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L'ISOLA DEL TESORO - di Robert Louis Stevenson - Completo -

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 20:01
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21/01/2009 19:43


PARTE SESTA - IL CAPITANO SILVER


Capitolo 28

Nel campo nemico


Il rosso bagliore della fiaccola, illuminando l'interno del fortino, mi mostrò realizzate le
mie peggiori apprensioni. I pirati erano in possesso della casa e delle provviste: ecco il
barile dell'acquavite, ecco la carne salata, ecco il biscotto:
tutto come prima; e, ciò che moltiplicava la mia angoscia, nessuna traccia di prigionieri.
Non potevo pensare altro se non che fossero tutti morti; e il rimorso di non essermi
trovato lì, a morire insieme con loro, mi spaccava il cuore.
Erano in tutto sei: nessun altro era sopravvissuto. Cinque di essi scossi all'improvviso
dal primo sonno dell'ubriachezza, stavano in piedi, ancora accesi e gonfi. Il sesto si era
sollevato soltanto su un gomito: il suo viso era coperto da un pallore mortale, e le
bende sporche di sangue che gli avvolgevano la testa dicevano che era stato ferito di
recente e ancora più di recente fasciato. Mi ricordai di uno che durante il grande
attacco, colpito da una palla, era scappato nel bosco: senza dubbio era lui.
Il pappagallo si lisciava le penne, appollaiato sulla spalla di Long John. Questi mi parve
alquanto più pallido e duro del solito.
Portava ancora lo stesso bell'abito di panno con il quale aveva compiuto la sua
missione: ma quest'abito, per un amaro contrasto, era sporco di fango e lacerato dagli
spini dei rovi.
"E così, ecco qua Jim Hawkins, morte delle mie ossa, piovuto a farci visita, eh? Vieni,
vieni pure, io prendo la cosa amichevolmente." Così dicendo sedette sul barile
dell'acquavite e si mise a riempire la pipa.
E, dopo che ebbe acceso:
"Va bene, ragazzo: pianta la torcia nella catasta della legna; e voi, signori miei, andate
pure: non è il caso dl rimanere in piedi per il signor Hawkins: egli vi scuserà, state
tranquilli." "E così, Jim" e caricava il tabacco "eccoti qui: una ben amabile sorpresa per
il povero vecchio John. Io m'ero accorto che tu eri un ragazzo sveglio, quando ti misi gli
occhi addosso la prima volta: ma ora quest'improvvisata finisce di sbalordirmi, finisce."
A tutto ciò, naturalmente, io nulla replicai. Essi mi avevano messo con le spalle al
muro; ed io rimanevo là, guardando Silver in faccia, con un piglio abbastanza
coraggioso, forse, ma con in cuore la più cupa disperazione.
Silver tirò con molto sussiego una o due boccate di fumo, e continuò:
"E ora, Jim, dal momento che ti trovi qui, voglio un po' dirti come la penso. Tu mi sei
sempre stato caro come un ragazzo di spirito, ed io t'ho amato come l'immagine di me
stesso quando ero giovane e bello. Ho sempre desiderato che ti unissi a noi per avere
la tua parte e morire da gentiluomo; e ora, ecco che ci sei venuto, mio piccolo ardito. Il
capitano Smollett è un distinto uomo di mare, non mi stancherò di riconoscerlo: ma
quanto a disciplina è inflessibile. "Il dovere è dovere" dice lui, e ha ragione. Devi
guardarti dal capitano, tu. Lo stesso dottore ce l'ha a morte con te: "ingrato furfante",
così ti chiamava; e insomma la conclusione è questa, che tu non puoi ritornare coi tuoi
perché di te non si vuol più sapere; e a meno che tu non formassi un terzo equipaggio,
nel qual caso non raccoglieresti gran compagnia, non ti resta che unirti al capitano
Silver." Fin qui tutto andava bene. I miei amici vivevano dunque, e sebbene io credessi
vera in parte l'affermazione di Silver, che quelli della cabina me ne volevano per la mia
diserzione, le parole udite mi diedero più sollievo che afflizione.
"Quanto al fatto che sei nelle nostre mani" continuò Silver "e che ci sei non ne puoi
dubitare, io non dirò nulla. Io preferisco ragionare: dalle minacce non ho mai visto uscir
niente di buono.
Se il servizio ti quadra, ebbene, tu ti arruoli con noi; se non ti quadra, sei padrone
padronissimo di dir di no, camerata mio; e se c'è un marinaio al mondo capace di
parlare più chiaro di così, Dio mi fulmini!" Attraverso tutte queste beffarde parole io
avevo bene avvertito la minaccia di morte che mi pendeva sul capo; le mie guance
scottavano e il mio cuore martellava affannosamente dentro il mio petto.
"Devo dunque rispondere?" chiesi con un filo di voce.
"Nessuno ti sta alle costole, ragazzo mio. Rileva la tua posizione. Nessuno vuole farti
premura; il tempo, come vedi, scorre così piacevolmente in tua compagnia." "Ebbene"
dissi io prendendo un po' di coraggio "se devo scegliere, dichiaro che ho diritto di
sapere che cosa è successo, e perché voi siete qui, e dove si trovano i miei amici."
"Che cosa è successo?" echeggiò uno dei filibustieri con un sordo grugnito. "Fortunato
chi lo sa!" "Sarebbe meglio che tenessi chiusi i tuoi boccaporti fino a quando non ti si
dirige la parola, amico mio" intervenne Silver trucemente. E rivolgendosi a me con
l'amabile tono di prima, rispose: "Ieri mattina, durante il piccolo quarto, si presenta il
dottor Livesey con bandiera bianca. Capitano Silver, mi dice, siete tradito. Il bastimento
non c'è più. Ebbene, può darsi che nella notte avessimo bevuto un bicchiere di più, e
cantato magari per farla passare. Non dico di no. Comunque, nessuno di noi aveva
messo il muso fuori. Guardammo, e, corpo di mille bombe, la vecchia goletta non c'era
più. Io non ho mai visto una banda di minchioni restare lì con un'aria più istupidita.
Ebbene, dice il dottore, vogliamo trattare? Trattammo, lui ed io, e il risultato eccolo qui:
provviste, acquavite, fortino, legna da ardere che voi aveste la preveggenza di tagliare
e accatastare; e, per così dire, tutta quella benedetta nave, dalle crocette alla chiglia,
nelle nostre mani. Quanto a loro, sono filati via, né so dove si trovino." Tirò
placidamente un'altra boccata di fumo, e proseguì:
"E perché tu non ti metta in testa che sei compreso nel patto, ecco le ultime parole
pronunciate: Quanti siete, dico io, ad andarvene? Quattro, dice lui, quattro, uno dei
quali ferito.
Quanto a quel ragazzo, ignoro dov'è, che il diavolo se lo porti, dice lui, non me ne
importa affatto. Ne siamo stufi. Queste furono le sue parole." "E' tutto qui?" "Sì, è tutto
quanto devi sapere, figliolo mio." "E ora devo scegliere?" "Ora devi scegliere, sicuro."
"Ebbene" dissi io "io non sono così sciocco da non sapere che cosa mi aspetta. Ma
accada quel che accada, non me ne importa. Ne ho visti morire abbastanza da quando
vi ho incontrato. Ci sono però una o due cose che mi preme dirvi" e mentre così
parlavo ero assai eccitato "e la prima è questa: voi siete in una brutta situazione: nave
perduta, tesoro perduto, uomini perduti: tutta la vostra impresa naufragata; e se
desiderate sapere chi ne è stato la causa, io sono stato. Io stavo acquattato nel barile
delle mele la sera che avvistammo l'isola, e sentii voi, John, e voi, Dick Johnson, e
Hands che dorme ora in fondo al mare, e immediatamente riferii sillaba per sillaba ciò
che avevate detto. E quanto alla goletta, sono stato io a tagliare il cavo, io a uccidere
gli uomini che erano a bordo, io a portarla dove né voi né nessuno dei vostri uomini la
rivedrà mai. E sono io che posso ridere; il filo della matassa era in mano mia, e voi non
mi fate paura più di una mosca. Ammazzatemi o risparmiatemi come più vi piacerà. Ma
una sola cosa dirò ancora: se voi mi risparmiate, dimenticherò il passato, e quando
comparirete davanti alla corte sotto l'accusa di pirateria, vi difenderò con tutte le mie
forze. Tocca a voi scegliere. O sopprimermi senza trarne il minimo utile, o risparmiarmi
assicurandovi un testimonio che vi salverà dalla forca." M'interruppi perché proprio mi
mancava il respiro. Con mia gran meraviglia nessuno di loro si mosse; rimasero tutti a
guardarmi mogi come tante pecore. E mentre così mi guardavano, ripresi: "E ora,
mastro Silver, poiché voi siete il migliore di tutti, se le cose andassero alla peggio
usatemi la cortesia di far conoscere al dottore in che modo mi sono comportato." "Me
lo ricorderò" disse Silver con un accento così curioso che io non avrei potuto, anche a
prezzo della mia vita, decidere se si burlasse della mia richiesta o fosse
simpaticamente commosso dalla mia prova di coraggio.
"Aggiungerò io qualche cosa" gridò il vecchio marinaio dalla faccia color di mogano,
detto Morgan, che avevo visto nella taverna di Silver sulla banchina di Bristol "è stato
lui a riconoscere Can-Nero." "E sentite me" intervenne il mastro cuoco "che ve ne dico
un'altra, corpo d'una saetta: è stato questo ragazzo a sgraffignare la carta a Billy
Bones. Dal principio alla fine, Jim Hawkins è stato il nostro scoglio!" "E allora, ecco per
lui" proferì Morgan accompagnandovi una bestemmia.
E balzò in piedi tirando fuori il coltello con selvaggia irruenza.
«Alto là!" gridò Silver. "Chi sei tu, Tom Morgan? Ti credi forse di essere il capitano? Se
così è, per mille diavoli, ti mostrerò che t'inganni. Prova a mettermiti contro, e andrai
dove tanti cristiani da trent'anni a questa parte sono andati prima di te, dal primo
all'ultimo: qualcuno sulla punta del pennone, che Dio mi fulmini, qualcuno fuori bordo, e
tutti quanti a pascere i pesci.
Non c'è mai stato nessuno che mi abbia guardato nel bianco degli occhi e abbia poi
visto un giorno felice, Tom Morgan, te l'assicuro io." Morgan tacque; ma tra gli altri
sorse un roco mormorìo.
"Tom ha ragione" disse una voce.
"Io sono stato seccato abbastanza da un capitano" aggiunse un altro. "M'impicchino se
mi lascio romper le scatole da voi, John Silver." "C'è qualcuno di voi, miei signori, che
voglia venire a spiegarsi di fuori con me?" urlò Silver sporgendosi di sul caratello con in
pugno la sua pipa accesa. "Coraggio, su: parlate: non siete mica muti? Chi lo desidera
sarà servito. Avrò dunque vissuto tanti anni per vedermi provocare dal figlio di un
ubriaco? Voi conoscete le regole: siete gentiluomini di fortuna, a quanto dite. Ebbene,
eccomi pronto. Prenda un coltellaccio chi ha fegato, e io vi prometto che vedrò il colore
delle sue budella malgrado la mia gruccia e tutto, prima che questa pipata sia finita."
Nessuno si mosse, nessuno rispose.
"Così siete voi, no?" aggiunse riportando la pipa alla bocca. "Ah, bellissimi da vedere,
non c'è dubbio. Ma non troppo bravi sul terreno, no davvero. Ma se vi parlo nell'inglese
di Re Giorgio credo che mi capirete. Orbene: io sono vostro capitano per elezione. Io
sono il capitano qui perché sono migliore di tutti d'un buon miglio marino. Voi rifiutate di
battervi come dovrebbero dei gentiluomini di fortuna. Allora, corpo d'una saetta,
obbedirete, state pur certi. Ora, io voglio bene a questo ragazzo:
non ho mai visto un ragazzo migliore di lui. Vale più lui d'un qualsiasi paio di vigliacchi
che siete qui dentro; ed ecco cosa vi dico: vorrò vedere chi oserà mettergli le mani
addosso, ecco che cosa vi dico, e potete star sicuri." Seguì un lungo silenzio. Io stavo
dritto con le spalle al muro, e con il cuore che continuava a battere come il martello d
un fabbro; ma un raggio di speranza ora mi spuntava dentro. Silver si piazzò contro il
muro, con le braccia incrociate, la pipa all'angolo della bocca, immobile come fosse in
chiesa; ma lanciava intorno sguardi furtivi, e con la coda dell'occhio spiava i suoi
irrequieti compagni. I quali si andavano gradatamente raccogliendo all'estremità del
fortino, e il loro sommesso bisbigliare risuonava continuo al mio orecchio come un
ruscello. Uno dopo l'altro alzavano gli occhi, e la luce rossastra della fiaccola batteva
per un istante sulle loro torbide facce: ma non era su me, era su Silver che cadevano i
loro sguardi.
"Sembra che ne abbiate delle cose da dire" osservò Silver lanciando lontano uno
sputo. "Cantatemela, che la possa sentire, o se no, mettetevi alla cappa." "Chiedo
perdono, capitano" replicò uno degli uomini "voi prendete un po' troppo alla leggera
qualcuna delle nostre regole. Questo equipaggio è scontento; questo equipaggio non
ama le intimazioni più dei colpi di agucchione; quest'equipaggio ha i suoi diritti non
meno degli altri; mi permetto di dirlo; e a norma delle stesse vostre regole sostengo
che noi possiamo discutere insieme. Chiedo perdono, vi riconosco come capitano in
questo momento, ma reclamo il mio diritto, ed esco per tenere consiglio." E con un
diligente saluto marittimo, quest'individuo, un uomo di trentacinque anni, alto,
malaticcio, dagli occhi gialli, si diresse freddamente verso la porta e scomparve. I
rimanenti, uno dopo l'altro, seguirono il suo esempio; ciascuno facendo il proprio
saluto, passando, e accompagnandovi qualche scusa.
"Conforme alle regole" disse uno. "Consiglio di prua" disse Morgan. E così, con una o
un'altra frase, sfilarono tutti lasciando Silver e me soli alla luce della torcia.
Il mastro cuoco si levò la pipa dalla bocca.
"Ora stai attento, Jim Hawkins" disse con voce ferma, ma così sommessa che appena
mi arrivava all orecchio. "Tu sei a due passi dalla morte, e, ciò che è ben peggio, dalla
tortura. Essi stanno per disfarsi di me. Ma io ti assicuro che qualunque cosa accada,
sarò con te. In verità non era questa la mia precisa intenzione prima di averti sentito,
no. Ero quasi disperato di perdere questa grossa focaccia e rischiare di essere
impiccato per giunta. Ma ho visto che tu sei di buona razza. E mi son detto: sostieni
Hawkins, John, e Hawkins sosterrà te. Tu sei l'ultima sua carta, e, corpo di mille
bombe, John è la tua. Spalla a spalla, dico io. Tu salvi il tuo testimonio, e lui salverà la
tua testa." Cominciavo più o meno a capire.
"Intendete dire che tutto è perduto?" "Ma sì, perdio, sì! Partita la nave, partirà la mia
testa: una cosa tira l'altra. Quando guardai la baia, Jim Hawkins, e non vidi più la
goletta, ebbene, duro come sono, mi diedi per vinto. Per ciò che riguarda quella
combriccola e il loro consiglio, credi a me, non sono che degli stupidi e dei vigliacchi
sputati. Io ti salverò, se mi riesce, dalle loro grinfie. Ma, attenzione, Jim: tu in
compenso salverai Long John dalla forca." Io ero sgomento: mi sembrava una cosa
così disperata quella che mi chiedeva, lui, il vecchio pirata, il caporione della banda.
"Ciò che potrò lo farò" dissi.
"Affare fatto!" gridò Long John. "Tu parli da ragazzo coraggioso, e, corpo d'una bomba,
io non sono ancora perduto." Arrancò fino alla torcia infissa nel mucchio della legna, e
riaccese la pipa.
"Ascoltami bene, Jim" riprese tornando. "Io ho la testa sul collo.
Io sono dalla parte del cavaliere, ormai. So che tu hai condotto l'"Hispaniola" in salvo, e
non importa dove. Come tu abbia fatto, lo ignoro; ma in salvo c'è. Immagino che Hands
e O'Brien sono rimbecilliti. In verità non ho mai nutrito eccessiva fiducia in nessuno dei
due. Ora, bada a ciò che ti dico. Io non faccio domande né desidero che altri me ne
faccia. Quando una partita è perduta io lo riconosco, io. E riconosco quando un
ragazzo è bravo. Ah, tu che sei giovane, quante belle cose avremmo potuto combinare
insieme, tu ed io!" Spillò dalla botticella un po' d'acquavite.
"Vuoi assaggiare, camerata?" E, avuto il mio rifiuto, disse:
"Bene, ne prenderò un sorso io, Jim. Ho bisogno di calafatarmi, io, perché c'è del
torbido in vista. E a proposito di torbido, Jim, mi sai dire perché mai quel dottore mi ha
dato la carta?" Il mio viso espresse un così ingenuo stupore che egli giudicò inutile
pormi altre domande.
"Comunque sia, me l'ha data. E là sotto c'è qualche cosa, senza dubbio, qualche cosa
sicuramente, là sotto, Jim, di cattivo o di buono." E inghiottì un altro sorso d'acquavite,
scotendo la grossa testa bionda con l'aria di uno che non presagisce niente di allegro.




(continua)

_________Aurora Ageno___________
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