P O E S I E
LA BUFERA
La bufera che sgronda sulle foglie
duri della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell'oro
che s'è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muri e li sorprende in quella
eternità d'istante - ch'entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l'amore a me, strana sorella, -
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa...
Come quando
ti rivolgesti con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti - per entrar nel buio.
LUNGOMARE
Il soffio cresce, il buio è rotto a squarci,
e l'ombra che tu mandi sulla fragile
palizzata s'arriccia. Troppo tardi
se vuoi essere te stessa! Dalla palma
tonfa il sorcio, il baleno è sulla miccia,
sui lunghissimi cigli del tuo sguardo.
NEL SONNO
Il canto delle strigi, quando un'iride
con intermessi palpiti si stinge,
i gemiti e i sospiri
di gioventù, l'errore che recinge
le tempie e il vago orror dei cedri smossi
dall'urto della notte - tutto questo
può ritornarmi, traboccar dai fossi,
rompere dai condotti, farmi desto
alla tua voce. Punge il suono d'una
giga crudele, l'avversario chiude
la celata sul viso. Entra la luna
d'amaranto nei chiusi occhi, è una nube
che gonfia; e quando il sonno la trasporta
più in fondo, è ancora sangue oltre la morte.
SERENATA INDIANA
E’ pur nostro il disfarsi delle sere.
E per noi è la stria che dal mare
sale al parco e ferisce gli aloè.
Puoi condurmi per mano, se tu fingi
di crederti con me, se ho la follia
di seguirti lontano e ciò che stringi,
ciò che dici, m’appare in tuo potere.
Fosse tua vita quella che mi tiene
sulle soglie – e potrei prestarti un volto,
vaneggiarti figura. Ma non è,
non è così. Il polipo che insinua
tentacoli d’inchiostro tra gli scogli
può servirsi di te. Tu gli appartieni
e non lo sai: Sei lui, ti credi te.
GLI ORECCHINI
Non serba voli di ombra il nerofumo
della spera. (E del tuo non è più traccia).
E’ passata la spugna che i barlumi
Indifesi dal cerchio d’oro scaccia.
Le tue pietre, i coralli, il forte imperio
Che ti rapisce vi cercavo; fuggo
l’iddia che non s’incarna, i desideri
porto fin che al tuo lampo non si struggono.
Ronzano elitre fuori, ronza il folle
mortorio e sa che due vite non contano.
Nella cornice tornano le molli
meduse della sera. La tua impronta
verrà di giù: dove ai tuoi lobi squallide
mani, travolte, fermano i coralli.
_________Aurora Ageno___________