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Alla taverna del "Polpo Zoppo" - racconto

Ultimo Aggiornamento: 21/08/2011 19:45
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21/08/2011 19:45


RACCONTI


Alla taverna del «Polpo Zoppo»


L’insegna raffigura un polpo con la cappella avvolta in una bandana nera, un occhio rotondo e fisso e uno tappato da una pecetta piratesca.Su un fondo per metà nero e per metà giallo il polpo sta piantato su sette tentacoli e un bastone. È la Taverna del Polpo Zoppo,un locale buio con la porta aperta sul carrugio dove in fondo si vede il mare. Trascorrevo i pomeriggi ad ascoltare le storie del vecchio Juanito mangiando acciughe salate e bevendo vermentino. Se andate in vacanza sul Tigullio è inutile che cerchiate il Polpo Zoppo perché da tempo non esiste più.

«Le acciughe nel nostro mare si pescano da aprile a ottobre», mi istruiva Juanito «ma il tempo migliore è il mese di giugno quando l’acciuga può raggiungere anche la lunghezza di venti centimetri. L’apprendistato in mare l’ho fatto con mio zio materno, Giuseppe detto il Regua perché gli piaceva alzare il gomito ogni tanto. Aveva armato un gozzo a un albero che utilizzava d’estate per la pesca e d’inverno per il trasposto dell’olio, ma quell’estate il sacco tornava su mezzo vuoto, qualche aguglia, pochi lacerti, bughe. Ma alici niente. "Se vuoi fare provvista di acciughe per tutto l’inverno devi uscire la notte di Ognissanti", diceva il Giustema, "È la notte dei Morti e chi esce in mare qualla notte trova una pesca miracolosa perché sono i morti nel mare a dirgli dove gettare le reti". Questo diceva il Giustema, ma nessuno gli credeva perché passava per fuori di testa. Ridevano, gli battevano sulla spalla e gli offrivano un bicchiere di vermentino».

«E tu, Juanito», gli chiedevo io tanto per fare conversazione e fare passare il tempo, «sei mai uscito a pesca la notte di Ognissanti?»

«Una volta, con il Giustema. Avevo dodici, quattordici anni, non so. Il Giustema, come ti ho detto,passava per uno che non aveva tutta la testa a posto, la sera non si sa dove andasse a dormire. Ma di una cosa si poteva stare certi:da marzo a ottobre il Giustema andava a dormire in barca. La teneva in secco a riparo del moletto. Non la metteva mai in acqua, non usciva mai a pesca. Un’altra leggenda si portava dietro il Giustema, di essere stato raccolto in mare, una notte di tempesta, dal vascello fantasma del Conte Polpo, un corsaro di Porto Venere al soldo di Napoleone che abbordava i trasporti inglesi nel Grande Golfo, da La Spezia a Marsiglia. "Ma tu, Giustema", gli chiedevo io, "sul Vascello fantasma ci sei stato davvero, e si può toccare un vascello fantasma?"
"Io ho camminato fin sulla punta del suo bompresso. Esci con me la notte di Ognissanti e lo vedrai, quella notte quando le acciughe salgono a galla, salutano, e poi si sprofondano nelle acque fredde e profonde insieme coi morti annegati"».

A me la faccenda dei morti annegati metteva un brivido nelle ossa perché quelli, a differenza dei vascelli fantasma,ci sono davvero in fondo a ogni mare, ma la voglia di riempire la mia rete di acciughe lunghe e grasse era talmente tanta da superare la paura dei morti e le fantasie sul vascello fantasma.

Così, la notte del 31ottobre,con il Giustema spinsi la barca in acqua. Il Giustema si mise ai remi. Al largo il mare si era fatto grosso. Io avevo la rete ai piedi. «Butto giù, Giustema?» gli chiedevo.
«No», rispondeva, lo sguardo fisso avanti, «Non è ancora il momento».
«Butto giù, Giustema?» chiedevo ancora io.
«No, non è giunto il momento», ripondeva lui sempre senza voltarsi. Finalmente smise di remare e ritirò i remi in barca.
«Getta la rete, Juan!» mi gridò attraverso il vento che si era fatto forte.
«Getta la rete, ragazzo, da prua, non da poppa».

Gettai la rete da prua. La rete, invece di tornarci addosso per il riflusso dell’onda, tirava in avanti, gonfia tanto che pareva volesse spezzarsi. La barca, trainata da una forza misteriosa volava verso l’orizzonte.In uno squarcio del cielo vidi correre la luna. Fu un istante.A quel chiarore improvviso si presentò innanzi ai miei occhi uno spettacolo stupefacente. A trainare la barca attraverso il mare in tempesta era un’intera, guizzante, argentea popolazione di acciughe che, entrate nel sacco della rete lanciata a prua, si tirava dietro la barca con la forza di un motore. Dove ci portava quella invasata popolazione di acciughe? Lo avrei saputo presto, perché in fondo, dove il buio confinava col buio, apparve un’ombra enorme. Quella che ci sovrastava era la fiancata di una nave a tre alberi, un vascello d’altri tempi: alto, nero, immobile sul mare in tempesta nonostante i suoi tre alberi fossero coperti di vele. Non c’era dubbio, era il vascello fantasma, il Polpo Zoppo, il vascello del Conte Polpo. Dalla murata del vascello mani invisibili lanciarono una scala di corda. «Avanti, ragazzo, ormai non puoi tornare indietro prima di avere camminato fin sulla punta del bompresso.

Ma, se lo farai, le acciughe faranno sempre a gara a riempire la tua rete, sarai il più fortunato pescatore di acciughe». Sul ponte ci accolse la ciurma: niente scheletri, niente membra disfatte, niente facce patibolari. Nonostante il buio che regnava sul ponte, quei fantasmi mi parvero piuttosto allegri nell’accogliere il Giustema come fosse una loro vecchia conoscenza. Scendemmo a tastoni i gradini del quadro. In un salottino tappezzato di maculata seta gialla,dietro un tavolo tarlato sedeva un uomo dal volto pallido, i capelli bianchi, un occhio di vetro azzurro che si accendeva e spegneva alla luce delle candele. Teneva il capo chino sopra una mappa del tratto di mare e dell’interno della costa. «Non ricorda più dove ha nascosto il suo tesoro», mi sussurrò il Giustema «perciò non si dà pace». Il Conte alzò la testa: «Hai trovato nulla, Giustema?»

«Nulla signor Conte».
Il Conte corsaro battè il pugno sulla carta che teneva aperta davanti,poi parve calmarsi e mi fissò con l’azzurro occhio di vetro: «Vieni, ragazzo. Ventura o sventura ti darà il Polpo Zoppo». Lo seguimmo sul ponte. E allora seppi che anche i fantasmi possono essere zoppi. Il vento era calato e nel cielo, tra una nuvola e l’altra, correva la luna. Senza aprire bocca il Conte mi indicò imperiosamente, puntando la stampella, il bompresso sotto cui si infrangevano le onde. «Che cosa vuole da me?». «Si tratta di un piccolo rito» mi spiegò il Giustema «Camminare fino all’asta del bompresso e tornare indietro». La cosa non mi piaceva per nulla: anche se il mare si era calmato il vascello beccheggiava sulle onde. Ma non avevo scelta, e iniziai il mio percorso di equilibrista.

Ero un ragazzo agile e, in breve, un piede dietro l’altro, raggiunsi l’estremità del bompresso. Ma quando mi voltai per rifare il percorso mi trovai sospeso sopra un’orrida visione: la polena del vascello era un enorme polpo in cui si aprivano due immensi occhi glauchi sopra un becco curvo come quello di un pappagallo. Attorno alla testa smisurata si dipartivano otto lunghe braccia, i tentacoli con cui abbracciava il tagliamare, e di cui l’ottavo, tronco, finiva come una stampella minacciosamente levata verso il cielo. A quella vista per poco non caddi in mare. Mi ripresi, tornai sulla tolda tra gli applausi della ciurma fantasma. Giustema mi fece cenno di seguirlo. Lo seguii al volo sulla scala di corda e, raggiunta la barca, mi misi vigorosamente ai remi. Giungemmo a riva che albeggiava. Mi voltai, ma del Polpo Zoppo nessuna traccia, il mare luccicava sgombro all’orizzonte.

Tornai al mio lavoro di pescatore ma da quella notte non ci fu giorno che la mia rete non fosse gremita di acciughe. Così, con il guadagno delle acciughe ho aperto questo locale e gli ho messo nome Polpo Zoppo in ricordo del vascello fantasma e in onore del Conte corsaro.

«Quanti anni hai, Juanito?» gli chiesi facendomi sulla soglia della Taverna guardando la stringa di cielo che si era fatto buio sopra il carrugio.
«Lo sai, saranno cento al prossimo Ognissanti.»
«E quanto vermentino ci siamo fatti stasera, Juanito?»
«È facile. Tutto quello che manca nel fiasco».


Ferruccio Parazzoli

da L'Avvenire


_________Aurora Ageno___________
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