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L'ISOLA DEL TESORO - di Robert Louis Stevenson - Completo -

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 20:01
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Capitolo 8

All'insegna del "Cannocchiale"



Dopo che ebbi fatta colazione, il cavaliere mi consegnò un biglietto indirizzato a John
Silver, all'insegna del "Cannocchiale". Costeggiando la darsena, mi disse, e facendo
bene attenzione, avrei facilmente trovato la piccola osteria, con, per insegna, un
grande telescopio di rame. Io mi mossi, felice dell'occasione di vedere ancora e meglio
bastimenti e marinai; e facendomi largo tra una moltitudine di gente e carri e balle di
mercanzie, mentre il lavoro della banchina era nel suo massimo bollore, arrivai alla
taverna.
Era un chiaro piccolo luogo allegro; dall'insegna ridipinta di fresco, dalle finestre ornate
di linde tende rosse, e dal pavimento accuratamente coperto di sabbia. Posto fra due
strade, aveva una porta aperta su ciascun lato, il che dava abbastanza luce alla bassa
e larga sala, malgrado delle nuvole di fumo di tabacco che l'ingombravano.
Gli avventori erano in gran parte gente di mare: e parlavano così forte che io mi fermai
sull'uscio, quasi timoroso di entrare.
Mentre esitavo, un uomo uscì da una stanza laterale, e in un colpo d'occhio io mi
convinsi che era lui, Long John. Aveva la gamba sinistra tagliata fin sotto l'anca, e sotto
l'ascella sinistra portava una gruccia della quale si serviva con prodigiosa destrezza,
saltellandovi sopra come un uccello. Era alto di corporatura e robusto, con una faccia
larga come un prosciutto, scialba e volgare, ma rischiarata da un intelligente sorriso.
Con irrequieta allegria fischiettava e si aggirava tra le tavole distribuendo motti o
pacche sulle spalle dei suoi ospiti preferiti.
A dire il vero, già dalla prima allusione a Long John Silver contenuta nella lettera del
cavalier Trelawney, m'era entrato il dubbio che si trattasse del marinaio dalla gamba
sola la cui apparizione avevo così a lungo spiata al vecchio "Ammiraglio Benbow". Ma
una sola occhiata all'uomo che mi stava davanti mi era bastata. Avendo visto il
Capitano, Can-Nero e il cieco Pew, credevo ormai di sapere un pirata cos'era, una
figura ben diversa, a parer mio, da questo aperto e gioviale padrone di osteria.
Io presi subito coraggio, varcai la soglia e mi diressi verso di lui che, appoggiato alla
sua gruccia, stava discorrendo con un cliente.
"E' lei il signor Silver?" dissi porgendo il biglietto.
"Sì, piccolo mio" rispose "è proprio questo il mio nome. E tu chi sei?" Ma, vista la
lettera del cavaliere, mi parve avesse come un sobbalzo.
"Oh" disse poi ad alta voce e porgendomi la mano "capisco. Tu sei il nuovo mozzo;
sono ben lieto di conoscerti." E strinse la mia mano con la sua larga e solida presa.
In quel momento uno degli avventori in fondo alla sala si alzò di scatto, lanciandosi
verso l'uscita, e poiché questa gli era vicino, in un batter d'occhio fu sulla strada. Ma la
sua furia aveva attirato la mia attenzione, ed in un lampo riconobbi in lui l'uomo dal viso
cereo, mancante di due dita, che per primo era apparso all'"Ammiraglio Benbow".
"Oh" gridai "fermatelo! E' Can-Nero!" "Non m'importa un cavolo di saper chi sia"
esclamò Silver. "Non ha pagato il conto. Harry, corri e acchiappalo." Uno di quelli che
stavano vicino alla porta saltò in piedi e si diede a inseguirlo.
"Fosse pure l'ammiraglio Hawke pagherà il suo conto" strillò Silver; e lasciando andar
la mia mano: "Chi hai detto che è? Nero che cosa?" "Cane" dissi io. "Il cavalier
Trelawney non vi ha parlato dei pirati? E' uno di loro!" "Ah sì? In casa mia! Ben, corri a
dare una mano ad Harry. Uno di quei brutti arnesi era lui? Morgan, eri tu che stavi
bevendo con lui? Vieni qua." Il nominato Morgan, un vecchio marinaio dai capelli grigi
e dalla pelle color del mogano, si fece avanti, umile come una pecora, masticando la
sua cicca.
"Sicché, Morgan" interrogò Long John in tono molto severo "tu questo Can... questo
Can-Nero non l'avevi visto mai prima d'ora, no?" "No, signore" rispose Morgan con un
inchino.
"Neppure di nome lo conoscevi, no?" "No, signore." "Per mille diavoli, Tom Morgan, è
meglio per te!" esclamò l'oste.
"Se avessi avuto che fare con un individuo simile, non avresti mai più messo piede in
casa mia, puoi star sicuro. E che cosa ti stava dicendo?" "Non saprei precisamente,
signore." "O che ci hai sulle spalle? Una testa, o una rapa?" gridò Long John. "Tu non
sai precisamente, non sai! E magari non sapevi che parlavi a qualcuno, eh? Suvvia, di
che stava cianciando? Viaggi, capitani, bastimenti? Sputa fuori! Cos'era?" "Stavamo
parlando di lavori di carenaggio" rispose Morgan.
"Di lavori di carenaggio? Un magnifico argomento non c'è che dire.
Ritorna pure al tuo posto, bestione." E mentre Morgan s'allontanava, Silver mi
aggiunse sottovoce, in tono confidenziale, che mi parve molto lusinghiero:
"E' un onest'uomo, Tom Morgan, ma è stupido. E adesso" continuò ad alta voce
"vediamo... Can-Nero... No, non conosco questo nome...
Però, ho come un sospetto... ma sì che l'ho già visto, il mariuolo. Veniva di solito qui
con un mendicante cieco." "Era lui, state pur sicuro" dissi io. "Io conobbi anche il cieco.
Si chiamava Pew." "E' così" rincalzò Silver molto eccitato. "Pew! Era questo il suo
nome, senza dubbio. Ah che muso di gaglioffo aveva! Se noi acciuffiamo questo Can-
Nero sarà una bella notizia per il cavalier Trelawney. Ben è un buon corridore: sono
assai pochi i marinai che gli stanno alla pari. Dovrebbe acchiapparlo, per Satanasso!
Parlava di lavori di carenaggio, eh? Te lo carenerò io!" Mentre sbottava in queste frasi,
arrancava su e giù per la taverna appoggiato alla sua gruccia, battendo con il palmo
sui tavolini, e ostentando un calore tale che avrebbe persuaso un giudice istruttore o
un poliziotto. I miei sospetti, risvegliati dall'aver trovato Can-Nero al "Cannocchiale",
m'inducevano a osservare il cuoco attentamente. Ma egli era troppo profondo, troppo
svelto e troppo scaltro per me, sicché quando quei due rientrarono trafelati
confessando che nella folla avevano perduta la pista, ed erano stati scambiati per ladri
e maltrattati, io mi sarei dato garante dell'innocenza di Long John Silver.
"Vedi un po', Hawkins" diceva lui «vedi un po' quale spiacevole affare per un uomo
come me! Il capitano Trelawney che cosa penserà? Ecco che io tengo in casa mia
questo maledetto cane olandese, e gli do da bere il mio rum! Tu arrivi e mi spieghi ogni
cosa, ed ecco che io gli lascio tutta la comodità di svignarsela sotto i miei occhi! Ma tu,
Hawkins, mi giustificherai presso il capitano. Sei un ragazzo, ma sei una perla di
ragazzo. Me ne sono accorto appena entrasti. Ebbene, dimmi tu che cosa potevo fare
io strascicandomi su questa vecchia gruccia? Quando ero mastro marinaio di prima
classe gli sarei corso dietro e l'avrei abbrancato con queste vecchie grinfie, l'avrei, ma
ora..." D'un tratto s'interruppe, e rimase lì, a bocca aperta, come se si ricordasse di
qualche cosa.
"Il conto!" esplose. "Tre bicchieri di rum! Ma guarda, imbecille che sono, se dovevo
dimenticare il mio conto!" E si lasciò cadere sopra una panca; e rideva, rideva fino a
farsi venir le lacrime agli occhi. Io non potei fare a meno d'imitarlo; e ridevamo insieme,
uno scroscio dopo l'altro, tanto che la taverna ne era intronata.
"Ah, che famosa foca sono io!" disse infine asciugandosi le guance. "Noi due faremmo
bene il paio, perché io pure meriterei il posto di mozzo. Ma adesso tieniti pronto a
virare. Il dovere è dovere, camerata. Io mi metto il mio tricorno, e corro con te dal
capitano Trelawney a riferirgli la storia. Perché, bada, ragazzo mio, è una cosa seria, e
né tu né io ne usciamo in modo da farci onore. Neanche tu, ti dico, sei stato svelto; né
l'uno né l'altro, siamo stati svelti. Ma, vivaddio, quella del conto è una bella burla." E
daccapo ricominciò a ridere così di gusto che io, pur non apprezzando come lui la
facezia, fui di nuovo costretto a prender parte alla sua ilarità.
Durante la nostra breve passeggiata lungo la banchina m'interessò molto dandomi
spiegazioni riguardo ai vari bastimenti che passavamo in rassegna, la loro attrezzatura,
portata, nazionalità, e operazioni che si stavano eseguendo come uno scaricava, un
altro imbarcava mercanzia, un terzo si preparava a salpare - aggiungendovi piccoli
aneddoti di vita marinaresca o ripetendomi qualche espressione nautica per farmela
bene entrare in mente, cosicché io cominciai a credere che in lui avrei avuto il più
prezioso compagno di bordo.
Giunti all'albergo, trovammo a un tavolo il cavaliere e il dottor Livesey che stavano
finendo di bere un boccale di birra con pane abbrustolito, per poi recarsi a bordo della
goletta per una visita d'ispezione.
Long John raccontò la storia dal principio alla fine con molto brio e scrupolosa
esattezza, rivolgendosi a me di tanto in tanto per dire: "E' stato così, non è vero,
Hawkins?", al che io non potevo fare a meno di assentire.
I due signori si rammaricarono che Can-Nero fosse riuscito a svignarsela; ma tutti
quanti convenimmo che non c'era niente da fare; e Long John, dopo aver ricevuto i loro
complimenti, prese la sua stampella e ci lasciò.
"Tutti a bordo oggi alle quattro" gli gridò dietro il cavaliere.
"Va bene, va bene" confermò il cuoco dal corridoio.
"Cavaliere" disse il dottore "io non ho in generale eccessiva fiducia nelle vostre
scoperte; ma tengo a dirvi che questo John Silver mi piace." "Vale tanto oro quanto
pesa" dichiarò il cavaliere.
"E ora" aggiunse il dottore "Jim può venire a bordo con noi, non è vero?" "Certamente"
disse il cavaliere. "Prendi il tuo cappello, Hawkins, e andiamo a visitare il bastimento."




(continua)

_________Aurora Ageno___________
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