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L'ISOLA DEL TESORO - di Robert Louis Stevenson - Completo -

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 20:01
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Capitolo 6

Le carte del capitano



Cavalcammo speditamente lungo tutto il cammino, finché ci arrestammo alla porta del
dottor Livesey.
La facciata della casa era completamente buia.
Il signor Dance mi ordinò di saltare a terra e bussare, e Dogger mi prestò la staffa per
discendere. Subito la porta si aprì, e alla mia domanda se il dottore fosse in casa, la
cameriera rispose che era rientrato nel pomeriggio ma poi era di nuovo uscito per
recarsi a pranzare al castello e passare la serata col cavaliere.
"Ebbene, andiamo là, ragazzi" disse il signor Dance.
Questa volta, siccome il tragitto era breve, non salii a cavallo, ma corsi dietro a Dogger
tenendomi alla coreggia della sua staffa fino al cancello, e poi su per il lungo viale dagli
alberi spogli, illuminato dalla luna, in fondo al quale la bianca mole del castello si
ergeva dominando da ogni lato i vasti e antichi parchi.
Là il signor Dance smontò, e presomi con sé, detta una parola, venne introdotto.
Il servo ci condusse lungo un corridoio tappezzato di stuoie, facendoci infine entrare in
una spaziosa biblioteca tutta foderata di scaffali sormontati da busti, dove il cavaliere e
il dottor Livesey con la pipa in mano stavano seduti ai lati di un allegro fuoco.
Io non avevo mai visto il cavaliere così da vicino. Era un pezzo d'uomo alto più di sei
piedi, quadrato, dalla faccia aperta e fiera, che i lunghi viaggi di mare avevano
arrossata e tagliuzzata di rughe; le sue sopracciglia nerissime si movevano di
frequente, e ciò gli dava un'aria non cattiva, direi, ma piuttosto vivace e altera.
"Venga, signor Dance" egli disse con un fare affabile e dignitoso.
"Buona sera, Dance" disse il dottore, con un cenno del capo. "E buona sera a te, amico
Jim. Che buon vento vi porta qui?" Dritto in piedi e rigido, il sovrintendente prese a
narrare il fatto speditamente, come se recitasse una lezione, ed era curioso di vedere
come gli ascoltatori pendevano dalle sue labbra e di quando in quando si scambiavano
occhiate dimenticando, nella meraviglia e commozione, di fumare. Udendo poi la prova
di coraggio di mia madre, il dottor Livesey si dette una pacca sulla coscia, e il cavaliere
gridò 'Brava' con un gesto che gli fece spezzare contro il camino la sua lunga pipa.
Molto prima che il racconto fosse terminato, il signor Trelawney (era questo, come il
lettore ricorderà, il nome del cavaliere) era scattato in piedi, e andava misurando a
lunghi passi la sala; e il dottore si era tolta, come per udire meglio, la parrucca
incipriata, scoprendo la testa dai capelli neri completamente rasati, il che gli dava uno
stranissimo aspetto "Signor Dance" disse il cavaliere appena il sovrintendente ebbe
finito "lei è una degnissima persona. Quanto all'aver schiacciato quel mostro di atrocità,
io lo considero come un atto meritorio, come schiacciare un serpente. Questo ragazzo
poi, è un coraggioso, a quanto so. Hawkins, vuoi suonare quel campanello? Il signor
Dance berrà un bicchiere di birra." "Sicché, Jim" disse il dottore "tu hai ciò che loro
cercavano, no?" "Eccolo qui" risposi io porgendo il pacchetto di tela.
Il dottore l'esaminò, girandolo e rigirandolo per ogni lato, come se le dita gli
pizzicassero dalla voglia di aprirlo, ma poi finì per metterselo tranquillamente in tasca.
"Cavaliere" diss'egli "quando Dance avrà bevuta la birra gli toccherà naturalmente
tornare al servizio Sua Maestà; ma io penso di trattenere qui Jim Hawkins: egli dormirà
a casa mia; e frattanto, col vostro permesso, non si potrebbe fargli avere un po' di
pasticcio freddo e dargli la cena?" "Come volete, Livesey" disse il cavaliere "Hawkins
s'é guadagnato assai più di un pasticcio freddo." E così mi fu servito a una piccola
tavola un abbondante pasticcio di piccione, ed io cenai di gusto, giacché avevo una
fame da lupo; mentre il signor Dance, ricolmato di complimenti, si era congedato.
"E ora, cavaliere..." disse il dottore.
"E ora, Livesey..." disse a un tempo il cavaliere.
"Uno alla volta! Uno alla volta!" rise il dottore. "Credo che avrete sentito parlare di
questo Flint, nevvero?" "Di Flint!" esclamò il cavaliere. "Se ho inteso parlare di Flint, mi
dite! Il più sanguinario dei pirati che abbia mai tenuto il mare era lui. Barbablù, al
paragone, era un bambino. Gli spagnoli ne avevano una così smisurata paura che, vi
assicuro, signore, io qualche volta ero persino fiero di saperlo inglese. Con questi occhi
ho veduto i suoi velacci al largo di Trinidad; ebbene: quel vigliacco di figlio di un
ubriacone col quale navigavo, se la svignò: sissignore, se la svignò, e si rifugiò nel
Porto di Spagna." "Ebbene, io pure ho sentito parlare di lui in Inghilterra" riprese il
dottore. "Ma l'importante è sapere: aveva o no del denaro?" "Del denaro?" saltò su il
cavaliere. "Non avete dunque sentito la storia? E che cosa cercavano quei furfanti, se
non denaro? Di che cosa mai s'interessano, se non di denaro? Per che cosa
rischierebbero la loro maledetta pelle, se non per il denaro?" "E' ciò che sapremo
presto" replicò il dottore. "Ma voi vi riscaldate, e m'imbrogliate talmente con le vostre
esclamazioni, che io non riesco ad aprir bocca. Ciò che io vorrei sapere, è questo:
supponendo che io abbia qui nella mia tasca il filo capace di condurmi dove Flint ha
seppellito il suo tesoro, credete che quel tesoro possa essere importante?"
"Importante? Per darvene un'idea, se noi possediamo il filo di cui mi parlate, io armo un
bastimento nel porto di Bristol, prendo con me Hawkins e voi, e trovo il tesoro, dovessi
impiegare un anno a cercarlo!" "Ottimamente! E allora, se a Jim non dispiace, apriremo
il pacchetto" disse il dottore.
E lo posò sulla tavola.
Ma siccome il pacchetto era cucito, fu costretto a prendere nella sua borsa le forbici
chirurgiche per tagliare i punti, dopo di che venne fuori il contenuto: un quaderno, ed
una carta suggellata.
"Prima di tutto vediamo il quaderno" disse il dottore.
Gentilmente egli mi aveva invitato a partecipare al piacere delle ricerche; ed io,
alzatomi dal tavolo, mi sporgevo ora al di sopra delle sue spalle, insieme col cavaliere,
a guardare il quaderno aperto. Sulla prima pagina apparivano soltanto alcuni brani di
scritto, come quelli che un uomo con una penna in mano potrebbe tracciare per
oziosaggine o per esercizio. Uno di essi riportava il testo del tatuaggio "Billy Bones se
ne infischia". E poi c'era:
"Mr. W. Bones piloto", "Non più rum", "L'ha avuto al largo di Palm Key" e alcuni altri
scarabocchi: vocaboli isolati, per lo più, e incomprensibili. Io non potei a meno di
domandarmi chi era che l'aveva avuto e che cosa aveva avuto. Una coltellata nella
schiena, forse.
"Poco ci si ricava, qui" disse il dottor Livesey, continuando a sfogliare.
Le ulteriori dieci o dodici pagine erano riempite di curiose annotazioni. C'era una data,
a un capo della riga, e all'altro capo una somma, come negli ordinari libri di commercio;
con in mezzo, invece di un testo esplicativo, un certo numero di crocette. Al 12 giugno
1745, per esempio, una somma di settanta sterline risultava chiaramente accreditata a
qualcuno, ed in luogo del motivo non si vedevano che sei crocette. In alcuni punti era
stato evidentemente aggiunto il nome della località, come "Al largo di Caracas", oppure
una semplice indicazione di latitudine e longitudine, come 62 gradi, 17 primi, 20
secondi; 19 gradi, 2 primi, 40 secondi.
Le registrazioni abbracciavano un periodo di circa vent'anni; gli importi crescevano a
ogni fine di pagina. ed in ultimo, dopo cinque o sei tentativi di addizione sbagliati, un
gran totale era stato fatto con aggiunte le parole: "Bones, il suo gruzzolo".
"Non ci capisco un'acca" disse il dottor Livesey.
"E' chiaro come la luce del sole" ribatté il cavaliere. "Questo è il libro di conti di quella
canaglia. Le crocette rappresentano navigli affondati o città saccheggiate. Le somme
indicano la parte toccata al miserabile; e dove egli temeva un equivoco, aggiungeva,
come vedete, qualcosa di più preciso. Guardate: "Al largo di Caracas". Qui si tratta di
qualche disgraziato naviglio assalito al largo di quella costa. Dio assista l'anima dei
poveretti che erano a bordo: da tanto tempo saranno diventati corallo." "Giusto!"
osservò il dottore. "Ecco che cosa significa aver navigato. Giusto! E si vede che le
somme aumentano mano a mano che egli sale di grado." Non c'era nient'altro nel
quaderno all'infuori delle posizioni di alcuni luoghi registrate negli ultimi fogli bianchi; e
una tavola di equivalenze per le monete francesi, inglesi e spagnole.
"Uomo avveduto!" esclamò il dottore. "E tale da non lasciarsi facilmente imbrogliare."
"E ora" riprese il cavaliere "passiamo all'altro." La carta era stata suggellata in parecchi
punti adoperando come sigillo un ditale: lo stesso ditale forse che io avevo rinvenuto
nella tasca del capitano. Il dottore ruppe con molta precauzione i sigilli, e ne uscì la
pianta d'un'isola con i dati di latitudine e longitudine, fondali, nomi di alture, baie e
imboccature, ed ogni altra indicazione necessaria a poter portare un bastimento presso
la costa in un sicuro ancoraggio. Quest'isola misurava circa nove miglia in lungo e
cinque in largo, simile nella forma a un grosso drago rampante, ed aveva due porti
assai ben riparati, e nel centro una collina denominata "Il Cannocchiale". Vi erano
alcune aggiunte di data posteriore; e, specialmente visibili, tre croci in inchiostro rosso:
due nella parte nord dell'isola, una al sud- ovest; inoltre, accanto a quest'ultima, nel
medesimo inchiostro rosso, in una minuta e linda scrittura ben diversa dai tremolanti
caratteri del capitano, queste parole: "Qui il grosso del tesoro".
Sul rovescio del foglio, la stessa mano aveva tracciato i seguenti ulteriori ragguagli:
"Grande albero, contrafforte del Cannocchiale, punto in direzione Nord-Nord-Est,
quarta a Nord.
Isola dello Scheletro Est-Sud-Est, quarta ad Est.
Dieci piedi.
La barra d'argento è nel nascondiglio nord; trovasi nella linea del poggio est, dieci
braccia a sud della prospiciente rupe nera.
Le armi saranno presto trovate, nella collina di sabbia, all'estremità Nord del capo della
baia nord: direzione Est, e una quarta Nord.
J. F." Nient'altro: ma, pur nella sua brevità, e per quanto a me incomprensibile, il
documento colmò di gioia il cavaliere e il dottore.
"Livesey" proruppe il cavaliere "voi lascerete immediatamente questa vostra misera
clientela. Io domani filo a Bristol. Tempo tre settimane, tre settimane!, due settimane,
dieci giorni forse, avrò a mia disposizione il miglior bastimento d'Inghilterra, e la
schiuma degli equipaggi. Hawkins ci accompagnerà come mozzo. Tu, Hawkins, sarai
un mozzo eccellente. Voi, Livesey, sarete il medico di bordo; io l'ammiraglio.
Prenderemo con noi Redruth, Joyce e Hunter. Avremo venti favorevoli, una rapida
traversata, e troveremo il posto senza la minima difficoltà, e denaro a palate e a
mucchi, da rotolarcisi dentro e affogarci fino alla fine dei nostri giorni." "Trewlaney"
disse il dottore "io verrò con voi, e vi garantisco che Jim farà altrettanto e si farà onore.
Non v'è che una persona, che mi preoccupi..." "E chi è costui?" esclamò il cavaliere.
"Ditemi il nome di questo poco di buono." "Voi" rispose il dottore "perché non siete
capace di stare zitto.
Noi non siamo i soli a conoscere questo documento. Quei signori che stanotte
assalirono l'albergo, diavoli scatenati e disperati se mai ve ne furono, come pure gli
altri della combriccola rimasti a bordo del bragozzo, ed altri ancora io credo non molto
lontani di qui, sono decisi come un sol uomo a tutto pur di entrare in possesso di quel
denaro. Nessuno di noi deve andare da solo finché non saremo imbarcati. Jim ed io
frattanto non ci staccheremo l'uno dall'altro; voi andando a Bristol vi farete
accompagnare da Joyce e da Hunter; e nessun di noi dovrà lasciarsi sfuggire una
sillaba a proposito della nostra scoperta." "Livesey" replicò il cavaliere "voi avete
sempre ragione. Io sarò muto come una tomba."




(continua)

_________Aurora Ageno___________
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