mi pareva d'averti sentito dire che conosci le regole" ribatté
Silver con fare sprezzante. "In ogni caso, se tu non le conosci, le conosco io, e rimarrò
qui, perché sono ancora il vostro capitano, badate, fino a che voi non abbiate
presentato i vostri reclami ed io non vi abbia risposto. Nel frattempo, la vostra macchia
nera non vale un biscotto. Dopo ciò, vedremo." "Oh" replicò Giorgio "non dubitare: noi
siamo tutti d'accordo.
Primo, ci hai messo in un bell'imbroglio con questa crociera: non sarai così sfacciato da
volerlo negare. Secondo, hai lasciato uscire il nemico da questa trappola per che
cosa? per nulla.
Perché tenevano ad andarsene loro? Io non lo so, ma è chiaro che ci tenevano. Terzo,
non ci hai permesso di saltare loro addosso, mentre si ritiravano. Oh, noi ti leggiamo
dentro, John Silver: tu vuoi barare al gioco: è lì dove tu zoppichi. E finalmente, quarto,
c'è questo ragazzo qui." "E' tutto?" domandò Silver senza scomporsi.
"E mi pare che basti" suggellò Giorgio. "Noi saremo impiccati e seccheremo al sole a
causa della tua maledetta incapacità." "Ebbene, ora sentite: io risponderò su questi
quattro punti: l'uno dopo l'altro, risponderò su tutti. Vi ho messo in un imbroglio con
questa crociera, vi ho messo? Oh, vediamo un po': voi tutti sapete che cosa io volevo,
e voi tutti sapete che se ciò fosse stato fatto noi saremmo questa notte come eravamo
prima, a bordo dell'"Hispaniola", tutti quanti vivi e in gamba, e pieni di buona torta di
prugne, e col tesoro in fondo alla stiva, corpo d'una saetta! Ebbene, chi mi ha
attraversato? Chi mi ha forzato la mano a me, legittimo capitano? Chi mi destinò la
macchia nera il giorno stesso che sbarcammo, e aprì questo ballo? Ah, un grazioso
ballo, ed io ci sono dentro con voi; un ballo che mi sembra una cornamusa all'estremità
d'una corda sulla Riva delle Forche presso la città di Londra, mi sembra. Ma, e chi ha
fatto questo? Ebbene, Anderson è stato, e Hands, e tu, Giorgio Merry! E tu, l'ultimo a
bordo di quella manica d'intriganti, hai la diabolica tracotanza di presentarti come
capitano al mio posto, tu che ci hai colati a picco tutti quanti! Per Satanasso! Questo
supera qualunque più sbalorditiva storia." Silver fece una pausa, ed io mi accorsi dal
volto di Giorgio e dei suoi camerati che quelle parole non erano state dette invano.
"Questo per il numero uno" proclamò l'accusato asciugandosi il sudore della fronte,
poiché aveva parlato con tale veemenza che ne tremava la casa. "Ebbene, vi do la mia
parola che mi fa nausea di dover discorrere con voi. Non avete né buon senso né
memoria, voi, e Dio sa dove avevano la testa le vostre madri quando vi mandarono sul
mare. Sul mare, voi, gentiluomini di fortuna! Sarti, dovevate essere: ecco il vostro
mestiere!" "Tira via, John" disse Morgan. "Rispondi sugli altri punti." "Ah, sì, gli altri.
Formano un bel mazzetto, no? Voi dite dunque che questa crociera è andata male. Ah,
per Iddio, se poteste capire fino a che punto è andata male, vedreste! Siamo così vicini
alla forca che il mio collo già si irrigidisce solo a pensarci.
Voi li avete visti gli impiccati, incatenati, con gli uccelli che gli svolazzano intorno, e gli
uomini di mare che li segnano a dito mentre discendono per la spiaggia con la marea.
Oh, chi è quello là? dice uno. Quello? Ma quello è John Silver. Io l'ho conosciuto bene,
dice un altro. E sentite le catene che tintinnano mentre passate e arrivate all'altra boa.
Ed ecco a che punto all'incirca ci troviamo noi tutti figli delle nostre madri, grazie a lui, a
Hands, ad Anderson e altri disastrosi imbecilli che sono tra voi.
E se volete che vi risponda riguardo al quarto punto: o questo ragazzo, possa io
crepare, non è forse un ostaggio? E noi vogliamo privarci d'un ostaggio? Ah, no,
signori miei: potrebbe essere la nostra ultima àncora che io non me ne meraviglierei.
Ammazzare questo ragazzo? Io no, camerati! E il numero tre? Ah sì, c'è della roba da
dire sul numero tre. Forse che non conta niente per voi il fatto di avere un vero dottore
d'università che viene a visitarvi ogni giorno, te, John, con la tua testa rotta, o te,
Giorgio Merry, che solo sei ore fa avevi addosso i brividi della febbre e che ancora in
questo momento hai gli occhi color della buccia di limone? E magari voi non pensate
che può arrivare una nave di conserva, eh? Eppure verrà, e non si farà aspettare
molto, e vedremo allora chi sarà contento di possedere un ostaggio al momento buono.
E quanto al numero due, perché sono sceso a patti, ebbene, in ginocchio, strisciando,
siete venuti da me a supplicarmi che lo facessi, in ginocchio siete venuti, tanto eravate
abbattuti, e sareste morti di fame se non l'avessi fatto:
ma tutto ciò è un'inezia: guardate, qui, l'importante è questo!" E gettò in terra qualcosa
che io tosto riconobbi per quella stessa carta ingiallita, con le tre croci rosse che avevo
rinvenuta, avvolta nella tela cerata, in fondo al baule del capitano. Perché il dottore
l'avesse data, non riuscivo a immaginarlo.
Ma se era inesplicabile per me, l'apparizione della carta sembrò una cosa addirittura
incredibile agli ammutinati. Come gatti sopra un sorcio vi saltarono sopra. Essa passò
di mano in mano; a vicenda se la strappavano. A sentire le bestemmie, le
esclamazioni, i puerili scoppi di risa con cui essi accompagnavano il loro esame,
avreste detto non solo che palpavano l'oro, ma che già si trovavano in mare con l'oro
nella stiva e, per di più, in sicurezza.
"Sì" disse uno "è proprio quella di Flint. J. F., con sotto una sbarra e le due mezze
chiavi; così ha sempre firmato." "Splendido" disse Giorgio. "Ma come faremo a portar
via il tesoro senza la nave?" Silver si drizzò di colpo, e appoggiandosi con una mano al
muro gridò:
"Prendi nota, Giorgio. Ancora un'impertinenza, e t'invito a misurarti con me. Come
faremo! E che ne so io? Piuttosto tu, me lo dovresti dire: tu e gli altri che avete perduto
la mia goletta coi vostri maneggi, che il diavolo v'incenerisca. Ma tu no, tu non lo sai,
che non hai più cervello d'un pollo. Ma puoi parlare corretto, e ci parlerai, Giorgio
Merry, stanne pur certo." "La carta è già qualche cosa" fece il vecchio Morgan.
"Qualche cosa! Lo credo bene" riprese il cuoco. "Voi perdete la nave, io trovo il tesoro.
Chi vale meglio? E ora, io mi ritiro, corpo d'una bomba! Eleggete chi vi aggrada a
vostro capitano; io ne ho fin sopra i capelli." "Silver!" esclamarono in coro. "Porco-
Arrostito per sempre! Viva Porco-Arrostito! Porco-Arrostito nostro capitano!" "E questa
è la nuova musica, no?" gongolò il cuoco. "Giorgio, amico mio, io credo che ti conviene
aspettare un altro turno, e buon per te che io non sono vendicativo. No, non è mai stato
il mio sistema. E ora, camerati, questa macchia nera? Non vale più gran che, non è
vero? Dick ha contrariato la sua buona sorte e guastato la bibbia, e questo è tutto."
"Ma gioverà sempre ancora baciare il libro, no?" mormorò Dick, naturalmente
preoccupato per la maledizione che s'era tirata addosso.
"Una bibbia con un pezzo di meno?" rispose Silver beffardo. "No.
Quella non vale più d'un libro di canzoni." "E' così?" esclamò Dick quasi gioioso. "Allora
credo che mi conviene conservarla ancora." "Prendi, Jim, ecco una curiosità per te"
disse Silver porgendomi la carta.
Era un disco grande all'incirca come uno scudo. Un lato, che rispondeva all'ultima
facciata del libro, era bianco; l'altro recava alcuni versetti dell'Apocalisse: queste
parole, fra le altre, che mi colpirono profondamente:
"Fuori sono i malvagi e gli assassini". Il lato stampato era stato annerito con carbone di
legna che già cominciava a sfumar via macchiandomi le dita; sul lato bianco era stato
scritto con lo stesso mezzo la parola: "Destituito". Ho sotto gli occhi, mentre stendo il
mio racconto, codesta curiosità: nessuna traccia di scritto rimane all'infuori di un
semplice graffio come quello che vi avrebbe lasciato un colpo di unghia.
Così finì la notte avventurosa. Poi, dopo aver bevuto tutti, ci si coricò per dormire, e
Silver restrinse la sua vendetta apparente al solo fatto di mettere Giorgio Merry di
sentinella, minacciandolo di morte se non avesse fatto buona guardia.
Passò del tempo prima che potessi chiudere gli occhi, e Dio sa se avevo materia su cui
riflettere: l'uomo da me ucciso nel pomeriggio; la mia posizione estremamente
rischiosa, e soprattutto la formidabile partita nella quale vedevo Silver impegnato, che
con una mano teneva insieme gli ammutinati, e con l'altra si sforzava, adoperando ogni
possibile ed impossibile mezzo, di ottenere la sua pace e salvare la sua miserabile
esistenza. Egli stesso dormiva tranquillo e ronfava sonoramente: ma il mio cuore si
addolorava per lui, pure perverso com'era, pensando agli oscuri pericoli che
l'accerchiavano, ed alla vergognosa forca che lo aspettava.




(continua)

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Capitolo 30

Sulla parola



Fui svegliato, ossia fummo svegliati, giacché vidi anche la sentinella drizzarsi di
soprassalto dallo stipite della porta contro il quale si era appoggiato, da una voce
chiara e cordiale che ci chiamava dal margine del bosco.
"Ohé, del fortino!" gridava "C'è qui il dottore." Era lui infatti. Ma la gioia di riascoltare
quella voce non fu senza amarezza. Ricordando la mia insubordinata condotta e
vedendo in mezzo a quale compagnia e tra quali pericoli essa m'aveva gettato,
arrossivo di vergogna e non osavo guardare in faccia il nuovo venuto.
Egli doveva essersi alzato quando era ancora buio, perché appena ora incominciava a
schiarire. Affacciatomi a una feritoia lo vidi dritto, come Silver l'altra volta, e immerso
fino al ginocchio nella nebbia stagnante.
"Lei, dottore! Buon giorno a lei!" scattò Silver completamente sveglio e raggiante
d'amabilità. "Svelto e mattiniero, davvero. E difatti, è l'uccello mattiniero che acchiappa
i buoni bocconi, come si suol dire. Su, Giorgio, scuotiti, e fai entrare il dottore. Stanno
tutti bene, anche i vostri pazienti: tutti bene, e allegri." Così blaterava, in piedi sulla
cima del monticello, con la gruccia sotto l'ascella e una mano sulla parete del fortino, il
vecchio John ancora tale e quale: nella voce, nelle maniere, nell'espressione.
"E abbiamo anche una sorpresa per lei, una vera sorpresa, signore" continuò. "Un
piccolo forestiero, qui, eh! eh! Un nuovo dozzinante e inquilino, signore, dall'aspetto
sano e gagliardo: come un sopraccarico ha dormito, accanto a John: bordo a bordo
siamo stati, tutta la notte." Il dottore Livesey era in quel momento di qua dello steccato
e assai vicino al cuoco. Udii la sua voce alterata domandare:
"Mica Jim?" "Proprio lui; e più Jim che mai" rispose Silver.
Il dottore si arrestò di colpo, e rimase alcuni istanti senza parola, come interdetto.
"Bene bene" disse infine "prima il dovere e poi il piacere, come direste voi stesso,
Silver. Vediamo questi vostri pazienti." Entrò nel fortino, e, rivoltomi un fervido cenno
del capo, procedette alla visita degli ammalati. Egli non tradiva alcuna apprensione
malgrado sapesse che la sua vita tra quei perfidi demoni era sospesa a un filo; e
passava discorrendo dall'uno all'altro quasi facesse un'ordinaria visita professionale
presso qualche pacifica famiglia inglese. I suoi modi credo influissero sugli uomini i
quali si comportavano con lui come se nulla fosse accaduto, ed egli fosse ancora il
medico di bordo e loro altrettanta fedele gente di prua.
"Voi state meglio, amico mio" disse all'individuo dalla testa fasciata. "Se mai qualcuno
l'ha scampata bella, siete voi quello; la vostra testa dev'essere dura come il ferro. E
voi, Giorgio, come va? Il vostro colore è buono, nessun dubbio; ma il vostro fegato, mio
caro, è guasto. L'avete presa la medicina? Dite voi, ragazzi, l'ha presa la medicina?"
"Sì, signore, sì, l'ha presa" rispose Morgan.
"Perché, vedete, da quando mi ritrovo a essere medico di ribelli, o di prigionieri, per
meglio dire," continuò il dottore Livesey col suo tono più allegro "io mi faccio un punto
d'onore di non sottrarre un uomo a Re Giorgio (Dio lo benedica) e alla forca." I furfanti
si scambiarono un'occhiata, ma ricevettero la botta in silenzio.
«Dick non si sente bene, signore" disse uno.
"No? Venite qui, Dick, e fatemi vedere la vostra lingua. Difatti, sarei stupito se con una
lingua simile si sentisse bene. E' una lingua da far paura ai francesi. E siamo daccapo
con la febbre." "Ecco" interloquì Morgan "cosa si guadagna a rovinare la bibbia." "Ecco
cosa si guadagna, come dite voi, a essere degli asini matricolati," ribatté il dottore "e a
non aver giudizio sufficiente per distinguere l'aria buona dal veleno, e la terra asciutta
da un vile pestifero pantano. Io sono convinto (ma naturalmente è una semplice
opinione) che non ci vorrà meno del diavolo per estirpare la malaria dai vostri
organismi. Accamparsi in una palude! Mi meraviglio di voi, Silver. Tutto calcolato siete
meno sciocco di tanti altri, ma mi sembrate sprovvisto della più elementare nozione
delle regole igieniche." Dopo che li ebbe medicati tutti, seguendo essi le sue
prescrizioni con una specie di comica sottomissione che li rendeva piuttosto simili a
scolaretti che a sanguinari ribelli e pirati: "Ebbene," aggiunse "per oggi è fatto. E ora
vorrei, se non vi rincresce, avere un colloquio con quel ragazzo." E accennò a me con
la testa, con aria indifferente.
Giorgio Merry, che stava sulla porta sputando e bofonchiando per non so che amara
medicina ingoiata, alla prima parola del dottore si girò tutto infiammato e reagì con un
violento «No!" e un'imprecazione.
Silver piantò un colpo sul barile con il palmo aperto.
"Silenzio!" ruggì. E girò intorno uno sguardo leonino. "Dottore" continuò poi col suo
tono abituale "ci pensavo appunto, conoscendo il suo debole per questo ragazzo. Noi
le siamo tutti devotamente grati per la sua bontà, e, come vede, abbiamo fede in lei, e
trangugiamo le sue droghe come fossero grog. Ora io credo di aver trovato una
soluzione soddisfacente per tutti. Hawkins, vuoi tu darmi la tua parola d'onore di
giovane gentiluomo (perché un giovane gentiluomo tu lo sei per quanto di umile
origine), la tua parola d'onore che non taglierai la corda?" Io m'affrettai a promettere.
"Allora, dottore," riprese Silver "lei mi usi la cortesia di uscire dal recinto. Una volta
fuori, io porterò il ragazzo laggiù nell'interno, di fronte a lei, e ritengo che attraverso la
palizzata potrete discorrere. Buon giorno a lei, signore, e tutti i nostri rispetti al
cavaliere e al capitano Smollett." L'esplosione di malcontento, che soltanto le occhiate
minacciose di Silver aveva represso, scoppiò non appena il dottore ebbe lasciato la
casa. Silver fu nettamente accusato di fare il doppio gioco, di cercare di ottenere una
pace separata, di sacrificare gli interessi dei suoi complici e vittime: in una parola, di ciò
che precisamente stava facendo. Il tradimento mi pareva in questo caso talmente
evidente che non sapevo immaginare come egli sarebbe riuscito a distogliere la loro
collera. Ma Silver valeva da solo due volte tutti gli altri; e la vittoria della notte lo aveva
enormemente innalzato ai loro occhi. Si scagliò contro tutti quanti trattandoli da perfetti
cretini, affermò che era necessario che io parlassi col dottore, e agitando loro la carta
sotto il naso, domandò se volevano rompere il trattato il giorno stesso di muovere alla
ricerca del tesoro.
"No, perdio!" gridò. "Saremo noi che stracceremo il trattato al momento opportuno; e
fino ad allora io abbindolerò il dottore, dovessi magari ungergli gli stivali con
dell'acquavite." Dopo di che comandò di accendere il fuoco, e s'incamminò trionfante,
appoggiato sulla sua gruccia, con una mano sulla mia spalla, lasciandoseli dietro
disorientati e ridotti al silenzio dalla sua volubile e prestigiosa parola, più che convinti
delle sue ragioni.
"Adagio, piccolo, adagio" mi sussurrava. "Ci salterebbero addosso in un batter
d'occhio, se ci vedessero affrettarci." Con meditata lentezza dunque attraversammo la
sabbia dirigendoci verso il punto dove il dottore, dall'altro lato della palizzata,
aspettava; e giunti a portata di voce, Silver si fermò.
"Lei terrà conto anche di questo, dottore; e il ragazzo le dirà come gli ho salvato la vita,
e come sono stato destituito appunto per questo! Dottore, quando un uomo naviga così
stretto al vento come faccio io, e gioca a testa e croce, per così dire, il suo ultimo
respiro, non le sembrerà troppo, forse, di regalargli una buona parola. Lei vorrà tener
presente che non è più soltanto la mia vita, ma è quella di questo ragazzo ora che è in
gioco; e mi parlerà schiettamente, dottore, e mi darà un briciolo di speranza per tirare
avanti, per misericordia." Subito dopo aver girato le spalle ai suoi compagni e al fortino,
Silver aveva cambiato aspetto: le sue guance sembravano infossate; la voce gli
tremava: mai vidi creatura più mortalmente abbattuta.
«John, non avrete mica paura?" chiese il dottor Livesey.
"Dottore, io non sono un vile, no, affatto: neppure tanto così (e fece schioccar le dita).
Se lo fossi, non parlerei. Ma confesso francamente che l'idea della forca mi dà i brividi.
Lei è buono, lei è un vero uomo; il migliore che io abbia mai incontrato. E lei non
dimenticherà ciò che ho fatto di bene, alla stessa maniera che non dimenticherà il
male. E ora io mi allontano, come vede, e lascio soli lei e Jim. E lei terrà conto anche di
questo, perché è uno spingersi molto in là anche questo!" Ciò dicendo si tirò indietro di
un po', tanto da non poterci ascoltare, sedette sopra un ceppo d'albero e si mise a
fischiare, voltandosi di tanto in tanto in modo da poter sorvegliare ora me e il dottore,
ora i suoi turbolenti ribaldi che andavano su e giù per la sabbia tra il fuoco che erano
intenti a riaccendere e la casa da dove prendevano lardo e biscotto per la colazione.
"E così, Jim" mi disse tristemente il dottore "eccoti qui. La birra che ti sei fatta ti tocca
berla, figlio mio. Iddio mi è testimonio che non ho il coraggio di rimproverarti: ma, ti
piaccia o non ti piaccia, desidero dirti questo: quando il capitano Smollett stava bene,
non osasti distaccarti da noi; quando s'ammalò e non era in grado d'impedirti... ah,
perdio, quella fu una vera bassezza!" Confesso che a questo punto io non potei
trattenere le lacrime.
"Dottore" dissi "mi risparmi. Mi sono rimproverato io stesso abbastanza: la mia vita è
oramai condannata, e io sarei già morto se Silver non avesse preso le mie parti; e,
dottore, mi creda, saprò morire, e riconosco che lo merito: ma il mio spavento è la
tortura. Se arriveranno a torturarmi..." "Jim" interruppe il dottore con tutt'altro tono di
voce. «Jim, questo non deve accadere. Salta la palizzata, e fuggiamo.
"Dottore, ho dato la mia parola. :~ "Lo so, lo so. E che vuoi farci, Jim, adesso? Mi
addosserò io tutto: vergogna e biasimo, ragazzo mio: ma lasciarti qui, no, non posso.
Salta! Un salto, e sei fuori, e filiamo come gazzelle." "No" replicai. "Ciò che lei mi
consiglia so benissimo che non lo farebbe lei stesso; né lei né il cavaliere né il
capitano, e neanch'io lo farò. Silver si è fidato di me, io gli ho dato la mia parola, e
ritorno con lui. Ma, dottore, mi lasci finire. Se mi mettono alla tortura potrebbe sfuggirmi
una parola a proposito del posto dov'è l''Hispaniola'; perché io l'ho presa, l''Hispaniola',
con l'aiuto della sorte e dell'audacia insieme; e ora si trova nella baia del Nord, sulla
spiaggia sud, quasi al livello dell'alta marea. A mezza marea dovrebbe essere a
secco." "L''Hispaniola!'" esclamò il dottore.
Io gli feci una rapida narrazione delle mie avventure che lui ascoltò in silenzio.
"C'è una specie di fatalità in tutto questo" osservò appena ebbi finito. "A ogni passo, sei
tu che ci salvi la vita; e tu credi che noi possiamo lasciarti morire? Sarebbe una ben
meschina ricompensa, figlio mio. Tu hai scoperto la congiura, tu hai trovato Ben Gunn,
la più bella cosa che tu hai fatto o potrai mai fare, dovessi pur campare cent'anni. Oh,
per Giove, a proposito di Ben Gunn, questo è il colmo della sfortuna! Silver" chiamò
"Silver! Desidero darvi un consiglio." E come il cuoco si fu avvicinato:
"Per quel tesoro non affrettatevi troppo." "In fede mia, signore, io cercherò di tirare le
cose in lungo; però non posso, scusi tanto, salvare la mia vita e quella del ragazzo se
non mettendomi a cercare quel tesoro, creda a me." "Ebbene, Silver, quando è così,
farò ancora un passo: attento alle burrasche, quando lo troverete." "Signore, sia detto
tra noi: questo che lei mi aggiunge o è troppo o è troppo poco. A quale scopo sta
puntando: perché abbandonare il fortino, perché darmi quella carta, io non lo so, non è
vero? E tuttavia ho fatto la sua volontà, a occhi chiusi, senza ricevere una parola di
speranza. Ma questo, no: questo è troppo. Se lei non vuole spiegarmi nettamente le
sue intenzioni, ebbene, me lo dica, ed io lascerò il timone." "No" fece il dottore con aria
pensosa. "Non ho il diritto di dire di più: il segreto non è mio, capite, Silver; altrimenti vi
do la mia parola che ve lo aprirei. Ma con voi andrò più lontano che posso, ed anche
un passo più in là; dopo di che la mia parrucca se la dovrà vedere col capitano, se non
sbaglio! E, in primo luogo, voglio darvi un po' di speranza. Silver, se voi ed io usciamo
da questa trappola da lupi, farò per salvarvi tutto quanto posso, eccetto il falso
testimone.
La faccia di Silver era raggiante.
"Lei non potrebbe parlar meglio, ne sono persuaso, fosse pure mia madre." "Ebbene,
questa è la mia prima concessione" riprese il dottore.
"La seconda è un consiglio: custodite bene il ragazzo, e se vi serve aiuto, chiamate. Io
vado a procurarvelo, e ciò stesso vi proverà che non parlo a casaccio. Arrivederci,
Jim." E il dottor Livesey mi strinse la mano attraverso la palizzata; e, rivolto a Silver un
cenno di saluto, entrò di buon passo nel bosco.




(continua)

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Capitolo 31

La caccia al tesoro: l'indice di Flint



"Jim" disse Silver quando fummo soli "se io ho salvato la vita a te, tu l'hai salvata a me,
e questo non lo scorderò. Ho visto che il dottore ti sollecitava a scappare; con la coda
dell'occhio l'ho visto; e ho visto che tu dicevi di no, chiaro come se ti udissi.
Jim, questo è un buon punto per te. E' il primo lampo di speranza dopo l'attacco fallito,
ed è a te che io lo devo. E ora, Jim, ci tocca metterci alla caccia del tesoro con ordini
suggellati, come si direbbe, cosa che a me non garba. Ma noi due dobbiamo tenerci
stretti come fossimo cuciti insieme, per salvare la nostra testa a dispetto della sorte e
del destino." In quel momento un uomo ci chiamò perché la colazione era pronta, e
presto sedemmo sulla sabbia, intorno al fuoco, con davanti biscotto e lardo fritto.
Avevano acceso un fuoco da arrostire un bue, e questo fuoco era talmente divampato
e ardente che non ci si potevano accostare che dal lato del vento, e non senza
precauzione. Mossi dallo stesso spirito di dissipazione, avevano cotto tre volte più roba
di quanta non ne potessimo mangiare, e uno di loro, con una risata da scemo, gettava i
resti nel braciere che ravvivato da quell'insolito alimento tornava a fiammeggiare e
scoppiettare. Io non vidi in vita mia gente più noncurante del domani. "Giorno per
giorno" è l'unica espressione adatta a qualificare la loro maniera di vivere; tanto per lo
sciupìo delle provviste quanto per le sentinelle addormentate; e sebbene essi fossero
abbastanza arditi per affrontare una breve scaramuccia, io vedevo chiaramente la loro
assoluta inettitudine a sostenere qualcosa come una campagna prolungata.
Lo stesso Silver, che mangiava col capitano Flint sulla spalla, non aveva una parola di
rimprovero per la loro indifferenza, cosa che mi stupiva, tanto più che ben di rado egli
si era mostrato così accorto come poco fa.
"Si, compagni" diceva lui "è una vera bazza per voi avere Porco- Arrostito che pensa
per voi con questa sua zucca qui. Io ho ottenuto ciò che volevo, io. Certo, essi tengono
la nave. Dove la tengano, non lo so: ma una volta acciuffato il tesoro, ci metteremo a
cercarla e la scoveremo. E allora, amici miei, poiché abbiamo i canotti, avremo il
sopravvento." Così andava discorrendo con la bocca piena di lardo scottante; e mentre
ristorava la loro speranza e fiducia, credo bene che risollevava insieme se stesso.
"Quanto all'ostaggio" continuò "suppongo che quella sarà l'ultima sua chiacchierata
con la gente che ama tanto. Io ho avuto la mia parte di notizie; e gliene sono grato; ma
oramai è cosa finita. Lo terrò al guinzaglio mentre andremo alla caccia del tesoro,
perché ci converrà custodirlo come fosse oro, in caso di accidente, capite, e per il
momento. Una volta in possesso della nave e del tesoro, e che navigheremo come
allegri compagni, oh, allora parleremo col signor Hawkins, parleremo, e gli daremo la
sua razione, sicuro, in compenso delle sue gentilezze." Che gli uomini fossero ora di
buon umore, nessuna meraviglia.
Quanto a me, ero tremendamente abbattuto. Qualora il piano che egli aveva finito
d'abbozzare fosse diventato attuabile, Silver, già due volte traditore, non avrebbe
esitato ad adottarlo. Egli aveva ancora un piede da una parte e uno dall'altra, e non c'è
dubbio che avrebbe preferito la libertà e la ricchezza coi pirati alla prospettiva di
sfuggire semplicemente all'impiccagione, che era quanto di meglio potesse sperare da
parte nostra.
Inoltre, e anche se la forza delle cose lo avesse costretto a mantenere la parola data al
dottor Livesey, anche allora quale pericolo dinanzi a noi! Che momento, quando i
sospetti dei suoi seguaci si fossero trasformati in certezza, ed io e lui ci fossimo trovati
a dover difendere la nostra vita, lui, uno sciancato, ed io, un ragazzo, contro cinque
robusti e svelti marinai!
Si aggiunga a questa duplice apprensione il mistero che tuttora circondava la condotta
dei miei amici, il non chiarito abbandono del fortino, l'inesplicabile cessione della carta,
e, più duro ancora da comprendere, l'ultimo avvertimento a Silver: "Attento alle
burrasche quando lo troverete" e sembrerà naturale il fatto che io gustassi così poco la
mia colazione e con il cuore agitato seguissi i miei carcerieri alla ricerca del tesoro.
Dovevamo fare una curiosa figura, a chi ci avesse visti, sporchi nei nostri panni
marinareschi, e tutti, eccetto me, armati fino ai denti. Silver portava due fucili a tracolla,
l'uno davanti, l'altro di dietro, oltre al grosso coltellaccio alla cintura e a una pistola in
ciascuna tasca del suo abito a falde quadrate. A completare questo strano spettacolo,
il capitano Flint stava appollaiato sulla sua spalla, gracchiando stramberie e brani
d'insensate chiacchiere di bordo. Legato alla vita da una corda, io seguivo docilmente il
cuoco che teneva un dei capi ora nella mano libera ora tra i suoi poderosi denti. Ero
proprio condotto come un orso addomesticato.
Gli altri erano variamente caricati: alcuni portavano picconi e pale che avevano
sbarcato dall'"Hispaniola" come arnesi di prima necessità; altri lardo, biscotti e
acquavite per il pasto di mezzogiorno. Tutte queste provviste osservai che provenivano
dalla nostra riserva, e potei così constatare la verità delle affermazioni di Silver. Non
avesse concluso un patto col dottore, la perdita della nave avrebbe ridotto lui e i suoi
seguaci a sostentarsi di acqua e dei prodotti della loro caccia. L'acqua non sarebbe
stata di loro gusto; un marinaio non è di solito buon tiratore; oltre al fatto che,
trovandosi così scarsi di viveri, non sembrava che dovessero neppure abbondare di
polvere.
Così dunque equipaggiati, e marciando in fila indiana, ci avviammo tutti, compreso
quello dalla testa fasciata, che meglio certo avrebbe fatto a rimanersene quieto, e
raggiungemmo la riva dove i due canotti ci attendevano. Anche questi portavano
traccia della ubriaca follia dei pirati: uno aveva un sedile rotto, e tutti e due erano
imbrattati di fango e mezzo pieni d'acqua. Dovevamo portarli con noi per maggior
sicurezza, e così, imbarcati parte su uno parte sull'altro, attraversammo la baia.
Mentre remavamo, nacque una disputa a proposito della carta. La croce rossa era
naturalmente un segno troppo grande per costituire un preciso punto di riferimento, e i
termini della nota scritta dietro erano alquanto ambigui. Come il lettore forse ricorderà,
la nota diceva:
"Grande albero, contrafforte del Cannocchiale, punto di direzione Nord-Nord-Est,
quarta a Nord. Isola dello Scheletro Est-Sud-Est, quarta a Est. Dieci piedi".
Un grande albero era dunque il dato principale.
Ora, diritto davanti a noi, la baia era chiusa da un pianoro alto da due a trecento piedi
che verso nord si riuniva alle pendici meridionali del Cannocchiale e verso sud si
drizzava fino a collegarsi all'aspra e scoscesa altura denominata la Montagna
dell'Albero di Mezzana. Il pianoro era folto di pini di diversa altezza. Esemplari di varia
specie si ergevano qua e là, superando di quaranta o cinquanta piedi i loro vicini; ma
solo stando sul posto e consultando la bussola si sarebbe potuto stabilire quale di
questi fosse il preciso grande albero del capitano Flint.
Tuttavia, prima ancora che le imbarcazioni fossero a metà strada, già ciascuno si era
scelto il suo preferito. Solo Long John scrollava le spalle e pregava di star tranquilli fino
a che non si fosse lassù.
Vogavamo adagio, per ordine di Silver, di modo che gli uomini non si stancassero
presto; e dopo una lunga traversata sbarcammo alla foce del secondo torrente che
precipita lungo una boscosa forra del Cannocchiale. Di lì, piegando a sinistra,
cominciammo a salire l'erta che portava al pianoro.
All'inizio il terreno grasso e melmoso e il groviglio delle erbe palustri ostacolarono
grandemente i nostri passi: a poco a poco, però, la montagna diventò più ripida e
rocciosa, mentre il bosco, cambiando carattere, cresceva più rado e meno disordinato.
Era in verità uno dei più incantevoli posti dell'isola, questo dove ci addentravamo.
Ginestre dal profumo acuto e arbusti vari fioriti avevano preso il posto dell'erba. Sulle
verdi macchie degli alberi di noce moscata spiccavano i rossi fusti dei pini dai larghi
ombrelli; e il miscuglio dei loro aromi impregnava l'aria, che era fresca ed eccitante,
cosa che sotto i raggi perpendicolari del sole ci dava un dolcissimo refrigerio.
Con grida e salti la brigata si sparse intorno a ventaglio. Molto in coda, Silver ed io
seguivamo: io impastoiato dalla corda, lui arando con un profondo ansimare la
sdrucciolevole ghiaia. E di tanto in tanto occorreva anche che gli dessi una mano per
evitare che gli mancasse un piede e ruzzolasse giù per il pendio.
Avevamo così percorso circa mezzo miglio e stavamo per toccare il ciglio del pianoro,
quando dall'individuo più lontano sulla sinistra partì un urlo di orrore a cui seguirono
reiterate grida che fecero accorrere i compagni.
"Che abbia trovato il tesoro non può darsi" osservò il vecchio Morgan affrettandosi
dietro a noi "perché il tesoro è assolutamente in cima." In realtà, come assodammo
non appena sul posto, si trattava di qualcosa di ben diverso. Ai piedi di un grosso pino
e mezzo nascosto in un verde cespuglio tra i cui rami erano impigliati alcune piccole
ossa, uno scheletro umano giaceva sul terreno con alcuni brandelli di vestito. Questa
vista mise, credo, un gelo acuto in ogni cuore.
"Era un uomo di mare" dichiarò Giorgio Merry, che più coraggioso di tutti si era chinato
là sopra per esaminar da vicino i brani del vestito. "In ogni modo, questa è tela da
marinaio bell'e buona." "Già, già," disse Silver "è probabile. Né io penso che ti
aspettassi di trovare un vescovo, qui. Ma in che strano modo sono disposte queste
ossa! Non è naturale." Infatti, tornando a guardare, non si poteva credere che il corpo
fosse in una posizione normale. A parte qualche disordine (dovuto forse agli uccelli che
si erano nutriti di lui o alla lenta crescita delle piante che a poco a poco ne avevano
avvolto i resti) l'uomo giaceva in una posizione perfettamente rettilinea, i piedi orientati
in un senso, le mani tese sopra la testa come quelle di un tuffatore, nella opposta
direzione.
"Mi è venuta un'idea, nella mia vecchia zucca" annuncio Silver.
"Ecco qui la bussola, ecco laggiù la più alta punta dell'isolotto dello Scheletro che
spicca simile a un dente. Vogliamo rilevare il punto sulla linea di queste ossa?" Così fu
fatto. Il corpo era appunto orientato in direzione dell'isolotto, e la bussola dava
precisamente Est-Sud-Est, quarto Est.
"Ne ero certo" gridò il cuoco. "Questo è un segno indicatore. In dirittura di questo
troviamo la stella polare e il nostro bell'oro splendente. Ma, corpo d'una saetta, lo
credereste che sento un freddo nella schiena se penso a Flint? Questo è uno dei suoi
scherzi, non c'è dubbio. Egli era solo qui con sei. Li ha uccisi tutti, uno dopo l'altro, e
questo l'ha rimorchiato qui e orientato con la bussola, morte delle mie ossa! Era
grande, quest'uomo, e aveva i capelli biondi. Sì, doveva essere Allardyce. Ti ricordi di
Allardyce, Tom Morgan?" "Ma sì, ma sì che me ne ricordo;" rispose l'interpellato "mi
doveva del denaro, mi doveva, e sbarcando mi portò via il coltello." "A proposito di
coltello" fece un altro "o perché non cerchiamo il suo lì intorno? Flint non era uomo da
vuotare le tasche d'un marinaio, e gli uccelli un coltello non se lo mangiano, mi pare."
"Questo è vero, perdio" esclamò Silver.
"Nulla, proprio nulla è rimasto qui" fece Merry continuando a frugare tra le ossa. "Né un
centesimo né una tabacchiera. Questo non mi sembra naturale." "No, perbacco, no"
rincalzò Silver "né naturale né simpatico, per niente. Per mille diavoli, amici miei, se
soltanto Flint fosse in vita, ci scotterebbe abbastanza, qui, e per voi e per me. Erano
sei come noi, essi, e non sono più che ossa." "L'ho visto morto io con questi occhi,
Flint, l'ho visto" disse Morgan. "Billy mi portò dentro. Egli era là coricato, con dei
soldoni sugli occhi." "Morto sì, certamente, morto e sotterrato," fece l'individuo dalla
testa fasciata "ma se ci sono spiriti che ritornano, Flint dovrebbe essere tra quelli.
Perché, Dio mio, ha fatto una brutta fine Flint, ha fatto." "Oh, sì che l'ha fatta" aggiunse
un altro. "Un momento delirava, un altro momento strepitava per del rum, oppure
cantava: "Quindici sopra la cassa del morto..." Era la sua unica canzone, camerati; e vi
dico la verità, io non l'ho mai più potuta sentire, da allora.
Faceva un caldo d'inferno, la finestra era aperta, e io sentivo quella vecchia canzone
che risuonava chiara chiara, e intanto la morte gli stava con le unghie addosso." "Via,
via, finiscila con la tua storia. E' morto, e non cammina più, per quel che so io; o quanto
meno, non va in giro di giorno, state pur sicuri" interruppe Silver. "La paura è fatta di
nulla.
Andiamo avanti per i doppioni." Riprendemmo il cammino: ma, a dispetto del sole
ardente e della luce accecante, i pirati smisero di correre ciascuno per proprio conto
gridando per il bosco; ma procedevano stretti l'uno all'altro e parlavano sottovoce. Il
terrore del morto filibustiere incombeva su di loro.




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Capitolo 32

La caccia al tesoro: la voce tra gli alberi



Per liberarsi da quel turbamento, e per dar modo a Silver e al malato di riposare,
l'intera brigata si mise a sedere non appena giunta in cima alla salita.
Essendo il pianoro leggermente inclinato verso occidente, il punto dove sostammo
dominava da tutti e due i lati una vasta distesa. Di fronte, al di là delle vette degli alberi,
scoprivamo il Capo delle Foreste frangiato di spuma; dietro, non soltanto la baia laggiù,
con l'Isola dello Scheletro, ma anche verso est, oltre la lingua di terra e la pianura
orientale, un grande spazio di mare aperto. Erto sopra di noi si drizzava il dorso del
Cannocchiale punteggiato di rari pini e zebrato di oscuri burroni. Si sentiva solo il
rumore della lontana risacca, montante da ogni parte, e il ronzìo d'innumerevoli insetti
nella macchia. Non un essere umano, non una vela in mare: l'immensità del panorama
accresceva il senso di solitudine.
Silver sedette e rilevò con la bussola alcune orientazioni.
"Ci sono tre "grandi alberi"" disse poi "sulla linea press'a poco dell'Isolotto dello
Scheletro. 'Contrafforte del Cannocchiale' indica, se non sbaglio, quella più bassa
cresta laggiù. Ormai, trovare la mercanzia è solo un gioco da ragazzi. Ma io avrei
voglia di mangiare, prima." "Io non ho appetito" borbottò Morgan. "E' il pensiero di Flint,
credo, che me l'ha tolto." "Oh per questo, figlio mio, puoi ringraziare la tua stella che è
morto" disse Silver.
"Era brutto come il diavolo" saltò su un terzo con un moto di raccapriccio. "Ah quella
faccia paonazza!" "Così l'aveva ridotto il rum" aggiunse Merry. "Paonazza, sì, siamo
d'accordo. E' la parola giusta." Dopo che, scoperto lo scheletro, avevano lasciato ai
loro pensieri prendere questa piega, si erano ridotti a parlare sempre più sottovoce,
fino quasi a bisbigliare, cosicché il suono delle loro parole interrompeva appena il
silenzio della foresta. Tutto a un tratto dal folto degli alberi di fronte a noi si sentì una
voce sottile, acuta e tremula, intonare l'aria e le parole ben note:
"Quindici sopra la cassa del morto Yò, hò-hò e una bottiglia di rum!" Io non vidi mai
uomini più terribilmente sbigottiti dei nostri pirati. I loro visi si scolorirono come per
incanto; alcuni balzarono in piedi, altri si avvinghiarono ai loro vicini; Morgan si
dibatteva per terra.
"E' Flint, per...!" gridò Merry.
Il canto cessò di colpo, troncato nel mezzo di una nota, quasi che una mano avesse
tappato la bocca del cantore. Venendo da così lontano, attraverso la limpida e
luminosa atmosfera tra il verde degli alberi, era risuonato leggero e melodioso, e
l'effetto prodotto sui miei compagni mi parve più strano che mai.
"Andiamo" disse Silver stentando a tirare fuori le parole dalle sue labbra color cenere
"questo non è niente. Pronti a virare! E' una impressione curiosa, che mi fa questa
voce. Io non saprei che nome darle: ma è certo qualcuno che si burla di noi, qualcuno
in carne e ossa, credete a me." Mentre così parlava, riprendeva coraggio, e il suo viso
riprendeva colore. Già gli altri incominciavano a lasciarsi persuadere, e ritornavano un
poco in sé, quando la stessa voce ruppe di nuovo il silenzio. Non era più un canto,
questa volta, ma un debole lamentoso appello che gli echi della gola del Cannocchiale
si rimandavano anche più affievolito.
"Darby Mac Graw!" gemeva la voce (è questa la parola che meglio rende il suono)
"Darby Mac Graw! Darby Mac Graw!" ancora e ancora e ancora; e poi, fattasi alquanto
più acuta, e con una bestemmia che tralascio:
"Portami il rum, Darby!" Lo spavento inchiodò al suolo i filibustieri. Gli occhi fuori della
testa, essi stavano ancora lì dopo un pezzo che la voce non si sentiva più, guardando
davanti a sé, muti e allibiti.
"Non c'è dubbio" balbettò uno. "Andiamo via!" "Sì, furono queste le sue ultime parole"
gemette Morgan "le sue ultime parole su questa terra." Dick aveva tirato fuori la bibbia,
e pregava con ardore. Egli aveva ricevuto una buona educazione, prima di darsi al
mare e imbarcarsi con cattivi compagni.
Silver teneva ancora duro. Sentivo che batteva i denti, ma non si arrendeva.
"Nessuno in quest'isola ha mai sentito parlare di Darby" mormorò egli "nessuno
all'infuori di noi qui." E, facendo un enorme sforzo: "Camerati" gridò "io sono qui per
acciuffare quella mercanzia, e non mi lascerò mettere nel sacco né da un uomo né dal
diavolo. Non ho mai avuto paura di Flint da vivo, e, per mille diavoli, saprò affrontarlo
da morto. A meno di un quarto di miglio da qui, ci sono settecentomila sterline. Quando
mai un gentiluomo di fortuna ha voltato la poppa a tanta grazia di Dio per timore di un
vecchio beone di marinaio dalla gola paonazza, e per giunta morto?" Ma non si vedeva
segno di un risveglio di coraggio nei suoi seguaci: il loro terrore, piuttosto, sembrava
accresciuto dall'empietà delle parole.
"Smettila, John" disse Merry. "Non prendertela con uno spirito." Gli altri erano troppo
spaventati per aprir bocca. Se la sarebbero data a gambe ciascuno per conto proprio,
se avessero osato: ma la paura li raggruppava insieme e li stringeva a John quasi che
dal suo coraggio potessero trarre sostegno. Lui, dal canto suo, aveva quasi
completamente vinto la sua debolezza.
"Uno spirito? Sia pure," disse "ma c'è qualcosa che io non vedo chiaro, qui. Voi avete
sentito un'eco. Ora, nessuno ha mai visto uno spirito con un'ombra. E allora, che
bisogno avrebbe egli di un'eco? Vorrei saperlo. Questo non è certo naturale."
L'argomento mi parve assai debole. Ma nessuno può mai sapere come reagisca la
gente superstiziosa; e, con mia grande sorpresa, vidi Giorgio Merry molto sollevato.
"E' proprio così" approvò egli. "Tu hai la testa sul collo, John, non c'è dubbio. Svelti a
virare, camerati. Quel marinaio là, sbaglia di bordata, credo. E, ripensandoci, sì,
somigliava alla voce di Flint, lo ammetto: ma non era però così chiara, in fondo.
Si sarebbe piuttosto detta la voce di qualcun altro... la voce di..." "Di Ben Gunn, per
mille diavoli!" ruggì Silver.
"Sì, era così infatti" esclamò Morgan levandosi sulle ginocchia.
"Era proprio Ben Gunn!" "Questo non fa una gran differenza, non vi pare?" intervenne
Dick.
"Ben Gunn non è qui in carne ed ossa più di quanto c'è Flint." Quest'osservazione
suscitò lo sdegno dei marinai anziani.
"E che c'importa di Ben Gunn?" gridò Merry. "Morto o vivo, non c'importa niente di lui."
Io ero stupito di vedere come avevano ripreso animo, e come sui loro visi era tornato il
colore naturale. Presto si rimisero a chiacchierare, mettendosi di tanto in tanto in
ascolto; e poco dopo, non sentendo più niente, si rimisero in spalla i loro arnesi e
proseguirono il cammino, preceduti da Merry che portava la bussola di Silver per
mantenerli nella linea dell'Isola dello Scheletro. Merry non s'era ingannato: morto o
vivo, nessuno si curava di Ben Gunn.
Solo Dick aveva sempre la sua bibbia aperta, e camminando lanciava intorno occhiate
tremanti, ma senza incontrare consensi, mentre Silver lo canzonava per le sue
precauzioni.
"Te l'avevo ben detto, te l'avevo ben detto io, che avevi guastato la bibbia. Se non è più
buona per giurarci sopra, che vuoi che se ne faccia uno spirito? Neanche questo!" E
soffermatosi sulla gruccia, fece schioccare le sue grosse dita.
Ma Dick non era uomo da poter essere confortato; io non tardai ad accorgermi che si
reggeva appena in piedi: sotto l'influenza del caldo, della stanchezza e dello spavento,
la febbre prevista dal dottor Livesey saliva rapidamente.
Il terreno sgombro rendeva facile la marcia sulla cima che il nostro sentiero
costeggiava da un lato, poiché, come già dissi, il pianoro era inclinato verso occidente.
I pini grandi e piccoli crescevano nello spazio aperto; e anche fra i gruppi di noci
moscati e di azalee, vaste radure si stendevano, arroventate dal sole. Tagliando l'isola
come facevamo quasi per nord-ovest, ci avvicinavamo sempre più ai contrafforti del
Cannocchiale da una parte, e dall'altra scoprivamo sempre meglio quella baia
occidentale che io tutto tremante e sballottato dalle onde avevo attraversato con la
piroga.
Raggiunto il primo dei grandi alberi e rilevata la posizione, si vide che non era quello
buono. Stesso risultato col secondo. Il terzo si elevava quasi duecento piedi al disopra
del bosco ceduo:
gigante vegetale dal fusto rosso, voluminoso come una casetta, alla cui immensa
ombra avrebbe manovrato una compagnia. Lo si scorgeva dall'alto mare, da levante e
da ponente, e avrebbe potuto figurare come punto di riferimento sulla carta.
Ma non era la sua altezza ciò che impressionava i miei compagni, bensì il sapere che
settecentomila sterline in oro stavano sotterrate in qualche punto della sua diffusa
ombra. Il pensiero del denaro, mano a mano che essi si avvicinavano, assorbiva i loro
terrori di poco fa. I loro occhi fiammeggiavano, i loro piedi correvano più svelti e leggeri:
l'intera loro anima era incatenata da quella ricchezza che li attendeva là e prometteva a
ognuno di loro tutta una vita di piacere e di gozzoviglia.
Silver arrancava grugnendo, sulla sua gruccia; le sue narici dilatate tremavano; egli
bestemmiava come un turco quando le mosche gli si posavano sul volto acceso e
lucido di sudore: dava furiosi strattoni alla corda che mi legava a lui, e di tanto in tanto
si girava verso di me con un'occhiata assassina. Non si preoccupava certo di
nascondere i suoi pensieri che io leggevo come in un libro aperto. Nella immediata
prossimità dell'oro, aveva dimenticato tutto il resto: la promessa fatta al dottore, e il suo
avvertimento appartenevano ormai al passato; e senza dubbio egli sperava
d'impadronirsi del tesoro, ritrovare l'"Hispaniola", imbarcarsi col favore della notte dopo
aver scannato ogni onest'uomo che lì rimasto, e darsi alla fuga come prima aveva
progettato, filando via carico di crimini e di ricchezze.
Assediato da tali timori, faticavo a tener dietro al rapido passo dei cercatori del tesoro.
Spesso inciampavo, ed era allora che Silver tirava così bruscamente la corda e mi
fulminava coi suoi sguardi. Dick, che ora si era accodato a noi, e formava la
retroguardia, parlava tra sé nella crescente eccitazione della febbre, biascicando
preghiere e bestemmie. Anche questo aggravava la mia angoscia, e per colmo di pena
ero tormentato dalla visione della tragedia che doveva un giorno essersi svolta su quel
pianoro, quando quel dannato filibustiere dalla faccia paonazza morto poi a Savannah
cantando e reclamando da bere, aveva con le sue mani trucidato i suoi sei complici.
Questo bosco adesso così tranquillo doveva aver rintronato di urla quel giorno; e
pensandoci ora, nel calore dell'immaginazione, mi pareva di sentirlo rintronare ancora.
Toccavamo intanto il margine della macchia.
"Urrà, compagni! Su, tutti insieme!" tuonò Merry; e quelli che erano in testa si
slanciarono.
Ma non avevano fatto più di dieci metri, che li vedemmo di botto arrestarsi. Un grido
strozzato ferì l'aria. Silver accelerò il passo, zappando col piede della sua gruccia
come un indemoniato; e in un attimo piombammo là.
Una larga buca ci si apriva davanti, scavata da tempo, perché i fianchi erano franati, e
sul fondo germogliava l'erba. Lì dentro stavano un manico di vanga spezzato in due; e,
sparse qua e là, tavole di casse da imballaggio. Sopra una di queste assi io lessi,
impresso a fuoco, il nome di "Walrus" - il nome della nave di Flint.
Tutto era chiaro fino all'evidenza. Il nascondiglio era stato scoperto e svaligiato: le
settecentomila sterline erano sfumate!




(continua)

_________Aurora Ageno___________
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21/01/2009 19:59


Capitolo 33

La caduta di un capo



Non fu mai visto al mondo un simile capovolgimento: Tutti i sei uomini sembravano
fulminati. Ma Silver superò presto il colpo.
Tutti i suoi desideri si erano avventati verso quel denaro come cavalli da corsa; e, per
quanto fermato all'improvviso, di netto, aveva mantenuto il suo sangue freddo,
recuperato il suo equilibrio, e modificato il suo piano prima ancora che gli altri avessero
avuto tempo di misurare le proporzioni del loro disinganno.
"Jim" mi disse sottovoce "prendi questa, e difenditi." E mi passò una pistola a due
colpi.
Intanto si muoveva tranquillamente verso nord, spostandosi in modo che la buca
rimanesse tra noi due e gli altri cinque. Poi mi guardò scotendo la testa come per dire
"Eccoci in una brutta situazione", cosa che purtroppo pensavo anch'io.
Il suo aspetto era adesso del tutto amichevole; e questi continui cambiamenti mi
indignavano al punto che non potei trattenermi dal mormorargli: "E così, avete di nuovo
cambiato partito!" Non ebbe tempo di rispondermi. Con grida e bestemmie i pirati, uno
dietro l'altro, erano saltati nella buca, e ora scavavano con le loro unghie buttando di
lato le assi: Morgan rinvenne una moneta d'oro. Egli la sollevò in alto in un turbine di
bestemmie. Era una doppia ghinea: e passò lampeggiando di mano in mano.
"Due ghinee!" ruggì Merry brandendola verso Silver. "Sono queste le tue
settecentomila sterline, non è vero? E tu sei l'uomo che ti intendi d'affari, non è vero?
Sei quello che non ha mai guastato nulla, tu, razza di poltrone, testa di legno!"
"Scavate, ragazzi: avanti, scavate" disse Silver con tranquillissima insolenza; "non mi
stupirei che trovaste dei tartufi." "Dei tartufi!" strillò Merry. "Lo sentite, camerati?
Ebbene, io vi dico che quell'uomo sapeva tutto. Guardatelo: glielo si legge in faccia."
"Eh, Merry" esclamò Silver "di nuovo aspiri al posto di capitano?
Sei un ragazzo che sa farsi strada, non c'è dubbio." Ma questa volta tenevano tutti per
Merry. Cominciarono ad arrampicarsi fuori dalla buca, lanciando occhiate furibonde.
Particolare di buon augurio per noi: uscivano tutti dal lato opposto a Silver.
E così restammo: due da una parte, cinque dall'altra, divisi dalla buca, senza che
nessuno trovasse l'ardire di sparare il primo colpo. Silver non si muoveva: ben dritto
sulla sua gruccia, li sorvegliava, e sembrava più impassibile che mai. Innegabilmente
era coraggioso.
Alla fine Merry stimò bene di parlare.
"Camerati" disse "ecco là due di 'loro' soli: uno è il vecchio storpio che ci ha portati qui,
e messi in questo pasticcio; l'altro è quel moccioso a cui io voglio strappare le budella.
E adesso, camerati..." Alzò la voce e insieme il braccio col gesto di chi incita a un
assalto, quando: pan! pan! pan!, tre colpi di moschetto balenarono dalla macchia.
Merry piombò a capo fitto nella buca; l'uomo dalla testa bendata girò su se stesso
come una trottola, e stramazzò su di un fianco, restando lì fra le convulsioni
dell'agonia; gli altri tre girarono la schiena e schizzarono via con quanta forza avevano
in corpo.
In un batter d'occhio John aveva scaricato i due colpi di una pistola contro Merry che
rantolava, e poiché il moribondo in uno sforzo estremo alzò gli occhi verso di lui:
"Giorgio" gli disse "eccoti pagato." In quel mentre il dottore, Gray e Ben Gunn con in
pugno i loro moschetti fumanti sbucarono dalla macchia di noci moscati e si
avvicinarono a noi.
"Avanti, ragazzi" gridò il dottore. "Di corsa: dobbiamo impedire loro di raggiungere i
canotti." E partimmo di gran carriera affondando a volte nei cespugli fino al petto.
Silver teneva molto a non staccarsi da noi. Lo sforzo che quest'uomo doveva compiere
saltando sulla sua gruccia fino quasi a farsi scoppiare i muscoli del petto, era tale che,
secondo il dottore, nessun valido individuo ne sarebbe stato capace. Malgrado ciò, egli
rimaneva già indietro di trenta passi, ed era del tutto esausto, quando toccammo
l'estremità del pendìo.
"Dottore" avvertì egli "guardi là. Non c'è fretta." Infatti non c'era fretta. In una zona più
aperta del pianoro scorgemmo i superstiti che continuavano a correre nella stessa
direzione verso cui si erano incamminati, ossia verso il Monte dell'Albero di Mezzana.
Visto che eravamo già fra loro e i canotti, sedemmo per riprendere fiato, mentre Long
John asciugandosi il sudore lentamente ci raggiungeva.
"Grazie di cuore, dottore" disse "lei è arrivato al giusto momento, credo, per me e per
Hawkins... E così, sei tu, Ben Gunn... Ebbene, tu sei gentile, non c'è che dire..." "Io
sono Ben Gunn, sono" rispose il "maroon" torcendosi come un'anguilla nel suo
imbarazzo. E aggiunse dopo una lunga pausa "Come state voi, mastro Silver?
Benissimo, vi ringrazio, non è vero?" "Ben, Ben" mormorò Silver "se penso a ciò che
mi hai fatto!" Il dottore mandò Gray a prendere una delle vanghe abbandonate dai
ribelli nella loro fuga; e mentre continuavamo a discendere con tutto comodo verso il
luogo dove giacevano i canotti, riferì in poche parole quello che era accaduto. Questa
storia, di cui Ben Gunn, il "maroon" semi idiota, era l'eroe dal principio alla fine,
interessò moltissimo Silver.
Nei suoi lunghi vagabondaggi per l'isola, Ben aveva trovato lo scheletro, ed era lui che
l'aveva spogliato. Egli aveva trovato il tesoro, l'aveva dissotterrato (era il manico della
sua vanga quello ritrovato nella buca), l'aveva trasportato sul dorso in molti faticosi
viaggi dai piedi del gran pino fino alla grotta in cui abitava sulla montagna dai due
picchi nella punta nord-est dell'isola, e là tutto quest'oro era rimasto immagazzinato e
al sicuro fin da due mesi prima dell'arrivo dell'"Hispaniola".
Il dottore gli aveva strappato il segreto nel pomeriggio dell'attacco. L'indomani mattina,
visto l'ancoraggio deserto, era andato da Silver; gli aveva lasciato la carta, inutile
ormai; ceduto le provviste, poiché la grotta di Ben Gunn era ben fornita di carne di
capra da lui stesso salata: ceduto ogni e qualunque cosa, pur di ottenere la possibilità
di abbandonare sano e salvo il fortino e ritirarsi sulla montagna dai due picchi al fine di
sottrarsi alla malaria e guardare il tesoro.
"Quanto a te, Jim" mi disse "è stato a malincuore, ma ho agito per il meglio di coloro
che si erano mantenuti fedeli al loro dovere; e se tu non eri di questi, di chi la colpa?"
Quel mattino, considerando che io sarei rimasto coinvolto nell'atroce delusione
preparata agli ammutinati, egli era corso alla grotta; e lasciato il capitano sotto la
custodia del cavaliere, portati con sé Gray e il "maroon", aveva attraversato l'isola in
diagonale per andare ad appostarsi vicino del pino.
Accortosi peraltro subito che la nostra brigata era in anticipo su di lui, spedì avanti Ben
Gunn, buon corridore, perché facesse del suo meglio da solo. A costui venne l'idea di
sfruttare la superstizione dei suoi antichi camerati, e vi riuscì così bene che Gray e il
dottore ebbero il tempo di arrivare a imboscarsi prima della comparsa dei cercatori del
tesoro.
"Ah," fece Silver "è stata una fortuna per me avere qui Hawkins.
Lei, dottore, avrebbe lasciato fare a pezzi il vecchio John, senza dedicargli neppure un
pensiero." "No, neppure uno" confermò il dottore allegramente.
Intanto avevamo raggiunto i canotti. Armato della vanga, il dottore ne demolì uno, e
tutti quanti ci imbarcammo sull'altro dirigendoci, bordeggiando la costa, verso la baia
del Nord.
Fu un tragitto di otto o nove miglia. Silver, sebbene fosse stanco morto, prese un remo
anche lui come noi, e scivolammo veloci sopra un mare di seta. Presto passammo lo
stretto, e doppiammo il capo sud-est dell'isola intorno al quale quattro giorni prima
avevamo rimorchiato l'"Hispaniola".
Lasciataci dietro la montagna dai due picchi, scorgemmo il nero orifizio della grotta di
Ben Gunn, e il profilo di un uomo in piedi, appoggiato a un moschetto. Era il cavaliere;
sventolammo un fazzoletto, e gli lanciammo tre urrà irrobustiti dalla potente voce di
Silver.
Tre miglia più in là, proprio all'imboccatura della baia del Nord, che cosa potevamo
incontrare se non l'"Hispaniola" che navigava da sé, alla ventura? L'ultima marea
l'aveva rimessa a galla; e se vi fosse stato un vento robusto oppure un forte riflusso
come nell'ancoraggio sud, non l'avremmo mai più rivista, o per lo meno si sarebbe
incagliata senza rimedio. Effettivamente, ad eccezione della vela maestra ridotta in
brandelli, il guasto era di poco conto. Fu preparata un'altra àncora, e vi demmo fondo
in un braccio e mezzo d'acqua. Poi riprendemmo i remi dirigendoci alla cala del Rum,
l'approdo più vicino al tesoro di Ben Gunn; mentre Gray ritornava da solo col canotto
all'Hispaniola dove avrebbe passato la notte a fare la guardia.
Una dolce salita conduceva all'entrata della grotta. In cima ci imbattemmo nel
cavaliere. Con me egli fu gentile e affettuoso, e della mia scappata non disse nulla, né
in biasimo né in lode. Il manieroso saluto di Silver gli fece salire un po' di sangue alla
faccia.
"John Silver" gli disse "voi siete un inqualificabile furfante e impostore, un mostruoso
impostore. Mi si è detto che devo astenermi dal farvi processare: ebbene, me ne
asterrò. Ma le vittime, signore, pesano sul vostro collo come macine da mulino." "Le
mie cordiali grazie, signore" replicò Long John con un nuovo inchino.
"Vi proibisco di ringraziarmi" scattò il cavaliere. "E' una grave infrazione al mio dovere.
Levatevi di lì!" Entrammo nella grotta. Era un largo e arioso ambiente rallegrato da una
piccola sorgente con una pozza di limpida acqua su cui si inclinavano delle felci. Il
suolo era sabbia. Davanti a un vigoroso fuoco stava coricato il capitano Smollett, e in
un angolo lontano, dove la fiamma svegliava appena qualche debole riverbero, intravidi
grandi mucchi di monete e masse quadrangolari di verghe d'oro. Era il tesoro di Flint
che eravamo venuti a cercare da così lontano, e che già era costato la vita a
diciassette uomini dell'"Hispaniola". Quanto fosse costato ammassarlo, quanto sangue
e dolori, quante belle navi affondate, quanta brava gente attratta in mare da quel
miraggio, quanti colpi di cannone, quanto di offese, menzogne e crudeltà, nessuno al
mondo forse potrebbe dire.
Ma c'erano ancora tre su quest'isola: Silver, il vecchio Morgan e Ben Gunn, ciascuno
dei quali aveva avuto la sua parte in questi delitti, allo stesso modo in cui aveva invano
sperato di ottenere la sua parte di ricompensa.
"Entra, Jim" mi disse il capitano. "Tu sei un buon ragazzo, nel tuo genere: ma io non
credo che noi navigheremo ancora insieme.
Sei un po' troppo un ragazzo viziato, per me. O chi vedo, John Silver? Che vento vi ha
portato qui?" "Rientro nelle file, signore" rispose Silver.
"Ah!" fece il capitano; e non aggiunse altro.
Che cena, quella sera, attorniato da tutti i miei amici; e che pasto, con carne di capra
salata da Ben Gunn, parecchie ghiottonerie e una bottiglia di vino vecchio
dell'"Hispaniola"!
Gente più allegra e felice credo che non fu mai vista. E Silver era là, seduto in disparte,
quasi fuori della luce del focolare, che però mangiava di gusto, pronto a slanciarsi
quando si desiderava qualcosa; e accordando il suo riso, ma in sordina, al nostro: lo
stesso calmo, garbato, ossequioso marinaio che era stato durante la traversata.




(continua)

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21/01/2009 20:01


Capitolo 34

e ultimo


L'indomani mattina ci si mise di buon'ora al lavoro, perché trasportare quel grosso
mucchio d'oro a bordo dell'"Hispaniola", facendogli percorrere un miglio per terra fino
alla spiaggia e poi tre miglia per mare fino all'"Hispaniola", era impresa tutt'altro che
agevole per un così scarso numero di uomini. Dei tre banditi in fuga per l'isola ci
davamo ben poco pensiero. Una semplice sentinella appostata sul dorso della
montagna bastava a proteggerci da qualsiasi sorpresa; senza contare, del resto, che di
battersi essi dovevano essere più che stufi.
Il lavoro fu dunque condotto speditamente. Gray e Ben Gunn andavano e venivano col
canotto, mentre gli altri badavano ad accatastare il tesoro sulla spiaggia. Due sole
barre legate insieme con una corda formavano un buon carico per un adulto, e
camminando lentamente. Quanto a me, essendo poco adatto a quella fatica, rimasi
tutto il giorno occupato nella grotta a imballare le monete nei sacchi da pane.
Era una curiosa collezione, simile a quella di Billy Bones, per la varietà dei conii, ma
talmente più ricca e abbondante che io provai un immenso piacere ad assortirla.
Monete inglesi, francesi, spagnole, portoghesi; giorgi e luigi, dobloni e doppie ghinee,
moidori e zecchini con le effigi di tutti i re d'Europa degli ultimi cento anni; bizzarri pezzi
orientali impressi di segni che somigliavano a fili di cordicelle o brani di tele di ragno;
pezzi rotondi e pezzi quadrati e pezzi forati nel mezzo, come medaglie da portare al
collo: tutte le varietà di moneta del mondo figuravano, credo, in quella raccolta; e
quanto al loro numero penso che uguagliassero le foglie dell'autunno, perché avevo
male alla schiena dopo tanto curvarmi, e male alla mano dopo tanto scegliere.
Il trasporto durò parecchio: alla fine di ogni giorno una fortuna era stivata a bordo, e
un'altra attendeva il suo turno per l'indomani; e durante tutto questo tempo i tre
superstiti ribelli non dettero segno di vita.
Finalmente, mi sembra che fosse la terza sera, io gironzolavo col dottore sul dorso
della montagna nel punto che dominava le parti basse dell'isola, quando dalla fitta
oscurità di laggiù il vento ci portò un'eco tra di grida e di canti. Non fu che un breve
intermezzo, a cui seguì il silenzio dì prima.
"Iddio li perdoni" disse il dottore "sono gli ammutinati." "Tutti ubriachi, signore" risuonò
la voce di Silver alle nostre spalle.
Silver, devo dirlo, godeva della massima libertà; e malgrado i quotidiani rimproveri
sembrava considerarsi di nuovo come un dipendente a cui venivano elargiti privilegi e
riguardi. In verità, c'era da stupire a vedere con che disinvoltura egli sopportava certe
staffilate, e con quale inesauribile garbo continuava a sforzarsi di entrar nelle grazie di
tutti. Nessuno però lo trattava meglio d'un cane, salvo Ben Gunn, che conservava una
tremenda paura del suo vecchio quartiermastro; oppure io stesso, che realmente gli
dovevo qualche gratitudine, nonostante che riguardo a ciò avessi forse ragione di
pensare di lui peggio di chiunque altro, perché l'avevo visto sul pianoro meditare un
nuovo tradimento. E perciò fu con un tono aspro che il dottore gli rispose.
"Ubriachi o deliranti" disse.
"Lei ha ragione" replicò Silver "ma ciò non fa differenza né per lei né per me."
"Suppongo non pretenderete che io vi prenda per un uomo pietoso," ribatté il dottore
con un ghigno "cosicché può darsi che i miei sentimenti vi sorprendano. Ma se io fossi
sicuro che delirano (e sono moralmente certo che uno di loro ha la febbre) lascerei
questo campo e rischierei volentieri la pelle per portar loro il soccorso della mia
scienza." "Chiedo perdono, signore, ma lei avrebbe torto. Ci rimetterebbe la sua
preziosa esistenza, stia pur sicuro. Io sono mani e piedi dalla sua parte, adesso, e non
vorrei vedere le nostre forze indebolite e private della sua persona, tanto più che so
quanto a lei devo. Ma quella gente laggiù non sarebbe capace di mantenere la parola,
no, anche supponendo che lo volesse; e, ciò che più conta, non crederebbe che lei
mantenesse la sua." "Difatti" disse il dottore "voi siete l'uomo capace di mantenere la
parola: lo sappiamo." Furono quelle all'incirca le ultime notizie che avemmo dei tre.
Solo una volta udimmo, molto lontano, un colpo di fucile, e pensammo che
cacciassero. Si tenne consiglio, e fu deciso, con grande giubilo di Ben Gunn e la piena
approvazione di Gray, di abbandonarli sull'isola. Lasciammo loro una notevole
provvista di polvere e di palle, quasi tutta la carne di capra salata, un po' di medicinali,
e alcune altre cose di prima necessità: degli arnesi, degli abiti, una vela di ricambio,
parecchie braccia di corda; e, dietro richiesta del dottore, una buona provvista di
tabacco.
Nient'altro ci restava da fare nell'isola. Già avevamo stivato il tesoro e imbarcato
sufficiente acqua, insieme col resto della carne di capra, per fronteggiare qualsiasi
eventualità; e finalmente un bel mattino salpammo l'àncora, operazione che richiese
tutte le nostre forze, e uscimmo dalla baia del Nord sotto la stessa bandiera che il
capitano aveva issato e difeso alla palizzata.
I tre ci avevano spiato più da vicino di quanto non immaginassimo, come presto
constatammo. Poiché uscendo dallo stretto dovemmo costeggiare molto da vicino la
punta sud, e li vedemmo là tutti tre inginocchiati l'uno accanto all'altro sopra una
striscia di sabbia, tendendoci le braccia supplichevoli. Piangeva il cuore a tutti, io
credo, ad abbandonarli in quel misero stato; ma noi non potevamo esporci al rischio di
un altro ammutinamento; e riportarli a casa loro per consegnarli alla forca, sarebbe
stato un atto di gentilezza alquanto crudele. Il dottore dette loro una voce, e li informò
delle provviste che avevamo lasciate e del luogo dove le avrebbero trovate. Ma essi
continuavano a chiamarci per nome, supplicandoci per amor di Dio di avere pietà e di
non abbandonarli alla morte in quella solitudine.
Da ultimo, vedendo che la nave proseguiva la sua rapida corsa e stava per arrivare
fuori portata di voce, uno di loro (non so chi) saltò in piedi con un rauco grido, puntò il
suo moschetto, e una palla passò fischiando sulla testa di Silver e bucò la vela
maestra.
Allora ci riparammo dietro il bastingaggio; e quando io tornai a guardare essi erano
scomparsi, e la stessa striscia di sabbia si era perduta nella lontananza. Così era finita
con loro; e prima di mezzogiorno, con mia indicibile gioia, anche il più alto picco
dell'Isola del Tesoro s'era affondato nel cerchio azzurro dell'orizzonte.
Trovandoci a corto di uomini, dovevamo tutti dare una mano ai lavori di bordo; solo il
capitano, disteso su un materasso a poppa, si limitava a trasmettere ordini, perché
malgrado si fosse rimesso in forze aveva ancora bisogno di riposo. Non potendo
affrontare il viaggio di ritorno senza rifornirci d'uomini, volgemmo la prua verso il più
vicino porto dell'America spagnola; e quando vi giungemmo, ostacolati da venti contrari
e da parecchie aspre raffiche, eravamo esausti.
Clava il sole mentre gettavamo l'àncora in un magnifico golfo; e subito ci trovammo
attorniati da un nugolo di imbarcazioni piene di negri e di indiani del Messico, e mulatti
che vendevano frutti e legumi e offrivano di tuffarsi per una piccola moneta. La vista di
tante facce ridenti - i negri specialmente - il sapore dei frutti tropicali, e soprattutto le
luci della città che incominciavano a brillare, formavano il più delizioso contrasto col
nostro torbido e sanguinoso soggiorno nell'isola. Il dottore e il cavaliere, prendendomi
con loro, scesero a terra a passarvi la serata. Là si incontrarono col capitano di una
nave da guerra inglese, e attaccarono discorso con lui che li condusse a bordo; in
breve le ore volarono via così piacevolmente che già sorgeva l'alba quando ci
accostavamo al fianco dell'"Hispaniola".
Ben Gunn era sul ponte solo, e appena ci vide prese a raccontarci, tra le più buffe
contorsioni, che Silver era fuggito. Il "maroon" aveva chiuso un occhio su quella fuga
avvenuta poche ore fa sopra un canotto, e ci assicurava di essersi così comportato per
salvaguardare le nostre vite, che sarebbero certo state compromesse qualora
"quell'uomo dalla gamba sola" fosse rimasto a bordo. Ma ciò non era tutto. Il cuoco non
se n'era andato a mani vuote. Aveva furtivamente praticato un buco in un tramezzo, e
s'era impadronito d'un sacco di monete, del valore forse di tre o quattrocento ghinee,
per provvedere alle sue ulteriori peregrinazioni.
Io credo che fummo tutti contenti d'esserci liberati di lui così a buon mercato.
Infine, per abbreviare questa lunga storia, prendemmo alcuni uomini a bordo, facemmo
un buon viaggio; e l'"Hispaniola" toccò Bristol proprio mentre il signor Blandly si
preparava ad armare la nave di conserva. Di tutti gli uomini che erano partiti con essa
non più di cinque rimpatriavano. "Satana agli altri non ha fatto torto - con la bevanda li
ha spediti in porto" spietatamente; nonostante che,, a dire il vero, noi non ci trovassimo
così mal ridotti come quell'altra nave della canzone:
"Con un sol uomo della ciurma in vita Che numerosa era sul mare uscita." Ciascuno di
noi ebbe una larga parte del tesoro, che impiegò saggiamente o follemente a seconda
della propria natura. Il capitano Smollett ha smesso di navigare. Gray non soltanto
custodì il suo denaro, ma rapidamente preso dal desiderio di ascesa sociale,
s'impratichì del suo mestiere, e ora è secondo sopra un bel bastimento di cui possiede
una parte; e è anche ammogliato e padre di famiglia. Quanto a Ben Gunn, ricevette
mille sterline, che scialacquò in tre settimane, o, per essere più esatti, in diciannove
giorni, perché al ventesimo ricomparve con le tasche vuote. Allora gli fu dato un posto
di portinaio, proprio come aveva temuto stando sull'isola; ed egli vive tuttora,
circondato dalle simpatie dei ragazzi del luogo, che però ne fanno un po' il loro
zimbello, e è un distinto cantore in chiesa la domenica e i giorni festivi.
Di Silver non si seppe altro. Quel terribile uomo di mare con una gamba sola è
finalmente fuori dal cerchio della mia vita; ma io credo che abbia ritrovato la sua
vecchia negra e viva contento insieme con lei e il capitano Flint. Così almeno mi piace
sperare, dato che non mi sembra molto probabile che la felicità lo aspetti nell'altro
mondo.
Le verghe d'argento e le armi stanno ancora, per quel che ne so, dove Flint le ha
sotterrate, e per conto mio ci resteranno per un pezzo. Neanche un tiro di buoi
potrebbe riportarmi in quell'isola maledetta; e i miei più paurosi incubi sono quando
sento i cavalloni tuonare lungo la costa, o quando salto d'improvviso sul mio letto, con
negli orecchi la stridula voce del capitano Flint:
"Pezzi da otto! Pezzi da otto!"






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_________Aurora Ageno___________
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