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L'ISOLA DEL TESORO - di Robert Louis Stevenson - Completo -

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 20:01
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21/01/2009 14:04


Capitolo 14

Il primo colpo



Ero talmente contento di aver piantato Long John, che incominciai a divertirmi
osservando con interesse lo strano luogo dov'ero capitato.
Avevo attraversato una zona paludosa popolata di salici, giunchi e curiosi alberi esotici,
ed ero giunto sull'orlo d'un terreno scoperto, ondulato e sabbioso, esteso circa un
miglio, cosparso di rari pini e d'un gran numero di alberi contorti, non diversi nella
struttura dalla quercia, ma dalla foglia grigio argentea come i salici. All'estremità della
radura si drizzava una delle montagne, con due bizzarri picchi scoscesi che
splendevano vivacemente al sole.
Io provavo ora per la prima volta la gioia dell'esploratore.
L'isola era disabitata; i miei compagni di bordo li avevo lasciati indietro, e nulla viveva
davanti a me tranne mute bestie e uccelli. Andavo girando tra gli alberi. Qua e là
fiorivano piante a me sconosciute, qua e là guizzavano serpenti, e uno tirò fuori la testa
da una fenditura di roccia, e sibilò verso me con un rumore simile al fischio d'una
trottola, senza che io neppure sospettassi di aver davanti un nemico mortale, il famoso
serpente a sonagli.
Entrai poi nel folto di quella sorta di querce (querce sempreverdi, le sentii poi
chiamarle) che crescevano basse, rasente la sabbia, come pruni, coi rami
capricciosamente intrecciati, dal fogliame fitto e compatto come stoppia. Il bosco
cominciava dalla cima di un monticello sabbioso e scendeva giù guadagnando in
estensione ed altezza, fino al margine della vasta palude piena di canne, attraverso la
quale il più vicino dei piccoli ruscelli trovava la via per sboccare nell'ancoraggio.
Sotto il sole cocente si alzavano dalla palude esalazioni acri, e il profilo del
Cannocchiale tremolava dentro ai vapori.
Improvvisamente cominciò tra i giunchi una specie di tramestìo; un'anitra selvatica volò
via con un grido rauco, un'altra la seguì; e subito sull'intero specchio della palude
un'enorme nuvola d'uccelli schiamazzanti roteò nell'aria. Immaginai che alcuni dei miei
compagni di bordo stessero avvicinandosi lungo i lati della palude. E non m'ingannavo,
poiché presto udii i lontani e sommessi accenti d'una voce umana che, continuando io
a tendere l'orecchio, veniva a poco a poco facendosi più forte e più vicina.
Ciò mi mise in grande agitazione e timore. Strisciai sotto il fogliame d'una quercia
sempreverde, e là mi rannicchiai a origliare, muto come un pesce.
Un'altra voce rispose, dopo di che la prima, che ora riconoscevo per quella di Silver,
riprese, e continuò a lungo con una abbondanza torrenziale, interrotta solo di tratto in
tratto dall'altra. A giudicare dal tono, discutevano animatamente e quasi litigavano: ma
nessuna parola giungeva distinta ai miei orecchi.
Finalmente sembrò che i due si fermassero, e forse anche sedettero, poiché non solo
smisero di avvicinarsi, ma nella pausa gli stessi uccelli si acquietarono e a poco a poco
scesero a riprendere i loro posti nello stagno.
A questo punto io mi accorsi che stavo trascurando la mia faccenda. Dal momento che
ero stato così scioccamente ardito da accompagnarmi con quei disperati, il meno che
potessi fare era di spiarne le mosse, e mio evidente dovere era avvicinarmi loro il più
possibile, protetto dal fogliame degli alberi ricurvi.
Io potevo stabilire con sufficiente esattezza la direzione in cui si trovavano gli
interlocutori, non soltanto dal suono delle loro voci, ma anche dal modo di comportarsi
di alcuni uccelli che tuttora svolazzavano spaventati sule teste degli intrusi.
Strisciando gatton gattoni con studiata lentezza mi diressi verso loro, e alla fine
alzando la testa potei, attraverso un buco tra le foglie, spingere lo sguardo in una
piccola radura verde vicino alla palude e stretta tra gli alberi, dove Long John Silver e
un altro della ciurma stavano faccia a faccia discorrendo.
Il sole li investiva in pieno. Silver aveva gettato il suo cappello sull'erba, e il suo largo,
glabro e biondo viso, lucido per il calore, era alzato verso quello del camerata in atto di
esortare.
"Amico mio" diceva "è perché ti stimo come l'oro, come l'oro, ti dico, e puoi credermi
sulla parola! Se io non ti fossi attaccato come la pece, ti pare che sarei qui a metterti in
guardia? Tutto è deciso, tu non puoi né togliere né aggiungere nulla: è per salvar la tua
testa che ti parlo: che se uno di questi cani lo sapesse, che accadrebbe di me, Tom?
Dimmi tu, che accadrebbe di me?" "Silver" replicò l'altro col volto in fiamme e la voce
rauca come quella del corvo, che tremava come una corda tesa "Silver, tu sei un uomo
d'età, e sei onesto, almeno tale sei ritenuto; e in più hai del denaro, che tanti poveri
marinai non hanno, e sei anche bravo, se non sbaglio. E vorresti farmi credere che ti
lasci comandare da quella massa di gaglioffi? Oh no! Com'è vero che Dio mi vede,
preferirei perdere questa mano... Se io rinnego il mio dovere..." Qui fu interrotto da un
improvviso rumore. Avevo scoperto uno dei marinai onesti, ed ecco che, nel medesimo
istante, un altro mi si rivelava. Lontano nella palude qualcosa come un grido di collera
ferì l'aria; un altro subito lo seguì, e infine un urlo orribile e prolungato. Le rocce del
Cannocchiale lo riecheggiarono molte volte; l'intera moltitudine degli uccelli di palude
scattò di nuovo in alto, oscurando il cielo con un repentino e tumultuoso volo; e
quell'urlo disperato mi risuonava ancora dentro mentre il silenzio aveva da tempo
ripreso il suo dominio, e soltanto il frusciare degli uccelli che ridiscendevano, e il rombo
della risacca lontana turbavano la stanca quiete del pomeriggio.
Tom, al rumore, era balzato come un cavallo sotto lo sprone; ma Silver non mosse
ciglio: rimase là dov'era, leggermente appoggiato alla sua gruccia, sorvegliando il
compagno come un serpente pronto a schizzare.
"John" disse il marinaio protendendo la mano.
"Giù le mani!" intimò Silver saltando indietro un metro con la disinvolta rapidità di un
esperto ginnasta.
"Giù le mani, se ti piace, John Silver" disse l'altro. "Se hai paura di me, vuol dire che
hai cattiva coscienza. Ma, in nome del Cielo, che accade?" "Che accade?" replicò
Silver sorridendo, ma più in guardia che mai, con gli occhi piccoli come capocchie di
spillo nella larga faccia, scintillanti come pezzetti di vetro. "Che accade? Oh, io credo
che si tratta di Alan..." A queste parole il povero Tom avvampò di una luce eroica.
"Alan!" gridò. "Allora la sua anima riposi in pace. Era un vero marinaio. Quanto a te,
John Silver, tu fosti a lungo mio compagno, ma ora non lo sei più. Se io muoio come un
cane, morirò compiendo il mio dovere. Tu hai fatto uccidere Alan, non è vero? Ebbene,
ammazza anche me, se ne hai il coraggio. Io ti sfido." Detto ciò, quel bravo ragazzo
voltò le spalle al cuoco e s'incamminò verso la spiaggia. Ma non doveva andare
lontano. Con un muggito John si attaccò a un ramo d'albero, e liberata la sua gruccia
dall'ascella la scaraventò nell'aria. La strana freccia colpì Tom con la punta proprio in
mezzo alla schiena con tale violenza che il poveretto, levate le braccia e emesso un
gemito, cadde.
Era ferito: ma se gravemente o no, chi poteva dirlo? A giudicare dal rumore, credo che
avesse la spina dorsale spezzata. Ma Silver non gli lasciò tempo di riprendersi. Agile
come una scimmia e pure senza la gruccia, in un lampo gli fu addosso, per ben due
volte immerse il suo coltello fino al manico in quel corpo senza difesa.
Dal mio nascondiglio lo sentii ansimare forte mentre portava i colpi.
Io non so cosa veramente sia svenire; ma so che per qualche istante ciò che mi
circondava sparì dalla mia vista, confuso dentro un nebbioso caos. Silver, e gli uccelli,
e l'alta vetta del Cannocchiale turbinavano insieme, confusi, davanti ai miei occhi; e
non so quante campane e ronzii di voci lontane mi rintronavano gli orecchi.
Quando ripresi coscienza, lo scellerato, gruccia sotto il braccio, cappello in testa, già si
era ricomposto. Davanti a lui, immobile sull'erba, giaceva Tom: ma l'assassino non si
curava minimamente di lui, badando a pulire sopra un ciuffo d'erba il suo coltello
sporco di sangue. Ogni altra cosa era immutata: il sole continuava spietato a
risplendere sullo stagno maleodorante e sui picchi delle montagne; ed io facevo fatica
a persuadermi che un assassinio era stato commesso ed una vita umana
barbaramente troncata un momento prima, sotto i miei occhi.
Ora John ficcò la mano nella tasca, e preso un fischietto se lo portò alle labbra,
tirandone fuori alcuni suoni modulati che si propagarono nell'aria calda. Io non potevo
capire, naturalmente, il significato di quel segnale, ma istantaneamente esso risvegliò i
miei timori. Altri sarebbero arrivati. Io sarei forse stato scoperto. Due dei nostri erano
già stati tolti di mezzo. Dopo Tom e Alan, non avrebbe potuto toccare a me?
Subito cominciai a districarmi, strisciando indietro più velocemente e silenziosamente
che potevo verso il punto in cui il bosco si diradava. Intanto sentivo saluti scambiati fra
il vecchio filibustiere e i suoi camerati, e queste voci mi davano le ali.
Appena fuori del folto mi misi a correre come mai avevo corso in vita mia, badando
poco alla direzione della mia fuga, pur di allontanarmi dagli assassini. E più correvo,
più mi cresceva la paura, finché si trasformò in una specie di delirio.
In verità, chi era più irreparabilmente perduto di me? Come avrei osato io, al colpo del
cannone, raggiungere i canotti tra quei demoni fumanti ancora del loro delitto? Il primo
che mi avesse visto non mi avrebbe torto il collo come a un beccaccino? E la mia
stessa assenza non avrebbe denunciato loro la mia paura e perciò la conoscenza della
sorte che mi aspettava? Tutto finito, pensavo.
Addio "Hispaniola", addio cavaliere, addio dottore, addio capitano! Che mi rimaneva se
non morire di fame o per mano dei rivoltosi?
Frattanto continuavo a correre, come ho detto, e senza accorgermene ero giunto ai
piedi della piccola montagna dai due picchi, in una zona dell'isola dove le querce
sempreverdi crescevano meno fitte, e nel portamento e nelle dimensioni somigliavano
meglio ad alberi forestali. In mezzo a queste si ergevano alcuni pini alti da cinquanta a
settanta piedi, e l'aria qui circolava più pura che laggiù nei pressi dello stagno.
Ma ecco che un nuovo allarme mi fece fermare col cuore in gola.




(continua)

_________Aurora Ageno___________
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