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Montale, Eugenio - Biografia e Poesie

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2011 17:38
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05/06/2011 18:26


EUGENIO MONTALE


NOTA BIOGRAFICA


Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896, ultimo di cinque fratelli, in una famiglia discretamente agiata ma estranea all'ambiente intellettuale.
Conseguita la licenza elementare, dal 1908 Eugenio entra nel collegio religioso dei Barnabiti. Si diplomerà ragioniere all'età di diaciannove anni con buoni voti. Dichiarato rivedibile alla visita di leva, viene immediatamente "arruolato" suo malgrado nell'ufficio del padre che è titolare di una ditta di vernici.
Scuola, collegio religioso, ufficio sono esperienze e luoghi che ipotecano fin da subito alcuni tratti del suo destino umano e professionale. Nasce in quegli anni la percezione amara della disarmonia col mondo. La fede, dopo i riti festosi e innocenti della comunione e della cresima, progressivamente si incrina E infine il sospetto, destinato a diventare certezza con gli anni, che se vuole leggere e scrivere, soddisfare la sua bruciante voracità culturale, dovrà farlo nei margini, nei ritagli: dopo la scuola, dopo l'orario di lavori peraltro sempre incerti e provvisori, dopo le molte ore passate, dal '48 in poi, nella redazione del "Corriere della Sera", nello stesso ufficio di Indro Montanelli.

(continua)

_________Aurora Ageno___________
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P O E S I E



LA BUFERA


La bufera che sgronda sulle foglie
duri della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,


(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell'oro
che s'è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)


il lampo che candisce
alberi e muri e li sorprende in quella
eternità d'istante - ch'entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l'amore a me, strana sorella, -


e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa...
Come quando
ti rivolgesti con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,


mi salutasti - per entrar nel buio.



LUNGOMARE


Il soffio cresce, il buio è rotto a squarci,
e l'ombra che tu mandi sulla fragile
palizzata s'arriccia. Troppo tardi


se vuoi essere te stessa! Dalla palma
tonfa il sorcio, il baleno è sulla miccia,
sui lunghissimi cigli del tuo sguardo.




NEL SONNO


Il canto delle strigi, quando un'iride
con intermessi palpiti si stinge,
i gemiti e i sospiri
di gioventù, l'errore che recinge
le tempie e il vago orror dei cedri smossi
dall'urto della notte - tutto questo
può ritornarmi, traboccar dai fossi,
rompere dai condotti, farmi desto
alla tua voce. Punge il suono d'una
giga crudele, l'avversario chiude
la celata sul viso. Entra la luna
d'amaranto nei chiusi occhi, è una nube
che gonfia; e quando il sonno la trasporta
più in fondo, è ancora sangue oltre la morte.



SERENATA INDIANA


E’ pur nostro il disfarsi delle sere.
E per noi è la stria che dal mare
sale al parco e ferisce gli aloè.

Puoi condurmi per mano, se tu fingi
di crederti con me, se ho la follia
di seguirti lontano e ciò che stringi,

ciò che dici, m’appare in tuo potere.


Fosse tua vita quella che mi tiene
sulle soglie – e potrei prestarti un volto,
vaneggiarti figura. Ma non è,

non è così. Il polipo che insinua
tentacoli d’inchiostro tra gli scogli
può servirsi di te. Tu gli appartieni

e non lo sai: Sei lui, ti credi te.




GLI ORECCHINI


Non serba voli di ombra il nerofumo
della spera. (E del tuo non è più traccia).
E’ passata la spugna che i barlumi
Indifesi dal cerchio d’oro scaccia.
Le tue pietre, i coralli, il forte imperio
Che ti rapisce vi cercavo; fuggo
l’iddia che non s’incarna, i desideri
porto fin che al tuo lampo non si struggono.
Ronzano elitre fuori, ronza il folle
mortorio e sa che due vite non contano.
Nella cornice tornano le molli
meduse della sera. La tua impronta
verrà di giù: dove ai tuoi lobi squallide
mani, travolte, fermano i coralli.








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29/07/2011 21:44





LA FRANGIA DEI CAPELLI


La frangia dei capelli che ti vela
la fronte puerile, tu distrarla
con la mano non devi. Anch'essa parla
di te, sulla mia strada è tutto il cielo,
la sola luce con le giade ch'ài
accerchiate sul polso, nel tumulto
del sonno che la cortina che gl'indulti
tuoi distendono, l'ala onde tu vai,
trasmigratrice Artemide ed illesa,
tra le guerre dei nati-morti; e s'ora
d'aeree lanugini s'infiora
quel fondo, a marezzarlo sei tu, scesa
d'un balzo, e irrequieta la tua fronte
si confonde con l'alba, la nasconde.





FINESTRA FIESOLANA


Qui dove il grillo insidioso buca
i vestiti di seta vegetale
e l'odor della canfora non fuga

le tarme che sfarinano nei libri,
l'uccellino s'arrampica a spirale
su per l'olmo ed il sole tra le frappe
cupo invischia. Altra luce che non colma,
altre vampe, o mie edere scarlatte.





IL GIGLIO ROSSO


Il giglio rosso, se un dì
mise radici nel tuo cuor di vent'anni
(brillava la pescaia tra gli stacci
dei renaioli, a tuffo s'inforravano
lucide talpe nelle canne, torri,
gonfaloni vincevano la pioggia,
e il trapianto felice al nuovo sole,
te inconscia si compì);


il giglio rosso già sacrificato
sulle lontane crode
ai vischi che la sciarpa ti tempestano
d'un gelo incorruttibile e le mani, -
fiore di fosso che ti s'aprirà
sugli argini solenni ove il brusìo
del tempo più non affatica...: a scuotere
l'arpa celeste, a far la morte amica.





IL VENTAGLIO


Ut pictura... Le labbra che confondono,
gli sguardi, i segni, i giorni ormai caduti
provo a figgerli là come in un tondo
di cannocchiale arrovesciato, muti
e immoti, ma più vivi. Era una giostra
d'uomini e ordegni in fuga tra quel fumo
ch'Euro batteva, e già l'alba l'inostra
con un sussulto e rompe quelle brume.
Luce la madreperla, la calanca
vertiginosa inghiotte ancora vittime,
ma le tue piume sulle guance sbiancano
e il giorno è forse salvo. O colpi fitti,
quando ti schiudi, o crudi lampi, o scrosci
sull'orde! (Muore chi ti riconosce?)






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16/08/2011 22:29



PERSONAE SEPARATAE


Come la scaglia d'oro che si spicca
dal fondo oscuro e liquefatta cola
nel corridoio dei carrubi ormai
ischeletriti, così pure noi
persone separate per lo sguardo
d'un altro? E' poca cosa la parola,
poca cosa lo spazio in questi crudi
noviluni annebbiati: ciò che manca,
e che ci torce il cuore e qui m'attarda
tra gli alberi, ad attenderti, è un perduto
senso, o il fuoco, se vuoi, che a terra stampi,
figure parallele, ombre concordi,
aste di un sol quadrante i nuovi tronchi
delle radure e colmi anche le cave
ceppaie, nido alle formiche. Troppo
straziato è il bosco umano, troppo sorda
quella voce perenne, troppo ansioso
lo squarcio che si sbiocca sui nevati
gioghi di Lunigiana. La tua forma
passò di qui, si riposò sul riano
tra le nasse atterrate, poi si sciolse
come un sospiro, intorno - e ivi non era
l'orror che fiotta, in te la luce ancora
trovava luce, oggi non più che al giorno
primo già annotta.





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17/08/2011 17:38



L'ARCA


La tempesta di primavera ha sconvolto
l'ombrello del salice,
al turbine d'aprile
s'è impigliato nell'orto il vello d'oro
che nasconde i miei morti,
i miei cani fidati, le mie vecchie
serve - quanti da allora
(quando il salce era biondo e io ne stroncavo
le anella con la fionda) son calati,
vivi, nel trabocchetto. La tempesta
certo li riunirà sotto quel tetto
di prima, ma lontano, più lontano
di questa terra folgorata dove
bollono calce e sangue nell'impronta
del piede umano. Fuma il ramaiolo
in cucina, un suo tondo di riflessi
accentra i volti ossuti, i musi aguzzi
e li protegge in fondo la magnolia
se un soffio ve la getta. La tempesta
primaverile scuote d'un latrato
di fedeltà la mia arca, o perduti.





_________Aurora Ageno___________
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