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La pace solitaria dopo la sconfitta - racconto

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2011 19:46
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17/08/2011 19:46



La pace solitaria dopo la sconfitta






Quanto ancora fosse lunga la strada, non sapeva; la carta indicava piuttosto vagamente il cammino da percorrere; e già molto ne aveva fatto, in quei quattro mesi. L’aveva messo in conto, comunque; e da quando s’era lasciato alle spalle l’ultima vaga traccia della pista (scomparsa lentamente in una immensa distesa d’erba disseccata, come cedendo alla stanchezza), la solitudine s’era fatta sempre più profonda. Il silenzio aveva soffocato ogni rumore tranne quello del vento; e quando di tanto in tanto il suo fucile faceva fuoco, ad abbattere bestie innocenti da trasformare in cibo, l’eco dello sparo subito era svanito, come nemmeno ci fosse stato. Quella era terra perduta da ogni lato e fino all’orizzonte, chiuso dalla chiostra violetta delle montagna.

Quindi quella era la strada giusta. Sarebbe arrivato in una valle ove vivere lontano e introvabile, al riparo da ogni odio e da ogni intrusione. Consapevole d’aver fronteggiato la vita con cuore puro. Non sicuro invece di fronteggiare i ricordi della guerra e della sconfitta, questo sì. Ma se la vecchia Dixie non c’era più, tanto era valso trovare una patria nuova. Che fosse deserta, poco importava: anzi era meglio, forse. Via da tutto.

Il centocinquantesimo giorno di viaggio, nel cielo che s’era fatto grigio e senza vento, improvviso quel colpo di fucile. Il suo cavallo s’arrestò nervosamente. Uomini, dunque, anche là, e dopo un così lungo viaggio.

Larry guardò la collina, vide subito quella piccola nuvola grigia, tra i cespugli davanti alla foresta:

«Sì, Chico» disse carezzando il muso del cavallo «ha sparato di là»; e un uomo apparso da dietro un abete scendeva a grandi passi verso di lui, gridando; s’udiva la sua voce, non le sue parole. Teneva attraverso il petto un lungo fucile, e quando fu a una ventina di metri si fermò.

Stivali sfondati, abito logoro come il povero stetson sul quale, rozzamente cucita, si vedeva una smunta targhetta con un numero. Magrissimo, volto irsuto, lunghi capelli ricadenti sulle spalle. Un selvaggio, lo si sarebbe detto. Labbra tese su radi denti nerastri, occhi fiammeggianti, spiritati, febbrili. Tenendoli fissi su Larry, fece:

«Indietro, via! Di qui non passate. Via! Indietro!»

Larry non lo guardava; guardava il fucile. Enfield 58, quello arrivato troppo tardi. Si sentì vagamente turbato. Chiese: «Perché non dovrei passare? Questa terra non è di nessuno».

«No! È mia, è mia!» replicò l’uomo; volse un braccio all’indietro: «fino a quelle colline le vedete? E’ mia! Non passerete! Tornate indietro!»

«Ma io vado più in à delle vostre colline. Ho ancora forse cento giorni di strada. La vostra terra non mi interessa».

«No? E chi lo dice? Voi? Voi state aprendo la strada per una carovana, lo so! Voi siete il primo, lo scout, gli altri verranno dopo e allora...allora, qui...» le parole si confusero su quelle labbra sottili, che si distorsero in una smorfia quasi feroce; il fucile in un attimo s’abbassò...
Nulla. Il selvaggio guardò attonito la pistola che Larry gli aveva fulmineamente puntato contro. Alzò gli occhi, chiese quasi sussurrando: «Volete uccidermi?» ma poi, subito: «Non lascerò passare nessuno» gridò «capite?, nessuno!...» Abbassò insieme arma, testa e voce «...nessuno deve venire sulla mia terra».

«Come vi chiamate?» domandò lentamente Larry.

«Madison».

«Non temete, Madison. Passerò, non mi vedrete più, nessuno mi segue. Vi terrete la vostra terra».

«No» fece il selvaggio dopo un po’; levò il volto sul quale era apparsa, inattesa, un’espressione di severa nobiltà; inghiottì, riprese: «Non posso lasciarvi passare. Ho giurato. Non ho mai mancato a un giuramento, io. Se volete passare...» Tacque.

«Se voglio passare?»
Come in un lamento: «Battetevi con me».

«Ma voi non avete pistola».

Una smorfia: «Datemene una».
«Potrei, sì. Ma da quanto tempo non usate la pistola, Madison?»
La risposta fu frettolosa, sprezzante: «Non lo so, non lo so! Che importa?»
«Importa. Sono svelto, io. Troppo, per voi».

«Ho il mio fucile» ribatté pronto Madison protendendo in avanti il viso «Ci mettiamo a quaranta passi, va bene?»"
Traendo dalla fondina da sella il Winchester, e mostrandolo, Larry mormorò:

«Un duello deve essere alla pari. I nostri fucili non lo sono. Winchester contro Enfield. Non posso battermi».

«Il mio è alla pari di tutti!» gridò Madison.

«Lo era».

«Non ho paura della vostra dannata carabina! E se mi dite ancora di no, vi sparerò, perché siete un vigliacco, e avete paura a battervi!»
Larry fissò gli occhi limpidi e chiari in quelli stralunati di Madison e levando il dito ad accennare alla targa sullo stetson, disse adagio:

«Io non mi batto contro chi ha un fucile che ha sparato a Foster Hill».

Silenzio. Madison, immobile con la bocca che adagio si veniva aprendo, guardava incredulo Larry; e poi, attonito, balbettò: «Foster Hill?» attese un istante: «Foster Hill?» ripeté «voi sapete che cosa?...Voi eravate...»
«Non ero là. Ci sono arrivato quando tutto era finito. So che cosa avete fatto voi del 40°. Gli ultimi a cedere. Senza» soggiunse in un soffio Larry «bandiera bianca».
Madison pareva una statua, ora. E immobile prese a piangere lentamente, silenziosamente, gli occhi fissi in quelli di Larry, il viso devastato che veniva adagio ricomponendosi nella dignità. Fece segno di sì, ma chiese balbettando: «Senza bandiera bianca... L’avete saputo, dunque?»
«L’hanno saputo tutti».
Un altro e più forte scoppio di pianto; e i due sudisti si trovarono d’un tratto l’uno tra le braccia dell’altro.

Si lasciarono poco dopo. Non avevano più parlato di guerra, dell’Enfield 58 arrivato quando i giochi erano ormai fatti. Né dell’estremo scontro di Foster Hill, un battaglione contro un reggimento. Non avevano nemmeno avuto una parola per il Sud sconfitto. Ma non avevano bisogno di parole. Ciascuno cerca la pace come vuole, come può. Loro penavano di trovarla nelle grandi e selvagge solitudini. Prima del tramonto Larry continuò con Chico il suo cammino, e Madison restò nel riparo della sua terra.


Mino Milani

da L'Avvenire


_________Aurora Ageno___________
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